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sabato 17 dicembre 2016

Isola d'Ischia. Progetto geotermico Forio a Serrara Fontana... di MalKo


Ischia
Tra le energie rinnovabili sicuramente il geotermico presenta aspetti molto interessanti perché rispetto all’energia eolica e marina che manca con le bonacce, o il solare che viene meno con l’orario notturno, il calore del cuore della Terra che s’irradia fino alla superficie lo si può sfruttare diuturnamente per tutto l’anno…

Tra l’altro, gli impianti geotermici chiamati binari, rispetto ad altri che hanno ammorbato e continuano ad ammorbare l’aria in alcune zone della Toscana, non prevedono il rilascio di acqua e vapori a cielo aperto.

Nell’impianto pilota ischitano di Serrara Fontana, tutto avverrebbe in tre condotte sigillate che si spingerebbero nella crosta terrestre a circa 1400 metri di profondità… due di queste tubazioni emungerebbero fluido geotermico a circa 200° C. per inviarlo poi in superficie a non meno di 140° C. all’interno di uno scambiatore di calore.

L’acqua calda si interfaccerebbe senza contatto con una sostanza organica col punto di ebollizione inferiore ai 90° C. Quest’ultima evaporando muoverebbe una turbina collegata a un generatore elettrico. Le acque minerali dopo aver ceduto calore verrebbero alfine reiniettate in profondità a circa un chilometro dal punto di prelievo.

Il sistema binario legato al geotermico, dicevamo, non comporta contatto diretto con l’ambiente esterno… Questa tecnica, almeno così dicono i promotori del progetto Forio, non dovrebbe neanche alterare la qualità degli acquiferi sotterranei, a tutto vantaggio delle rocce che dovrebbero mantenere senza particolari modifiche le loro caratteristiche chimiche e fisiche e di imbibimento, scongiurando quindi variazioni di volume.

I pozzi di emungimento (2) e reiniezione (1), dovrebbero raggiungere, come detto, più o meno una profondità di 1400 metri. Tre perforazioni in zona sismica e vulcanica… Secondo le relazioni scientifiche che accompagnano il progetto Forio (Ischia), tale attività industriale che andrebbe ad esplicarsi nella parte meno conosciuta del Pianeta, cioè il sottosuolo chilometrico, non dovrebbe in alcun modo costituire elemento di pericolo perché un monitoraggio continuo darebbe il polso della situazione estrattiva e reiniettiva, che può essere interrotta in qualsiasi momento, laddove dovessero presentarsi problemi di sicurezza ovvero di inquinamento.

Lo sfruttamento del calore geotermico in ultima analisi è un business, che per essere molto conveniente deve poter contare su acqua molto calda che circola per convezione all’interno degli strati della crosta terrestre ubicati a profondità per quanto variabili relativamente contenute, e quindi raggiungibili senza proibitivi investimenti economici.

Praticamente il sistema geotermico binario capta e trasforma una circolazione naturale dei fluidi caldi nel sottosuolo vulcanico, in una circolazione forzata all’interno di tubazioni che devono raggiungere il piano campagna per poi inabissarsi ancora nel sottosuolo a una profondità pari a quella estrattiva.  Una sorta di circuito chiuso senza interscambi a cielo aperto. Occorre precisare però, che tale circuitazione non può definirsi totalmente chiusa, perché l’ambiente sotterraneo di captazione e reiniezione, non è confinato e sigillato alla stregua di un radiatore in uso negli impianti di raffreddamento delle autovetture.

In linea generale queste energetiche temperature rinvenibili nelle acque circolanti negli strati crostali dei primi chilometri di profondità, sono generalmente presenti nelle aree vulcaniche a ovest dell’appennino, lungo quella linea di fratturazione che favorisce il vulcanesimo antico e recente che parte dal Monte Amiata fino a raggiungere la parte più meridionale e vulcanica della nostra Penisola mar Tirreno compreso.

Con questo si vuole dire che gioco forza la geotermia dedicata all’utilizzo di fluidi a media e soprattutto ad elevata temperatura, si concentrerà almeno su terra sulle due porzioni di territorio che la cartina a tema ci rimanda. La maggiore estensione geografica votata al geotermico, come vedete si trova in Toscana; di modestissime proporzioni quella corrispondente all'area provinciale di Napoli. In quest’ultimo caso segnatamente nella parte occidentale della città metropolitana di Napoli con i Campi Flegrei e l’isola d’Ischia. Altre aree dal gradiente termico molto interessante, sono ubicate in mare aperto, dove qualsiasi attività di sfruttamento dei fluidi geotermici richiede processi molto costosi e poco sicuri perché le distese marine non sono statiche e i seamount , non sono monolitici e pianeggianti. Pure il vulcano sottomarino Marsili fu oggetto di una richiesta di sfruttamento geotermico poi bocciata.

