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giovedì 26 giugno 2014

Rischio Vesuvio, abusi e priorità.



Rischio Vesuvio e la catena delle priorità… di MalKo

L’argomento Vesuvio col suo carico di rischio e di bellezza naturale, rappresenta purtroppo anche un crocevia di interessi che non lascia molto spazio alle garanzie di sicurezza che dovrebbero essere un importante traguardo sociale da appagare e da riconoscere ad ogni singolo cittadino della repubblica. Lo dice pure la carta dei diritti dell’uomo… Dovrebbe essere così, ma non è così! La sicurezza è un argomento rosicchiato dal malessere quotidiano che ha il sopravvento in termini di priorità su altre cose. In queste contrade il pericolo eruttivo è il più delle volte traccheggiato dalle maestranze locali, che rimandano sempre a responsabilità primitive l’incredibile connubio che si è concretato tra la conurbazione e il focoso monte; una miscela esplosiva definita dai media internazionali come la vera bomba a orologeria d’Europa.
La politica qui non parla di pericoli: ha bisogno solo di voti. Il business invece, ingurgita cemento e mattoni vomitando case abusive invisibili alle istituzioni, come gli stealth ai radar di sorveglianza.

I convegni che si organizzano sul rischio Vesuvio sono veramente tanti al punto che conosciamo tutti i forse possibili a proposito della previsione. Dei piani d’evacuazione invece, non sappiamo un bel niente, eppure molti giurano che esistono, secondo una sorta di postilla contrattuale che prevede di rassicurare a prescindere per non allarmare. Come se bastasse questo modus operandi per esorcizzare il pericolo...

La cattiva politica locale inquinata da influssi nazionali, ha prodotto un raccolto di mala amministrazione e pessima gestione del territorio, dove insani intrecci hanno generato anche l’onta delle discariche d’immondizia all’interno del declamato Parco Vesuvio. Chi capitanò l’interramento dei rifiuti in realtà non aveva una grande considerazione del popolo vesuviano; blaterò, infatti, che un’eruzione non sarebbe stata una grande disgrazia
In nome non si capisce bene di quale sviluppo ristoratore, hanno poi consentito ai bus turistici di transitare all’interno della riserva forestale di protezione integrale Tirone  Alto Vesuvio, un’oasi nell’oasi, facendo impazzire quei pochi animali che ancora esistono e resistono alla spinta antropica, e i sismografi di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano, che segnalano isterici tracciati ad ogni transito dei pesanti furgonati quattro per quattro. La funivia tanto vituperata sarebbe stata certamente più silenziosa, meno invasiva e meno inquinante. Si riprenda allora il progetto bocciato in nome dell’ambiente per riproporlo in nome dell’ambiente…

Nonostante stazioni e tenenze e garitte e comandi e volanti, sono state costruite migliaia di costruzioni abusive nella zona rossa Vesuvio, i cui proprietari oggi reclamano l’impunità e il diritto ad esistere perché le case non sono state sigillate sul nascere dalla legge.  La legge… polifemica ma con un occhio solo, che non si avvede neanche di una villa da seicento metri quadri su due livelli, costruita abusivamente con tanto di strada tra gli alberi di quella natura che tutti dicono di voler difendere.

La politica locale intanto, pressata dai cosiddetti cementificatori di necessità e indigenti con le ruspe alle porte, per salvare il salvabile ha scritto alla politica nazionale che ha trovato la salomonica soluzione del limbo amministrativo per le costruzioni abusive. L’espediente che sa di scientifico, prevede la scaletta delle priorità d’abbattimento… prima quelle pericolanti; poi quelle allo stato rustico; poi quelle utilizzate per scopi criminali e affini; poi quelle a rilevante impatto ambientale; poi quelle a utilizzo turistico o similare; poi quelle utilizzate come seconda dimora; poi quelle costruite per attività produttive; poi le case di coloro che hanno nella disponibilità personale altre case dove andare; poi altri immobili a vario titolo e classificazione diverse dal bisogno, e solo dopo e in ultimo, potranno abbattersi le case abusive realizzate da nuclei familiari che non hanno altro tetto sotto cui ripararsi, e dulcis in fundo, se è rimasto qualche spicciolo, ci saranno da abbattere le abitazioni degli indigenti. I fondi disponibili annualmente per il ripristino della legalità e dello stato dei luoghi reggono il confronto con la famosa conchiglia per svuotare il mare. Secoli…che poi sono proprio quelli necessari per concatenare gli eventi che portano alle catastrofi da cigno nero.

