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sabato 26 ottobre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: 72 ore per evacuare... di MalKo

Vesuvio


Nel post precedente abbiamo sottolineato, in totale assenza di affiliazione e simpatia politica, l’importanza delle dichiarazioni del presidente regionale della Campania, che ha avuto il merito di dire la verità sulla previsione del pericolo vulcanico, nell’ambito della presentazione dell’esercitazione di protezione civile EXE Flegrei 2019, tra l'altro alla presenza di esperti e rappresentanti istituzionali e del mondo scientifico di alto livello.

Come oramai è noto, tutto il sistema dell’evacuazione cautelativa per mettersi al sicuro dagli effetti di un’eruzione vulcanica è tarato su 72 ore: tanto nel Flegreo quanto nel Vesuviano. Dodici ore per dispiegare i soccorritori. Quarantotto ore per evacuare la popolazione e far retrocedere in coda i reparti intervenuti. Dodici ore per affrontare possibili imprevisti.

Con le 72 ore a disposizione, dicono che si riuscirebbe ad evacuare il territorio flegreo con le modalità di trasporto che hanno immaginato gli strateghi dell’aritmetica. Secondo il nostro punto di vista invece, all’occorrenza l’evacuazione massiva della popolazione avverrebbe attraverso l’utilizzo delle autovetture, alla stregua degli estenuanti esodi estivi che avvenivano negli anni del benessere economico. Diversamente a piedi come fecero nell’età del bronzo antico gli indigeni che dimoravano nella piana vesuviana, per scampare alla più potente delle eruzioni del Vesuvio che si ebbe nel 1850 a.C., come testimoniano le orme dei piedi lasciate dalla popolazione in fuga dai villaggi, impresse nei primi strati di cenere vulcanica ancora calda.

Ebbene il governatore della Campania ha detto con onestà che queste 72 ore potrebbero esserci ma potrebbero anche non esserci… e quindi nella peggiore delle ipotesi tutto si evolverebbe direttamente sul campo, secondo le decisioni del momento adottabili con immediatezza dalla direzione di comando e controllo (Dicomac), se già insediata a San Marco Evangelista (Caserta) o, in assenza dei tempi necessari per la logistica, da indicazioni provenienti presumibilmente dalla sala operativa unificata (SOU) della regione Campania, con una prevalenza di comando da parte dei Vigili del Fuoco che nell’immediatezza delle catastrofi hanno il compito istituzionale di assicurare i soccorsi e il coordinamento interforze deputate al salvataggio della popolazione...

Nella malaugurata ipotesi che non dovessero esserci le 72 ore a disposizione per scappare, si dovrebbero fronteggiare comportamenti del tutto imprevedibili e irregolari e anche irrazionali, che cagionerebbero caos nel sistema di evacuazione che si bloccherebbe inesorabilmente. In queste condizioni i deboli risulterebbero ancora più deboli, e i forti reclamerebbero ancora più spazio in quella che si profilerebbe come una vera corsa per la vita, tra l’altro carica dell’incertezza eruttiva fino all’ultimo secondo, e in un contesto indisciplinato e difficilmente mitigabile dalle forze dell'ordine.

Per la maggior parte dei lettori l’affermazione del presidente De Luca dice poco; per chi ha seguito sul nascere l’attività di pianificazione delle emergenze vulcaniche invece, vuol dire tantissimo. Si pensi che nelle prime bozze di piano Vesuvio che non risalgono alla preistoria, l’autorità scientifica stimò in 20 giorni il tempo intercorrente tra un’attendibile previsione dell’eruzione e l’eruzione stessa. Con questi intervalli a disposizione, l’evacuazione poteva realizzarsi attraverso il sistema delle prenotazioni, con la regia regionale alla consolle, alla stregua di una moderna agenzia di viaggi. Da questa favorevole stima il disinteresse per i piani di evacuazione che ci sembra perduri...

Nel 2001 i tempi di attesa eruzione dalla proclamazione dello stato di allarme, erano stimati in alcune settimane con la precisazione che lo spostamento della popolazione si sarebbe dovuto effettuare comunque in 7 giorni.  Ulteriore riduzione dei tempi pre eruttivi sono stati indicati nell’attualità dal mondo tecnico presumibilmente su suggerimento scientifico, che nelle varie ipotesi previsionistiche hanno mostrato maggiore prudenza, indicando nell'attualità in appena 72 ore il tempo a disposizione per l’evacuazione. Settantadue ore che potrebbero esserci e potrebbero non esserci dicevamo…

Si è da poco conclusa l’esercitazione EXE flegrei 2019, passata inopinatamente, grazie a una forzatura mediatica, come manifestazione nazionale.  In realtà la più grande esercitazione di livello nazionale mai fatta in Italia è stata quella di Portici denominata Vesuvio 2001. Tale evento esercitativo non ebbe la prevalente regia mediatica del Dipartimento, perché l’amministrazione di Portici col sindaco Leopoldo Spedaliere, pretese ed ebbe parte attiva diretta nelle decisioni e nell’operatività e nella buona riuscita dell’intera operazione.

Per dare un metro di misura ai cittadini flegrei, con Vesuvio 2001 si testarono contemporaneamente le modalità evacuative con treno e poi stradale con autovetture private e finanche con mezzo navale (Catamarano) della società Alilauro, procurato direttamente dal sindaco perché il Dipartimento non prevedeva, esattamente come oggi, questa modalità di trasporto alternativo in emergenza.

