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lunedì 30 settembre 2019

Campi Flegrei e Vesuvio: edilizia e abusi in zona rossa vulcanica...di MalKo



La spianata di Bagnoli - Campi Flegrei

Insediarsi nei territori vulcanici del vesuviano e del flegreo, significa accettare l’idea di una condizione di pericolo immanente non mitigabile con certezza matematica dalla previsione dell’evento eruttivo. Neanche col monitoraggio campale, iper strumentale e spaziale, è possibile dare una chiave di lettura incontrovertibile a quelli che sono i segnali chimici e fisici di un magma in evoluzione nel sottosuolo. Ne abbiamo già parlato...

Un ipotetico viaggio nel prodotto terra, a sopportare temperature e pressioni, sarebbe un volo solo strumentale nel mondo litosferico e astenosferico a differenza dell'acqua e dell'aria. Le perforazioni, quelle cosiddette carotaggi, procedono diversamente consentendo di mettere a giorno un campione del sottosuolo, ma non di quello profondo. La prospezione indiretta con onde sismiche allora, al momento è il metodo più utilizzato per decifrare gli strati chilometrici. I risultati non sono precisissimi soprattutto con l’aumentare della profondità, tant’è che non si riesce a dare un quadro tridimensionale alle camere magmatiche, e quindi una valutazione complessiva sulle quantità di magma stipate sottoterra. Le camere magmatiche superficiali sono più sondabili ma non attestano moltissimo in termini di previsione, visto che il magma può risalire direttamente dalle camere più profonde e meno investigate, come successe nell’eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C....

La previsione dell’evento eruttivo è la pietra filosofale a cui tendono tutti i ricercatori del mondo, ma al momento nessuno può vantare di averla scoperta per le troppe variabili che caratterizzano prodotti a diversa densità e diversa temperatura e chimismo e dinamismo. Quindi, anche per quanto riguarda la previsione corta del fenomeno eruttivo (72 ore), ci troveremo sempre di fronte a proiezioni probabilistiche sui tempi, che possono essere minimi nel mancato allarme e massimi nel falso allarme.

Solo la materializzazione dell’eruzione offrirà il dato statistico deterministico dell'evento, che raggiungerà il suo picco di alta pericolosità nel momento in cui la colonna eruttiva avrà toccato la massima quota. A eruzione in corso, dalla stima dell’altezza della colonna  si potrebbe azzardare analiticamente l’intensità eruttiva che in ogni caso potrà essere valorizzata con certezza solo dopo che sono terminati i fenomeni,che in coda potrebbero essere cattivi, e saranno chiare le ripercussioni e le implicazioni e gli sconvolgimenti che ha subito il territorio. Se noi riusciamo a vivere nei territori vulcanici con tutte queste premesse, è solo dovuto al fatto che le eruzioni mediamente catastrofiche hanno periodi di ritorno molto lunghi e la percezione del pericolo in assenza di elementi percepibili dai sensi è blanda.

Per evitare un falso allarme che dal punto di vista sociale è comunque un problema, occorre tentennare ai primi prodromi pre eruttivi e attendere segnali più duraturi e diversificati per far scattare l’evacuazione. La realizzazione di uno strumento di tutela, come può essere il piano di evacuazione, è l’unico sistema per consentire di ridurre al minimo e all’occorrenza i tempi di permanenza in area vulcanica. Le pratiche di prevenzioni invece, vertono sulla delocalizzazione della popolazione e sull’ampliamento delle strade come metodo strutturale per mitigare i fattori di rischio. In questo caso si otterrebbe una diminuzione del carico antropico e collateralmente una velocizzazione delle operazioni di evacuazione favorite da un minor numero di persone da allontanare.

A fronte del rischio vulcanico, nella zona rossa Vesuvio a est di Napoli, fu introdotta per logiche appunto di prevenzione, la legge regionale numero 21 del 2003, per bloccare nuovi insediamenti residenziali che, col loro conseguenziale carico umano, avrebbero lasciato crescere il valore esposto che già oggi conta 700.000 abitanti addossati a quello che a ben ragione è il vulcano più pericoloso del mondo.

I Campi Flegrei sono un’ulteriore area vulcanica che caratterizza il settore occidentale della metropoli partenopea. In realtà il parallelo geografico che unisce il Vesuvio ai Campi Flegrei, sembra seguire una linea di fuoco che vede nel sottosuolo profondo un’unica grande camera magmatica che unisce i due distretti vulcanici. Sede di un super vulcano che si sviluppa su una vasta caldera, il flegreo pur con tutti i requisiti legislativi di pericolosità, non è ancora titolare di un preciso divieto di urbanizzazione alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio.

Nella riunione di audizione della IV commissione consiliare permanente del 26 settembre 2018 ad oggetto:<<Proposta di Legge: Norme Urbanistiche per i Comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell'area flegrea>>, nel merito si sono succeduti al microfono l’assessore all’urbanistica del comune di Pozzuoli, il dirigente del servizio pianificazione urbanistica generale del comune di Napoli, il sindaco di Pozzuoli e la rappresentate del Movimento 5 Stelle. Da quello che si è capito, Napoli e Pozzuoli reggono un po’ la cordata sulle decisioni da prendere anche per gli altri comuni della zona rossa flegrea.

