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martedì 28 giugno 2016

Rischio Vesuvio: il risiko dell'attesa... di MalKo


Il Vesuvio da Torre Annunziata


Le fasi di allerta vulcanica previste nel piano d’emergenza Vesuvio, partono dalla soglia base che rappresenta, come suggerisce il termine, lo stato di quiete vulcanica. C’è quindi un livello giallo di attenzione; a seguire un’allerta da preallarme e poi allarme. Questi passaggi indicano la variazione dei parametri geofisici e geochimici del vulcano, in una misura non prestabilita ma da interpretare a cura della Commissione Grandi Rischi, organo istituzionale privilegiato di consulenza del Dipartimento della Protezione Civile. L’Osservatorio Vesuviano (INGV) invece, è centro di monitoraggio, cioè la struttura statale incaricata della sorveglianza dei vulcani campani, fregiandosi anche del titolo di Centro di Competenza. Questo vuol dire che all’occorrenza il pregevole istituto napoletano è chiamato ad esprime un parere autorevole in ordine alla valutazione del pericolo vulcanico. L’organo apicale decisionale è il Presidente del Consiglio che, in seno al comitato operativo del DPC, stabilisce che cosa fare in rapporto ai dati ricevuti in tutta segretezza, per salvaguardare, attraverso l’applicazione dei piani di evacuazione, l’incolumità dei cittadini esposti al rischio Vesuvio o ad altro vulcano partenopeo (Campi Flegrei; Ischia).

In riscontro ai vari livelli di allerta vulcanica, le autorità di protezione civile a iniziare dal Dipartimento e dai sindaci, varano le corrispettive fasi operative che hanno lo stesso trend al rialzo di quelle scientifiche di allerta vulcanica.

Secondo una nostra visione pragmatica di quello che potrebbe succedere nella plaga vesuviana in caso di reale allarme vulcanico, riteniamo che presumibilmente le fasi operative si ridurrebbero a due invece che a tre, con l’esclusione appunto dell’ultima fase, quella rossa, quella di allarme.

Dal nostro punto di vista infatti, è lecito attendersi che la maggior parte della popolazione vesuviana dimorante in zona rossa, prenderà il largo dallo sterminator Vesevo, nel momento in cui verrà diramato lo stato di preallarme vulcanico. Riteniamo che i cittadini anche se a scopo precauzionale, molto probabilmente non attenderanno la proclamazione dell’allarme vero e proprio per andare via.

Questa teorica discrasia operativa è nella normalità delle cose. Pondererete infatti, che si tratterebbe di applicare un piano di sicurezza senza nessun rodaggio e dalle molteplici incognite. Neanche a livello mondiale si è mai vissuta un’esperienza del genere, soprattutto perché trattasi di un piano di protezione civile che riguarda un vulcano esplosivo ubicato in un contesto particolarmente urbanizzato in area metropolitana. In caso di necessità allora, s’inaugurerebbero procedure che francamente e a pelle molti cittadini guarderanno con sospetto.  Troppe incertezze scientifiche e tecniche hanno accompagnato un ventennio di strategie operative a gogò. Piani di emergenza senza piani di evacuazione, un po' machiavellici e soprattutto orfani della prevenzione, aspetti che certamente non hanno favorito un rapporto di grande fiducia tra cittadini e istituzioni.


