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mercoledì 23 agosto 2017

Ischia: terremoto a Casamicciola... di MalKo




Lacco Ameno - Ischia

Un terremoto di magnitudo Md 4.0 si è manifestato il 21.08.2017 alle ore 20 e 57 minuti, in un punto a mare a nord dell’isola d’Ischia, ad una profondità di circa 5 chilometri: 20 le repliche a bassa energia.
La scossa di terremoto si è irradiata colpendo le cittadine di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio. La zona alta di Casamicciola è risultata quella maggiormente colpita con effetti devastanti sui fabbricati, soprattutto quelli datati o strutturalmente compositi e quindi a differente quanto inutile risposta antisismica.

I morti accertati sono due; gli sfollati alcune migliaia; i feriti sono invece 39 mentre si contano alcuni sopravvissuti estratti dalle macerie dopo ore di lavoro. Particolarmente delicate sono risultate le operazioni di salvataggio di 3 bambini, di cui uno di appena sette mesi; tutti salvatisi dalla caduta dell’intera palazzina dove abitavano, grazie forse al letto utilizzato come riparo o ad altri elementi fortuiti che ne hanno evitato lo schiacciamento. Il resto poi, lo hanno fatto gli instancabili Vigili del Fuoco.

il salvataggio operato dai Vigili del Fuoco a Ischia
L’isola d’Ischia conta normalmente circa 65.000 abitanti che diventano 250.000 nella stagione estiva. In questo periodo in casi eccezionali i servizi legati alle emergenze sono logicamente e localmente insufficienti, e i rinforzi devono giungere via mare. In questo caso grazie ai traghetti provenienti da Napoli che hanno garantito corse straordinarie notturne, per trasportare i Vigili del Fuoco e le forze dell’ordine, con le loro colonne di mezzi anche pesanti come camion, autogru e qualche autoscala.