Nel dibattito sono emersi pochi distinguo ma l’equipaggio remava nella stessa direzione. Emettere un divieto di cementificazione sic et sempliciter non è stato ritenuto opportuno da alcun rappresentante. Il sindaco di Pozzuoli ci è sembrato abbastanza chiaro nell’esposizione del suo pensiero riconducibile alla volontà di bloccare ogni formula abitativa che incentivi le residenze nel centro storico puteolano, perché, dice, più vulnerabile e meno facile da evacuare. Fuori dal centro storico però, è di tutt'altro avviso…

Questo potrebbe significare che il sindaco di Pozzuoli eluda qualsiasi accostamento tra bradisismo e rischio eruttivo. Il primo cittadino ha forse un’errata visione degli agglomerati residenziali di Monterusciello e del rione Toiano appena a nord del monte Nuovo (sede dell'ultima eruzione) e a nord est del lago craterico d'Averno considerato la porta dell'inferno.... Queste due cittadine ubicate ben all’interno della città, sono state un errore tecnico politico scientifico e amministrativo, a suo tempo supportato da una scienza molto disorientata perché la realizzazione di nuovi alloggi ha portato a delocalizzare maldestramente la popolazione dalla pronunciata gobba del Rione Terra, da zona rossa a zona rossa… Il sindaco quindi sembra legato alla visione degli anni 80’; ragiona come si ragionava allora, senza intuire che all’epoca nonostante il bradisismo e i terremoti raggiunsero un picco di allarme tale da togliere veramente il sonno, non fu dichiarata l’evacuazione totale di Pozzuoli (neanche parliamo del flegreo), perché il bradisismo fu ritenuto un fenomeno sismico molto localizzato che minava la stabilità dei palazzi, ma non fu associato a un possibile elemento prodromico di un’eruzione.

Monterusciello - Pozzuoli

 Lo straordinario azzardo a cui venne sottoposta la popolazione flegrea negli anni delle crisi bradisismiche, non dovrebbe mai più ripetersi. In quei tempi non lontanissimi, la stazione sismica più vicina a Pozzuoli era quella ubicata alla facoltà di geologia al rettifilo… I Campi Flegrei nel sentire comune quindi, non esistevano affatto come vulcano e come distretto da monitorare attentamente. 

Il rappresentante del comune di Napoli, pure ci sembrava d’accordo sulle necessità di non incrementare troppo la popolazione nella zona rossa flegrea, ma ha insistito affinchè si proceda in modo da insediare un convitto di studenti nell’ex collegio Ciano (Bagnoli), luogo da 211.000 metri quadrati con 50 edifici, lamentandosi che la legge non opera a proposito delle zone rosse un distinguo tra residenze ordinarie e quelle speciali e collettive che a suo parere sono un’altra cosa.
Collegio Ciano Bagnoli - immagine tratta da fanpage.it

In realtà l’attento relatore avrebbe dovuto ricordare il dramma della casa dello studente dell’Aquila, che pur essendo una residenza studentesca speciale e collettiva, crollò sotto i colpi del sisma del 6 aprile 2009 sui poveri allievi che dovettero contare con strazio 8 vittime.

Il terremoto come si sa, non opera distinzioni di sorta sulla natura delle residenze, ma neanche le eruzioni vulcaniche, anche se le probabilità di cavarsela nel secondo caso sono sicuramente maggiori… D’altra parte occorre dire che pure gli alberghi ubicati nel flegreo potrebbero presentare lo stesso problema di fondo del convitto, e lo stesso dicasi per i centri di accoglienza migranti, quali attività assimilabili al concetto di dimora provvisoria.

L’altro elemento appena imbarazzante, riguarda la famosa zona di Bagnoli-Coroglio, oggetto di un programma di risanamento ambientale e rigenerazione urbana e quindi di una cabina di regia reclamata da tutti per una vasta area definita di rilevanza nazionale dal decreto sblocca Italia.

Per capire cosa sia Bagnoli è interessante soffermarsi sull’isolotto di Nisida che segna visivamente il confine a sud dei Campi Flegrei. Nisida non è altro che una delle tante bocche eruttive di cui è disseminato il flegreo la cui attività è ascrivibile a circa 6000 anni fa. Su quest’isola/penisola, ci sono vestigia romane inabissatesi per effetto del bradisismo, quale fenomeno che interessa anche la parte marittima della collina di Posillipo, con reperti alla Gaiola sprofondati sott'acqua, e gibbosità sottomarine a 2,5 Km. fuori dal porto di Napoli. Qui trapelano dalla gobba di 19 metri elementi gassosi che provengono dal mantello.
(Golfo di Napoli) - Rilievo digitale del fondo marino - Foto Dott. G. Ventura

Altre bocche eruttive riguardano le località di Coroglio, Chiaia, Monte Echia e il cratere di Santa Teresa a Bagnoli: tutti poco visibili perchè profondamente antropizzati. Questo significa che i Campi Flegrei sono un unicum che in termini di pericolosità non ha un centro e una periferia, a maggior ragione se si considera che un evento eruttivo esplosivo rilascerebbe colate piroclastiche che si espanderebbero per non pochi chilometri. Quindi, il pericolo vulcanico non è rappresentato da dove ci si posiziona nella caldera, ma dall’intera caldera dove ogni sito può essere percorso o raggiunto dai micidiali flussi piroclastici.

Ebbene su questo storico  ex polo industriale di Bagoli e zone limitrofe, incombono forti interessi magari anche leciti legati al business delle residenze e degli investimenti.  Una pianificazione del 2005 stimava in 515.000 metri cubi la misura cementizia da destinare alla realizzazione di abitazioni. Oggi con un ridimensionamento del numero di residenze da costruire, ha portato la stima a circa 200.000 metri cubi di cemento: Parliamo di oltre 1.000.000 di sacchi di cemento.