ll ragionamento che prenderà piega e forma nella mente del comune cittadino vesuviano nel momento del reale pericolo vulcanico annunciato dalle istituzioni, sarà incentrato sulla necessità di muoversi prima degli altri. Si muoverà per primo chi avrà una residenza alternativa in zona sicura. Si muoverà per primo chi rinuncerà a mettere su bagagli. Si muoverà per primo chi annuserà l’incombenza del pericolo senza attendere i proclami ufficiali. Si muoveranno per primi i dipendenti comunali che afferreranno alla fonte la notizia del passaggio da una fase all’altra, cimentandosi in frenetiche comunicazioni telefoniche. Saranno invece penalizzati i comuni mediani stretti fra mare e monte, che nel loro percorso evacuativo dovranno accodarsi ad altri che si sposteranno in maniera massiva. Sarà zavorra operativa la titubanza ad evacuare dei comuni ubicati in zona rossa 2, particolarmente confusi. Sarà imprevisto il movimento evacuativo di municipalità non inserite nella zona rossa ma incastrata ad essa, come ad esempio Striano. Ci sarà poi l’incognita circa le garanzie di presidio della polizia municipale deputata alla viabilità, sperando nel frattempo che le forze dell’ordine accorse in massa, abbiano i nervi saldi per attendere con self control di chiudere il corteo degli evacuati e con esso il cancello d’uscita dalla zona rossa, forse a tempo già scaduto…

La teoria statistica adottata dal dipartimento della protezione civile di assumere come eruzione di riferimento un’eruzione di bassa – media  intensità (VEI 4) in luogo di quella massima conosciuta (pliniana), incomincia ad essere un fattore noto, quindi  non si possono escludere allontanamenti spontanei di cittadini residente oltre la zona rossa.  Infatti,  con l’incalzare dell'informazione, molti vesuviani non accetteranno passivamente l'incognita eruttiva finchè avranno la possibilità di fare un passo indietro e mettersi al sicuro. Parliamo di comuni come Volla, Striano, la parte meridionale di Cicciano e Saviano… lì, ai margini della linea nera Gurioli.

Le eruzioni non sono una pedissequa ripetizione di un copione conosciuto. Le eruzioni non seguono i principi di clonazione stile pecora Dolly. Non sono fotocopie l’una dell’altra. Le eruzioni sono fenomeni di alta vitalità del Pianeta, ma sono anche energie che, come gli incendi, non sono mai uguali. L’eruzione massima che i maghi statistici dell’INGV hanno ritenuto probabile nel medio termine, se il Vesuvio sfortunatamente dovesse porre fine al suo stato di gradita quiete, come dicevamo è stata qualificata con un'intensità VEI 4. Ma una VEI 4 potrebbe essere pure un’eruzione VEI 3.9 oppure 4.1 oppure 4.2… Le energie  dissipate in atmosfera generalmente non sono quantificabili con precisione micrometrica e la scala dei valori avrà senz'altro una linearità al rialzo o al ribasso… L'interpolazione numerica della VEI magari non è prevista dal mondo della vulcanologia, ma rende maledettamente bene l’idea di quello che si vuole dimostrare. Ricordiamoci poi, che i flussi piroclastici non sanno leggere i confini amministrativi…  

Questa nostra idea della linearità energetica serve a dimostrare l’assurdo governo amministrativo della zona rossa 2, terra di cementificazione residenziale con licenza edilizia, ai margini risicati di una VEI 4.0...  In altri punti ancora invece, capeggia l’assenza di una fascia di rispetto a ridosso della linea nera Gurioli.

L’immagine sottostante evidenzia la nostra proposta di riperimetrazione della zona rossa che, così come presentata, resisterebbe nel senso della prevenzione, a un’eruzione VEI 4 diciamo…“rinforzata”.
I limiti della zona rossa proposta da MalKo

E’ di difficile attuazione una tale reimpostazione sic et simpliciter della zona rossa dilavata da sigle e numeri, nonostante si offra al vantaggio di non disorientare il cittadino. La difficoltà esecutiva è tutta racchiusa unicamente nel fatto che in questa zona ad ampio respiro, troverebbe poi applicazione la legge regionale 21 del 2003 che vieta ulteriori insediamenti residenziali nella zona rossa ad elevato pericolo vulcanico. Oramai e come sapete, appena si tocca l’oro cemento, qualsiasi proposta è messa subito a dura prova anche perché la criminalità e la politica di basso livello  formerebbero subito comitati V - day contro la zona rossa: l’affaire vesuviano è un cane che si morde la coda…

Siffatta proposta sarebbe comunque un primo passo in avanti, insieme all’informazione corretta e puntuale, onde consentire nell’arco di oltre un secolo di mettere mano al riordino del territorio vesuviano e non solo di quello, secondo la linea verde che racchiude in giallo l’invasione dei flussi piroclastici di due pliniane, così come evidenziato dalla mappa sottostante, allegata al lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli a proposito dei depositi da colate piroclastiche.

