Vesuvio: porto di Torre del Greco - foto Liguoro |
Parlando
del Vesuvio e del rischio eruttivo, gli argomenti di discussione vertono spesso
sulla nuova zona rossa e su tutto ciò che ne concerne. Il tono discorsivo sui
media qualche anno fa è stato di taglio ottimistico col mondo politico e
istituzionale che ha dato per scontato la bontà di una pianificazione di
emergenza che in realtà si basa su una possibilità statistica (eruzione VEI4),
passata tra l’indifferenza generale a deterministica, con buona pace del
principio di precauzione bruciato sull’altare poco nobile dei costi benefici.
Un piano comunque che continua a mancare del suo annesso più importante che si
chiama piano di evacuazione.
I
comuni della vecchia zona rossa che ricadono territorialmente nella fascia
costiera, non mostrarono particolare interesse alla nuova zonazione di pericolo,
perché la loro posizione geografica è interamente addentro alla famigerata linea
nera Gurioli, e quindi non accamparono alcun distinguo oppure obiezioni o rettifica.
La
Regione Campania si è distinta per una decisa partecipazione alle dubbie operazioni
di classificazione del territorio, in qualche caso sovrapponendosi addirittura
al Dipartimento della Protezione Civile, che rimane comunque il soggetto principale
e istituzionale di riferimento per la salvaguardia dei vesuviani.
Nelle
mappe tematiche ufficiali, la linea nera Gurioli rappresenta il limite di
scorrimento delle colate piroclastiche originate da una colonna eruttiva VEI4;
colate che restano in assoluto e per virulenza distruttiva, il fenomeno più
temuto in caso di ripresa dell’attività vulcanica.
Nelle
carte diffuse dalla Regione Campania e dal Dipartimento della Protezione
Civile, la linea nera Gurioli non è stata tracciata sul mare e, quindi, il
segmento non è chiuso. In realtà tale omissione non è indicativa di assenza di pericolo
da quel versante, non solo perché colate piroclastiche se ne contano così come
quelle di fango, ma più verosimilmente non sono stati effettuati rilievi
subacquei per definire i limiti di deposito dei prodotti vulcanici come invece è
stato fatto sulla terraferma.
Le
operazione di verifica in mare sono difficili, perché i materiali piroclastici riversatisi
dal Vesuvio oltre il litorale, sono stati in larga parte dispersi e
rimaneggiati dalle correnti marine e dai movimenti ondosi.
Per
dare completezza alla linea Gurioli rendendola un cerchio asimmetrico (mappa a
sinistra), abbiamo tracciato il prolungamento mancante sul mare, col solo scopo
di rendere chiaro anche visivamente alle popolazioni costiere, che i fenomeni
vulcanici pliniani e sub pliniani ebbero a sconquassare per grande parte pure
il litorale. Quindi, se la linea nera evidenzia i punti di massimo scorrimento raggiunti
dalle colate piroclastiche, sul mare ufficialmente non c’è linea non perché non
ci siano stati flussi, ma molto più semplicemente non sono stati referenziati geograficamente
sui fondali. Questo significa che purtroppo su tutto il territorio circoscritto
dalla linea nera Gurioli, grava il pericolo delle nubi ardenti e dei lahar.
Le
barche romane comandate da Plinio il Vecchio nel 79 d.C., non riuscirono ad
attraccare nella zona tra Ercolano ed Oplonti, forse per il rigonfiamento dei
fondali, o forse neanche ci provarono perché la nobildonna Rectina, mittente di una richiesta d’aiuto, si trovava verso
Pompei. Il dubbio resta…
Un’altra
tesi potrebbe rimandare ai flussi piroclastici e di fango la modifica batimetrica
sotto costa. Per evitare le secche, può darsi che Plinio abbia preferito tirare
al largo proseguendo la navigazione fino a Stabia col favore di vento in poppa,
incappando comunque e dal traverso di Torre Annunziata, in una battente pioggia
di cenere, pomici e lapilli.