Da notare che Bagnoli fu la sede scelta per l’esperimento del Campi Flegrei Deep Drilling Project, cioè una trivellazione che doveva raggiungere a circa 4000 metri di profondità la testa del rigonfiamento bradisismico, localizzato poco fuori il porto di Pozzuoli per sondarne il contenuto. Da Bagnoli si sarebbe proceduto in verticale e poi con una inclinazione dello scalpello rotante in direzione di Pozzuoli. Il progetto di fatto è stato sospeso così come sono state bocciate dal Ministero dell’Ambiente, le perforazioni a uso geotermico nella zona di Scarfoglio (Pozzuoli) per evidente pericolosità dell'area vulcanica.

La caldera flegrea è monogenica, quindi ogni bocca eruttiva ha prodotto una sola eruzione. Non conoscendo dove si aprirà il cratere allora, non è possibile circoscrivere con precisione una zona ad alta pericolosità vulcanica come invece è stato fatto per il poligenico Vesuvio. 

Gli altri comuni come Marano, Quarto e Giugliano, non hanno particolari valenze archeologiche e paesaggistiche e storiche o consistenti vincoli, e quindi dal punto di vista delle richieste da avanzare alla commissione regionale incaricata di valutare l'edilizia in zona rossa, pare che siano prevalentemente interessati più che altro ai condoni edilizi e in ogni caso si riservano di valutare i documenti prodotti dai comuni capofila e da quelli del Monte di Procida e Bacoli, con quest'ultimo  che forse dovrebbe rivedere le strategie di allontanamento già nell'esercitazione EXE 2019.

Cosa fare dell’edilizia residenziale e anche dei manufatti  abusivi ad uso abitativo realizzati nelle zone rosse ad alta pericolosità vulcanica, è scritto nelle caratteristiche di pericolosità delle aree in esame, ma anche nella deontologia della scienza e della politica che tra i compiti dovrebbe annoverare la pianificazione del futuro futuribile. Ai Campi Flegrei è probabile che la prossima indeterminabile eruzione assuma una taglia esplosiva con la produzione di colate piroclastiche. Questo fenomeno devastante ha già colpito il vesuviano più volte con l’ultima manifestazione ascrivibile all'anno 1631. 

Nel 79 d.C. in seno all'eruzione pliniana di Pompei, si formarono diverse colate piroclastiche che si abbatterono pure su Ercolano causando la morte di alcune centinaia di ercolanesi che, con temperature dei flussi superiori a 350° C., subirono una morte istantanea per effetto della repentina evaporazione dei liquidi biologici compresi quelli della calotta cranica.

L’elemento che differenzia la storia del flegreo con quella del vesuviano, anche dal punto di vista del sentire comune, è che nel puteolano mancano i segni di morte dovuti al passaggio delle nubi ardenti. Calchi e scheletri sotto al Vesuvio sono un monito evidente di vite interrotte repentinamente. Nel flegreo non ci sono queste testimonianze, e quindi il segno tangibile del pericolo è stato blando e da qui la sottostima durata molti anni. Col bradisismo e quindi sul finire degli anni 80', e poi con la dichiarazione dello stato di attenzione vulcanica nel 2012, il rischio vulcanico per quest'area è diventato elemento di conoscenza e di riflessione per la popolazione. 

Ritornando all'oro grigio, il cemento, la soluzione potrebbe essere salomonica: via libera alla riqualificazione sismica e quindi all’abitabilità del collegio Ciano quale residenza già esistente da destinare agli studenti. Ovviamente la clausola che deve accompagnare questa scelta, dovrebbe essere la riqualificazione sismica dei fabbricati e all’occorrenza l’evacuazione preventiva degli allievi già nella fase di preallarme senza oneri contributivi del tipo autonoma sistemazione perché si ipotizza una casa alle spalle.

Sulla spianata di Bagnoli invece, luogo dove vigono piani di riqualificazione urbana e insediamenti residenziali, non c’è niente e niente dovrebbe starci se non strutture di interesse collettivo diverso dalle residenze. Da anni suggeriamo per questo la realizzazione di un’area atterraggio elicotteri, con annessa struttura polifunzionale di protezione civile, utile come punto di riunione attrezzato. Anche la realizzazione di un molo d’attracco in emergenza potrebbe rientrare nel polo e tra le strutture da adibire all’evacuazione via mare, anche in un ottica di recettività dall'isola d'Ischia che non è da meno in termini di pericolosità vulcanica e sismica.
Bagnoli - Campi Flegrei

I contenuti della legge regionale numero 21 del 2003 << Norme urbanistiche per i comuni rientranti nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana>> potrebbero essere sicuramente d’ispirazione a una legge che  alla  stregua  debba  vietare nuovi  insediamenti residenziali nella zona rossa dei Campi Flegrei, classificata dallo Stato come area ad alta pericolosità vulcanica. All'appello manca Ischia che, per gli aspetti sismici e vulcanici, dovrebbe essere considerata interamente in zona rossa senza distinzione di sorta e destinataria di una legge ad hoc...

