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sabato 18 gennaio 2014

Rischio Vesuvio, Trecase e il ponte dei miracoli.



“Rischio Vesuvio, piano di evacuazione, Trecase e lo strategico ponte sull’A3…” di MalKo

L’assessore regionale alla protezione civile, Prof. Edoardo Cosenza, il 13 gennaio 2014, come si evince dal sito dei lavori pubblici, ha tenuto una riunione di coordinamento operativo sul ponte di via Vesuvio che sovrappassa l’autostrada (A3) collegando Torre Annunziata a Trecase. Questa struttura in corso di ultimazione, si legge, è un’importante via di fuga ritenuta molto strategica per i piani di evacuazione della zona rossa Vesuvio. L’assessore Cosenza vista l’importanza dell’opera, tiene costantemente informato sull’andamento dei lavori il capo dipartimento della protezione civile, il Pref. Franco Gabrielli

Questa nota giornalistica è stata presentata molto bene ed ha dalla sua la particolarità di offrire ai lettori una sensazione di rara e secca mobilitazione operativa da parte della Regione Campania, deputata insieme al dipartimento della protezione civile a elaborare un piano di evacuazione per la zona rossa Vesuvio. Dopo venti anni di commissioni e sottocommissioni, il cittadino apprendendo la bellissima notizia ha pensato che questa volta è stata imbroccata la strada giusta per raggiungere il famoso traguardo dell’ultimazione del piano di evacuazione Vesuvio. Bisognerà solo attendere un altro poco… dopodiché il postino busserà alla porta e ci consegnerà il plico contenente il vademecum comunale recante le istruzioni operative per evacuare la zona quando i prodromi indicheranno una dinamica pre eruttiva con valori al rialzo.

D’altro canto però, la stessa notizia cambiando semplicemente inquadratura, si presta bene per comprendere come funziona il sistema mediatico delle favole. I giornali in questo caso accogliendo lo spunto editoriale dall’ufficio regionale, accennano al ponte di via Vesuvio con titoli da strategico manufatto che salta fuori come geniale operazione dell’ufficio regionale, per assicurare ai trecasesi una risorsa stradale di fondamentale importanza da utilizzare come sentiero per l’evacuazione in caso di emergenza.

La realtà invece è ben diversa. Innanzitutto perché trattasi di un ponte sovra stradale che ha sostituito semplicemente quello preesistente rimosso in seguito ai lavori di ampliamento per la realizzazione della terza corsia sull’autostrada A3 Napoli – Salerno.  Il Vesuvio e i piani di evacuazione quindi, non c’entrano proprio niente. C’entrano invece i disagi per i cittadini costretti a impegnare lunghe deviazioni per superare poche diecine di metri.
Nell’immagine di copertina potete notare l’asfalto nuovo e la segnaletica orizzontale regolamentare. A parte l’odore di fresco però, il breve tracciato non ha stravolto il preesistente, e come tale adduce a una strada strettissima attraversata da un passaggio a livello che, una volta superato, porta a un successivo e classico e squadrato incrocio a quattro vie, particolarmente stretto nelle dimensioni, al punto da richiedere cautela nella svolta a destra per non invadere il marciapiede laterale. Un incrocio minimo nelle dimensioni, nevralgico e tra l’altro trafficatissimo. 

La stradina su cui aggetta e ci s’immette dal ponte, la potete vedere nella figura sottostante. E’ stretta al punto da rendere necessario una deviazione a destra all’altezza della segnaletica verticale costituita dal divieto di accesso e dalla direzione obbligatoria. Questo sarebbe in caso di emergenza il tracciato strategico evacuativo? Speriamo di no!