mezzo VVF in partenza per Ischia


Le incertezze iniziali circa l'entità dell’energia sismica rilasciata dal terremoto in questione, ci sono sembrate eccessive. Un’intensità inizialmente stimata in 3.6 ha infatti indotto perplessità nel Prof. Enzo Boschi presente ai primi dibattiti televisivi, perché l’intensità Richter indicata dall’INGV sembrava minima in confronto agli effetti riscontrati sui fabbricati. Solo successivamente l'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha rettificato in 4.0 la Magnitudo durata (Md). In tutti i casi Il sistema di rilevamento EMSC e quello americano dell’USG hanno calcolato in 4.3 la magnitudo del terremoto che ha investito Ischia. Difformità anche nella profondità dell'ipocentro. L'anomalia potrebbe ricondurci forse a una carenza strumentale a corredo delle attività di monitoraggio sull'isola. Condizione da modificare subito nel senso della precisione, perché a fonte di una possibile crisi vulcanica, i dati che si acquisiscono devono essere necessariamente molto precisi.
Che Casamicciola abbia delle caratteristiche geologiche che amplificano le conseguenze distruttive di un terremoto, è un fatto arcinoto che non sembra però che abbia influenzato di molto la necessità di adeguare sismicamente i fabbricati soprattutto di vecchia fattura. Se il terremoto malauguratamente si fosse verificato in orario decisamente notturno, forse le conseguenze per le persone sarebbero state ancora più severe.
In un articolo del 2012, si legge della necessità di procedere a una macro zonazione sismica dell’isola d’Ischia, da arricchire poi da micro zonazioni almeno nei comuni di Casamicciola, Forio e Lacco Ameno.
L’effetto di amplificazione delle conseguenze sismiche sui fabbricati nella località di Casamicciola infatti, è una caratteristica che non doveva passare inosservata alle attività di pianificazione urbanistica, perché la zona è quella che borda un pilastro tettonico meglio conosciuto come Monte Epomeo. E l’isola d’Ischia ricade poi in un contesto ancora più grande che si chiama distretto vulcanico dei Campi Flegrei, dove gli eventi sismici non sono una rarità assoluta.  La caldera flegrea, non dimentichiamolo, è una località tra l’altro soggetta a un livello di allerta vulcanica di attenzione: condizione che introduce un aumento del rischio eruttivo non lontano dall'isola d'Ischia. E poco oltre andando verso oriente, c’è un Monte oggi annerito e incattivito dagli incendi boschivi che si chiama Vesuvio…
Le regole di elementare prudenza prevedevano e prevedono quindi di muoversi nel senso della prevenzione antisismica da applicare ai manufatti abitativi scartando completamente le zone dove la risposta sismica dei terreni è alterata.
D’altra parte l’isola sismovulcanica vede quadruplicato il numero dei residenti nel periodo estivo; il livello di rischio così s’impenna di molto per l’elevazione del valore esposto, cioè il numero di abitanti che popolano a dismisura anche quei luoghi a settentrione maggiormente sensibili alle sollecitazioni simiche.
Un altro elemento che ci lascia perplessi, è la presentazione del progetto di una centrale geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica da costruire nel tenimento isolano di Serrara Fontana. L’assenza di obiezioni da parte di alcune istituzioni competenti, propendono per una sottovalutazione del rischio sismico areale ma anche puntiforme. Tale proposta attualmente al vaglio (VIA) del Ministero dell’Ambiente, prevede trivellazioni oltre il chilometro di profondità per la realizzazione di pozzi emuntori, che nel sistema binario necessitano poi della pratica della reiniezione dei fluidi termali direttamente nel sottosuolo per il ripascimento della riserva idrica. Pratica che non è esente però, da una serie di rischi tra cui quello di produrre una certa sismicità indotta che mal si sposa con le caratteristiche del territorio ischitano.
A un esame obiettivo del territorio isolano, pratica che risulta molto agevolata da ricognizioni aeree, risulta evidente un carico antropico insopportabile, soprattutto lungo la costa che appare conurbata per lunghi tratti. Si parla poi di 27000 abusi edilizi alcuni dei quali minori, ma altri realizzati secondo logiche di eccessiva economia. Come soluzione al problema di vulnerabilità degli edifici, da più parti si evoca il libretto del fabbricato, per evidenziare la qualità e la resistenza delle costruzioni, soprattutto quelle non recenti che in tal modo dovrebbero essere oggetto di miglioramenti strutturali per essere in regola con la norma.
Il problema principale però, è che l’uomo pensa - più a quello che costruisce che al dove lo costruisce -. Un’amministrazione che propone di risolvere il problema degli abusi edilizi confiscando il fabbricato e trasformando il proprietario in inquilino, non ci sembra una mossa strategica per risolvere il problema delle tutele nella sua gravità di fondo. Sotto una frana o nella zona rossa Vesuvio o in un vallone erosivo di Ischia, che cosa risolverebbe un cotale provvedimento amministrativo o il libretto del fabbricato?
La splendida isola anticamente chiamata Pithecusa, con la sua conformazione tufacea presenta elementi naturalmente di fragilità geologica, estremizzati poi da forze irresistibili come lo possono essere quelle sismiche e vulcaniche. C'è poi il subdolo dissesto idrogeologico, che specialmente sui versanti occidentali erosi dagli elementi esogeni, portano con se i segni e il pericolo delle colate di fango e il distacco di massi dai versanti scoscesi.
Occorre che si provveda per il futuro a un attento utilizzo del suolo e del soprassuolo e anche del sottosuolo ischitano, dove sono vivi e ben sviluppati sistemi geotermici ad alta pressione, che sovrastano certamente una camera magmatica che sarebbe bene che venisse posta sotto la lente d’ingrandimento della comunità scientifica (INGV), onde offrire intanto uno scenario di riferimento fondamentale per l’elaborazione di un piano di emergenza e di evacuazione che oggi ancora manca.
Nel nostro disquisire, abbiamo accennato a un certo svantaggio territoriale di Torre del Greco, cittadina del vesuviano, perché stretta tra mare e vulcano. Qualora dovesse rendersi necessaria un'evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, le attuali direttrici di allontanamento prevedono per i torresi percorsi secanti e di sovrapposizione ad altri fuggitivi vicini. Per gli ischitani la problematica è maggiore, e nessun comune può ritenersi geograficamente meglio posizionato rispetto ad altri, perché Ischia è un'isola e la porta d'uscita sono i porti...
Mentre è abbastanza chiara la vulnerabilità di Casamicciola e Lacco Ameno e Forio a fronte del pericolo sismico, non è chiara invece la mappa del rischio vulcanico. La logica indurrebbe a ritenere per conformazione e dimensioni dell’isola, che nessun luogo ischitano è scevro dal pericolo eruttivo. L'affermazione è necessariamente generica e aleatoria, probabilmente perché non ci sono studi specifici alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio e il super vulcano dei Campi Flegrei, attraverso l’individuazione dell’indice di esplosività vulcanica (VEI) di riferimento, e l'individuazione della zona rossa e poi gialla... Ecco: il nuovo capo della protezione civile Borrelli, potrebbe intanto commissionare l'individuazione dello scenario eruttivo di riferimento per l'isola d'Ischia.
 

