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martedì 13 novembre 2018

Pericolo Vesuvio: si prevede di prevedere... di MalKo

Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma visti da est


Quando si dimora in un’area vulcanica quiescente, come può essere il Vesuviano o il Flegreo, l’insorgere di terremoti accresce il desiderio di documentarsi: il maglio litosferico per quanto snobbabile cattura sempre attenzione, perché a differenze delle anomalie geochimiche piuttosto puntiformi, i sussulti sono percepiti direttamente dalle popolazioni. Scettici e meno scettici allora, per sedare un minimo d’ansia o di curiosità, cercano sul web notizie sulla possibilità eruttiva, magari accedendo a siti alla dagospia, contenenti, a cura di presunti beninformati, le verità più nascoste su quello che la natura ha in serbo nel sottosuolo…

Occorre dire in proposito, che il sentire comune parte dalla convinzione che le autorità non dicono e né tantomeno diranno la verità sulla reale pericolosità del Vesuvio o del super vulcano flegreo, per non scatenare il panico. Effettivamente la tendenza governativa è quella di non generare paure, tant’è che il Dipartimento della Protezione Civile ha stilato un protocollo d’intesa con l’Osservatorio Vesuviano, che prevede la trasmissione dei dati geochimici e geofisici ad oggetto i vulcani napoletani, secondo procedure di riservatezza tanto più stringenti quanto maggiori saranno le perplessità del mondo scientifico sul reale stato di allerta vulcanica. Sarà il Dipartimento poi, a valutare tempi e modi per notiziare i sindaci e le popolazioni, qualora il progredire dello stato di irrequietezza dei vulcani dovesse assurgere a livelli preoccupanti.

Sull’argomento possiamo affermare con una certa sicurezza, che in realtà sussiste un fattore di oggettiva insondabilità su quello che succede nelle viscere dei due distretti vulcanici in questione, ma lo stesso vale anche per l’isola d’Ischia, un luogo che oltre alla bellezza racchiude come contrappasso un concentrato di problematiche di ordine naturale, come il rischio sismico e quello idrogeologico che si sommano a quello vulcanico ancora poco esplorato.

Gli scienziati possono quindi diffondere i dati strumentali che riguardano i parametri di monitoraggio dei vulcani, magari accompagnandoli con il loro motivato parere che sarà inevitabilmente corredato dai forse, ma nessuna previsione sul lungo periodo è possibile trarre oggi dalla tecnologia strumentale, e qualsiasi azzardo in tal senso difficilmente verrebbe avallato dalle istituzioni competenti. I terremoti isolati o a sciami, nel flegreo ma ultimamente anche nel vesuviano, non sono una rarità, e a cosa preludano, ancorchè si profilano da un sottosuolo ribollente, è impossibile accertarlo.

L’origine dei terremoti vulcanici appartiene ai dinamismi litosferici di cui il magma insinuandosi dal profondo rappresenta un aspetto sicuramente caratterizzante, accumulandosi nella o nelle camere magmatiche, secondo ritmi sconosciuti e non lineari, che non consentono di decifrare in anticipo i cambiamenti, con l’amalgama incandescente che si riassesta, a volte diramandosi orizzontalmente e altre volte ancora spingendosi verso l’alto sotto forma di intrusione fermandosi ad alcuni chilometri dalla superficie.

Nel 1984 nei Campi Flegrei i terremoti si contarono a migliaia e il sollevamento del suolo si misurava a decine di centimetri: dopo un allarmismo generalizzato vicinissimo all’allerta rossa, la situazione retrocesse a un livello di quiete.  Bisogna dire però, che nel 1984 il bradisismo era considerato un fenomeno abbastanza localizzato e a sé stante, e il timore maggiore per le autorità scientifiche era l’incalzare dei terremoti e quindi la statica dei fabbricati. Quegli stessi fenomeni, nell’odierno, avrebbero comportato una diversa valutazione della situazione e, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato diramato lo stato di pre allarme vulcanico…

Quindi, salterellando nella rete si potranno al massimo carpire dei punti di vista senza alcuna certezza sui tempi che mancano al ripresentarsi di un’eruzione, ed è tutto frutto della statistica l'individuazione della tipologia massima eruttiva che in futuro dovrà essere fronteggiata, con indici di intensità destinati ad aumentare col trascorre del tempo.

