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giovedì 23 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte prima.



"Rischio Vesuvio parte prima" di MalKo 

Nel mese di ottobre 2008, due jet militari attraversarono il cielo di Napoli superando la barriera del suono. Procurarono un “bang” che preoccupò non poco gli abitanti dell’area vesuviana. Come si sa, infatti, in questi luoghi sussiste un rischio tutt'altro secondario dettato dall’arcinoto vulcano Vesuvio. Nell’agosto 2007 si agitò invece il mondo istituzionale e scientifico per un articolo apparso sulla nota rivista National Geographic. Sull’importante mensile furono riportate le conclusioni di uno studio condotto da alcuni ricercatori italiani e stranieri, tra cui il prof. Giuseppe Mastrolorenzo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV).
Gli autori nel pubblicare i risultati delle ricerche, evidenziarono che un’eventuale ripresa eruttiva del Vesuvio poteva anche presentarsi con una tipologia pliniana di tipo Avellino. In questo casola città di Napoli non poteva ritenersi indenne e al riparo da ogni sorta di pericolo proveniente dal vulcano.
E’ chiaro che chi sostiene questa tesi indirettamente e a tergo della disquisizione scientifica, mette in discussione la presunta pianificazione nazionale delle emergenze, che non ha mai considerato la metropoli partenopea come un possibile bersaglio di un’eruzione, se non marginalmente.
Il Dipartimento della Protezione Civile reagì piccatamente all’articolo, perché lo scenario eruttivo adottato dal medesimo dicastero per la stesura dei piani d’emergenza, è di tipo subpliniano (1631): intenso negli effetti con sconvolgimenti notevoli della plaga vesuviana, ma senza interessare l’area cittadina di Napoli.
Il Vesuvio, lo ricordiamo, nella sua storia geologica annovera manifestazioni di vario tipo, oscillanti tra la colata di lava pittoresca e l’eruzione catastrofica caratterizzata dalle temibili nubi ardenti.
Purtroppo non sempre è possibile prevedere con larghissimo anticipo il momento del risveglio di un vulcano quiescente, così come il tipo di eruzione che, nel caso del Vesuvio, potrebbe variare di molto con sostanziali differenze energetiche e quindi di pericolo.
I vulcani in genere manifestano tutta una serie di sintomi prima di produrre un’eruzione, e questi sintomi riescono il più delle volte a essere colti sul nascere, specialmente se la vigilanza è effettuata continuamente e con moderne tecnologie, come nel nostro caso.
Nel merito delle ipotesi che si formulano sul Vesuvio, su quella che potrebbe essere la prossima eruzione, tutte le tesi che a più riprese si prospettano, trovano alla fine uguale dignità, perché non esistono certezze matematiche e incontrovertibili in materia.
Sarà la stessa eruzione (chissà quando), che dirà chi ha ragione dal punto di vista statistico/previsionistico. Un noto vulcanologo in un’intervista, saggiamente affermò che i segni premonitori di un’eruzione del Vesuvio si riconosceranno e si coglieranno tutti, ma dopo l’eruzione…
La disputa scientifica è principalmente sul tipo d’eruzione, perché quando questa si manifesterà (previsione lunga), nessuno è in gradi di dirlo.
Nella pianificazione (bozza) nazionale d’emergenza dell’area vesuviana pubblicata nel 1995, si rimarcava un notevole ottimismo circa la previsione corta (avvisaglia) del fenomeno. Sette giorni di tempo per allontanarsi, su un totale di venti a disposizione. Nella revisione del piano datata 2001 si conferma la settimana. Oggi, alcune anticipazioni di stampa riferiscono che il piano d’emergenza in corso di elaborazione sancisce l’evacuazione complessiva della zona rossa in tre giorni. Nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 20 del 26 aprile 2004, si auspica un’evacuazione in quarantotto ore.
Il direttore della scuola regionale di protezione civile della Campania, in un articolo pubblicato sul corriere del mezzogiorno del 9 ottobre 2008, ebbe a dire che nel giro di due mesi il nuovo e definitivo piano d’emergenza per l’area vesuviana, messo a punto con i tecnici del dipartimento della protezione civile, vedrà finalmente la luce. Al momento si costata un anno di ritardo nella pubblicazione. Un ritardo relativo in verità, perché non è di mesi che si parla ma di anni, visto che la commissione incaricata di redigere questo famoso piano si insediò nel 1993. Dopo sedici anni quindi, siamo ancora fermi sui propositi e in attesa di una programmazione d’emergenza che abbia una valenza operativa.
E’ abbastanza chiaro alla fine, che, qualsiasi piano d’emergenza per l’area vesuviana, dovrà essere elaborato sulla scorta della previsione corta del fenomeno. Ed è proprio qui il problema, perché non è possibile eludere il limite: si pianifica prevedendo di prevedere… I piani di emergenza pertanto, dovranno basarsi sulla previsione della previsione. Non è un demerito nostrano, ma un limite oggettivo della ricerca in questo campo.
Il piano d’emergenza (evacuazione) da mettere a punto per fronteggiare il rischio Vesuvio, in termini di prevenzione rappresenta la mediazione tra due impossibilità: una è quella di spostare il Vesuvio (pericolo) o renderlo perennemente quiescente, e l’altra di spostare i seicentomila abitanti (valore esposto) dalla zona rossa. La seconda via, come s’intuisce, potrebbe essere maggiormente percorribile soprattutto se parliamo di una sostanziale riduzione del numero di abitanti (non occorre desertificare l’area); è inteso in questo caso, che l’attuazione di un siffatto piano di delocalizzazione probabilmente contemplerà tempi lunghissimi misurabili in molti decenni. Il problema grosso però, è trovare accordi politici e amministratori capaci di pianificare ben oltre il loro mandato elettorale…
(continua…)

1 commento:

  1. articolo pubblicato su hyde park il 11 ottobre 2009.
    http://www.rivistahydepark.org/rischio-vesuvio-campania/rischio-vesuvio-di-malko/

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malkohydepark@gmail.com