Nella zona vesuviana c’è sempre stato il controsenso del piano d’emergenza che aspetta che si completino alcuni grandi opere come la terza corsia sulla Napoli Salerno e la doppia corsia sulla statale vesuviana 268, di là da venire… In una realtà sana dove la vita umana ha un valore altissimo, si sarebbero dovuto registrare filosofie inverse, cioè uno sviluppo che doveva adeguarsi alle esigenze dei piani d’emergenza e d’evacuazione, perché la prima regola in una società di diritto è quella della protezione di bambini, donne e uomini, tanto per rimanere nel campo delle priorità.
Che non ci sia un granché d’interesse per la pianificazione delle emergenze in area vulcanica lo dimostrano i fatti. E ancora lo dovrebbe dire la corte europea di Strasburgo  sui diritti dell’uomo, che dovrà pronunciarsi sulla bontà delle misure di tutela adottate nel vesuviano. Aspettiamo le risultanze…
La pioggerellina di soldi europei stanziati per la stesura dei piani comunali, state pur certi saranno utilizzati per mettere insieme una dissertazione scientifica sulle eruzioni passate e future, un glossario di termini e un database di provviste e esercizi commerciali da utilizzare all’occorrenza. O ancora una lista di materiale da comprare per farne dotazione ai volontari di protezione civile che sono la foglia di fico dietro di cui si nascondono molte amministrazioni comunali inconcludenti.

Ritornando al problema degli abusi edilizi, riteniamo che l’enormità del fenomeno renda la strada degli abbattimenti difficilmente perseguibile, anche perché i cittadini sfollati alla fine orbiterebbero comunque nel vesuviano senza ridurre il valore esposto che rimane tale. D’altra parte non è possibile neanche far passare indenne le malefatte cementizie perché lo Stato ne uscirebbe a pezzi. La necessità non può essere una regola. Deve essere un’eccezione, e le eccezioni non si possono contare a centomila.
Occorre quindi, qualora si scelga la strada del salvataggio, che su tali abitazioni si imponga forte la clausola dell’invendibilità, che deve essere interpretata anche come assunzione di responsabilità diretta del proprietario all’esposizione a un pericolo grave e sancito che non può essere in alcun modo ceduto ad altri.
Bisognerà poi instaurare la clausola della destituzione del sindaco e lo scioglimento dei consigli comunali che non reprimono sul nascere il fenomeno dell’abusivismo edilizio, che va circostanziato da relazioni annuali a cura del comandante della Polizia Municipale e del capo dell’ufficio tecnico, che devono essere titolari dell’osservatorio locale sull’abusivismo. Documenti ovviamente controfirmati dal sindaco quale autorità comunale.

Diversamente, se si ritiene necessario abbattere i manufatti fuorilegge, la priorità la dovrà dare la classificazione della zona dove sorgono i fabbricati recuperando e adattando la cronologia di schedatura iniziale. In questo caso le autorità giudiziarie cui deve rimanere assolutamente la gestione dell’abusivismo edilizio in senso penale, dovrebbero discriminare e reprimere gli abusi perpetrati innanzitutto in zona rossa 1 (R1), che è poi quella più pericolosa delimitata dalla linea nera Gurioli.
La materia è complessa e dobbiamo necessariamente riparlarne…



domenica 22 giugno 2014

Rischio Vesuvio e l' abusivismo edilizio da obliare...