martedì 8 agosto 2017

Rischio Vesuvio: Torre del Greco comune svantaggiato?... di MalKo


Vesuvio: porto di Torre del Greco - foto Liguoro

Parlando del Vesuvio e del rischio eruttivo, gli argomenti di discussione vertono spesso sulla nuova zona rossa e su tutto ciò che ne concerne. Il tono discorsivo sui media qualche anno fa è stato di taglio ottimistico col mondo politico e istituzionale che ha dato per scontato la bontà di una pianificazione di emergenza che in realtà si basa su una possibilità statistica (eruzione VEI4), passata tra l’indifferenza generale a deterministica, con buona pace del principio di precauzione bruciato sull’altare poco nobile dei costi benefici. Un piano comunque che continua a mancare del suo annesso più importante che si chiama piano di evacuazione.

I comuni della vecchia zona rossa che ricadono territorialmente nella fascia costiera, non mostrarono particolare interesse alla nuova zonazione di pericolo, perché la loro posizione geografica è interamente addentro alla famigerata linea nera Gurioli, e quindi non accamparono alcun distinguo oppure obiezioni o rettifica.

La Regione Campania si è distinta per una decisa partecipazione alle dubbie operazioni di classificazione del territorio, in qualche caso sovrapponendosi addirittura al Dipartimento della Protezione Civile, che rimane comunque il soggetto principale e istituzionale di riferimento per la salvaguardia dei vesuviani.

Nelle mappe tematiche ufficiali, la linea nera Gurioli rappresenta il limite di scorrimento delle colate piroclastiche originate da una colonna eruttiva VEI4; colate che restano in assoluto e per virulenza distruttiva, il fenomeno più temuto in caso di ripresa dell’attività vulcanica.

Nelle carte diffuse dalla Regione Campania e dal Dipartimento della Protezione Civile, la linea nera Gurioli non è stata tracciata sul mare e, quindi, il segmento non è chiuso. In realtà tale omissione non è indicativa di assenza di pericolo da quel versante, non solo perché colate piroclastiche se ne contano così come quelle di fango, ma più verosimilmente non sono stati effettuati rilievi subacquei per definire i limiti di deposito dei prodotti vulcanici come invece è stato fatto sulla terraferma.

Le operazione di verifica in mare sono difficili, perché i materiali piroclastici riversatisi dal Vesuvio oltre il litorale, sono stati in larga parte dispersi e rimaneggiati dalle correnti marine e dai movimenti ondosi.

Per dare completezza alla linea Gurioli rendendola un cerchio asimmetrico (mappa a sinistra), abbiamo tracciato il prolungamento mancante sul mare, col solo scopo di rendere chiaro anche visivamente alle popolazioni costiere, che i fenomeni vulcanici pliniani e sub pliniani ebbero a sconquassare per grande parte pure il litorale. Quindi, se la linea nera evidenzia i punti di massimo scorrimento raggiunti dalle colate piroclastiche, sul mare ufficialmente non c’è linea non perché non ci siano stati flussi, ma molto più semplicemente non sono stati referenziati geograficamente sui fondali. Questo significa che purtroppo su tutto il territorio circoscritto dalla linea nera Gurioli, grava il pericolo delle nubi ardenti e dei lahar.

