Translate

venerdì 29 luglio 2016

Etna e cenere vulcanica... di MalKo



Etna: 4 dicembre 2015 - eruzione dal cratere "voragine" - (Andronico)

Circa 66.000.000 di anni fa, un asteroide di poco più di 10 chilometri di diametro, piombò nell’attuale penisola dello Yucatan provocando un’immane catastrofe planetaria che costò ai dinosauri l’estinzione dal pianeta Terra.

I dati che di recente sembrano emergere, indicano che il periodo tra il Cretaceo e il Terziario fosse caratterizzato anche da imponenti eruzioni vulcaniche che disseminarono nell’ambiente enormi quantità di cenere vulcanica che, sommandosi alla coltre già prodotta dall’asteroide, accrebbero fortemente il fenomeno delle repentine variazioni climatiche globali. Fu la fine per i grandi rettili e altre specie animali…

Molto probabilmente però, la cenere vulcanica produsse anche un effetto diretto sulla respirazione dei dinosauri, soprattutto se le polveri asperse in atmosfera contenevano, come si presuppone, una significativa percentuale di acido solforico. Un danno che ovviamente non risparmiò la vegetazione e i bacini acquiferi. Le ceneri vulcaniche, lo ricordiamo, sono composte prevalentemente da silicio, il secondo elemento che abbonda nella crosta terrestre dopo l’ossigeno.

Il Dott. Daniele Andronico, ricercatore dell’INGV di Catania, è uno specialista di vulcani avendo a che fare con il maestoso Etna, un vulcano che non trova tregua geologica e che a volte diffonde ceneri nell’atmosfera bloccando il traffico aereo sull’aeroporto catanese. Approfittando della cortese disponibilità e competenza, rivolgiamo al Dott. Andronico alcune domande:

Quale fase eruttiva si caratterizza per l’emissione di cenere in atmosfera?
I prodotti vulcanici associati all’attività esplosiva vengono definiti genericamente piroclastiti o tefra. Sulla base delle loro dimensioni, i tefra vengono suddivisi in bombe (al di sopra di 64 mm), lapilli (tra 2 e 64 mm) e ceneri, termine con il quale indichiamo tutte quelle particelle vulcaniche inferiori ai 2 mm di diametro. L’emissione di cenere in atmosfera avviene quando l’attività esplosiva genera una colonna eruttiva composta da elementi piroclastici misti a vapore e gas vulcanici. La colonna eruttiva generalmente incorpora aria e si protende sopra il vulcano fino a quando ha forza a sufficienza. Quando la sua densità diventa uguale alla densità dell’aria circostante, la porzione sommitale della colonna inizia ad espandersi lateralmente secondo la direzione dei venti dominanti. Si forma così una nube vulcanica che si allunga fino a distanze di alcuni chilometri o decine di chilometri dall’apparato, con il materiale piroclastico che via via ricade a terra a iniziare dalle bombe, dai lapilli e dalle ceneri che sono le più leggere e si lasciano quindi trasportare lontano dal vento.

I vulcani delle Eolie sono troppo piccoli per produrre cenere in abbondanza?
Le isole che costituiscono l’arcipelago eoliano rappresentano la parte emersa di vulcani formatisi inizialmente in condizioni sottomarine. Basti pensare al vulcano Stromboli, la cui sommità raggiunge poco più di 900 m di altezza sebbene la base dell’edificio vulcanico si estenda sotto il livello del mare a una profondità di oltre 2000 metri.


Isole Eolie : scorcio panoramico aereo (MalKo)
La formazione di cenere non è associata alle dimensioni dei vulcani, bensì al tipo di attività eruttiva prevalente (esplosiva o effusiva). Alcuni vulcani delle Eolie sono noti per avere generato in passato eruzioni molto esplosive, e quindi anche quantità significative di ceneri in parte dilavata dai settori rocciosi emersi.

 La cenere è sostanzialmente silicio?
La composizione della cenere riflette la natura del magma che ha prodotto la cenere stessa. Quindi possiamo avere ceneri di composizione oscillante da “basica” ad “acida” con percentuali di SiO2 variabile dal 45 ad oltre il 65 %.
Su queste polveri vulcaniche esiste un’interfaccia di sostanze corrosive?