Per quanto riguarda gli abusi edilizi, il problema è reso drammatico per l’alto numero di costruzioni fuorilegge che costellano il vesuviano ma anche il flegreo e in ultima analisi la Campania. Non c’è la possibilità di abbattere tutte le costruzioni contemporaneamente, così come non c’è la possibilità di collocare tutti gli sfrattati in sedi alternative adeguate. Neanche le procure colsero gli aspetti della faccenda, dando un senso e un'attenzione al piano di abbattimenti differenziati, basati solo sulle finalità del manufatto e sulla mano che l'ha costruito, dando quindi un senso alla morale ma non al pericolo, tra l’altro sfruttando l’inerzia e il malfunzionamento degli apparati dello Stato.

In Campania bisogna procedere, almeno per le zone rosse vulcaniche, all’abbattimento di tutti i fabbricati allo stato grezzo oggetto quindi di speculazione e non di abuso di necessità, senza alcuna distinzione di sorta circa la finalità e la mano o l’organizzazione di chi li ha costruiti.

I fabbricati abusivi ancorchè abitati che, per fattura o ubicazione, risultano particolarmente pericolosi, o perché realizzati all’interno di perimetri di riserva forestale o di parco naturale, dovrebbero essere anch'essi abbattuti perché in sintesi inficiano capisaldi del diritto: la legalità, la sicurezza e la protezione ambientale quale patrimonio di tutti.

I fabbricati abitati che non rappresentano per fattura o ubicazione un pericolo o un danno all’ambiente, ai beni cuturali e al paesaggio, dovrebbero essere considerati sanabili ma non vendibili, in modo che l'abuso non può più considerarsi un investimento economico,  e quindi non può essere ceduto ad altri perché oltre che a trasmettere l'immobile si trasmetterebbe per ubicazione l'esposizione a un rischio di notevole portata. Del resto lo Stato non può sancire l’alta pericolosità vulcanica e sanare gli abusi: la via Salomonica serve a uscire dall'empasse senza scatenare una rivolta sociale... Obbligare le bitumiere ad avere a bordo una blue box garantirebbe un controllo del territorio ieri e oggi profondamente disatteso...  

L'argomento in ogni caso è complesso perchè è speculare anche al consenso elettorale. Seguire con attenzione la questione di Bagnoli è importante: se si costrusicono nuove residenze sulla spianata il rischio vulcanico  vuol dire che non esiste o è considerato residuale. E allora si riformuli anche la legge 21/03 attiva nel vesuviano, perchè a dirla francamente nulla è deterministico nel campo vulcanico, ma i Campi Flegrei che hanno 5 punti statistici in più per eruzioni di grande energia, forse hanno una situazione territoriale più complessa del Vesuvio.




giovedì 26 settembre 2019

Campi Flegrei:esercitazione di Protezione Civile EXE Flegrei 2019... Pozzuoli the best?...di MalKo

Il vulcano Solfatara

I Campi Flegrei sono la sede di un super vulcano che si presenta sotto forma di una vasta caldera, forse due quasi sovrapposte con una parte in mare, senza un vistoso apparato montuoso che puntualizzi il pericolo, ma con dei bordi collinari calderici che racchiudono i profili di decine di bocche monogeniche una volta eruttive. Secondo il Rittmann, non è da escludere che i Campi Flegrei sono ciò che resta di uno strato vulcano simile al Vesuvio ma molto più grande: l’Archiflegreo. Trentanovemila anni fa una violenta esplosione che sarà ricordata come la maestosa eruzione dell’ignimbrite campana, fu annunciata da un inizio freatomagmatico seguito da una fase pliniana con una colonna eruttiva che s’innalzò nel cielo per oltre 40 chilometri, causando distruzioni su vasta scala e perturbazioni sul clima.

Cosa ribolla nelle viscere di questa nervosa caldera metropolitana non è chiarissimo e le prospezioni geologiche non hanno ancora consentito di scrutare con precisione il fondo. Il bradisismo rimane il fenomeno più evidente di questo distretto vulcanico, e sembra logico ipotizzare una commistione tra il magma e le abbondanti circolazioni acquifere che interessano il sottosuolo flegreo. Il bradisismo deve essere una conseguenza di questi due elementi che s’incontrano, a volte con una prevalenza del magma, che in qualche caso sembra si sia intruso fino ad alcuni chilometri dalla superficie.

La zona di Pisciarelli, a ridosso della Solfatara di Pozzuoli, da un po’ di anni è balzata alle cronache per le polle calde e ribollenti che la segnano, accompagnate da una variazione dei parametri geofisici e geochimici del vulcano, tali da indurre nel 2012 la proclamazione dello stato di attenzione.

L’ultima eruzione dei Campi Flegrei si è verificata nel 1538 con la nascita del Monte Nuovo. Ci troviamo quindi di fronte a circa 500 anni di quiescenza, tra l’altro contati da un evento obiettivamente minimo. I ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), hanno prodotto, anche per il vulcano flegreo, una tabella statistica in cui si evidenzia la probabilità di accadimento di alcune tipologie eruttive.


Ai Campi Flegrei, studi statistici hanno classificato come evento massimo atteso un’eruzione dall’indice di esplosività VEI 4. Indicazione accettata dal Dipartimento della Protezione Civile così come la relativa zona rossa. Ricordiamo che molti considerano la protratta pace geologica come un fattore determinante per la futura intensità eruttiva.