Il
Comune di Torre del Greco, tra i comuni vesuviani è forse quello che presenta
aspetti di maggiore vulnerabilità, perché una consistente parte della
popolazione dimora e orbita nell’area del porto che segna una posizione mediana
rispetto al Vesuvio ancorchè stretto tra mare e vulcano. Tra l’altro l’area
portuale è molto periferica rispetto all’intera area comunale, al punto da
collocarsi a ridosso del comune di Ercolano.
Vesuvio - foto Andrew Harris |
Se
dovesse presentarsi una situazione di rischio pre eruttivo, cioè una condizione
di allerta vulcanica di attenzione o di preallarme, l’attesa per i cittadini torresi
risulterebbe particolarmente snervante. Tecnicamente parlando infatti, ritrovarsi
tra mare e monte, comporterebbe e costringerebbe gli abitanti della città del
corallo a procedere parallelamente alla linea di costa, per fuggire secondo
logiche e direttrici ineluttabili (nord). In questo caso e con le autovetture o
i bus, occorrerà procedere accodandosi ai fuggitivi di San Giorgio a Cremano,
Portici ed Ercolano, rinforzando massicciamente le schiere di autoveicoli in
fila che possono allontanarsi sull’unica arteria disponibile, cioè l’autostrada
A3 Napoli – Salerno. Anche proseguendo a piedi non cambierebbe la logica del
discorso, con l’unica differenza che s’impegnerebbero percorsi diversi da
quelli autostradali.
E ancora, se nella parte orientale del Vesuvio è ancora possibile e auspicabile
costruire bretelle di collegamento all’autostrada A30 Caserta – Salerno, come
quella che si innesta dalla SS 268 al casello di Palma Campania, nel settore
occidentale, cioè quello marittimo, l’indice di affollamento e di conurbazione
è tale da rendere problematica qualsiasi nuova progettazione viaria.
In
tutti i casi l’autostrada Napoli – Salerno rimane l’unica carreggiata da
utilizzare per un esodo massivo delle popolazioni che si allontanano con
autoveicoli. Impegnare la viabilità ordinaria per sfuggire dai perimetri della
linea nera infatti, è sconsigliabile se non vietato nella fase di allarme, ancorchè infruttuoso se non si è appiedati…
Così
come riportato appena 23 anni fa sul periodico i “Quaderni Vesuviani”, la via
del mare nonostante la sua dipendenza dalle condizioni meteo marine, variabili ma
raramente proibitive, può essere una eccezionale risorsa da tenere in debita
considerazione per i comuni della fascia costiera qualora si debba evacuare
precipitosamente.
Il
mare è una strada che consentirebbe
con adeguati mezzi e infrastrutture, di alleggerire il traffico stradale,
mettendosi così al riparo dal pericolo vulcanico percorrendo quelle poche
miglia marine che separano i quartieri portuali, nel caso in questione di Torre
del Greco, con il porto di Napoli. Cosa che non fu possibile invece agli
ercolanesi nel 79 d.C., per mancanza d’imbarcazioni, ma anche perché
rifugiandosi sulla spiaggia sotto alcuni fornici, mai avrebbero previsto di
essere in un attimo mortalmente vaporizzati dalle travolgenti e roventi nubi
ardenti da 350 gradi Celsius.
La
possibilità che il fondale possa sollevarsi rendendo impraticabili i porti, è
una condizione ascrivibile ai prodromi pre eruttivi, ma non repentina e
certamente difficilmente riscontrabili durante la fase di attenzione e pre
allarme. La variazione delle batimetrie
infatti, è un fenomeno già macroscopicamente avanzato, e dovrebbe potersi
ascrivere esclusivamente a una fase di allarme vulcanico, e quindi senza
popolazione sul posto oramai evacuata. Anche con voluminosi sollevamenti dei
terreni o dei fondali, non ci sarebbero certezze matematiche sull’ineluttabilità
dell’eruzione o sui tempi; purtuttavia in nessun caso il fenomeno potrebbe
essere conciliabile con il dimoramento degli abitanti in loco.