Non esistono molti studi in proposito… Coperture continue di ceneri possono comunque essere corrosive se non vengono rimosse specialmente dalle superfici metalliche. In questo caso, infatti, i gas che rivestono le particelle di ceneri potrebbero inglobarsi all’umidità atmosferica innescando reazioni acide alquanto corrosive.

E’ vero che più ancora delle ceneri è la quantità di acido solforico a produrre le variazioni climatiche schermando i raggi solari?

Durante le eruzioni esplosive, oltre ai tefra vengono emessi in atmosfera enormi quantità di SO2 (anidride solforosa o biossido di zolfo). Alcuni giorni dopo la sua emissione, il biossido di zolfo si trasforma in particella di acido solforico (H2SO4). Si è visto che questi “aerosol” possono stazionare nella stratosfera per periodi piuttosto lunghi (1-2 anni), durante i quali si disperdono negli strati atmosferici riducendo la penetrazione della luce solare e, quindi, causando un abbassamento parziale della temperatura sia a scala locale che talora su ampie regioni del mondo.

Nell’aprile del 1815, una violentissima eruzione del vulcano Tambora in Indonesia, produsse una variazione del clima su scala globale, tant’è che il 1816 viene ancora oggi ricordato come l’anno senza estate.

La vegetazione soffre per gli acidi o per la schermatura ai raggi solari prodotta dalla cenere che si deposita sulle foglie?
In base alla nostra esperienza, nell’area etnea le eruzioni non emettono quantità di cenere tali da schermare per lunghi periodi i raggi solari. Tuttavia, i raccolti di verdure a foglia larga e alcuni tipi di frutta, talvolta vengono parzialmente compromessi anche da una sottile coltre di cenere vulcanica (che ricordiamolo è molto abrasiva), perché sarebbe comunque necessaria un’accurata e costosa pulizia e lavatura dei prodotti vegetali prima di immetterli sui mercati. Operazione tra l’altro che potrebbe alterare lo strato esterno della frutta rendendola meno appetibile.

A Catania e nelle zone limitrofe sono state riscontrate variazioni nella qualità delle acque ad uso potabile in superficie e nelle falde?
Ad oggi non mi risulta l’esistenza di studi sistematici che possano mettere in correlazione eventuali variazioni nella qualità (e quindi composizione) delle acque ad uso potabile a causa della dispersione della cenere vulcanica dell’Etna sull’ambiente circostante.

In concomitanza di eruzione con grande quantità di cenere vulcanica aspersa in atmosfera Le risultano difficoltà nei collegamenti radio?

I colleghi che gestiscono le reti di monitoraggio mi hanno riferito che durante l’attività esplosiva dell’Etna non sono state osservate evidenze in merito a questa problematica. In letteratura, tuttavia, vengono segnalate interferenze alle onde radio con effetti sull’operatività dei collegamenti sia radio che telefonici. Questi rari casi avvengono in occasione di eruzioni esplosive particolari, tali cioè da generare colonne eruttive contenenti grandi quantità di particelle di ceneri caricate elettricamente.

 La popolazione catanese come affronta la ricaduta di cenere sulla città?
In generale la città di Catania è meno esposta a questo fenomeno di ricaduta della cenere, rispetto ai paesi etnei della fascia orientale del vulcano (per esempio, Giarre, Milo, Zafferana). I venti dominanti sopra il vulcano, infatti, soffiano con maggiore frequenza verso i quadranti orientali. Negli ultimi anni alcuni di questi paesi sono stati interessati dalla pioggia di materiale piroclastico più volte nel giro di poche settimane o addirittura di giorni. Ad esempio, tra luglio e ottobre 2011 abbiamo registrato ben 10 episodi di fontane di lava che hanno generato ricadute di tefra quasi esclusivamente sul fianco orientale del vulcano. I comuni hanno in carico le attività di rimozione e smaltimento della cenere. Per questo tipo di operazioni utilizzano spazzatrici meccaniche e soffiatori.