La plaga vesuviana e il Vesuvio visti dai monti Lattari

“Rischio Vesuvio e abusivismo edilizio: un decreto legge 
propone l’oblio.”   di Malko
Al senato è stato presentato  un Decreto Legge riguardante l’abusivismo edilizio in Campania, che ha nelle sue fondamenta ispiratrici alcune semplici considerazioni così riassumibili.  In alcune province campane, tra cui Napoli, si contano ben 270.000 costruzioni abusive. Ci sono soldi per abbatterne appena 1000 all’anno. Il senatore che ha proposto la legge, ha ravvisato nella sua iniziativa parlamentare la necessità di stilare una graduatoria delle priorità di demolizione, che dovranno contemplare primamente quelle pericolanti, e poi quelle realizzate dalle organizzazioni criminali e quindi quelle speculative, e solo in ultimo la scaletta degli abbattimenti potrà annoverare  le case abusive realizzate secondo le discutibile logiche della necessità abitativa, considerata un male minore in un contesto territoriale fatto di molti vincoli e poca pianificazione dello sviluppo sostenibile.
A conti fatti però, il pallottoliere riferisce che gli abusivi potrebbero tranquillamente vivere nei manufatti fuorilegge per  decine e decine di anni. Con i numeri in gioco era prevedibile e scontato che le associazioni ambientalistiche avrebbero subito gridato al condono edilizio mascherato… Qualcun altro ancora invece, si chiede se i proprietari degli edifici che si propone di relegare in un limbo amministrativo, hanno pagato e pagheranno le tasse alla stregua di quelli interamente immersi nell’inferno del balzello e senza alcuna scappatoia…
A ben pensarci è veramente straordinario il concetto contenuto nel decreto proposto, che salva capre e cavoli, cioè legalità e bisogno, prevedendo un congelamento della pratica di abbattimento per decine e decine di anni. 
La strategia consisterebbe nel relegare nel futuro la trattazione della faccenda penale che nel frattempo diventa amministrativa, e che potrebbe consistere in un abbattimento del mattone fuorilegge con un attimo di secolare ritardo, magari rivalendosi sui dolosi del cemento che dovrebbero  essere addirittura gli eredi e,quindi, totalmente incolpevoli dei reati ascritti ai loro avi…
Il primo cittadino di Torre del Greco è anche il primo fan di questa proposta; per sollecitare l’approvazione del DDL Falanga infatti, ha chiesto e ottenuto l’appoggio dei colleghi di Nola, Cercola, Pollena Trocchia, San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania, San Giorgio a Cremano, Ottaviano, Terzigno, Massa di Somma, Boscotrecase, Scafati, Trecase, Torre Annunziata, Boscoreale, Ercolano e San Sebastiano al Vesuvio. Tutti comuni in febbrile attesa per raccogliere i frutti di questa geniale proposta di salomonica politica. Municipi accomunati fra loro anche e soprattutto dalla condivisione del rischio vulcanico e dall’assenza di un piano di evacuazione utile per salvaguardare i cittadini amministrati, abusivi compresi. Queste amministrazioni  infatti, rientrano tutte nella zona rossa a sfollamento totale in caso di allarme vulcanico. Di seguito un promemoria…

Boscoreale
Zona rossa 1

San Giorgio a Cremano
Zona rossa 1
Boscotrecase
Zona rossa 1

San Giuseppe
Vesuviano         
Zona rossa 1
Cercola
Zona rossa 1

San sebastiano al
Vesuvio
Zona rossa 1
Ercolano
Zona rossa 1

Scafati
Zona rossa 2
Massa di somma
Zona rossa 1

Terzigno
Zona rossa 1
Nola
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona gialla
Zona blu

Torre annunziata
Zona rossa 1
Ottaviano
Zona rossa 1

Torre del Greco
Zona rossa 1
Palma Campania
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona rossa 2

Trecase
Zona rossa 1
Pollena Trocchia
Zona rossa 1




La zona rossa 1 (R1), lo ricordiamo per i nuovi lettori, è quella invadibile, in caso di eruzione sub pliniana o pliniana, dalle colate piroclastiche, cioè qualcosa di molto simile a una valanga di fuoco che, dalla colonna eruttiva che s'innalza per chilometri verso l’alto, si stacca scivolando ad altissima velocità sui fianchi del vulcano distruggendo e bruciando ogni cosa sul suo cammino e nel giro di pochi minuti.
La zona rossa 2 invece, riguarda quei territori dove è più probabile che la pioggia di cenere e lapillo possa assumere valori di invivibilità già nelle prime fasi dell’eruzione. Si prevedono sommovimenti accentuati degli edifici sovraccaricati; crollo dei solai di copertura; fermo dei motori e difficoltà anche gravi della respirazione. Tant'è che entrambe le zone rosse  (R1 e R2), per i motivi suddetti, ricadono  nella zona  a evacuazione totale e preventiva.