Il treno in quel periodo venne considerato la chiave di volta dell’evacuazione, perché la strada ferrata attraversa ancora oggi e contiguamente al mare, tutta la zona rossa Vesuvio ad occidente, che è anche quella parte di territorio vulcanico maggiormente e più densamente popolato. Anche in quel caso, gli strateghi come oggi esclusero la via marittima affermando che i fondali portuali potevano gonfiarsi in una fase preeruttiva rendendo inutilizzabile il porto. Facemmo notare che la strada ferrata che attraversa la zona rossa Vesuvio passa praticamente a pochi metri dagli scogli e dal mare e soprattutto a Portici si snoda quasi sulla banchina del porto. Una deformazione del fondo marino avrebbe riguardato anche la linea ferroviaria, tra l’altro bloccabile pure susseguentemente a terremoti con magnitudo maggiori di 4.

L’evacuazione a mezzo treno nell’ambito esercitativo Vesuvio 2001, fu in tutti i casi assicurato da un convoglio che trasportò da Portici a Bellaria Igea Marina (Rimini) circa 650 porticesi con una durata del viaggio di circa 6 ore. Proprio in virtù dell'esercitazione si capì che la lunghezza della banchina della stazione d'arrivo non era adeguata alla lunghezza del treno.

Vesuvio 2001 - tracciato ferroviario da Portici a Bellaria Igea Marina (Rimini)

L’evacuazione stradale invece, richiese l’impegno di oltre 250 autovetture per un totale di circa 1000 cittadini che da Portici e con percorsi assistiti raggiunsero anch’essi Bellaria Igea Marina dopo un tragitto di circa 560 chilometri. Ogni autovettura era contraddistinta dal logo esercitativo e monitorata ai check point.

Vesuvio 2001 - Tracciato stradale da Portici a Bellaria Igea Marina


L’evacuazione a mezzo naviglio fu il classico esperimento, anche per testare la manovrabilità in un porto dalle ridotte dimensioni: la nuova strategia impegnò un catamarano per il trasporto di oltre 350 porticesi dal porto borbonico del Granatello fino allo scalo marittimo di Pozzuoli, dove all’approdo i partecipanti furono accompagnati da bus e volontari in una visita guidata alla Solfatara per fare gemellaggio vulcanico e contemporaneamente informazione sul rischio eruttivo a cura dell’Osservatorio Vesuviano.

L’esercitazione durò quattro giorni (27,28,29 e 30 settembre 2001); in quel di Bellaria Igea Marina, quale comune deputato al gemellaggio tra Emilia Romagna e Portici (oggi  è il Piemonte), fu concentrata e assicurata l'accoglienza (29/09/2001), consistente nel censimento e la successiva collocazione dei partecipanti nelle varie strutture ricettive per passare la notte e fino alla giornata successiva 30/09/2001, data del rientro pomeridiano del treno e delle autovetture e della nave. 

La sera del 29 fu fatta la festa dell'accoglienza a Bellaria, nel palasport locale con esibizione di artisti napoletani; spettacolo in favore tanto degli evacuati porticesi quanto dei cittadini bellariesi in un contesto ordinato che vide la partecipazione attiva di politici di entrambe i comuni.

Tutti i percorsi evacuativi furono continuamente e completamente assistiti con l’impiego di radioamatori locali che, basati al Centro Operastivo Misto di Portici, assicurarono ogni forma di collegamento radio di livello provinciale, regionale e nazionale. Nell’ambito esercitativo fu per la prima volta instaurata ex novo pure la funzione 15, secondo le logiche del metodo Augustus, per la tutela dei beni culturali, con attività pratiche di imballaggio sul campo, e a seguire il successivo trasporto con mezzi VVF dei preziosi reperti da Portici a Caserta, con la scorta delle forze dell’ordine.

Furono organizzati posti medici avanzati nei punti strategici, e sul treno fu particolarmente efficace la collaborazione dei gruppi scout che intrattennero i bambini durante il tragitto: una funzione molto utile in percorsi così lunghi. La Polizia ferroviaria seguì di stazione in stazione il convoglio, offrendo notizie al Centro operativo porticese. Il Dipartimento della Protezione Civile curò soprattutto i Check Point lungo il tragitto stradale con i vari servizi assistenziali assicurati dai volontari.

Occorre dire che per garantire la partecipazione dei cittadini fu necessario offrire agli evacuati trasportati dal treno in modalità assistita e a quelli arrivati autonomamente a Bellaria in auto, il vitto e il pernottamento. D’altra parte il viaggio di andata e ritorno senza sosta intermedia era impensabile anche per motivi di sicurezza legati alla stanchezza dei guidatori. Per coloro che aderirono alla simulazione stradale, fu quindi necessaria l’erogazione di buoni carburante e fogli di transito gratuito ai caselli autostradali: anche in questo caso era improponibile far accollare ai cittadini le spese di trasporto. Ci fossero stati più fondi disponibili, le adesioni sarebbero state ancora più numerose.

Quell’esercitazione ha prodotto molti insegnamenti, innanzitutto a proposito dell’informazione e della pubblicità che si fa dell'evento, che in queste circostanze per la maggior parte è stata in capo al Dipartimento… Vesuvio 2001 per una serie di motivi  è stata oggetto di dannatio memoriae mediatica.