Mappa Gurioli: la linea nera circoscrive l'attuale zona rossa. In giallo i territori
invasi dalle colate  piroclastiche di 2 famose eruzioni pliniane.

Se la prima applicazione reale del piano nazionale d’emergenza rischio Vesuvio andrà buca, cioè fallirà la previsione dell'evento vulcanico e verrà lanciato un allarme senza seguito eruttivo, una seconda edizione probabilmente vedrebbe la popolazione maggiormente propensa all'attesa e sarebbe meno tempestiva nell’allontanarsi, perché avrà sperimentato sulla sua pelle che il preallarme può anche rientrare o durare mesi e anni. Ecco: il problema principale si avrà allora col primo allarme vulcanico… Per concludere le nostre disquisizioni, secondo principi di emulazione che caratterizzano le masse, è difficile pensare davvero che la popolazione del vesuviano vedrà molti concittadini andare via nella fase di preallarme perché hanno la seconda casa altrove, e loro resteranno impavidamente  ad aspettare  il risiko delle 72 ore in un contesto di segretezza dei dati vulcanologici di monitoraggio.
Le grandi incognite di questo piano d'emergenza sono racchiuse nei tempi e nella percezione da parte dei sensi del pericolo vulcanico. Il panico infatti, potrebbe essere il nemico numero uno...


domenica 19 giugno 2016

Rischio Vesuvio: politica, vulcani e vulcanologia... di MalKo


Vesuvio da Torre del Greco


Il disegno di legge S.580-B approdato dalla Camera al Senato della Repubblica, contiene disposizioni in materia di criteri per l'esecuzione delle demolizioni dei fabbricati abusivi posti al vaglio della magistratura. In sintesi, il singolare disposto legislativo che porta la firma del senatore Falanga, parlamentare di Torre del Greco, si prefigge di stabilire l’ordine di priorità per procedere agli abbattimenti delle case fuorilegge. Non essendoci soldi a sufficienza per ingaggiare le ruspe, questo astuto provvedimento servirà ad abbattere solo le costruzioni abusive ricadenti in zone particolarmente vulnerabili o di rilevanza ambientale, culturale, paesaggistica e archeologica o, con un'impronta del malaffare. 

Non sanare e non abbattere almeno quelle non poche magioni cosiddette di necessità, mandando le relative pratiche nel dimenticatoio burocratico, viene intravisto come un efficace espediente da realpolitik.

Il canovaccio che potrebbe allora diventare legge a breve, indica quindi cosa smantellare per primo, con un ordine prioritario che dovrebbe consentire alle costruzioni senza licenza, fatte dai poveri cristi, come li definisce in un articolo giornalistico il governatore campano, di cavarsela per il rotto della cuffia addirittura sanando il sanabile. Che sia un problema serio l’abusivismo edilizio ce lo conferma lo stesso governatore De Luca, quando afferma sulla stampa che se si procedesse a tutti gli abbattimenti abusivi in Campania (70.000), non ci sarebbero cave a sufficienza per smaltire le camionate di calcinacci… Non una parola però sugli eclatanti omessi controlli…

Al primo punto, si legge nel disposto 580-B, dovranno essere demolite le costruzioni di rilevante impatto ambientale o costruite su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico. A seguire poi, l’edificato che porta lo zampino della delinquenza, del business irregolare e in ultimo gli abusi edilizi riconducibili a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongano di altra soluzione abitativa, con contestuale comunicazione alle competenti amministrazioni comunali in caso di immobili in possesso di soggetti in stato di indigenza. Fin qui quindi, il massimo e il minimo su cui potrebbero accanirsi i mezzi cingolati.