(rischio Vesuvio) La zona rossa di evacuazione totale

Secondo l’oramai noto principio di precauzione e alcune logiche legate anche al disposto giuridico di colpa cosciente, ben difficilmente lo Stato potrà dilazionare l’abbattimento di abitazioni costruite in un sedime a rischio. Che sia o meno un abuso di necessità infatti, non risolve la premessa iniziale che trattasi di zone sottoposte a un pericolo immanente.
Intanto queste notizie relative a una possibile risoluzione del problema abusi edilizi, fosse anche di semplice dilazione dei tempi d’abbattimento, non fanno altro che offrire un input in più alle bitumiere che languono  ma insonni all’ombra del vulcano in attesa degli eventi.
Occorrerebbe poi una commissione d’inchiesta che spieghi com’è possibile che in una zona rossa fortemente a rischio siano stati realizzati migliaia di fabbricati abusivi senza che nessuno si sia accorto sul nascere della pervasività del fenomeno cementizio. Un'accidia incredibile... Tutti orbi sordi e muti?
Saremmo pronti anche a sostenere le logiche di un condono edilizio nel vesuviano perchè il problema c'è ed è smisuratamente grande, ma solo dopo che siano stati formalizzati alcuni tombali capisaldi regolamentari, tra cui il divieto di vendere la residenza sanata, dando poi forza al principio di destituzione del sindaco per abuso edilizio rapportato all’omessa vigilanza del territorio di pertinenza.

Molti forse non sanno che uno dei pochi casi in Italia di rimozione del primo cittadino per incapacità nel frenare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, si registrò proprio  nel tenimento di Terzigno... una cittadina che è stata per anni la vera punta di diamante dell’abusivismo edilizio nella zona rossa Vesuvio. 

martedì 10 giugno 2014

Rischio Vesuvio: la geologia dei forse...




“Il rischio Vesuvio e la geologia dei forse…” di MalKo

Il rischio Vesuvio è un argomento che può essere approcciato da diversi punti di vista e ovviamente con logiche che dipendono moltissimo dall’osservatore e da quello che si vuole dimostrare chiamando in causa il famoso gigante.
Ci sono alcuni aspetti oggettivamente problematici e di difficile risoluzione per chi tratta i piani d’emergenza, come l’imprevedibilità del fenomeno eruttivo, sia da un punto di vista del quando (Qd) avverrà che del quanto (Qe) energetica potrà essere la futura eruzione che nessuno esclude.
Due acronimi (Q) allora, quello del tempo e dell’energia, su cui gli scienziati di tutto il mondo si scervellano palesando pareri anche ben articolati ma mai suffragati da certezze matematiche, col risultato finale di un’abbondanza di forse.  Ovviamente trattandosi di argomenti in una certa misura opinabili per le incognite in gioco (un limite internazionale), in Italia e per i pericoli naturali si tiene conto più che del parere del singolo ricercatore, degli istituti a vocazione scientifica chiamati a soddisfare i bisogni istituzionali di consulenze. L’INGV ad esempio, risponde per la parte geologica assumendosi anche l’onere del monitoraggio di certi fenomeni, della ricerca e della sorveglianza vulcanica.
Poi succede come nel caso del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, che una commissione istituzionale di altissimo livello, una settimana prima del sisma rassicura frettolosamente la popolazione che vedrà in pochi giorni la propria città devastata proprio da quel terremoto che gli scienziati avevano escluso.
Il sistema istituzionale in questo caso non ha analizzato criticamente la catena degli eventi, ma ha serrato i ranghi e ha adottato l’exit strategy fornitagli da mass media amici che all’unisono hanno battuto grancassa sulla carta stampata, bollando la magistratura aquilana inquirente come medievale e inquisitrice, perché condanna a sei anni di reclusione la commissione grandi rischi. Di quella stavamo parlando…
Un attacco alla scienza! Condannati per non aver previsto il terremoto si gridò il giorno della sentenza. Inquisizione medievale aggiunse qualcun altro… Tra questi l’ex ministro Clini, oggi forzatamente ai domiciliari, che attaccò la magistratura criticando processo e sentenza contro i luminari inviati all’Aquila da Guido Bertolaso. Nell’eloquio con i giornalisti, l’ex ministro dell’ambiente scomodò addirittura Galilei e gli eretici…
Quando avverrà un eruzione del Vesuvio non è dato saperlo. La scienza ufficiale riferisce che i segnali premonitori si avvertiranno con mesi di anticipo. Il problema è che le variazioni dei parametri controllati del vulcano potrebbero essere sintomi pre eruttivi ma anche semplici sommovimenti di riequilibrio delle dinamiche sotterranee. Differenze non da poco, perché nel secondo caso non ci sarebbe eruzione. Per discriminare e interpretare correttamente certi segnali è richiesta un’analisi comparativa e qualitativa dei dati strumentali su un periodo sufficientemente grande per capire il trend del fenomeno. Questo significa che se serve più tempo per decidere è necessario che ci sia meno tempo a disposizione per evacuare. Attualmente le autorità hanno indicato in settantadue ore la misura limite per mettersi in salvo dal Vesuvio all'occorrenza.
Per quanto riguarda l’intensità eruttiva che potrà caratterizzare un possibile risveglio del Vesuvio, le autorità scientifiche attraverso una relazione firmata da due ex direttori dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), hanno indicato come probabile nel medio termine un’eruzione stromboliana violenta (VEI 3) o una sub pliniana (VEI 4). Un’eruzione pliniana (VEI 5) invece, come quelle di Avellino o di Pompei nel 79 D.C., è stata scartata sul nascere dagli esperti incaricati di aggiornare gli scenari futuribili, perché dicono, avrebbe un indice di accadimento non superiore all’1%.  Almeno per i prossimi 130 anni…
Nella malaugurata e remota ipotesi che dovessero sbagliarsi, un’eruzione VEI 5 investirebbe con i flussi piroclastici anche i territori posti oltre la linea Gurioli, e per un bel po’ di chilometri…