Il secondo elemento riflessivo è questo: se si pensa di fare le esercitazioni con il coinvolgimento della popolazione, è necessario munirsi di idee e di fondi per le spese e avere un minimo di fantasia per incentivare la partecipazione dei cittadini senza aspettare la calata dei funzionari dipartimentali che non risolverebbero il problema. Dire andate all’area di incontro e poi tornatevene a casa è a dir poco squallido…Oppure salite sul treno freccia rossa, riscaldate il posto e poi scendete potrebbe essere un non senso esercitativo… per non parlare dell'evacuazione da Pozzuoli alla stazione di piazza Garibaldi con servizio navetta. Pure dal punto di vista dei gemellaggi si è fatto pochissimo, atteso che in EXE flegreo 2019 è stata assicurata semplicemente la presenza di una delegazione della Lombardia che si è recata alla stazione di Napoli a guardare l'immoto treno.

Il terzo elemento di riflessione riguarda l'informazione: il momento meno ideale per fornire notizie sul rischio vulcanico è quello immediatamente esercitativo perché si è presi da altro. Se si vuole la collaborazione dei cittadini bisogna lavorare per anni in un contesto di concretezza sulla sicurezza che non può incentrarsi continuamente e unicamente sull'emerito Osservatorio Vesuviano e solo sul rischio vulcanico. Da anni questa struttura dell'INGV copre ruoli che non gli competono direttamente, come la sicurezza delle zone rosse e l'evacuazione dalle stesse, che dovrebbero invece essere argomento di diretta competenza dell'amministrazione comunale e poi dei rappresentanti politici nazionali e regionali deputati alla prevenzione e al soccorso delle popolazioni. 
Il Comune è in ogni caso l’istituzione più vicina ai cittadini e le risposte in prima battuta devono arrivare da lì. I cittadini dei Campi Flegrei così come quelli del vesuviano, devono essere destinatari di messaggi innanzitutto veri e non edulcorati dal principio del non allarmare. 

I gruppi che sorgono su facebook per scambiarsi pareri e notizie, possono svolgere un ruolo molto importante nell'informazione e nella formazione della coscienza civica di cittadini così intimamente connessi con le realtà del territorio: in tutti i casi però, occorre sviluppare un senso critico sulle notizie da dare,a prescindere dalla provenienza, perchè anche le fonti più autorevoli a volte enunciano una verità assolutamente parziale, che fornisce alibi ma non soluzioni, in un contesto dove vige il principio non dichiarato, che anche sui rischi bisogna operare scelte dettate dal disumano calcolo dei costi benefici. Scenario eruttivo docet...

In altre democrazie l'attività di controllo sulla politica e sulle istituzioni è svolta dal giornalismo investigativo, ma molto possiamo fare anche noi riflettendo sui termini che si utilizzano ma soprattutto analizzando e comparando le notizie diffuse da tutte le fonti. Ad esempio, la citazione mediatica molto usata che il Vesuvio è tenuto sotto controllo è assolutamente irreale. Il controllo lo si esercita se si ha un interruttore fra le mani con on e off...  Questa diapositiva sottostante è stata proposta a un seminario dell'ordine degli ingegneri di Napoli nel dicembre del 2016 :

Il Vesuvio logicamente non è un combustibile che si accende e si spegne ma non è in questa citazione il problema. L'Osservatorio Vesuviano esercita attività di monitoraggio consistente in rilevazioni continue dei parametri fisici e chimici del vulcano, ma non controlla affatto il magma e quindi le eruzioni, perchè il controllo prevede la capacità di governare qualcosa o disporre a piacimento di qualcosa. Nessuno poi, è in grado di prevedere un'eruzione con notevole anticipo, neanche se mettiamo tutti gli scienziati del mondo uno sull'altro impilati nel loro sapere, arriveremmo a una anticipazione deterministica dell'eruzione. A smentire la prevedibilità dell'evento vulcanico in controtendenza con la storica dialettica dei compartecipanti all'inaugurazione di exe 2019, ci ha pensato il presidente De Luca col suo pragmatismo: 72 ore per evacuare potrebbero esserci ma potrebbero anche non esserci... Ecco: proiettate questo!











lunedì 14 ottobre 2019

Rischio Vulcanico: la verità del Presidente De Luca... di MalKo


Regione Campania - 10/10/2019 - Presentazione EXE Flegrei 2019

Tra le due zone dei Campi Flegrei e il Vesuvio, si contano quasi 2.000.000 di abitanti che sono esposti a un pericolo tutt’altro che secondario, rappresentato dalle due aree vulcaniche quiescenti, che saranno prima o poi sede di un’eruzione dall’intensità assolutamente incerta.

I piani di emergenza ovvero di evacuazione sono tarati su 72 ore. In questo arco di tempo contato dalla dichiarazione dello stato di allarme vulcanico, la popolazione del vesuviano o del flegreo, all'occorrenza dovrà lasciare il perimetro della zona rossa secondo le regole previste dalle autorità nazionali e regionali e comunali.