Nella formulazione del disposto numero uno manca completamente il vincolo vulcanico. La zona rossa Vesuvio, anche fuori dai tenimenti del Parco Nazionale Vesuvio, annovera centinaia e centinaia di case abusive che gli accaparratori del voto tentano di sanare come promesso elettoralmente. Voto non olet!

Tecnicamente parlando allora, o anche per serietà se volete, per una sua completezza logica questo articolo di legge doveva così essere formulato: dovranno essere demolite prioritariamente le costruzioni di rilevante impatto ambientale o costruite su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale o ad alto rischio vulcanico o a vincolo paesaggistico o a vincolo sismico o vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico. Con siffatta e più completa enunciazione, avremmo dato senso compiuto al concetto che i grandi eventi naturali proprio per l’ingerenza e la sopraffazione antropica del territorio, sovente si trasformano in catastrofi.

Entrando dentro la faccenda, ricordiamo che la nostra Penisola raggruppa tre grandi problematiche di ordine naturale: i Terremoti, i Vulcani e il Dissesto Idrogeologico.

I terremoti come sapete sono legati ai movimenti litosferici delle zolle grandi e piccole che si scontrano, e si sfregano e si insinuano una sotto l’altra. Il rilascio istantaneo delle energie assimilate dagli immani blocchi, cagionano dei sussulti anche violenti che si trasmettono tanto ai manufatti dell’uomo che rovinano, quanto alle masse d’acqua marina adagiate sulla crosta. In quest’ultimo caso, le possenti energie in gioco possono a volte formare le terribili e devastanti onde di maremoto.
L’Italia è certamente un Paese soggetto ai fenomeni sismici, soprattutto lungo la catena alpina e appenninica e nella zona estrema peninsulare e insulare della Calabria e della Sicilia. I terremoti come sapete non si riescono ancora a prevedere e quindi ad escludere. Di conseguenza la difesa che le popolazioni devono attuare contro questo fenomeno non localizzato, è indubbiamente di ordine preventivo, con case che andrebbero realizzate o rinforzate con un indice di resistenza sismica adeguato alle sollecitazioni massime che solitamente in quel determinato luogo gli archivi storici ci consegnano.