Gli scenari eruttivi 2014 sono stati aggiornati sulla base di considerazioni che in verità non sono molto dissimili da quelle precedenti. Il ventennio di commissioni e sotto commissioni e gruppi ha lavorato sostanzialmente sempre sulla stessa probabilità massima eruttiva che gira intorno a un’eruzione sub pliniana. Nel corso degli anni non abbiamo avuto stravolgimenti di fronti se non una sostanziale conferma dei limiti dell’attuale  zona rossa di prima fascia che non ha subito nel concreto e nel tempo variazioni notevoli.  
Le novità apportate negli anni consistono nell’introduzione della zona blu quale area soggetta ad allagamenti diffusi senza che alcuno vi dedicasse attenzione. Con la recente rivisitazione e a cura della commissione grandi rischi, è stata introdotta la linea nera Gurioli, che da limite di deposito delle colate piroclastiche è stata in realtà utilizzata impropriamente come limite di pericolo.
Altre novità di rilievo consistono nell’inserimento parziale di alcuni quartieri napoletani nella zona rossa e la perimetrazione del settore circolare orientale (R2), che definisce la zona marrone a maggiore rischio di ricaduta di cenere e lapillo durante i frangenti eruttivi. Tra l’altro, è difficile dimorando nella parte orientale del vulcano, non essere coinvolti da quest’ultimo fenomeno, non solo perché statisticamente i venti stratosferici soffiano in quella direzione, ma anche perché in tutte e tre le tipologie vulcaniche citate le precipitazioni piroclastiche sono una costante.
I distretti vulcanici della Provincia di Napoli sono tre e indipendenti tra loro, pur se sono in vista l’un dell’altro.  Questo significa che le statistiche eruttive con le percentuali assegnate a ogni singolo indice di esplosività vulcanica, potrebbero in un certo qual senso discostarsi fra loro o accavallarsi al punto da rendere la città di Napoli ad altissimo rischio.
La metropoli del Sole dovrebbe varare progetti di prevenzione perché i secoli passano e con essi aumenta il numero di abitanti che si stabilisce sui fertili suoli vulcanici. Gli architetti del territorio dovrebbero muoversi di prevenzione con progetti ineluttabilmente a lungo termine. Bisognerà utilizzare ogni mezzo per favorire l’urbanizzazione futura verso le province di Caserta e Benevento, proprio dove i rispettivi territori si congiungono con quelli di Napoli.  
La realizzazione in primis di sistemi di mobilità veloce da e per il capoluogo partenopeo, potrebbero spianare la strada a questi che potrebbero essere i nuovi indirizzi  insediativi.