Quello dei giornali che decidono cosa riferire e con quale enfasi comunicare la notizia con il potere di indirizzare poi l’opinione pubblica, rassicuarandola o agitandola o schierandola, è un problema vecchio ed evincibile nel campo della protezione civile, già nella questione del terremoto dell’Aquila e della condanna subita dalla commissione grandi rischi (CGR). In quel caso la natura sconfessò le rassicurazioni che diedero cinque giorni prima del micidiale sisma gli esperti che sono stati tutti condannati dal Tribunale dell’Aquila a sei anni di reclusione e interdizione dai pubblici uffici.
In quell’occasione ci fu una buona parte della stampa che diede corpo a un fuoco difensivo a titoli cubitali contro i giudici tacciati e ritenuti cacciatori di streghe, per l’assurda sentenza di condanna della scienza e la sua impossibilità a prevedere i terremoti.  Addirittura l’ex ministro Corrado Clini parlò di processo alla stregua di quello che subì l’eretico Galileo Galilei… Dimenticando che il grande scienziato fu dimessa vittima del potere, e non servile complice…
L’INGV difese ovviamente a spada tratta gli scienziati “giustiziati”, preparando un appello firmato da molti luminari che chiedevano un passo indietro della magistratura e una revisione del processo.
La sfortuna dei detrattori del giudice Marco Billi sono state le intercettazioni telefoniche che hanno dimostrato che la riunione della commissione grandi rischi del 31 marzo 2009, non fu altro che un’operazione mediatica organizzata e gestita dal capo dipartimento della protezione civile, Guido Bertolaso, che inviò sul posto anche il suo fido Bernardo De Bernardinis, per stroncare il tecnico Giuliani e i suoi allarmismi al radon. Altro che valutare scientificamente la situazione…

Che la stampa, generalizzando, debba darsi una rivisitata lo apprendiamo anche dalla notizia recente che circola a fatica sul web, e che riguarda la rivista Nature e il suo ostracismo nel pubblicare una replica di un certo numero di scienziati anche italiani come risposta alla lettera aperta di Enzo Boschi, ex componente della CGR,  in cui ancora una volta parla di incredibile processo alla scienza e di una condanna ingiusta.
Dalle pagine del quotidiano britannico Guardian, il premio nobel Randy Sheckman, ha criticato pesantemente le riviste scientifiche Nature e Science perché pubblicano notizie in linea con il potere scientifico dominante del momento, sostanzialmente denunciando che si pubblicano solo notizie gradite all’èlite o alla massa, trascurando quel manipolo di oppositori che pure avrebbe tanto da dire o da replicare.
Enzo Boschi è quello cui la sentenza di condanna indubbiamente va particolarmente stretta. Si difende male però, perché continua ad affermare che è stato condannato perché non ha previsto il terremoto e non perché consapevolmente o inconsapevolmente è stato coinvolto in un gioco cinico, dettato da uno stizzito potentucolo che ha organizzato una sceneggiata trasformatasi in tragedia solo per stroncare un caparbio tecnico…
Le notizie oramai se le pubblicano quelli che le confezionano attraverso un web replicante. Dalle nostre note di testa si capisce che l’affaire Vesuvio incomincia a scottare con tutte le inadempienze che lo accompagnano: c’è bisogno di qualche risposta… ma non si risolve il problema con notizie edulcorate  utili solo ad anestetizzare l’opinione pubblica. Il ponte di Trecase necessitava l’urgente riapertura per motivi di disagio, e non perché è una strategica via di fuga, vista anche la striminzita larghezza delle corsie che sono un chiaro segno di un'opera realizzata al risparmio. 
Dopo il Vesuvio la cronaca rilancia gli allarmi per il Marsili… Occorrerebbe monitorarlo dicono gli esperti, perché potrebbe eruttare. Il progetto dell’Eurobuiding prevede la perforazione del vulcano sommerso per uso geotermico. La sicurezza dell’operazione è affidata a un nutrito gruppo di scienziati dell’INGV che fanno parte del comitato di sicurezza. Chissà se faranno il pozzo pilota anche lì alla stregua di quello fatto ai Campi Flegrei (CFDDP). Abbiamo chiesto all’INGV che occupa ruoli di primo piano nel Marsili project, se la perforazione del vulcano sommerso potrebbe cagionare sollecitazioni pericolose per la formazione di frane portatrici di onde anomale. Attendiamo ancora una risposta, ma sono passati solo cinque mesi.




martedì 7 gennaio 2014

Rischio Vesuvio, Supervulcani e Asteroidi.