Classificazione sismica Regione Campania

Il dissesto idrogeologico invece, è frutto degli elementi esogeni che hanno il compito di demolire i rilievi sfruttando tra l’altro le acque correnti e la forza di gravità. Se si abita al di sotto di un rilievo grande o piccolo che sia, o sulla groppa di un terreno instabile, bisogna valutare bene se sussistono gli estremi per realizzare opere di difesa o di contenimento, perché le frane sono repentine e difficilmente prevedibili.
I vulcani invece, portano in serbo energie di tutto rispetto non valutabili in anteprima. Nei 1171 Km2 della provincia di Napoli, oggi città metropolitana, sono ben tre (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia) i distretti vulcanici che caratterizzano il territorio partenopeo, con i suoi oltre tre milioni di abitanti.
Il Vesuvio  venne definito dalla rivista Nature come la bomba a orologeria d’Europa: una bomba che nessun artificiere è in grado di disinnescare. Il timer geologico di questo vulcano, rimanendo nel campo delle analogie, non è tarato su giorni e ore bensì su una quantità imponderabile di anni, e mesi, giorni, ore e minuti e secondi. Un tempo forse con moltissime cifre, come i granelli di una clessidra che alla fine però, scorreranno tutti dalla strozzatura vitrea.
Dall’ultima eruzione sono passati 72 anni. Il problema del Vesuvio è che non solo non si conosce esattamente l’eruzione zero da cui contabilizzare il tempo che passa, (scarni elementi statistici a disposizione), ma non si conoscono neanche nell’attualità le quantità di tritolo equivalenti che potrebbero essere messe in gioco dall’eruzione e che per il passato sono state tra le più impensabili ed espresse in megatoni.
D’altra parte non si conosce neanche la consistenza dell’involucro che costipa e tiene a freno le energie sotterranee e il suo livello di fratturazione, così come la composizione della miscela eruttiva. Insomma, il Vesuvio è uno scrigno di incognite per molti, mentre per pochi stranamente racchiude certezze statistiche inoppugnabili…
Dal terremoto ci si difende strutturalmente dimorando in edifici robusti abbastanza da resistere alle sollecitazioni sismiche preventivate per quella zona. Diversamente proiettandosi all’esterno dell’abitazione alle prime avvisaglie del sisma: cosa impossibile però, per chi abita luoghi diversi dal piano terra. Questo significa poi, che c’è una maggiore vulnerabilità per i dimoranti nelle ore notturne, perché si dorme e si è al buio. In siffatte condizioni, occorrono secondi per destarsi, comprendere e reagire. Per una serie di variabili dunque, la fuga non può essere la mossa vincente decisiva.
In teoria vivendo in zona sismica, possiamo fissare una parete o un solaio e chiederci con quanta violenza potranno essere scossi dal prossimo terremoto e se resisteranno e si manterranno integri. In altre parole il danno potrebbe derivarci da quello che già osserviamo, e la nostra difesa è racchiusa e legata idealmente alla struttura cementizia che ci circonda e su cui potremmo esercitare un’azione difensiva preventiva.
Nel caso delle eruzioni esplosive invece, tra i fenomeni maggiormente preoccupanti le colate piroclastiche occupano un posto da primo piano. Parliamo di qualcosa che può materializzarsi sopra il monte e che potrebbe collassare, rotolare e raggiungerci. Non c’è riparo dalle colate, non solo perché queste valanghe ardenti hanno un’azione meccanica di sradicamento e abbattimento dei manufatti di tutto rispetto, ma anche perché i flussi piroclastici hanno una temperatura d’esercizio di diverse centinaia di gradi Celsius.
L’ospedale del mare ubicato in zona rossa (Ponticelli), è additato come cattivo esempio di prevenzione, perché pur essendo largamente antisismico, non garantirebbe alcuna protezione a fronte delle nubi ardenti che in caso di eruzione potrebbero avvolgerlo e penetrarlo con materia e materiali che possono anche superare i 500° Celsius. Su questi depositi piroclastici roventi, tanto per dare l’idea, è impossibile camminarci  per un certo numero di giorni…
Le nubi ardenti di una pliniana possono scorrere e raggiungere anche i 20 chilometri di distanza dall’apparato vulcanico, e la parte aerea pure oltre come ci narrano le lettere di Plinio il giovane da Miseno... Questo significa che le procedure di difesa della popolazione dovranno comprendere giocoforza e all’occorrenza, esclusivamente l’evacuazione preventiva dalla zona vulcanica in 4320 minuti… Questo è il tempo che gli esperti regionali hanno calcolato per allontanare circa 800.000 abitanti e, quindi, il margine di dubbio entro cui le operazioni di allontanamento dovranno concludersi a prescindere se l’eruzione poi ci sarà (successo) o meno (insuccesso). Si badi però, il termine delle 72 ore per evacuare non è dettato solo dalla matematica evacuativa, bensì dalla necessità tutta vulcanologica di arrivare “sotto” abbastanza a una condizione di parametri del vulcano sufficientemente indicativi, e che vadano nella direzione dell’evento eruttivo che comunque e alla fine potrebbe non esserci.
La politica supportata dalla scienza statistica dell’INGV, lo ricordiamo ancora una volta, ha definito l’ampiezza della zona rossa basandosi con un piglio deterministico sulla proiezione statistica che la futura eruzione del Vesuvio sarà di bassa-media entità: una VEI 3 o al massimo una sub pliniana VEI 4. In questo caso i territori interessati dai fenomeni più deleteri sarebbero circoscritti nell’ambito dei circa dieci chilometri dalla bocca eruttiva.
Questa mediazione sull’intensità della prossima eruzione (VEI 4) non suffragata da dati matematici, porta all’assurda situazione che, anche se riesce il colpaccio della precisa previsione dell’evento vulcanico, e, quindi, le 72 ore sono rispettate e gli 800.000 abitanti vengono evacuati dall’attuale zona rossa prima dell’eruzione, in caso di evento con indice di esplosività VEI 5, cioè pliniana, nonostante il successo della previsione vulcanica assisteremmo a una catastrofe epocale dovuto alla sottostima dell’area da evacuare, che non comprende una corona di cerchio con superficie tripla rispetto a quella effettivamente evacuata.  Fatevi un po’ i conti… 