La più formidabile delle conferenze stampe sul rischio vulcanico è stata quella di presentazione dell’esercitazione EXE Flegrei 2019, dove oltre a tutti gli attori istituzionali, dal Capo Dipartimento della Protezione Civile alla Direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, dal Prefetto di Napoli al Direttore Generale dell’INGV, c’era anche il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca che ha profferito queste testuali parole:<< …dobbiamo dire con grande onestà, ovviamente che parliamo di eventi in qualche misura prevedibili ma che rispetto ai quali nessuno è in grado di dare delle certezze. Noi facciamo delle simulazioni a 72 ore. Seguiamo in questo caso il modello teorico: l’allerta, il preallarme poi l’allarme, ma dobbiamo sapere che ci può essere il tempo per organizzare con qualche respiro l’evacuazione, ci può essere anche un evento che non ci dà le 72 ore per organizzarci al meglio; dobbiamo quindi prevedere sul campo decisioni che poi sarà il coordinamento generale di tutta l’operazione a valutare…>>.




sabato 12 ottobre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: rischio accettabile?... di MalKo

Il Vesuvio visto dal treno

Quando si affronta  discorsivamente un pericolo come quello vulcanico, imponderabile nei tempi e  nell’intensità  energetica  e  quindi nella prospettiva di danno, occorre inquadrare l’argomento e le differenze che lo caratterizzano nei suoi aspetti principali:
  1. Non tutti i vulcani sono uguali e quindi le caratteristiche geologiche di uno non valgono per l’altro;
  2. Ogni eruzione anche se scaturisce dallo stesso apparato è sempre diversa da qualsiasi altra eruzione precedente;
  3. I prodromi pre eruttivi si differenziano in ogni eruzione tanto per la diversificazione dei fenomeni, quanto per i tempi di insorgenza, intensità e durata;
  4.  I vulcani a condotto chiuso hanno generalmente caratteristiche diverse da quelli a condotto aperto;
  5. Le caldere vulcaniche hanno notevoli differenze rispetto ai distretti vulcanici caratterizzati da un rilievo montuoso quale centro eruttivo;
  6. I vulcani sottomarini hanno incidenze di pericolo diverse da quelli subaerei, perché di solito sott’acqua scema la pericolosità eruttiva ma può innescarsi quella delle frane che potrebbero scatenare  maremoti;
  7. I vulcani che coi loro prodotti eruttivi formano isole, hanno un potenziale di pericolo diverso da quelli basati sulla terraferma;
  8. In Campania ci sono tutte le tipologie di vulcani appena indicate compresi quelli sottomarini che caratterizzano i fondali al largo del Cilento.
   Come abbiamo scritto in altre occasioni, riusciamo a convivere con i vulcani perché le eruzioni,soprattutto quelle di un certo livello energetico sono un fatto piuttosto raro. Chi è nato nel vesuviano nel 1944, data dell’ultima eruzione, oggi ha 75 anni e quindi non dovrebbe essere testimone ricordevole di un’eruzione, tranne rari casi riferibili a soggetti con un’età prossima o superiore ai 90 anni. Chi abita il flegreo non può essere stato matematicamente spettatore di un evento eruttivo perché l’area dei Campi Flegrei vive il suo 481 esimo anno di quiete vulcanica. A Ischia la pace geologica è ancora più acclarata, visto che non si segnalano eruzioni da 781 anni.  

   In Italia ma anche in tante altre parti del mondo, quando si registrano condizioni di disequilibrio, di agitazione (unrest) nelle viscere o nell'apparato vulcanico, si utilizzano colori o termini per marcare il livello di criticità,cioè di allerta vulcanica. La scheda sottostante per quanto riduttiva è forse quella più chiara sull’argomento.
I livelli di allerta vulcanica
La variazione dei parametri controllati comporta un passaggio da un livello all’altro in tempi non quantificabili, perché la progressione al rialzo e talora al ribasso dell’allerta, che non ha un procedere temporale da moto uniforme o uniformemente accelerato, dipende da elementi fisici e chimici in contesti dinamici, poco conosciuti e non quantificabili in termini di energie e resistenze e accumuli.

D’altra parte lo stesso Dipartimento della Protezione Civile per il vulcano Stromboli ha precisato che bisogna tener presente:<<… anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Con queste premesse appare alquanto strano che nell’attualità il Dipartimento della Protezione Civile abbia mantenuto nelle sue pagine web e per il Vesuvio, i livelli di allerta vulcanica indicati nella bozza di piano del 2001, che riportano anche un ulteriore dato offerto in chiave deterministica: i tempi di attesa eruzione. 
Questi sono da considerarsi una vera previsione scientifica ad excludendum dell’evento vulcanico. Evidentemente il terremoto dell’Aquila e il susseguente processo alla commissione grandi rischi, sono un ricordo troppo lontano per avere una funzione pedagogica attuale. La tabella è quella sotto riportata:


Secondo queste indicazioni, un’eruzione può manifestarsi dopo un tempo di quiescenza indefinito e comunque non meno di diversi mesi dalla variazione dei parametri controllati. La proclamazione dello stato di allarme, secondo gli esperti del dicastero, verrebbe diffusa con un margine di settimane prima del verificarsi dell’evento eruttivo.
In realtà siamo di tutt’altro avviso. I tempi di eruzione sono indefiniti e indefinibili con le conoscenze attuali. I tempi di attesa eruzione indicati nella tabella soprastante non corrispondono all’attualità scientifica, e il Dipartimento si assume una grave responsabilità a declamarli, perché in realtà non ci sono parametri neanche per definire la soglia di inizio dello stato di allarme, cioè il punto da dove incominciare a contare le due settimane di attesa eruzione.

Possiamo solo dire che la sensibilità della strumentazione di monitoraggio, potrà anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma un’eventuale escalation dei parametri controllati non prevede una soglia minima di sicurezza o una soglia massima per introdurre il successivo livello di allerta vulcanica propedeutico alle fasi operative. Infatti, dalla condizione di attenzione in poi, tutte le decisioni di proclamazione dello stato di pre allarme e allarme, saranno in capo al potere politico.