Quando sia alto il rischio di vivere in questi luoghi è molto difficile dirlo, così come è altrettanto difficile riuscire a cogliere incontrovertibili segnali di imminente eruzione in un territorio che trentacinque anni fa si è sollevato non a centimetri ma a metri, con giornate caratterizzate da migliaia di terremoti e con fumarole che negli ultimi anni pompano anidride carbonica a ritmi industriali.

Il mantra ripetuto di continuo che il super vulcano flegreo e il Vesuvio sono i due apparati più monitorati al mondo, non vale come condizione per assicurarsi con matematica certezza la previsione dell’evento con larghi margini di tempo. Infatti, anche se gli strumenti ultrasofisticati e il telerilevamento spaziale riescono a cogliere la più minuscola delle variazioni chimiche e fisiche tanto dal profondo quanto dalla superficie, rimarrà sempre in capo all’uomo la responsabilità di azzardare una previsione eruttiva o comunque di caratterizzare il comportamento del vulcano. Per capirci, lo strumento termometro, anche il più preciso presente sul mercato con lettura a dieci cifre, alla fine ci segnerà sempre e comunque la sola temperatura, ma non sarà mai in grado di dirci se questa aumenterà ancora e neanche di che malattia si tratta…

Pure sul tipo di eruzione la statistica elaborato dall’INGV e che vi abbiamo proposto, non può ritenersi un dogma; quindi, senza andare nel catastrofico, l’insorgenza di una tipologia eruttiva di tipo pliniano (VEI5), tra l’altro data al 4%, rimarrà la grande incognita futura per acclarare il successo statistico. Nelle camere di giustizia che trattarono il terremoto dell'Aquila e le responsabilità della commissione grandi rischi, la statistica venne appellata come sapere incerto… D’altra parte non è neanche possibile prevedere, se non in tempi brevi, dove potrebbe aprirsi la bocca eruttiva che potrebbe essere plurima.

In una condizione di pericolo vulcanico connaturato in questo territorio ardente super controllato, non è possibile, come dicevamo, superare matematicamente l’incertezza della previsione. La realizzazione di uno strumento attivo di tutela, come può essere il piano di emergenza e di evacuazione, aiuterebbe molto, e ci sembra nell’immediato una cogente necessità di salvaguardia per i cittadini, oltre che un obbligo giuridico per le amministrazioni competenti.

Il sindaco è responsabile locale della protezione civile, e quindi, supportato da tutti gli uffici comunali, è il principale stratega delle politiche di sicurezza sul suo territorio ancorchè non demandabili ad altri.

Le sentenze sul terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, contengono un dato interessante su cui riflettere: è la politica che deve esprimersi sul rischio dettando istruzioni alla popolazione. Tant’è che il pulsante dell’evacuazione è in mano al Presidente del Consiglio e non al presidente dell’INGV o al referente della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico o all’Osservatorio Vesuviano.

Nella conferenza di illustrazione dell’esercitazione di protezione civile denominata EXE 2019, che si terrà dal 16 al 20 ottobre 2019, il comitato organizzatore con in testa il sindaco di Pozzuoli e altri autorevoli rappresentanti delle istituzioni nazionali e regionali, è stato precisato che i dati di monitoraggio raccolti dall’Osservatorio Vesuviano (INGV), non vengono tenuti segreti ma regolarmente pubblicati sotto forma di bollettini e dati online.

In realtà la convenzione onerosa stilata dal Dipartimento della Protezione Civile con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), all’articolo 3 prevede che l'ente scientifico deve :<<diffondere le valutazioni relative a scenari di pericolosità o di rischio, sismico, vulcanico e da maremoto, ottenute nell’ambito delle attività coperte dalla presente Convenzione, secondo modalità concordate con il Dipartimento. Il Dipartimento ha comunque la facoltà di considerare riservati alcuni documenti ed elaborati e di stabilire le modalità e i tempi di eventuale pubblicizzazione>>. Quindi s’intuisce che la pubblicazione dei dati di monitoraggio forse potrebbero avere dei ritardi quando i valori raccolti necessitano di attente valutazioni…

Trattandosi di un tavolo ad oggetto prove di evacuazione(exe 2019) in un ambito esercitativo legato al piano di emergenza comunale e nazionale, sarebbe stato opportuno che alla presentazione del programma esercitativo, tra l’altro mandato in streaming, fossero seduti solo tecnici e non rappresentanti delle istituzioni scientifiche. I ruoli dovrebbero essere chiari e a tema dividendoli per competenze… La presenza dell’Osservatorio Vesuviano è utile nei consessi informativi ma non in quelli operativi. In quelli operativi la trattazione scientifica è già avvenuta a monte e quindi si va al sodo nelle formule di tutela. 

Per quanto riguarda l’esercitazione invece, i ragguagli e i dettagli forniti dai conferenzieri sono stati particolarmente carenti e confusionari, suscitando perplessità su alcune delle decisioni adottate. Ad esempio quella di destinare piazza Garibaldi ad area d’incontro non ci sembra il massimo della strategia.

Anche il concetto di area di attesa ci sembra surreale per quello che s’intende, perché in un contesto di allarme vulcanico chi va alla fermata prevista (area attesa) per aspettare il pullman che lo porterà a piazza Garibaldi?

E i cittadini di Giugliano gradiranno di avere come area d’incontro Villa Literno, mentre i concittadini di Bacoli e Monte di Procida dovranno concentrarsi nell’area d’incontro proprio di Giugliano, che tra l’altro e in tutti i casi seppur per una quota parte è ubicato in zona rossa?