Schematizzazione concettuale delle aree soggette a invasione dei flussi piroclastici
Il mondo politico e istituzionale ribadisce continuamente che siamo protetti perché i vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano sono in grado di cogliere mesi prima l’eventuale variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano tendenti all’allarme.  Alcune analogie con i fatti dell’Aquila e delle risultanze della commissione grandi rischi a proposito del terremoto escluso, suggerirebbe una maggiore accortezza in questa che detta così è una formulazione di previsione. Si chiarisca meglio il concetto. Bisogna spiegare bene che mesi e anni prima possiamo anche cogliere una variazione dei parametri controllati del vulcano, ma dobbiamo attendere comunque gli ultimi giorni magari realmente pre eruttivi per avere una modica certezza che si sta andando davvero verso l’eruzione. Bisogna allora avere la onestà intellettuale di ribadire nell’opera informativa alla cittadinanza, ma soprattutto alle istituzioni di protezione civile e soprattutto agli enti territoriali che nicchiano, che tutte le più sofisticate attrezzature del mondo e congegni super elettronici e di derivazione spaziale satellitari messi in campo per il monitoraggio dei vulcani, in realtà riescono solo ad anticipare i tempi della crisi, ma non portano un solo grammo in più di previsione dell’evento eruttivo. Il bradisismo degli anni ’80 docet

Nel frattempo dedichiamo questo articolo ai vulcanologi forse troppo presi dai loro studi e modelli matematici per accorgersi che nel frattempo e sulla base delle loro considerazioni preventive e statistiche, a un metro dalla linea nera Gurioli o se volete ai limiti della zona rossa VEI 4, si costruisce con regolare licenza edilizia come succede nei comuni di Poggiomarino e Scafati. Parliamo di due municipalità new entry di una certa superficie e importanza, che tra l’altro con pari dignità e cautela, sono  inserite nella zona rossa da evacuare in caso di allarme, come recita un provvedimento governativo a firma del presidente Letta.

La statistica risicata offerta dall’INGV che ha azzerato opzioni diverse dalla sub pliniana come eruzione di riferimento, non viene quindi usata per correre qualche rischio in più in nome del tempo necessario per riordinare i territori vesuviani con politiche viarie e di delocalizzazione degli abitati in nome della prevenzione. Tutt’altro: la buona novella è stata manovrata per urbanizzare a tutta forza quei territori con case tra l’altro ambite e comprate proprio dalla popolazione della zona rossa 1 (R1), che non potendo più edificare nel senso residenziale per effetto della legge regionale 21 del 2003, compra abitazioni nella zona rossa 2 (R2).



Qualcuno potrebbero chiedersi perché se la zona rossa è pericolosa e tutta da evacuare in caso di allarme o pre allarme vulcanico che potrebbe durare anni, nella zona R2 si costruisce a larga manica con licenza edilizia e nella zona R1 è impossibile edificare e secondo logica sanare gli abusi? Ve lo spieghiamo subito…