Le nostre misure di salvaguardia sono racchiuse allora nei prodromi pre eruttivi: questi segnali che cambiano da eruzione a eruzione e da vulcano a vulcano, sono gli elementi su cui si basa la previsione corta di quelle che potrebbero essere delle dirompenze magmatiche in arrivo e che magari si arrestano a pochi chilometri dalla superficie (mancata eruzione). La capacità tecnologica di cogliere i micro segnali fisici e chimici che registrano sul nascere una variazione dei parametri di monitoraggio vulcanico, sono elementi che devono essere soppesati e valutati soprattutto dalla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico che, ponderando le notizie pervenute dai centri di competenza (Osservatorio Vesuviano), offrirà all’autorità politica un parere di pericolosità vulcanica, ma non la decisione ultima che spetta, almeno fino alle prossime elezioni, al premier Prof. Giuseppe Conte che detiene i poteri di ordinanza e una serie di funzioni vitali supportate dal Comitato Operativo della Protezione Civile e presumibilmente dai ministri competenti.  

Un'altra riflessione è che le proprietà immobiliari sono inamovibili, e quindi il danno economico non è scongiurabile neanche con la più infallibile delle previsioni eruttive: la collocazione geografica non perdona... Occorre dire che la perdita delle proprietà certamente ha ben poca importanza rispetto all’incolumità fisica, ma non si può non riflettere sul fatto che cambierebbe per ogni sfollato la qualità della vita. Ovviamente la regola vale soprattutto per chi non ha residenze alternative o mezzi economici consistenti. Calcolando 550.000 evacuati nel flegreo, ci sarebbe all’occorrenza la necessità di reperire oltre 180.000 case che non potrebbero essere ricollocate nelle zone attraversate dalle colate piroclastiche o reinsediabili magari ancora in area vulcanica inventandosi altrettanti rioni Toiano 2 e 3 e Monterusciello 2 e 3…

Ma c’è un altro aspetto della faccenda: quello degli abusi edilizi, perché oltre ad essere titolari di diritti, dovremmo essere anche titolari di doveri, come quello di non costruire abusivamente in barba a leggi e regolamenti, in modo da essere a pieno titolo contemplati e all’occorrenza, fra quelli che devono essere assegnatari di case erogate dal sistema di pubblica assistenza. Il nostro pensiero, a proposito delle case realizzate abusivamente nei settori a pericolosità vulcanica, è quella sì di sanare gli abusi per evitare un conflitto sociale, ma renderli senza valore commerciale, cioè invendibili per evitare la trasmissione del rischio vulcanico dall'autore dell'insediamento a terzi.

Il Dipartimento della Protezione Civile nella pagina dedicata all’aggiornamento del piano nazionale di protezione civile, per il Vesuvio riporta testualmente: <<La nuova zona rossa, a differenza di quella individuata nel Piano del 2001, comprende oltre a un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2). La ridefinizione di quest’area ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare>>.

In realtà la zona rossa 2, quella soggetta a elevato rischio di crollo delle coperture, in caso di allarme vulcanico deve essere totalmente evacuata senza alcun distinguo: lo dice la direttiva Vesuvio del 14 febbraio 2014 a firma del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Non ci risulta infatti, per la ridefinizione di quest’area (rossa 2), che alcuni Comuni siano stati coinvolti per decidere unitamente alla Regione Campania, quale parte dei loro territori far ricadere nella zona rossa da evacuare. Il Dipartimento forse ha fatto confusione, perché alcuni Comuni inzialmente hanno tentato di differenziarsi, ma la chiamata in causa è stata per stabilire quale parte del loro territorio doveva includersi cautelativamente nel perimetro della zona rossa 1 e quindi nella morsa della legge regionale 21/2003 che vieta la realizzazione di nuove residenze nella zona ad alta pericolosità vulcanica. Qualche porzione di territorio l’hanno ceduta i Comuni di Nola, San Gennaro Vesuviano e più ancora Palma Campania. Il Comune di Napoli invece, Poggiomarino e soprattutto Scafati, sostanzialmente non hanno ceduto il resto di niente, per dirla alla Eleonora Pimentel Fonseca…  

Forse il Dipartimento dovrebbe incominciare ad interessarsi seriamente al rischio vulcanico, analizzando i propri scritti dopo aver visionato bene i rapporti e i pareri scientifici, e poi quelli amministrativi prodotti dalla Regione, e per finire analizzare le carte compilate dalle amministrazioni comunali, tentando alla fine un'operazione di armonizzazione dei vari testi, senza per questo ledere il diritto alla conoscenza e alla sicurezza dei cittadini esposti.

In chiusura vorremmo chiarire al Dipartimento, che nella zona rossa 1 vige il divieto di edificare palazzi; nella zona rossa 2 invece, si possono ancora costruire fabbricati e case e ville e mansarde con regolare licenza edilizia, in quanto questa zona è classificata solo a pericolosità vulcanica, mentre la rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica… fermo restante che sia i cittadini della zona rossa 1 che quelli della zona rossa 2, alla diramazione dell’allarme devono scappare gambe in spalle senza alcuna distinzione di sorta.
Zona rossa totale soggetta all'evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo

Una situazione che dal punto di vista della prevenzione è paradossale… ma è figlia della cultura politica ingegnerizzata in auge qualche anno fa, che declamava, che se volessimo prendere in esame il peggio di ogni elemento di pericolo, per le alluvioni occorrerebbe prendere in esame il diluvio universale, soprattutto da tutti coloro che non si chiamano Noè

Il nostro sospetto è che il libro Il Vesuvio Universale della scrittrice Maria Pace Ottieri, abbia preso spunto dall’affermazione appena riportata, nel senso analogico dell’evento massimo conosciuto nella storia del Vesuvio...