Quando
analizzammo la via del mare come risorsa strategica nel 2001, ci rendemmo
immediatamente conto che poteva essere una possibilità con buoni margini di
successo, perché nel Golfo di Napoli sono ordinariamente e normalmente in
esercizio due tipi di battelli particolarmente utili in operazioni di rapido
allontanamento: i catamarani e le monocarene. Trattasi di un naviglio veloce
che ha di suo e come caratteristica principale oltre alla velocità, un basso
pescaggio e una buona manovrabilità che non guastano nelle operazioni navali
nei porti minori. Soprattutto sono imbarcazione permanentemente in servizio da
e per le isole napoletane e quindi facilmente disponibili. Saranno proprio le
brevi distanze da percorrere che favorirebbero una siffatta strategia
emergenziale.
Gli
equipaggi poi, hanno grande esperienza anche in condizioni estreme. Ognuno di
questi traghetti potrebbe trasportare per ogni corsa e nel giro di pochi
minuti, oltre 300 passeggeri in direzione porto di Napoli. Ovviamente lo
sfruttamento di questa risorsa richiede la necessità di avere nei porti,
oggetto di possibili operazioni marittime, un tratto di banchina conformata e
attrezzata per l’attracco rapido di questi natanti. Bisogna poi contemplare
viceversa, l’approdo torrese anche come centro di sbarco di eventuali aiuti
provenienti non già da Miseno ma dal porto di Napoli.
Durante
l’esercitazione Vesuvio 2001 tenutasi a Portici nell’omonimo anno, fu testata la
via del mare come risorsa evacuativa alternativa per le popolazioni appiedate, utilizzando
un traghetto veloce fatto giungere nel porto del Granatello (Portici). Seguimmo
con attenzione le operazioni di attracco e imbarco e rimanemmo veramente
meravigliati dalla rapidità della manovra e dalla velocità di crociera della
monocarena, che alla partenza lasciò subito in coda tutti gli altri e pur
veloci battelli d’appoggio.
I
piani di emergenza e di evacuazione che tardano ad essere pubblicati sotto
forma di vademecum, prevedono l’allontanamento della metà degli abitanti, circa
42.961 persone, da indirizzare alla stazione centrale di Napoli per imbarcarsi
su convogli ferroviari con destinazione Lombardia. Il trasporto da Torre del Greco a Napoli, avverrebbe
tramite 1074 corse di autobus da effettuarsi in un massimo di 72 ore. Parliamo
di circa 15 viaggi ora, cioè uno ogni 4 minuti… Con i traghetti veloci si
arriverebbe invece alla stessa movimentazione di pubblico utilizzando nelle 72
ore disponibili un solo traghetto ogni mezzora e senza ingorghi.
L’amministrazione
comunale di Torre del Greco dovrebbe forse appaltare all’esterno, così come ha
fatto per il piano comunale di emergenza nel 2015, servizi di analisi e progettazione
per pianificare una rivalutazione e ristrutturazione complessiva del porto nel
senso della funzionalità delle banchine anche dal punto di vista della
profondità dei fondali.
Nel
1989 l’esercitazione di protezione civile organizzata nell’area vesuviana
simulando un terremoti di origine vulcanica, segnò l’insuccesso a causa dei
traghetti carichi di mezzi e uomini del soccorso, che non poterono accedere nel
porto pur provandoci, perché i fondali erano troppo bassi. Dovettero districarsi
e dirigere su Torre Annunziata per poi proseguire sulla statale per Ercolano
epicentro del sisma…
Per
poter vivere con una certa serenità nel territorio vesuviano, occorre
innanzitutto che sia bandita dalle genti l’indifferenza quale modus pensandi e
operandi. Se non ci fosse stata l’indifferenza, non ci sarebbero stati venti
anni di mancata sicurezza con una sopravvivenza legata forse alla clemenza
geologica e non certo alla lungimiranza della politica.
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