Le barche romane comandate da Plinio il Vecchio nel 79 d.C., non riuscirono ad attraccare nella zona tra Ercolano ed Oplonti, forse per il rigonfiamento dei fondali, o forse neanche ci provarono perché la nobildonna Rectina, mittente di una richiesta d’aiuto, si trovava verso Pompei. Il dubbio resta…

Un’altra tesi potrebbe rimandare ai flussi piroclastici e di fango la modifica batimetrica sotto costa. Per evitare le secche, può darsi che Plinio abbia preferito tirare al largo proseguendo la navigazione fino a Stabia col favore di vento in poppa, incappando comunque e dal traverso di Torre Annunziata, in una battente pioggia di cenere, pomici e lapilli.

Il Comune di Torre del Greco, tra i comuni vesuviani è forse quello che presenta aspetti di maggiore vulnerabilità, perché una consistente parte della popolazione dimora e orbita nell’area del porto che segna una posizione mediana rispetto al Vesuvio ancorchè stretto tra mare e vulcano. Tra l’altro l’area portuale è molto periferica rispetto all’intera area comunale, al punto da collocarsi a ridosso del comune di Ercolano.
Vesuvio - foto Andrew Harris
Se dovesse presentarsi una situazione di rischio pre eruttivo, cioè una condizione di allerta vulcanica di attenzione o di preallarme, l’attesa per i cittadini torresi risulterebbe particolarmente snervante. Tecnicamente parlando infatti, ritrovarsi tra mare e monte, comporterebbe e costringerebbe gli abitanti della città del corallo a procedere parallelamente alla linea di costa, per fuggire secondo logiche e direttrici ineluttabili (nord). In questo caso e con le autovetture o i bus, occorrerà procedere accodandosi ai fuggitivi di San Giorgio a Cremano, Portici ed Ercolano, rinforzando massicciamente le schiere di autoveicoli in fila che possono allontanarsi sull’unica arteria disponibile, cioè l’autostrada A3 Napoli – Salerno. Anche proseguendo a piedi non cambierebbe la logica del discorso, con l’unica differenza che s’impegnerebbero percorsi diversi da quelli autostradali.

E ancora, se nella parte orientale del Vesuvio è ancora possibile e auspicabile costruire bretelle di collegamento all’autostrada A30 Caserta – Salerno, come quella che si innesta dalla SS 268 al casello di Palma Campania, nel settore occidentale, cioè quello marittimo, l’indice di affollamento e di conurbazione è tale da rendere problematica qualsiasi nuova progettazione viaria.

In tutti i casi l’autostrada Napoli – Salerno rimane l’unica carreggiata da utilizzare per un esodo massivo delle popolazioni che si allontanano con autoveicoli. Impegnare la viabilità ordinaria per sfuggire dai perimetri della linea nera infatti, è sconsigliabile se non vietato nella fase di allarme, ancorchè infruttuoso se non si è appiedati…
Così come riportato appena 23 anni fa sul periodico i “Quaderni Vesuviani”, la via del mare nonostante la sua dipendenza dalle condizioni meteo marine, variabili ma raramente proibitive, può essere una eccezionale risorsa da tenere in debita considerazione per i comuni della fascia costiera qualora si debba evacuare precipitosamente.

Il mare è una strada che consentirebbe con adeguati mezzi e infrastrutture, di alleggerire il traffico stradale, mettendosi così al riparo dal pericolo vulcanico percorrendo quelle poche miglia marine che separano i quartieri portuali, nel caso in questione di Torre del Greco, con il porto di Napoli. Cosa che non fu possibile invece agli ercolanesi nel 79 d.C., per mancanza d’imbarcazioni, ma anche perché rifugiandosi sulla spiaggia sotto alcuni fornici, mai avrebbero previsto di essere in un attimo mortalmente vaporizzati dalle travolgenti e roventi nubi ardenti da 350 gradi Celsius.