Ci sono fondati motivi per ritenere il dott. geologo Italo Giulivo, dell’Ufficio III attività tecnico scientifiche Previsione e Prevenzione dei Rischi del Dipartimento della Protezione Civile, come il più competente a spiegare nella campagna io non rischio, com’è possibile che nella zona rossa 2 si costruisca alacremente e nei Campi Flegrei non è stata varata ancora alcuna norma anti cemento, se non impegni che vanno nel senso opposto in quel di Bagnoli. Ed ancora l’alto dirigente spieghi ai cittadini e alle scolaresche che si presenteranno ai gazebi di Pozzuoli o di Napoli durante l'esercitazione EXE 2019, come mai i livelli di allerta del Vesuvio riportano un elemento deterministico come quello sui tempi di attesa eruzione, e perchè nelle pagine web ad oggetto dossier Vesuvio,  la zona rossa 2 non è definita correttamente; ed ancora perchè da oltre un ventennio non si riescono a mettere a punto i piani di evacuazione per le aree vulcaniche campane...  Pompei, la patria per antonomasia delle eruzioni esplosive, non ha ancora un piano di evacuazione.


E' intuibile che, per chi non ha mai approfondito il rebus rischio Vesuvio e Campi Flegrei, in tutte le sue complicazioni e contraddizioni e tortuosità, come sia veramente difficile riuscire a discernere e operare un distinguo tra realtà e propaganda, e tra il mediatico e il pragmatico. 

Le giovani leve che un giorno saranno vesuviani e flegrei, forse dovrebbero mettersi un cartello sotto al braccio alla stregua di Greta Thunberg, magari per chiedere sicurezza preventiva e operativa, atteso che la loro vita e quella dei loro figli si svolge e si svolgerà sul groppone di un enorme e incontrollabile bacino magmatico, in un contesto sociale  dove la vita umana è soggetta anch'essa a pratiche accademiche e istituzionali di rischio accettabile, appena mitigato da pillole di papaverina esercitativa.








giovedì 3 ottobre 2019

Terremoto e Vesuvio: analogie da Tribunale...di MalKo


Terremoto dell'Aquila 6 aprile 2009

Nella città dell’Aquila, sul finire di marzo del 2009, un tecnico di laboratorio al Gran Sasso, Giampaolo Giuliani, in riferimento a eventi sismici a bassa energia che da alcuni mesi martellavano incessantemente l’aquilano, lanciò un allarme, affermando che il terremoto, quello violento, sarebbe arrivato da lì a poco. La poco rassicurante previsione pare sia stato frutto dei suoi originali strumenti che misurano, non si sa con quanta efficacia, le concentrazioni di radon provenienti dal sottosuolo.

Il Sindaco dell’Aquila Cialente, incalzato dai cittadini in ansia per l’estenuante percezione dei sussulti litosferici, decise di chiedere supporto alle istituzioni competenti, soprattutto al Dipartimento della Protezione Civile, che il 31 marzo 2009 inviò nel capoluogo abruzzese uno stuolo di scienziati per fare il punto della situazione.

Il responso degli accademici di quella che alla fine si rivelò come una informale commissione grandi rischi (CGR), fu incredibilmente rassicurante, in quanto costoro, pur con distingui e silenzi, indicarono nella ripetitività dei sismi un fattore addirittura positivo per evitare concentrazioni di energia che diversamente potevano essere rilasciate pericolosamente in un unico e catastrofico evento. Purtroppo, a distanza di pochi giorni, il 6 aprile 2009, una violenta scossa di terremoto colpì duramente gli aquilani che dovettero contare 309 morti e 1600 feriti.La commissione grandi rischi, ovvero gli scienziati che intervennero una settimana prima del rovinoso sisma, furono processati perché più cittadini in seguito alle inopportune rassicurazioni formulate soprattutto da uno di questi esperti, avevano abbandonato pratiche precauzionali consistenti nel ripararsi in luoghi all’aperto, o comunque non confinati da muratura sismicamente e visibilmente sofferente.

Nel processo di primo grado, i sette componenti della commissione grandi rischi, furono condannati per negligenza e superficialità, per poi essere assolti quasi tutti nei successivi due gradi di giudizio. Il presidente della commissione se la cavò per il rotto della cuffia perché le sue affermazioni pubbliche furono ritenute principalmente di contrapposizione alle tesi di Giampaolo Giuliani, quale personaggio che a torto o a ragione, da più parti si era deciso di ridimensionare se non stroncare dalla scena pubblica con una denuncia per procurato allarme.

Il vice capo dipartimento della protezione civile, invece, vantò subito un ruolo operativo e non accademico, dilungandosi in affermazioni eccessivamente rassicuranti, con chiari riferimenti acchè i cittadini se ne tornassero a casa e si ristorassero: fu condannato a meno di due anni di carcere, per negligenza e imprudenza. Pena lieve perché il nesso di causalità tra le confortanti esternazioni e il cambio di abitudini, fu ricollegato “solo” a 13 vittime…

Da notare, che la maggior parte della stampa e degli opinion leader di quei momenti, così come una folta schiera di ricercatori di ogni ordine e grado, si mossero con appelli a difesa degli scienziati italiani ritenuti vittime di un assurdo processo alla scienza, minacciando velatamente, in caso di condanna, la presentazione di dimissioni o di diserzioni da quelle situazioni che richiedevano un parere scientifico.