Il dirigente della protezione civile regionale ha ipotizzato in fase di evacuazione l’utilizzo delle autovetture con alla guida il capo famiglia che se ne va via con le masserizie mentre moglie e figli andranno via con i mezzi pubblici… questa opzione fu prevista già nel 1995 nella prima bozza del piano Vesuvio e fu oggetto di feroce ilarità da parte del pubblico vesuviano…

Sempre il dirigente della protezione civile regionale, ha specificato poi, che la via del mare non è stata vagliata, perché il porto di Pozzuoli potrebbe risultare inagibile alle grandi navi, per il rigonfiamento del fondo portuale dettato dall’escalation eruttiva. Quindi, il sollevamento dei fondali minerebbe questa possibilità. In realtà con siffatta condizione, è lecito ritenere che la popolazione sia già andata via da un pezzo. Tant’è che non pensiamo affatto che nell'ambito delle conoscenze attuali sia possibile ripetere l’esperienza ovvero l’azzardo dettato dal bradisismo degli anni passati, coi fondali marini allo scoperto e la popolazione al mercato rionale.

La via del mare quindi, potrebbe essere inquadrata ovviamente come integrativa e non sostitutiva di altre. Nel caso di Pozzuoli potrebbe essere particolarmente strategica, perché l’area a ridosso del porto è quella maggiormente penalizzata per la sua posizione mediana all’interno della zona rossa, alla stregua di Torre del Greco per il Vesuvio.

Si tenga presente che la risorsa nautica è già presente nel Golfo di Napoli, con una flotta basata su naviglio leggero come catamarani e monocarene, che hanno ottime doti di manovrabilità, di velocità e di carico che supera le 350 persone per scafo, con numerose postazioni idonee per trasportare in sicurezza pure portatori di disabilità. A fare la differenza con le grandi navi, sono i circa 120 centimetri di pescaggio dei battelli leggeri: una misura minima che rende queste navi capaci di operare anche in acque un poco rigonfie...


Che ci sia un certo apice del bradisismo proprio in mare a poca distanza dal porto, non dovrebbe essere un limite alla via marittima, a meno che lo stratega che ha immaginato il piano di evacuazione non abbia valutato una evacuazione con eruzione in atto oppure un processo evacuativo con una fenomenologia prodromica eruttiva a un livello invasivo e destabilizzante con popolazione ancora sul posto.

Intanto capiamo che esistono nei fatti due piani di evacuazione. Quello con la percezione diretta del pericolo, dettato dalle fenomenologie pre eruttive che possono essere terremoti, boati ed eruzioni freatiche, e poi c’è il piano di evacuazione frutto di un allarme analitico e non percepito dai sensi. Nessuno può dire quale situazione nel futuro è possibile che si presenti. A fare la differenza tra i due piani sarà il comportamento della popolazione.

La strategia evacuativa prevista dai conferenzieri, forse ha una possibilità di successo solo se l’allarme all’occorrenza verrà diffuso in una condizione ambientale senza stress, e ancora, se la popolazione casertana e napoletana fuori zona rossa, si tapperà in casa per tre giorni onde consentire il deflusso degli evacuati. Cosa difficile, perché i prodromi pre eruttivi come i terremoti, potrebbero interessare anche l’area circostante i confini della zona rossa, soprattutto nel settore cittadino napoletano, molto vicino ai Campi Flegrei se non dentro al campo vulcanico areale... Il centro di Napoli strategicamente parlando forse dovrebbe essere accuratamente evitato…

Quello tra i relatori di EXE 2019 che è rimasto coi piedi per terra è stato il sindaco di Pozzuoli, che nell’accennare agli sforzi esercitativi ha caldamente sollecitato la realizzazione del tunnel al porto, perché oltre due milioni di turisti sbarcano e s’imbarcano dalle navi…

Concludiamo con un pensiero molto chiaro che ci perviene sempre dalle camere di giustizia dell’aquilano: "L'organo della protezione civile, che provvede a fornire informazioni alla pubblica opinione circa la previsione, l'entità o la natura di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, esercita una concreta funzione operativa di prevenzione e di protezione, ed è a tal fine tenuto ad adeguare il contenuto della comunicazione pubblica ad un livello ottimale di trasparenza e correttezza scientifica delle informazioni diffuse, e ad adattare il linguaggio comunicativo ai canoni della chiarezza, oggettiva comprensibilità e inequivocità espressiva"











martedì 3 settembre 2019

Vulcano Stromboli: l'isola dei parossismi e dei maremoti... di MalKo





Lo Stromboli è un vulcano dove fino a qualche mese fa prevalevano i soli aspetti attrattivi dettati dalla pacata geologia dei luoghi, dalla bellezza del mare e del panorama e anche da una mitica vocazione cinematografica di posti selvaggi come alcuni animi umani... In realtà è un apparato che è riuscito a crearsi una struttura poi emersa nelle acque del Tirreno meridionale, senza mai dismettere un assetto ordinariamente eruttivo, tanto da essere appellato fin dall’antichità come faro del Mediterraneo.

Il vulcano Stromboli che si erge dal mare per circa 926 metri, ha dato origine a un territorio pari a quello della città di Pompei, lasciando però poco spazio all’antropizzazione, in ragione dell’acclività dello strato vulcano, e quindi solo in due zone a nord est e a sud ovest dell’isola vulcanica sono sorti nuclei abitati che contano complessivamente un massimo di 750 residenti, divisi tra gli agglomerati di Ginostra e San Vincenzo. Nella stagione estiva il flusso turistico incrementa la popolazione di alcune migliaia di abitanti a cui si aggiunge un sostenuto pendolarismo balneare.