La possibilità che il fondale possa sollevarsi rendendo impraticabili i porti, è una condizione ascrivibile ai prodromi pre eruttivi, ma non repentina e certamente difficilmente riscontrabili durante la fase di attenzione e pre allarme.  La variazione delle batimetrie infatti, è un fenomeno già macroscopicamente avanzato, e dovrebbe potersi ascrivere esclusivamente a una fase di allarme vulcanico, e quindi senza popolazione sul posto oramai evacuata. Anche con voluminosi sollevamenti dei terreni o dei fondali, non ci sarebbero certezze matematiche sull’ineluttabilità dell’eruzione o sui tempi; purtuttavia in nessun caso il fenomeno potrebbe essere conciliabile con il dimoramento degli abitanti in loco.

Quando analizzammo la via del mare come risorsa strategica nel 2001, ci rendemmo immediatamente conto che poteva essere una possibilità con buoni margini di successo, perché nel Golfo di Napoli sono ordinariamente e normalmente in esercizio due tipi di battelli particolarmente utili in operazioni di rapido allontanamento: i catamarani e le monocarene. Trattasi di un naviglio veloce che ha di suo e come caratteristica principale oltre alla velocità, un basso pescaggio e una buona manovrabilità che non guastano nelle operazioni navali nei porti minori. Soprattutto sono imbarcazione permanentemente in servizio da e per le isole napoletane e quindi facilmente disponibili. Saranno proprio le brevi distanze da percorrere che favorirebbero una siffatta strategia emergenziale.

Gli equipaggi poi, hanno grande esperienza anche in condizioni estreme. Ognuno di questi traghetti potrebbe trasportare per ogni corsa e nel giro di pochi minuti, oltre 300 passeggeri in direzione porto di Napoli. Ovviamente lo sfruttamento di questa risorsa richiede la necessità di avere nei porti, oggetto di possibili operazioni marittime, un tratto di banchina conformata e attrezzata per l’attracco rapido di questi natanti. Bisogna poi contemplare viceversa, l’approdo torrese anche come centro di sbarco di eventuali aiuti provenienti non già da Miseno ma dal porto di Napoli.

Durante l’esercitazione Vesuvio 2001 tenutasi a Portici nell’omonimo anno, fu testata la via del mare come risorsa evacuativa alternativa per le popolazioni appiedate, utilizzando un traghetto veloce fatto giungere nel porto del Granatello (Portici). Seguimmo con attenzione le operazioni di attracco e imbarco e rimanemmo veramente meravigliati dalla rapidità della manovra e dalla velocità di crociera della monocarena, che alla partenza lasciò subito in coda tutti gli altri e pur veloci battelli d’appoggio.

I piani di emergenza e di evacuazione che tardano ad essere pubblicati sotto forma di vademecum, prevedono l’allontanamento della metà degli abitanti, circa 42.961 persone, da indirizzare alla stazione centrale di Napoli per imbarcarsi su convogli ferroviari con destinazione Lombardia.  Il trasporto da Torre del Greco a Napoli, avverrebbe tramite 1074 corse di autobus da effettuarsi in un massimo di 72 ore. Parliamo di circa 15 viaggi ora, cioè uno ogni 4 minuti… Con i traghetti veloci si arriverebbe invece alla stessa movimentazione di pubblico utilizzando nelle 72 ore disponibili un solo traghetto ogni mezzora e senza ingorghi.

L’amministrazione comunale di Torre del Greco dovrebbe forse appaltare all’esterno, così come ha fatto per il piano comunale di emergenza nel 2015, servizi di analisi e progettazione per pianificare una rivalutazione e ristrutturazione complessiva del porto nel senso della funzionalità delle banchine anche dal punto di vista della profondità dei fondali.

Nel 1989 l’esercitazione di protezione civile organizzata nell’area vesuviana simulando un terremoti di origine vulcanica, segnò l’insuccesso a causa dei traghetti carichi di mezzi e uomini del soccorso, che non poterono accedere nel porto pur provandoci, perché i fondali erano troppo bassi. Dovettero districarsi e dirigere su Torre Annunziata per poi proseguire sulla statale per Ercolano epicentro del sisma…

Per poter vivere con una certa serenità nel territorio vesuviano, occorre innanzitutto che sia bandita dalle genti l’indifferenza quale modus pensandi e operandi. Se non ci fosse stata l’indifferenza, non ci sarebbero stati venti anni di mancata sicurezza con una sopravvivenza legata forse alla clemenza geologica e non certo alla lungimiranza della politica.