Comune di Fornazzo: rimozione meccanica della cenere dalle strade (Andronico)
L’effetto principale della cenere sugli aerei è dovuta all’abrasione della carlinga o alla vetrificazione del silicio sulle palette delle turbine?
I danni più importanti che possono avvenire quando un aeromobile incontra una nube di cenere vulcanica, sono senza ombra di dubbio l’abrasione dei vetri della cabina di pilotaggio con grave riduzione della visibilità in danno dei piloti. Verrebbe comunque abrasa tutta la carlinga e le turbine ingurgiterebbero silicio che potrebbe vetrificarsi in più punti con il rischio flam out in agguato.

Altri effetti indesiderati possono riguardare i sistemi elettronici soprattutto se la cenere riesce a insinuarsi nell’aeromobile attraverso le bocchette di aereazione e ventilazione.

 Intensità e direzione e limiti della cenere dispersa in atmosfera: in che modo si controllano questi parametri?

Esistono diverse metodologie e strumentazioni che permettono di osservare una nube di cenere vulcanica. In primo luogo sull’Etna esiste una rete di telecamere nel campo visibile e termico che trasmettono videoregistrazioni in tempo reale alla sala operativa di Catania: le immagini sono accessibili anche sul sito web INGV della sezione dell’Osservatorio Etneo. Inoltre, è possibile visionare immagini acquisite da strumenti a bordo di satelliti, particolarmente utili per individuare e seguire il percorso della nube in atmosfera.

Catania Fontanarossa
Radar anti cenere (DPC)
La direzione e quindi l’area di dispersione di una nube vulcanica, può essere simulata in qualsiasi momento grazie a molteplici modelli numerici che utilizzano anche dati previsionali su velocità e direzione dei venti a diverse quote sopra il vulcano. Infine, oggi sono disponibili anche nuove tecnologie “radar” e tecniche “lidar”, che consentono di acquisire informazioni sulla presenza di una nube e sulla concentrazione delle particelle vulcaniche in atmosfera.

A quale altezza massima avete riscontrato cenere vulcanica nell’atmosfera?

Durante le fontane di lava dell’Etna degli ultimi anni, le colonne eruttive hanno spesso raggiunto altezze intorno agli 8-9 km sul livello del mare. In occasione dei recenti episodi parossistici di dicembre 2015, il flusso di massa eruttata nell’unità di tempo è stato così elevato, che il tetto della colonna ha raggiunto i 14 km s.l.m., ovvero ha oltrepassato la tropopausa, cioè il limite fra troposfera e stratosfera che alle nostre latitudini si attesta intorno ai 12 km sul livello del mare. Questi valori sono senza dubbio rilevanti per l’Etna, ma va ricordato che durante le eruzioni di tipo pliniano (come quella del 79 d.C.), la colonna eruttiva del Vesuvio superò i 30 km di altezza.

Un’eruzione dell’Etna si differenzierebbe di molto in termini di produzione di cenere rispetto a un’eruzione del Vesuvio di pari intensità?
È una domanda interessante. In teoria, a parità di intensità (ovvero di flusso di massa eruttata nell’unità di tempo), la differenza in termini di magnitudo (ovvero volume di tefra emessi), dipenderebbe soltanto dalla durata dell’evento eruttivo. Ma il Vesuvio emette un magma più “acido” e con temperatura più bassa rispetto al magma basaltico dell’Etna; fattori questi, che dovrebbero favorire una maggiore capacità del Vesuvio a “frammentare” il magma in particelle fini.


Comune di S. Alfio: copertura diffusa di cenere e lapilli - (Andronico)

In caso di eruzione del Vesuvio Lei dovrebbe raggiungere l’Osservatorio Vesuviano per contribuire a monitorare la dispersione della cenere in atmosfera? Esistono accordi operativi in tal senso?

In caso di eruzione al Vesuvio, le altre sezioni INGV metterebbero a disposizione dell’Osservatorio Vesuviano competenze e professionalità interne, per monitorare e studiare le caratteristiche delle ceneri eruttate, elaborando simulazioni circa la propagazione della nube eruttiva e analisi sulla dispersione delle ceneri, ed altro ancora per gestire la crisi vulcanica.