Il Vesuvio. Foto di Andrew Harris


“Rischio Vesuvio e Campi Flegrei e asteroidi” di MalKo

Tra le varie disquisizioni che si leggono sul web, a proposito del rischio rappresentato dal supervulcano dei Campi Flegrei, ci siamo imbattuti in alcuni commenti che forzano il concetto di popolazione indifendibile in caso di eruzione esplosiva del supervulcano flegreo. L’impotenza difensiva, secondo il commentatore, sarebbe molto simile a quella che si presenterebbe in caso d’impatto di un asteroide sulla superficie terrestre.
Il commento sembra attingere all’imperiosa necessità di sfogarsi, e sostanzialmente così potremmo riassumerlo: se si parla di piani di emergenza da mettere a punto per difendersi dalla massima eruzione conosciuta del vulcano flegreo, allora per la provincia di Napoli non c’è niente da fare, perché se accade un evento pari a quello che caratterizzò 39.000 anni fa l’eruzione dell’ignimbrite campana, non c’è scampo, non solo per i puteolani e i napoletani, ma addirittura per l’intero sud Italia che verrebbe coperto da metrate di cenere. E poi, visto che non ci si può difendere da un asteroide o da una super eruzione del supervulcano flegreo, entrambi eventi più che remoti, è inutile arrovellarsi in cerca di piani d’emergenza impossibili: meglio abbassare il tiro sull’entità del pericolo e su quello lavorare, dice…

In un precedente articolo già replicammo ad affermazioni simili che chiamavano in causa i meteoriti e il piano d’emergenza Vesuvio. In effetti, le argomentazioni sono le stesse. Giacché il nostro commentatore cita anch’esso corpi celesti, possiamo ancora una volta rimarcare il concetto che la differenza fondamentale tra un asteroide e un supervulcano, è che quest’ultimo è georeferenziato, cioè si conosce esattamente la posizione geografica sul globo terrestre, mentre per un asteroide non è dato sapere in anticipo il luogo dell’impatto sulla Terra. Quindi, a prescindere dall’energia che potrebbe sviluppare un asteroide, che può essere minore o di gran lunga maggiore di un’eruzione ad alta intensità, il dato pregnante è che non c’è grande possibilità di difendersi dai massi che piovono dal cielo. Infatti, in questo caso tutto il Pianeta rientra in zona rossa, e il rischio di vedersi coinvolti in una vampata d’energia prodotta da un corpo celeste in caduta parabolica non cambia con la località. Da un supervulcano invece, è possibile distanziarsi precauzionalmente già oggi per sottrarsi agli effetti più deleteri di un’eruzione, anche se non si può escludere poi, che in qualche parte del mondo toccherà patire il freddo e la penombra.

Pur tuttavia, anche per difendersi dal poco probabile asteroide, sono in corso programmi spaziali soprattutto di mappatura dei grossi massi che orbitano tra Marte e Giove per tenerli sotto controllo e valutarne l’eventuale deragliamento verso la Terra. Sapere con mesi di anticipo che un corpo celeste è in rotta di collisione con il nostro Pianeta, potrebbe dar corso a pratiche difensive di deflessione dell’oggetto in corsa, o di frantumazione attraverso sistemi che presumibilmente esulano dalle possibilità tecnologiche nostrane, ma che probabilmente sono risorse nelle disponibilità delle superpotenze.  
D’altra parte se non sarà possibile schivare un masso spaziale dalle notevoli dimensioni, un preallertamento di diversi mesi consentirebbe comunque di evacuare, rimanendo nell’esempio iniziale, l’intera Campania o anche l'Italia meridionale.
Entro certi limiti quindi, a patto cioè, che il corpo celeste non sia di dimensioni tali da vanificare qualsiasi intervento sulla traiettoria, o che in caso d’impatto non distrugga l’intera vita sul Pianeta, c’è sempre un margine d’intervento per tentare di salvare vite umane. E il nostro obiettivo dovrebbe essere appunto quello.
La fuga dal pericolo è certamente un atto di disperazione. In una necessità del genere appena prefigurata, sarebbe addirittura possibile che i barconi degli immigrati invertano la loro rotta per dirigersi verso la Libia o la Tunisia con i nostri connazionali a bordo… Un domani si procederà con le arche spaziali.
E l’Europa dei popoli? In caso di evacuazione preventiva ospiterebbe 20 o 30 milioni di profughi italiani? Sarebbe particolarmente interessante saperlo… Anzi, bisognerebbe proprio chiederlo ai nostri partner comunitari, sfruttando qualche tavolo congressuale internazionale di protezione civile.