I piani d’emergenza e, quindi d’evacuazione che verranno, si baseranno sul concetto del prevediamo di prevedere tre giorni prima l’incalzare dell’eruzione. La previsione della previsione insomma, che potrebbe racchiudere statisticamente un errore maggiore della sola  previsione. Un concetto che in ultima analisi potrebbe essere un chiaro monito a non tralasciare le politiche di  prevenzione.
La condanna della commissione grandi rischi all’Aquila è stata una faccenda maledettamente importante perché ha dato la misura di un brutto sistema dove la scienza è stata utilizzata come mazza per qualcuno e carota per tutti gli altri. Ma questo episodio per quanto drammatico è solo la punta  di un iceberg fatto di politica e di business, che galleggia su finanziamenti e incarichi e consulenze. La prova provata di questo sistema non proprio genuino ci viene esattamente dalla Campania. Gli scienziati avrebbero dovuto dire a gran voce che in zona rossa dovrebbero esserci solo alberi e che in quella gialla alberi e poche case. Invece la politica con la mediazione della scienza  si è inventata la zona rossa 2. Una zona dove bisogna scappare a gambe levate in caso di eruzione, ma dove è ancora possibile insediare abitanti e rilasciare licenze edilizie. Dall’altro lato, nei Campi Flegrei invece, è in corso la politica della trivella che affonderà lo scalpello rotante nel ventre calderico metropolitano, non per inseguire fluidi caldi dicono, ma spessori da carotare. Rischio zero hanno detto! Lo disse pure il capo ingegnere che guidò l’esercitazione nella centrale di Chernobyl il 26 aprile del 1986…
La politica di sicurezza nel vesuviano è un guazzabuglio secondo i collaudati principi del  “Facite ammuina”. Si confida segretamente sulle paure della popolazione che quando avvertirà i prodromi eruttivi scapperà volontariamente dall’area vesuviana senza attendere alcun ordine. Un’evacuazione fuori dagli schemi ovviamente,  non ha responsabili  e qualcuno potrebbe uscirne pure come eroe… 
La lapide di Portici, un’incisione marmorea incastonata in un basamento di piperno posto sulla pubblica via acchè i viandanti vesuviani la leggessero strada facendo, grazie anche alla lentezza dei carretti, è il primo manifesto di protezione civile. L’iscrizione risale al 1632: esattamente un anno dopo la terribile eruzione sub pliniana del 1631, quella che gli scienziati prevedono possa verificarsi se il Vesuvio dovesse porre fine alla sua annosa quiescenza nel medio termine e nella sua forma più intensa. Il testo scolpito (qui tradotto), dimostra la chiarezza delle autorità dell’epoca sul da farsi che così  recita:
Posteri! Posteri!
Si tratta di voi.
L’oggi illumina il domani con la sua luce. Ascoltate.
Venti volte da che è sorto il Sole se la storia non narra favole
il Vesuvio divampò sempre con immane sterminio di coloro
 che esitarono . Vi ammonisco perché non vi trovi incerti.
Questa montagna ha il ventre gravido di pece,
allume, ferro, zolfo, oro, argento,
salnitro e sorgenti d’acqua.
Prima o poi prende fuoco e con il concorso
del mare partorisce. Ma prima di partorire
si scuote e scuote il suolo. Fuma, s’arrossa, s’avvampa,
sconvolge orrendamente l’aria. Mugge, emette boati, tuona,
caccia  gli abitanti dalle zone vicine.
Fuggi finchè ne hai tempo. Ecco già lampeggia scoppia vomita
materia liquida mista a fuoco che si riversa precipitosa tagliando la via della fuga a chi si è attardato. Se ti raggiunge è finita. Sei morto.
In tal modo tanto più umano quanto più sovrabbondante (il fuoco), se temuto disprezza, se disprezzato punisce gli imprudenti e gli avari che hanno più care la casa e le suppellettili della vita. Se hai senno ascolta la voce di questa pietra.
Non preoccuparti del focolare. Non preoccuparti dei fagotti fuggi senza indugio.

Anno 1632, 16 Gennaio. Sotto il regno di Filippo IV Emanuele Fonseca y Zunica Conte di Monterey Vicerè