Un ringraziamento particolare al Dott. Daniele Andronico dell’INGV di Catania, per la chiarezza espositiva e per la cortese disponibilità a trattare alcuni aspetti vulcanici che caratterizzano il territorio della nostra Penisola.

Per concludere vogliamo aggiungere che nei piani d’emergenza Vesuvio la cenere vulcanica rappresenta uno degli aspetti di maggiore pericolosità dopo le colate piroclastiche, e per questo motivo nella pianificazione d’emergenza alcune cittadine vesuviane sono state ricomprese nella zona rossa di secondo livello (R2). La cenere vulcanica, dicevamo, ha un notevole potere abrasivo, conduce l’elettricità e non si diluisce nell’acqua. L’inalazione del prodotto vulcanico provocherebbe difficoltà respiratorie soprattutto a chi ha questa funzione vitale già compromessa; un altro importante inconveniente dovuto all'esposizione alla cenere, consisterebbe nell'irritazione delle parti molle e umide del corpo, come ad esempio gola ed occhi.
Vesuvio: zona rossa e gialla
Nella zona Rossa 2 del Vesuvio è bene ricordarlo, è prevista l’evacuazione totale della popolazione, che deve allontanarsi velocemente alla diramazione dell’allarme vulcanico. Non bisogna attendere l’eruzione per decidere quali settori territoriali evacuare, e non ci si ripara negli immobili dal tetto spiovente in attesa che questa passi. I cittadini vesuviani della zona rossa 2, possono allontanarsi dalle loro cittadine alla stregua e con le stesse modalità di quelli della zona rossa 1, già in fase di pre allarme vulcanico.

Un particolare ringraziamento al Dott. Daniele Andronico, vulcanologo dell'INGV Catania, per l'interessante intervista che ci ha concesso.

lunedì 25 luglio 2016

Rischio Vesuvio: qual'è l'eruzione attesa? ... di MalKo


Vesuvio: la pineta di Terzigno in fiamme

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola USGS
Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906...) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).
Tipologia eruttiva
VEI corrispondente
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 anni in su…
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 a 200 anni…
STROMBOLIANA VIOLENTA
VEI 3
65%
72%
SUB PLINIANA
VEI 4
24%
27%
PLINIANA
VEI 5
11%
1%
La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica
 
Vesuvio e area vesuviana: linea nera Gurioli

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l'imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:


Schematizzazione non in scala ad uso didattico
gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto innaturalmente una funzione di limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni... Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell'opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L'importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po' schiva a puntare il dito sull'assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l'impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo...  Con la nomina del nuovo direttore dell'Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.

lunedì 11 luglio 2016

Rischio Vesuvio e il paradosso delle due buste... di MalKo


Villa Favorita (Ercolano) con il Vesuvio di spalle.

Nel documento (2012) prodotto dal Gruppo di lavoro A  ad oggetto “scenari e livelli di allerta” della - Commissione nazionale incaricata di provvedere all’aggiornamento dei piani di emergenza dell’area vesuviana e flegrea per il rischio vulcanico -, viene ritenuto ragionevole assumere come eruzione massima di riferimento (Vesuvio), un evento con un indice di esplosività vulcanica (VEI) di tipo 4.   Sostanzialmente in una tale portata eruttiva rientrano gli eventi sub pliniani…
La Commissione Grandi Rischi, sezione rischio vulcanico (CGR-SRV), chiamata dal Dipartimento (DPC) ad esprimere un parere sulle conclusioni raggiunte dal Gruppo di lavoro A, ebbe a condividere e avallare le risultanze scientifiche sottoscritte da due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano (INGV).
Si concordava quindi sull’eruzione di riferimento, una VEI 4, quale scenario calamitoso da tener presente anche ai fini della determinazione dei territori invadibili dalle fenomenologie vulcaniche più deleterie, classificati poi quale zona rossa Vesuvio.
A tal proposito, I vulcanologi della commissione grandi rischi, aggiunsero che i limiti della zona rossa ad alta pericolosità vulcanica, potevano ritenersi congrui con quelli già definiti dalla linea nera Gurioli, quale segmento curvilineo indicante i limiti di deposito dei flussi piroclastici delle passate eruzioni sub pliniane (VEI 4).
Linea nera Gurioli: segmento curvilineo chiuso che circoscrive i limiti di deposito delle
colate piroclastiche prodottesi nelle passate eruzioni VEI 4 (sub pliniane).