Ai commenti iniziali che stiamo analizzando, c’è anche quello polemico riguardante l’ospedale del mare. Per chi non conosce la questione, trattasi del più grande nosocomio dell’Italia meridionale in corso di ultimazione e che, con la nuova perimetrazione del rischio Vesuvio, si ritrova adesso in zona rossa. Da qui le critiche… Il nostro chiosatore afferma: dove avrebbero dovuto costruirlo, se tutta la provincia di Napoli in caso di catastrofiche eruzioni flegree o vesuviane è in zona rossa? Forse che non dobbiamo più curarci?
In realtà le costruzioni molto strategiche, come può essere un grande ospedale, dovrebbero nascere lontano dalle zone a rischio. Non solo perché potrebbe presentarsi il problema dell’evacuazione della struttura in caso di segnali pre eruttivi, ma anche perché il presidio abbandonato non erogherebbe prestazioni particolarmente necessarie in un momento drammatico per la popolazione.
La contraddizione però, è racchiusa nel fatto che quell’ospedale è stato concepito in un contesto progettuale non da eruzione massima conosciuta, ma da eruzione massima statisticamente attesa. Con questa premessa forse non era difficilissimo individuare un sito appena diverso dall’attuale. Riteniamo invece, che i pianificatori del territorio probabilmente abbiano collocato l’ospedale del mare in quella posizione su decisione politica e non su meditati aspetti vulcanologici. Anzi, proprio la prima perimetrazione a rischio, cioè la vecchia zona rossa comprendente i diciotto comuni vesuviani, ha offerto probabilmente l’alibi a una siffatta sistemazione nella zona di Ponticelli che in quel periodo corrispondeva alla zona gialla mai regolamentata.
Come abbiamo scritto in altre parti, effettivamente pianificare l’evacuazione della popolazione rispetto a scenari pliniani è particolarmente complicato soprattutto se occorre partire da zero come nel nostro caso.
La caldera e il parco Yellowstone
Intanto non dobbiamo confondere le problematiche vulcaniche con gli asteroidi, i supervulcani e i piani di emergenza: non aiutiano il discorso.  Difendersi da una super eruzione significa necessariamente prevederla un bel po’ di giorni prima, incanalando il maggior numero possibile di persone in direzione della salvezza. Ovviamente il rischio vulcanico è racchiuso proprio lì, negli attuali limiti della previsione che non contiene certezze, se non il labile concetto del: si prevede di prevedere… Cosa fare allora? La caldera dello Yellowstone intanto è protetta da un grande parco  che la circonda e la contiene completamente nonostante la più che chilometrica estensione. All’interno della riserva non è consentito neanche procedere con la costruzione d’impianti geotermici per non alterare i luoghi e la circolazione delle acque sotterranee: il territorio insomma, è off limits!
Dovremmo procedere allo stesso modo per diradare con gli anni la morsa demografica. Bisogna inventarsi un parco flegreo che contenga l’intera caldera, isole comprese, per evitare lo scempio edilizio che fin qui è stato commesso storpiando il territorio in nome di necessità e affari in una misura certamente e non da poco colma. S’interromperebbe così quella spirale contorta fatta di sotterfugi e grandi interessi politici ed economici con personaggi arlecchini e camaleontici sempre infilati tra le pieghe del potere anche istituzionale come cangurini nel marsupio.
Lo stesso dicasi del Vesuvio, attraverso l’estensione degli attuali confini del parco che dovrebbero corrispondere almeno coi limiti di prima perimetrazione della zona rossa: il nuovo edificato, piaccia o non piaccia, deve svilupparsi a nord di Napoli, prendendo come faro di riferimento il camino dell’inceneritore di Acerra.