Nel campo vulcanico non si può fare gossip, e a ogni sciame sismico o altra anomalia geochimica e geofisica, peggio ancora se accoppiate, si trattiene un po' il fiato, alla stregua del rimescolamento dei 5 dadi in un bicchiere: prima ancora di un valore, piaccia o non piaccia siamo in presenza di una grande incognita…

Il secondo elemento riguarda il piano d’emergenza, ovvero di evacuazione, a cui non si presta attenzione un po’ perché ancora non c’è, e un po’ perché non si crede nella disciplina dei conterranei nei frangenti di pericolo.

Anche in questo caso, nel sentire comune è diffusa la consapevolezza che in caso di necessità a prevalere sarà l’anarchia comportamentale, dove ognuno presumibilmente e sul momento di massimo allarme, elaborerà autonomamente la strategia migliore per allontanarsi, secondo percorsi che riterrà in quel momento maggiormente efficaci per mettersi al sicuro senza badare al prossimo.

Ovviamente per poter raggiungere il successo evacuativo in una condizione diffusa di affollamento veicolare, è necessario anticipare l’antagonista che poi è il vicino di casa, i condomini del palazzo, la gente del rione e del quartiere e la popolazione comunale: ci si muoverà con audacia e forse arroganza, per guadagnare in strada e ad ogni incrocio la pole position.

Per schierarsi per primi in posizione di partenza, è necessario muoversi senza indugi e conoscere la viabilità ma anche le strategie su cui è stato costruito l’impalco del piano d’emergenza: non conoscere il territorio e le regole penalizza enormemente. Innanzitutto bisogna entrare nelle logiche dei livelli di allerta vulcanica che contraddistinguono una scala a diversa pericolosità. Bisogna poi tenere presente, come già accennavamo in precedenza, che l’evacuazione si basa su concetti probabilistici, della serie prevediamo di prevedere.

Anche il passaggio da un livello all’altro è assolutamente imprevedibile come tempistica, cosa tra l’altro solo recentemente chiarita dal Dipartimento della Protezione Civile. I passaggi di livello potrebbe caratterizzarsi per il salto di un colore: ad esempio da attenzione ad allarme, o permanere a un medesimo livello per anni, come succede ai Campi Flegrei, dove lo stato di attenzione fu dichiarato nel 2012 e persiste ancora oggi. In sei anni occorre dirlo, i dubbi su cosa bolla nella caldera flegrea sono tutti intatti e ben custoditi nell’enigmatico sottosuolo chilometrico.

Per capire bene alcuni dei concetti espressi in precedenza, bisogna partire dal presupposto che il piano di evacuazione è tarato su un tempo di 72 ore, perché le autorità dipartimentali e regionali prevedono di prevedere almeno 3 giorni prima l’approssimarsi di un’eruzione. Se dovesse fallire la previsione nel senso del mancato allarme o anche del ritardato allarme, le prime problematiche da affrontare sarebbero da ressa e panico diffuso, in un contesto ambientale caotico e violento, a cui potrebbero aggiungersi effetti meccanici dovuti all’eruzione che presumibilmente incalzerebbe col passare delle ore. In un contesto di questo genere si dubita sulla tenuta dei meccanismi dell’ordine pubblico, e ancora sullo schema generale e locale dell’impianto evacuativo che potrebbe saltare per motivi di disobbedienza civile. Un meccanismo quello dell’evacuazione, che in tutti i casi ancora non c’è…

Livelli di allerta vulcanica e fasi operative.

Viceversa, il falso allarme che è anche la condizione più probabile e in alternativa anche la più auspicabile, non prevede danni causati dall’eruzione, ma potrebbero esserci quelli eventualmente generati dal movimento repentino e massivo delle popolazioni. In altre parole, a fare la differenza, sarà come sempre e come capita in tutti i frangenti di pericolo reale o percepito, il comportamento delle masse.

Il comportamento della popolazione è certamente favorito o comunque fortemente condizionato dai sintomi pre eruttivi capaci di attivare gli organi sensoriali, la cui funzione è anche quella di indurre comportamenti di sopravvivenza per sfuggire a fenomeni magari incomprensibili. Viceversa, un allarme rosso diramato in un contesto di normalità ambientale, cioè con calma geologica apparente senza fenomenologie in atto, indurrebbe probabilmente ansia nei cittadini ma non immediatamente panico, soprattutto in assenza di comportamenti inconsulti che in frangenti di pericolo c’è la tendenza ad imitare.