Il Gruppo di lavoro A, a sostegno della tesi sub pliniana, cita uno studio statistico (Marzocchi), che indica una probabilità condizionata di accadimento sub pliniano di circa il 30% nell’arco dei prossimi 130 anni.
La scelta dell’eruzione di riferimento (VEI 4), viene quindi indicata come una scelta di rischio accettabile, poiché, dicono gli scienziati appellandosi a questa tabella, la possibilità che le energie in gioco possano eccedere il valore VEI 4, viene valutato statisticamente in appena l’1%.
Stromboliana violenta
Sub pliniana I
Pliniana
VEI 3
VEI 4
VEI 5
Ipotesi A
Vesuvio: tempo di riposo tra i 60 e i 200 anni.
72%
27%
1%
Ipotesi B
Vesuvio: tempo di riposo superiore ai 60 anni ma senza un tetto massimo.
65%
24%
11%
 probabilità condizionata di accadimento dei principali tipi di eruzioni - da Marzocchi et al. 2004 -
Il terzo elemento, che  viene offerto sempre a sostegno della teoria statistica della VEI 4 e che ci lascia maggiormente perplessi, è dato dalla precisazione dei direttori Macedonio e Martini, che i dati geofisici non rilevano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione di tipo pliniana (VEI5). E’ appena il caso di ricordare per quelli che non masticano vulcanologia, che una delle eruzione pliniana (VEI5) più famose, è senza ombra di dubbio quella che nel 79 d. C. sconquassò e seppellì le città di Ercolano, Stabia e Pompei.
L’affermazione contenuta nel terzo elemento da un punto di vista tecnico pianificatorio è un’affermazione forte; secondo alcune analogie è come dire non c’è polvere a sufficienza nella cartuccia per un’eruzione calibro VEI5. Nel dubbio abbiamo provato a riformulare questo quesito sulla quantità di magma esistente nella camera magmatica superficiale del Vesuvio all’attuale commissario dell’Osservatorio Vesuviano, Marcello Martini. Nonostante il richiamo alla legge sul diritto d’accesso agli atti amministrativi, l’ex direttore non ha avuto tempo per rispondere…
La determinazione dell’eruzione di riferimento formulata dalla commissione incaricata (Gruppo A), col placet della CGR-SRV e l’accettazione definitiva da parte del Dipartimento della Protezione Civile, apre a dubbi perché a ben riflettere sussiste un controsenso di fondo. Infatti, se si afferma che i dati geofisici, quindi elementi concreti, escludono che ci sia magma a sufficienza per un’eruzione pliniana, non si capisce per quale motivo non si sia lavorato nel senso opposto, cioè precisando quanto magma attualmente è accumulato nelle viscere del vulcano, indicando poi e al franco delle statistiche, a quale tipologia eruttiva corrisponderebbe una siffatta quantità di materia incandescente a disposizione oggi nel serbatoio magmatico vesuviano.
Si poteva andare anche oltre: visto che Marzocchi ritiene probabile che la prossima eruzione sia addirittura di taglia VEI 3 (72%), ebbene, il commissario Martini può valutare se la quantità di magma a disposizione nel sottosuolo, lì al Vesuvio, si sposa bene con la proiezione statistica offertaci in senso deterministico dall’esperto matematico. In altre parole, sarebbe stato interessante valutare scientificamente la validità del dato statistico previsionale, comparandolo con quello deterministico geofisico a disposizione.
La commissione grandi rischi nell’inviare le proprie conclusioni al dipartimento della protezione civile, auspica un certo dinamismo nell’elaborazione dello scenario di riferimento, perché questo può cambiare nel tempo sulla scorta di nuove ricerche campali e di laboratorio.
Purtroppo, il tecnico esperto di sicurezza cerca di evitare proprio quello che invece altri propongono, cioè modificare lo scenario ogni volta che si aggiunge un tassello sulla conoscenza del vulcano. Cambiare lo scenario eruttivo anche di poco, significa ritoccare i territori coinvolti e, quindi, il numero di persone da allontanare variando così il piano di emergenza e poi quello di evacuazione, con il risultato finale di ricominciare la querelle delle responsabilità con nomine e riunioni ed elaborazioni e commissioni che ad oggi ci sono costate 20 anni e non pochi soldi investiti...