Per quanto riguarda i piani d’emergenza e di evacuazione da prepararsi per il rischio asteroidi e meteoroidi, per conoscenze e capacità d’intervento attuale sono inascrivibili. Non è così per le supereruzioni, perché i danni irreparabili sono direttamente proporzionali alla distanza dalla sorgente eruttiva che può essere una misura già oggi concretamente aumentabile da chi non vuole convivere con il rischio vulcanico.
Si garantisca allora il diritto all’informazione dichiarando in ogni conferenza o articolo di stampa o vetrina televisiva che riguarda il Vesuvio o i Campi Flegrei, che:<<i piani di emergenza e di evacuazione saranno tarati rispetto all’evento massimo atteso e non all’evento massimo conosciuto, anche se quest’ultimo ha basse probabilità d’accadimento>>.
Nel sistema di monitoraggio vulcanico americano in seno all’USGS, vige il concetto che la loro opera deve essere in grado di evitare che un processo naturale si trasformi in una catastrofe naturale. Gran bella frase!


giovedì 2 gennaio 2014

Rischio Vesuvio: il 2013 annovera clemenza geologica e un post-it sismico dai contrafforti del Matese...

Valle dell'inferno (Vesuvio) con l'orlo calderico del Mt. Somma in evidenza con Punta Nasone

“ Il 2013 è stato per la Campania un anno di clemenza geologica tranne per il post-it marcato Matese. E il 2014? ”
di MalKo