La storia di questo vulcano narra di eventi parossistici frequenti, favoriti da una condizione di condotto aperto ben alimentato, che non offre particolare ostacolo al magma ricco di gas che dal profondo si spinge in alto, e che in realtà deve vincere nella sua ascesa prevalentemente la sola resistenza offerta dal peso della colonna magmatica, che a volte in superficie risulta più fredda e degassata costituendo una sorta di ostacolo che genera poi e con l’aumentare delle pressioni dirompenze.

Senza andare troppo a ritroso nella cronaca geologica dello Stromboli, annoveriamo una violenta eruzione nel 1910 che mise fine a qualche anno di gradita quiescenza. Pare che la costruzione del faro sull’isola di Strombolicchio risalga a questo periodo e fu una diretta conseguenza della pace vulcanica che fece venir meno la fiaccola magmatica particolarmente utile ai naviganti.



Un’altra eruzione di forte intensità si ebbe nel 1912 e poi il 22 maggio del 1919 con annesso maremoto che non di rado accompagna la franosità del versante nord occidentale noto come Sciara del Fuoco. L’eruzione dell’11 settembre 1930 è quella ricordata come la più violenta dell’ultimo secolo. Oltre a colonne eruttive di oltre 1500 metri, si ebbero fenomeni di lancio di bombe vulcaniche superiori ai 100 chili cadauna e poi cenere e lapilli e brandelli di lava e valanghe ardenti e maremoti. Il calore estremo dettato da nubi ardenti fece diverse vittime, così come le improvvise mareggiate.

Si ebbero eruzioni pure nel 1941, 1943, 1944, e nel 1945; e poi ancora nell’anno 1948, e 1949, 1950,1952,1953,1954. Nel 1955 si registrò un’eruzione sottomarina a poca distanza dalla Sciara del Fuoco: lo scoglio dello Strombolicchio è ciò che resta di un’intrusione magmatica all’interno di un condotto vulcanico eroso dagli elementi.
Sui fondali, specialmente quelli che guardano a Panarea, si registrano ogni tanto fenomeni di degassamento da fratture subacquee che generano un certo ribollire della superficie marina accompagnato da un forte odore di zolfo.

Eruzioni hanno caratterizzato anche gli anni 1956, 1958 e 1959. E poi il 1966, 1967, 1971, 1972, 1973, 1974, 1975, 1985, 1986, 1988, 1989, 1990, 1993, 1994, 1995, 1996, 1998,1999,2001,2002,2003. L’elenco continua e annovera altri eventi parossistici come quelli del recente passato, tra questi quelli del 2007 e del 2012, ed altri ancora che hanno segnato la vita sull’isola che in verità non è mai stata di totale pace vulcanica…


Il 3 luglio 2019 un forte boato è rimbombato su tutta l’isola accompagnato da un’eruzione parossistica, la più intensa rispetto a quelle ordinarie e maggiori a cui la popolazione in un certo qual senso è abituata. Questa volta però non si è trattato di una fenomenologia vulcanica dal taglio turistico: oltre allo sviluppo di una colonna eruttiva alta quasi 2000 metri e quindi visibile pure a grande distanza, sull’isola si sono dovuti fare i conti con la pioggia di cenere e lapillo e con gli incendi della vegetazione attivati da brandelli di lava incandescente spruzzati dal vulcano in ogni direzione.


Occorre fare un passo indietro per rappresentare un altro fenomeno non meno pericoloso delle eruzioni stromboliane: il maremoto. Il 30 dicembre del 2002 le zone costiere dell’isola di Stromboli vennero investite da onde alte fino a 10 metri innescate da fenomeni franosi localizzati proprio sul versante della Sciara del Fuoco: frane in parte sottomarine e a seguire subaeree. La zona isolana di Nord Ovest infatti, è luogo privilegiato dove s’incanalano dalla terrazza craterica i prodotti lavici del vulcano. Questo significa apporto di materiale che va a sovraccaricare altri depositi preesistenti, che a volte mandano in disequilibrio statico gli ammassi litoidei sulla scorta delle sollecitazioni sismico vulcaniche favorite anche da processi erosivi dettati dagli elementi meteomarini.

Il 28 agosto 2019 un nuovo evento parossistico ha scosso di nuovo il vulcano: particolarmente drammatiche le immagini di una colata piroclastica che scivola nel mare avanzando sull’acqua grazie ad una sorta di cuscino d’aria e vapore che ne ha favorito lo scorrimento. I turisti su una barca troppo vicina alla Sciara del Fuoco, sono scappati via giusto in tempo per evitare una brutta fine all’interno di quella sorta di nuvola nera costituita non già da fuliggine ma da materiale vulcanico ad altissima temperatura.


Nel mese di maggio 2019 il livello di allerta vulcanica per lo Stromboli era posizionato sul verde (vedi tabella sottostante). Dopo l’evento del 3 luglio 2019 l’allerta è stata innalzato a giallo. Ed ancora dopo l’evento eruttivo del 30 agosto 2019, il livello è passato all’arancione.

Livelli allerta per lo Stromboli

Diversamente da altri vulcani come il Vesuvio o i Campi Flegrei, qui allo Stromboli anche se si dovesse raggiungere il livello di allerta rosso, non è automatica l’evacuazione totale o parziale della popolazione strombolana.