I sostenitori pro commissione gridarono allo scandalo, scomodando e forzando una discutibile analogia con il caso Galileo Galilei e la sua teoria eliocentrica che nel 1633 gli costò l’accusa di eresia… I terremoti non si possono prevedere, affermavano i simpatizzanti della commissione: quindi perché accusare chi non ha previsto l’imprevedibile? In realtà questa affermazione sbandierata come mantra a difesa del consesso di esperti incriminati è monca, perché se i terremoti non si possono prevedere, ovviamente non si possono neanche escludere…

Agli scienziati della commissione grande rischi è stato contestato di aver influito sulle abitudini della popolazione attraverso l’errata comunicazione, inducendo gli aquilani ad assumere un comportamento altamente lesivo per la propria incolumità fisica (responsabilità psichica), in quanto abbandonarono le pratiche di salvaguardia in un contesto di manifesto pericolo sismico.

Questa visione induttiva e ispiratrice di un cambio di abitudini è stata contestata da tesi opposte che ribadivano l’immutata facoltà delle vittime di permanere all’interno delle proprie abitazioni; un diritto che va inteso come autodeterminazione personale e non come imposizione o induzione della commissione grandi rischi, che tra l’altro formalmente non era neanche tale e non era quindi tenuta a dare indicazioni di ordine operativo ai cittadini. La corte decise di analizzare il caso di ogni vittima e non di conglobare la morte di tutti i caduti alla responsabilità di chi imprudentemente rassicurò.

È interessante notare che il tribunale ebbe a ricalcare il concetto che le decisioni operative, cioè il da farsi magari per salvarsi, e quindi le eventuali e necessarie informazione che devono essere rese alla cittadinanza in frangenti di pericolo o presunto tale, spettano al mondo politico e alle sue diramazioni amministrative. In tale condivisibile conclusione, l'ente responsabile s'inquadra in ragione della vastità dell'evento e del pericolo prospettato: il Dipartimento, la Regione e l'onnipresente Sindaco, sono i principali attori per far fronte insieme alle istituzioni operative, a tutte le problematiche di ordine naturale o indotte dall'uomo che generano rischi per le popolazioni.
Col senno del poi, ci vien da pensare che il sindaco dell’Aquila, Cialente, forse avrebbe potuto avere meno titubanze perché le sue valutazioni sul rischio sismico erano diverse da quelle dei luminari provenienti da Roma. Questi ultimi non avevano il polso diretto della situazione in città, a iniziare dalla vulnerabilità dei fabbricati e dall’allarme sociale che si stava generando. Da qui il sospetto che la presenza degli accademici era forse legata principalmente alla necessità di zittire l’imbecille Giuliani, le cui affermazioni allarmavano in un momento di impegni internazionali, scompigliando un po’ quel dicastero istituzionalmente legato alle calamità ma impropriamente pure ai grandi eventi.

La presenza di scienziati di fama nazionale, così come del vice capo dipartimento, ebbero una ridondanza eccessiva che portarono ad una sorta di declassamento del ruolo istituzionale del sindaco, in una condizione amministrativa anomala, perché di fatto, come dicevamo, non c’era un conclamato stato d’emergenza. La catena degli eventi in questo caso e inopportunamente, portò al risultato del ubi maior minor cessat

La corte di appello del capoluogo abruzzese, nel valutare le colpe e le innocenze della commissione grandi rischi, ebbe a individuare due diversi profili di responsabilità:
  1. una possibile responsabilità per il contenuto delle valutazioni scientifiche emerse durante la riunione tenutasi all'Aquila il pomeriggio del 31 marzo 2009. 
  2. Una possibile responsabilità per l'attività di informazione alla popolazione aquilana.
Nel primo caso, premesso che notoriamente i terremoti non si prevedono e quella zona era già classificata ad alto rischio sismico,e quindi esistevano di fatto già delle valutazioni citate in letteratura scientifica, c’era ben poco da aggiungere in termini di pericolosità. Non si capisce quindi il tentativo di mitigare a chiacchiere un pericolo sismico non prevedibile e purtroppo immanente in quell’area. In altre parole il paradosso: se non ci fosse stato l'intervento dello Stato con le sue diramazioni, le cose sarebbero andate meglio.

Per quanto riguarda invece l’attività di informazione alla popolazione, il dato importante che emerge nelle sentenze è che questa attività non competeva all’organo scientifico ma a quello operativo: nella fattispecie al sindaco, perché mancandoci la dichiarazione dello stato di emergenza, il Dipartimento della Protezione Civile non poteva avere un ruolo presenzialista o agire per surroga.

I sindaci sono autorità locale di protezione civile ancorchè responsabili dell’informazione che una volta era in capo ai prefetti (Legge 3 agosto 1999, n. 265). Il vice capo dipartimento si assunse un onere che non gli competeva e per questo fu condannato. Il Sindaco Cialente in tutta franchezza fece quello che potè, cioè più di far arrivare la massima autorità scientifica sul posto che poteva fare: impartire disposizioni di senso opposto al gotha accademico e operativo nazionale?