Anche il 2013 si è rivelato per i napoletani un anno di clemenza geologica suffragata dalla perdurante quiescenza del Vesuvio,dei Campi Flegrei e dell’isola d’Ischia: tutti distretti vulcanici molto caratteristici e tutti ubicati nell’area metropolitana di Napoli. Il 29 dicembre 2013 la zona del Matese ha sussultato litosfericamente per ricordare anche ai campani che vivono su un suolo non sempre immoto e non lontanissimo dai magmi sotterranei viscosi. La caratteristica della scossa, vivacemente vibrante, è stata breve al punto da non causare danni, ma intensa abbastanza da essere un post-it geologico. Un monito insomma…
Per quanto riguarda il Vesuvio e i piani d’emergenza, le uniche novità di quest’anno riguardano l’introduzione della linea Gurioli che delimita la prima fascia a rischio d’invasione delle nubi ardenti e la relativa rivisitazione della zona rossa che si allarga ad altri sette comuni, compreso la città di Napoli che dopo anni di “resistenza” è stata costretta a cedere alla perimetrazione a rischio Vesuvio, i quartieri orientali di Barra, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli. Il numero degli abitanti sottoposti al pericolo allora, è aumentato da cinquecentocinquantamila a circa settecentomila persone.
Il famoso vulcano continua a essere citatissimo dai media e si classifica come il più menzionato in assoluto, sia da un punto di vista paesaggistico che archeologico e turistico e per il rischio a esso associato, che sembra incutere maggiori apprensioni all’estero piuttosto che in Italia.
I piani di evacuazione devono ancora essere confezionati e nulla lascia presagire che questo sia l’anno giusto, atteso che, sono sempre gli stessi consulenti e le stesse commissioni a elaborare sistemi di pseudo tutela attraverso un work in progress che pare abbia come unico obiettivo quello di mettere le carte a posto.
Se uno dei vulcani che citiamo nell’articolo dovesse ridestarsi e causare danni alle persone, state pur certi che l’unico responsabile sarà alla fine la sola e ignara e stupenda e immacolata natura.
Ai Campi Flegrei la trivella sonnecchia sul fondo dei cinquecento metri fin qui raggiunti col pozzo pilota. Quando proseguirà il lavoro dello scalpello rotante che dovrà raggiungere i 4000 metri di profondità in direzione della gobba litosferica puteolana, è un dato che dovremmo conoscere a breve. Il deep drilling project (CFDDP), intanto sembra che abbia cavato dal sottosuolo tufaceo di Bagnoli dei carotaggi molto interessanti e inediti.  I sistemi e le attrezzature innovative da calare nell’attuale pozzo ai fini della prevenzione vulcanica, dovrebbero essere probabilmente ancora in una fase di collaudo ma presto entreranno in azione.
Intanto nell’area flegrea permane uno stato di attenzione vulcanica innescato qualche anno fa dal fenomeno del bradisismo,riaccesosi  per la fase ascendente. Oggi, il sollevamento, fortunatamente sembra attraversare un momento di stanca.
Il piano “emerecuativo” (emergenza più evacuazione), non è stato ancora elaborato in questo settore calderico, perché l’autorità scientifica col vaglio della commissione grandi rischi, deve ancora depositare il carteggio contenente gli scenari eruttivi comprensivi dei territori su cui si possono abbattere tutte le fenomenologie vulcaniche previste: dati questi, senza i quali non si può procedere con la redazione dei piani di sicurezza areali.
Sull’isola d’Ischia pure si gode di una certa pace geologica e da un po’ non si avvertono terremoti particolarmente significativi. Questa fase di calma potrebbe essere utilmente sfruttata per analizzare il rischio statico rappresentato da un po’ di massi isolati posti in alto, specie a Forio e sui terreni acclivi degli altri rilievi. Anche per Ischia dovrebbero preparare il piano emerecuativo che è particolarmente complesso perché trattasi di un’isola i cui confini corrispondono con il mare: tecnicamente parlando è un problema in più.
Nella zona dell'epicentro del sisma localizzato nei contrafforti del Matese il 29 dicembre 2013, si è notata la fragilità delle chiese che dalla loro hanno un certo numero di anni che gravano appunto sul groppone delle mura e delle volte degli antichi edifici.
Nel terribile terremoto di Lisbona del 1755, chiese e conventi furono le strutture più colpite. Un filosofo annotò che in quel cataclisma morirono moltissime suore e non le prostitute ricoverate in baracche di legno… La citazione la riportiamo come concetto statico e non moralistico o religioso.
E’ necessario, specialmente in area appenninica, organizzare dei sopralluoghi negli edifici più vecchi ubicati all’interno della fascia appenninica a maggior rischio sismico, individuando alcune soluzioni tecniche per rendere i vecchi luoghi di culto e altre strutture almeno collettive, più resistenti alle sollecitazioni litosferiche. Nelle more degli interventi preventivi, si possono già affiggere alle pareti delle chiese avvisi e manifesti contenenti istruzioni operative in caso di terremoto.
Da notare inoltre, che le notizie sull’epicentro del sisma del 29 dicembre 2013, sono state date sui media forse un po’ in ritardo…
Finiamo segnalando come appunto, che i tre distretti vulcanici qui citati, di cui quello flegreo già sottoposto al primo livello di allerta vulcanica (attenzione), mancano completamente di piani di evacuazione. Non lasciatevi ingannare da quello che leggete sulla carta stampata e sul web: anche se remotamente e generalizzando, nessun ambiente o settore è asettico e imparziale.

Il 2014 sarà l’anno del cambiamento. Dedicatevi di più alla vita sociale e alla partecipazione, utile per comprendere e maturare anche una coscienza critica verso le istituzioni politiche, tecniche e scientifiche. Strutture che dovrebbero essere intercomunicanti per garantire attraverso una sana interazione l’imprescindibile diritto alla sicurezza. Buon anno!