D’altra parte lo si capisce anche dall’attualità, dove con uno stato di preallarme (arancione) in atto, i turisti possono ancora arrivare sull’isola con i traghetti di linea, e il divieto di attracco vale solo per imbarcazioni che superano i 200 passeggeri. I natanti tra l’altro devono mantenersi a 2 miglia dalla Sciara del Fuoco mentre il turismo appiedato non può spingersi sul vulcano oltre quota 290 metri o da Ginostra.

Evacuazione o non evacuazione dell’isola sarà una decisione che sarà presa dall’autorità nazionale di protezione civile, che nel merito sentirà la commissione grandi rischi, il presidente della Regione Sicilia e il sindaco di Lipari. Questo significa che le autorità regionali e comunali avranno sicuramente già predisposto un piano di evacuazione per allontanare all’occorrenza l’intera popolazione di Stromboli, soprattutto se si dovessero temere cedimenti strutturali alla parete vulcanica nord occidentale con risvolti pericolosissimi. 


Questa evacuazione dovrebbe avvenire, semmai se ne presentasse la necessità, attraverso le zone di atterraggio elicotteri o presso i pontili d’imbarco dei traghetti o entrambi i siti. Da un punto di vista tecnico, l’evacuazione massiva con elicotteri non è l'ideale quando ci sono tempi stretti e molte unità da evacuare. L’elicottero inoltre ha un grosso limite di azione dettato dalla cenere vulcanica, tant’è che difficilmente potrebbe operare troppo vicino a una colonna eruttiva o su superfici ammantate di cenere e lapilli. 

L’evacuazione via mare magari necessaria per trasportare gli strombolani sull’isola di Lipari o comunque a Milazzo, non porrebbe particolari difficoltà perché oltre ai traghetti c’è il naviglio veloce ordinariamente presente in quel settore geografico e che può imbarcare centinaia di passeggeri. Come tutte le piccole isole però, non dotate di porti veri e propri ma di attracchi, le condizioni meteomarine possono vanificare per giorni l’efficacia e la prontezza operativa delle navi a prescindere dal tonnellaggio, dettando l'isolamento della comunità isolana soprattutto nella stagione invernale. 

Il problema dell'imprevedibilità dei parossismi del vulcano Stromboli, certamente pongono gli isolani nella condizione di dover valutare una serie di cose che riguardano la sopravvivenza economica ma senza potersi discostare troppo dalle esigenze di tutela fisica dei residenti.
Occorre dire che le case non sembrano possedere quei requisiti di difesa passiva auspicabili in una zona vulcanica attiva, quali potrebbero essere i tetti a volta e porte e finestre ubicate prevalentemente nelle mura perimetrali opposte al vulcano.
In un contesto dove tra i fenomeni occorre annoverare l'aspersione di brandelli di lava incandescente, i tetti dovrebbero essere ignifughi e non di cannucce; magari coperture rotondeggianti e resistenti alla pioggia di pietre e lapilli aiuterebbe. Un discorso a parte meriterebbe la questione incendi d'interfaccia...
Ovviamente la realizzazione di rapidi percorsi che offrano velocemente quota a chi percepisce l'allarme maremoto, sono nelle cose da farsi con urgenza anche sulla vicina Penisola.

Un'attenta analisi del rischio offerto da lucide e oggettive valutazioni scientifiche, potrebbe favorire una serie di riflessioni ed eventualmente una discriminazione circa la condizione di maggior rischio per l'abitato di Ginostra, che dal carteggio ci sembra più esposto alle fenomenologie balistiche o di scorrimento. Occorre poi dire che tale comunità è isolata dagli altri e più estesi nuclei urbanizzati localizzati a est dell'isola: questo operativamente crea problemi aggiuntivi. Tutti aspetti da approfondire...

Le rilevanze scientifiche potrebbero quindi offrire una soluzione a quella che dovrà essere necessariamente la pianificazione e la rivisitazione dell'urbanizzazione dell'isola vulcanica per scongiurare politiche di abbandono o vivecersa di affollamento. D'altra parte l'imprevedibilità dei fenomeni e l'isolamento geografico ordinario, devono spingere le autorità e le popolazioni a trovare delle soluzioni attive e passive capaci di guadagnare tempo nelle situazioni critiche e mitigare l'indice di rischio che oggi sull'isola è abbastanza elevato. 

Tecnicamente per energie in gioco e territori coinvolti l'emergenza Stromboli dovrebbe essere nelle prerogative di diretto coordinamento regionale e non nazionale. Purtuttavia il rischio maremoti potrebbe riguardare ampi territori e più regioni e quindi potrebbe essere giustificato l'intervento del dipartimento della protezione civile che rimarca all'uopo competenze anche in assenza della dichiarazione dello stato di emergenza in forza dell'imprevedibilità e della repentinità del pericolo parossistico che incorpora tra l'altro il rischio maremoto. Valutazioni condivisibili purchè le altre amministrazioni competenti non facciano gli spettatori in tribuna limitandosi a formulare unicamente richieste di ristoro economico.

L'affaire Stromboli è da seguire amministrativamente, tecnicamente e scientificamente con molta attenzione, soprattutto dal punto di vista della prevenzione delle catastrofi, perchè come la cronaca ci rimanda, la repentinità e la imprevedibilità dei parossismi e delle frane, non lasciano grande spazio alla fuga come difesa immediata da un'isola che sarebbe cara a Jules Verne...