Questo spiega perché nei piani di emergenza si assume l’evento massimo conosciuto e non quello medio che non garantisce nessuno. Il tecnico vuole lavorare sull’eruzione massima storicamente conosciuta, non solo perché così garantirebbe il garantibile, ma soprattutto perché si riuscirebbero a varare politiche di prevenzione che sono le uniche veramente efficaci in un contesta dove la previsione del fenomeno eruttivo è ancora pervasa da notevoli incertezze. D'altra parte il sottosuolo profondo è un illustre sconosciuto...
Nel precedente articolo abbiamo anche chiarito che le eruzioni non sono mai uguali l'una all'altra, esattamente come i livelli energetici in gioco che non possono essere  nettamente VEI4 o nettamente VEI5, ma possono avere una scala di interpolazione che ad esempio metterebbero fuori gioco il comune di Scafati, i cui confini gravano ad occidente sovrapponendosi alla linea nera Gurioli. Un punto dove si costruisce ancora con licenza edilizia, in barba a qualsiasi principio di prevenzione del rischio vulcanico.
Forse non è azzardato ritenere, giuridicamente parlando, che escludere la possibilità che un’eruzione del Vesuvio possa assumere toni ed energie diverse da una VEI4, abbia lo stesso peso scientifico previsionale dell’affermazione che ancora grava nel recente passato (terremoto L’Aquila), dove qualcuno escluse la possibilità di accadimento di un terremoto a forte intensità, in una condizione di perdurante crisi sismica …
Quello che gli scienziati non hanno intuito a fondo, è che certa politica fa tesoro delle parole e degli scritti prodotti dalla scienza, al punto da consentire come detto, al comune di Scafati, di dedicarsi ancora all’incremento demografico attraverso l’edilizia residenziale.
Anche nel documento del gruppo di lavoro A, alla stregua di quanto suggerito dalla commissione grandi rischi, si auspica che la pianificazione d’emergenza si aggiorni in ragione delle innovazioni scientifiche che porteranno nuove conoscenza sui vulcani.
Promulgando tesi statistiche e rinunciando ad assumere l’eruzione massima e storicamente conosciuta come eruzione di riferimento, abbiamo rinunciato contemporaneamente a qualsiasi politica di prevenzione, perché intorno al vulcano si edifica ancora e si espone nuova gente al rischio eruttivo pliniano.
Secondo il principio di precauzione, qualora una valutazione scientifica evidenzi la presenza di rischi e l’insufficienza o la contraddittorietà dei dati scientifici a disposizione, o che gli stessi non possono essere interamente dimostrati, né può essere precisata con esattezza la loro portata, il principio di precauzione impone nondimeno di adottare tutte le misure necessarie per azzerare o contenere la minaccia in questione, soprattutto se la minaccia è portata a un bene primario come la tutela della vita umana. L’assenza di certezza scientifica insomma, non può costituire un pretesto per la mancata o la tardiva adozione delle misure adeguate al contenimento del rischio…
Per i motivi anzidetti, riteniamo che ci sia più di qualche elemento su cui riflettere. Il dato che bisogna verificare innanzitutto è se nel sistema di protezione civile a fronte del rischio Vesuvio siano state adottate all’insaputa dei cittadini politiche derivanti dall’analisi costi benefici… Per quanto ci riguarda, avremmo preferito una volta scelta la statistica afferente all’ipotesi A riportata in tabella, che si fosse poi proceduto con il paradosso delle due buste, cambiando quindi busta, cioè preferendo l'ipotesi (B)...