Vesuvio: zona rossa e gialla

La zona rossa Vesuvio come vedete dal disegno soprastante, è stata suddivisa dalla politica e da una certa scienza, in zona rossa una e zona rossa due. La zona rossa 1 è stata definita dai vulcanologi ad alta pericolosità vulcanica. La zona rossa 2 invece, solamente a pericolosità vulcanica. La mancanza del termine alta consente il rilascio di licenze edilizie… Eppure la commissione grandi rischi ha stabilito che la zona ad est del Vesuvio, a prescindere dal tipo di eruzione, e quindi dall’indice di esplosività vulcanica, sarà comunque soggetta alla pericolosa pioggia di cenere e lapilli…
Sarebbe stato particolarmente utile poi, che qualcuno avesse corretto l’ex assessore Edoardo Cosenza quando declamava che una sola eruzione pliniana aveva colpito negli ultimi 23000 anni la plaga vesuviana. La mappa Gurioli in realtà porta questa dicitura (1) intendendo i territori colpiti dalla tipologia pliniana.  Infatti, l’area gialla che vedete in figura, si estende verso nord facendo riferimento all’eruzione pliniana di circa 3800 anni fa, e quella che si estende verso sud, e la cui espansione è bloccata dai Monti Lattari, è relativa alla pliniana di Pompei.  Quattromila anni fa una pliniana, duemila anni fa un’altra…

Mappa redatta dalla ricercatrice Lucia Gurioli - In evidenza anche la linea nera

Non vorremmo che si sia cercato di obliare il concetto che una pliniana come quella tipo delle pomici di Avellino possa investire la città di Napoli e per un largo comprensorio e tra l’altro con un’incidenza verso nord diversamente dal baricentro dei fenomeni eruttivi attualmente sbilanciato ad est…

Visto che questo articolo è indirizzato ai vulcanologi, occorre anche precisare che ad oggi non esiste alcun piano di evacuazione per l’area vesuviana e flegrea mentre per l’isola d’Ischia mancano addirittura gli scenari di rischio. Com’è possibile che dopo 21 anni di annunci e supponenza interventistica si scopre che non c’è il piano d’evacuazione almeno per il Vesuvio? Semplice… il piano d’emergenza è un documento che racchiude praticamente tutto: gli scenari relativi all’eruzione di riferimento, i livelli di allerta, le fasi operative, l’organizzazione da mettere in campo, i gemellaggi, la catena di comando, ecc. Il problema è che in questo compendio manca il piano di evacuazione. E’ molto grave questa mancanza, perché non ci sono più scenari di rischio analizzati e con cui cimentarsi, e quindi comportamenti difensivi diversi. Il piano d’emergenza nazionale rischio Vesuvio tratta un unico grande pericolo: l’eruzione. Se malauguratamente dovesse manifestarsi questo evento di grande pericolo, l’unica operazione di tutela possibile è la totale evacuazione della zona rossa Vesuvio. Stampa e televisione hanno sempre e solo parlato di piano d'emergenza... e quello c'è!
Considerato che la politica non riesce a innescare alcuna opera di prevenzione, leggasi rinunce e impegno intellettuale di pianificazione basato su molti decenni, preferisce non rinunciare all’orocemento, affidandosi così a tutti coloro che giurano che la previsione vulcanica è possibile e con largo anticipo. In questo caso non occorre un piano di evacuazione che intanto non c’è, ma basta un programma di mobilitazione extraurbano del tipo grandi eventi…
Il lavoro degli scienziati allora non può essere di neutralità totale se vuole essere anche utile per l'umanità; anche gli scienziati dovrebbero sporcarsi le mani negando alla politica quella spalla, ovvero quell’enunciazione ad hoc per andare avanti verso una spregiudicatezza che poi può trasformarsi in catastrofe magari in danno ai posteri… Una eruzione pliniana diventerà un fattore possibile, tra alcune manciate di anni, anche per coloro che amano la statistica dei pochi dati tra le mani. Nel frattempo sappiate che i territori che un giorno saranno della pliniana, si stanno impinguendo di case. Sarà interessante la collocazione che il senatore Falanga e il presidente regionale Vincenzo De Luca daranno alla zona rossa Vesuvio, a proposito della priorità negli abbattimenti ovvero alla sussurrata sanatoria edilizia che, riferisce il governatore e con convinzione, dovrà essere attuata necessariamente ma con esclusione delle zone rosse in genere… Nel frattempo però, giudichiamo ancora più interessante l'atteggiamento dell'Osservatorio Vesuviano, dell'INGV e della scienza in generale...
La zona rossa Vesuvio da evacuare totalmente in caso di allarme vulcanico