Volendo usare un metro di paragone simile a quello adottato per l’Aquila calandolo sul Vesuvio, possiamo incominciare col dire che la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, nel 2012 concluse che lo scenario eruttivo (VEI4) è quello da cui doversi difendere obliando quello massimo pliniano (VEI5). Partendo da questa valutazione del pericolo, si definì l'estensione territoriale della zona rossa da evacuare all’occorrenza.

Statistica applicata alla tipologia eruttiva futura

Tali conclusioni prospettate al Dipartimento della Protezione Civile sono state da questi accettate e condivise procedendo con la realizzazione del piano di emergenza e di evacuazione (ancora in itinere), in quanto il Vesuvio è un problema tale da richiede un piano di tutela di rilevanza nazionale.

Il problema che pesa come un macigno sull’intera pianificazione, è legato alla eruzione che si è scelta come riferimento (VEI4), e che è frutto di un’analisi statistica e quindi è il convitato di pietra di tutte le riunioni operative.

Ergo, nell’attualità la protezione delle popolazioni vesuviane è assicurata da elementi probabilistici passati come deterministici. Orbene dalla taglia dell’eruzione, dicevamo, si definisce l’ampiezza della zona rossa da evacuare. È ovvio che adottando un’eruzione media (VEI4), la zona rossa sarà mediamente ampia e quindi è inevitabile l’introduzione per quanto remota di un ulteriore elemento di incertezza che lascia aumentare a tre le possibili matrici di una ipotetica fase di allarme vulcanico:
  1. mancato allarme eruttivo (l’allarme evacuativo viene diffuso in tempi non utili per l’evacuazione della popolazione).
  2. Falso allarme eruttivo (l’allarme eruttivo viene diffuso in tempi utili per l’evacuazione ma l’eruzione non si manifesta).
  3. Successo evacuativo con catastrofe vulcanica (l’allarme evacuativo viene lanciato in tempo utile per l’evacuazione della zona rossa, ma l’eruzione che si presenta è di taglia superiore a quella prevista nel piano o sbilanciata energeticamente, e quindi un certo numero di abitanti che si riterranno al sicuro e quindi immoti, possono essere travolti dalle dirompenze vulcaniche).

Ricordiamo pure che nella strategia difensiva della commissione grandi rischi all'Aquila, si tentò di dare ampio spazio alla inadeguata fattura dei fabbricati che non erano antisismici ancorchè gravanti su terreni dichiaratamente sismici. Quindi, se da un lato la natura ha la sua imprevedibilità specialmente per le cose che riguardano il sottosuolo, l’uomo, si è detto, poteva difendersi adeguando prevedibilmente i fabbricati con misure antisismiche.

Semmai dovesse presentarsi un evento eruttivo al Vesuvio di una taglia superiore a quella su cui si è pianificato, alla stregua, un tribunale potrebbe arrivare alle stesse conclusioni dell’Aquila, cioè non è colpa della comunità scientifica ma dell’autorità politica che ha accettato lo scenario eruttivo medio proposto. 

Poi si lascerebbe notare che il pericolo vulcanico è imponderabile e immanente. Ed ancora che le eruzioni, fatto anch'esso notorio, non sono deterministicamente prevedibili almeno con largo anticipo e che non è possibile stabilirne la taglia eruttiva se non dopo l'evento: quindi, la responsabilità di un eventuale disastro alla fine sarà di chi ha deciso di insediarsi nella zona rossa ad alta pericolosità vulcanica… 

Allora intuirete che c’è una grande discordanza tra le tesi giuridiche di colpa, e il fatto che lo Stato non emani una legge che vieti ad esempio nel super vulcano dei Campi Flegrei, di costruire ancora residenze sulla spianata di Bagnoli. Oppure è illogico che lo Stato non operi in surroga in quei comuni che ancora non mettono a punto il loro piani di evacuazione. Che dire poi della inesistente lotta all’abusivismo edilizio in zona rossa: con queste premesse lo Stato non può concedere sanatorie a chi volutamente e contravvenendo alle leggi ha edificato senza licenza.

Il fatto che a volte il libero pensiero guasti l’immagine di efficienza del Dipartimento della Protezione Civile, non dovrebbe essere motivo sufficiente per zittire o isolare i dissidenti, innanzitutto perché i confronti sono importanti, e poi perché, come i fatti dell’Aquila hanno ampiamente dimostrato, la scienza non è sempre cristallina e la politica a volte condiziona quella parte del mondo accademico, magari minima, che non rifugge dal fascino del potere...

A proposito della statistica che nelle aule giudiziarie è stata catalogata come sapere incerto, ecco cosa ebbe a scrivere un ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano qualche anno fa:
<<…purtroppo non è oggi possibile definire i tempi di ritorno di qualsivoglia tipologia di eruzione, per tutti i vulcani in generale ma in particolare riguardo alle eruzioni pliniane del Vesuvio. Il concetto stesso di tempo di ritorno presuppone una regolarità (periodicità) che non sussiste in generale per alcuna eruzione vulcanica. Per quanto riguarda poi le eruzioni pliniane del Vesuvio, quelle a noi note sono in numero talmente esiguo, che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa>>.

Per le conclusioni ci affidiamo ancora una volta allo spunto offertoci dalle sedi togate dell'Aquila: "L'organo della protezione civile, che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l'entità o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, esercita una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione, ed è a tal fine tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse, e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza, oggettiva comprensibilità e inequivocità espressiva".

In altre parole che dicano la verità fino in fondo per offrire al cittadino il diritto di conoscere per scegliere...