Se da un lato quindi sussistono le incognite previsionali legate a una possibile eruzione in uno qualsiasi dei distretti vulcanici napoletani, anche se a destare maggiori preoccupazioni occorre dirlo oggi è il flegreo,  i piani di evacuazione dell’area vesuviana e flegrea e anche ischitana, nonostante siano l’unico elemento di certezza in materia di salvaguardia su cui investire, non sono ancora pronti: mancano le istruzioni per utilizzare la viabilità locale e in alcuni casi, come nel vesuviano,  è ancora da definire l’allocazione dei centri operativi comunali (COM) o intercomunali (COMI) deputati alle funzioni viabilità, soccorso e ordine pubblico.

Il piano di evacuazione, è bene specificarlo, altro non è che la mediazione tra due impossibilità; cioè da un lato quella di spostare o contenere la furia vulcanica, e dall’altro quella di delocalizzare i 700.000 abitanti che popolano la plaga vesuviana. D’altra parte non è neanche possibile proteggere compartimentando la popolazione attraverso barriere protettive resistenti al fuoco e ai fumi dell’eruzione, perché le colate piroclastiche col loro carico di rocce che si staccano in quota e poi scorrono velocemente sul declivio vulcanico, hanno una potentissima azione dinamica di sfondamento e un’elevata temperatura che si conserverebbe per alcuni giorni negli ammassi piroclastici.  

Dicevamo mediazione, perché attraverso l’evacuazione preventiva si separa il pericolo (P) dal valore esposto (Ve) per una distanza (d) rapportata al tipo di eruzione, ma solo nel momento di massima allerta vulcanica, in modo da consentire alle popolazioni esposte di vivere il loro territorio fin quando è possibile.

Nel piano Vesuvio la distanza (d) è quella relativa all’eruzione massima attesa (VEI4) teorizzata e adottata e offertaci dai calcoli probabilistici e poi da indagini campali; questo spazio risulterebbe insufficiente se dovesse verificarsi un evento pliniano, la cui intensità eruttiva supererebbe di dieci volte l’eruzione massima attesa VEI4.
La distanza (d) è quella da interporre tra popolazione ed eruzione.
 Il piano di evacuazione ha questa finalità.
Certamente in caso di allarme i vesuviani prediligerebbero le autovetture per allontanarsi velocemente e diuturnamente, indirizzandosi verso le grandi arterie stradali, superando i cancelli che rappresentano una sorta di valvola di non ritorno presidiata dalle forze dell’ordine.

I cittadini che lo vorranno, all’occorrenza potranno abbandonare le zone rosse già nella fase di preallarme. Devono però sapere, che una volta attraversato il cancello di uscita non potranno più rientrare fino a quando il livello di allerta vulcanica non verrà riportato allo stato di attenzione. Il che non avverrebbe sul breve termine…

L’allarme vulcanico invece, prevede per tutti, residenti e soccorritori, di abbandonare la zona rossa nella sua interezza. Una zona che dopo l’eruzione verrebbe ri-presidiata dalle forze dell’ordine deputate all’anti sciacallaggio, mentre per il ritorno dei cittadini nelle aree evacuate si prospetterebbero tempi abbastanza lunghi, per consentire le difficili valutazioni della situazione post eruttiva dell’area, dei fabbricati e di tutti gli annessi strutturali e infrastrutturali connessi a un vivere civile.

In caso di eruzione, ritorneranno i vesuviani nel vesuviano? La governance ideologica che oggi regna sovrana nel mondo è tutta proiettata sull’economia: quindi, molto presumibilmente e contrariamente al principio di precauzione, sfruttando anche la forte tendenza e volontà reinsediativa degli sfollati, la plaga vesuviana ritornerebbe ad essere antropizzata a partire dai palazzi che hanno superato indenni la prova del fuoco: dipenderà molto dalla tipologia eruttiva che in un futuro, auspicabilmente lontanissimo, segnerà la morfologia dell’area. Dopo l'eruzione che verrà, occorreranno molti anni, ma si ritornerà alla situazione precedente, col familiare monte a farci ombra con un rinnovato pennacchio sommitale e una zona rossa fortemente ridotta, almeno per i primi 60 anni di quiete vulcanica...