Anche i meno addentrati nelle problematiche del rischio vulcanico napoletano, sanno perfettamente che tutte le tematiche di protezione civile sussistono e persistono nell’area provinciale partenopea, perché nel tempo si è consentito il proliferare di un’urbanizzazione massiccia e serrata e asfissiante senza alcuna regola di prudenza in territori definiti fragili, ardenti e ballerini. Una condizione che analiticamente già dovrebbe sconsigliare a prescindere l’inserimento di una centrale geotermica nel tessuto provinciale napoletano, ancorchè perché una sola centrale non risolverebbe i problemi energetici e quella di Serrara Fontana sarebbe assurda ritenerla magari un battistrada foriero di altre strutture similari. Che le medie e grandi entalpie siano risorse energetiche d’interesse nazionale non possono eludere magari la volontà locale di essere artefice e partecipe dello sviluppo del proprio territorio secondo vocazioni antiche e moderne come il termalismo e il turismo.

acque termali ad Ischia

La società Ischia Geo Termia S.r.l., ritiene  che l’insediamento dell’impianto geotermico nel comune di Serrara Fontana con annesso impianto tecnologico di trasporto di corrente elettrica fino a Forio, non comporta rischi per la popolazione ancorché per l’ambiente naturale legato all’aria, all’acqua e ai suoli e ancora alla vegetazione e alla fauna e avifauna e alle industrie che campano di termalismo.

Potrebbe essere così, ma potrebbe essere invece l’opposto, cioè che le inevitabili trivellazioni e le pratiche di reiniezione dei fluidi in profondità, possano favorire sul serio l’insorgere di problematiche sismiche ed ancora di eruzione del pozzo o comunque di modifiche della circolazione delle acque termali, perché le condotte composite di prelievo e reiniezione non sono chiodi uniformi piantati in un tessuto parimenti uniforme e asciutto e asismico e senza stress e stabile magmaticamente parlando.

In realtà le tematiche dei rischi correlati alle trivellazioni non poggiano su elementi decisionali univoci, nel senso che non ci sono certezze assolute sui due fronti del pro e contro.

Il principio di precauzione dovrebbe essere nato proprio per fronteggiare le condizioni di incertezza. Cioè, se le ipotesi di rischio per le popolazioni e per l’ambiente non sono supportate da elementi certi in un senso o nell’altro, bisognerebbe muoversi come se quell’attività o quell’elemento o quel prodotto siano realmente e potenzialmente pericolosi.

Il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino nel 2012 non consentì alcuna trivellazione nei suoli di Bagnoli (Campi Flegrei) ex italsider, per dare corso e spazio al famoso progetto deep drilling project (CFDDP), nonostante questi fosse stato varato dall’INGV Osservatorio Vesuviano per fini dichiarati talora scientifici e altre volte di valutazione del potenziale geotermico della zona. Il deep drilling di Bagnoli escludeva tra l’altro la pratica della reiniezione. La Iervolino in assenza di certezze ma solo di rassicuranti probabilità, non autorizzò neanche la perforazione di appena 500 metri del cosiddetto pozzo pilota…

Qualora vi siano dubbi circa la pericolosità di un’attività che potrebbe pregiudicare la sicurezza della popolazione attraverso l’alterazione di equilibri naturali nel sottosuolo ischitano, si potrebbe chiedere un parere alla commissione grandi rischi senza togliere nulla alle prerogative decisionali del Ministero dell'Ambiente (VIA).
Avemmo a chiedere proprio al dipartimento della protezione civile un intervento della commissione grandi rischi a fronte dell’accennato progetto del deep drilling  che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità in area metropolitana, addirittura senza necessità di una Valutazione d’Impatto Ambientale, perché Il fine dichiarato era tutto scientifico…

In quell’occasione il prefetto Gabrielli, capo dipartimento della protezione civile, ci scrisse rimarcando la necessità che a chiedere l’intervento preventivo della commissione grandi rischi non poteva che essere un’autorità di protezione civile, ad esempio il sindaco ai sensi dell’art. 15 della legge 24 febbraio 1992 n° 225 e sue successive modifiche e integrazioni, e non un privato cittadino.

Il prefetto aggiunse: << …appare utile a tal proposito precisare che lo stesso INGV è, ai sensi di legge, componente del Servizio Nazionale della Protezione Civile, nonché Centro di Competenza dello scrivente Dipartimento in materia di valutazione di pericolosità sismica e vulcanica…>>.

La domanda che sorge spontanea è come fa l’INGV ad essere contemporaneamente componente nazionale del servizio di protezione civile ed ancora Centro di Competenza per gli affari sismici e vulcanici per poi comparire nel frontespizio della Ischia Geo Termia S.r.l. quale struttura associata di progettazione specialistica e di monitoraggio…

Secondo le teorie appena riportate, il sindaco di Serrara Fontana e di Forio e anche degli altri comuni, potrebbero congiuntamente produrre istanza al capo dipartimento per avere un parere dalla commissione grandi rischi sezione rischio sismico e vulcanico, circa la sicurezza degli ischitani a fronte delle tre perforazioni e della pratica di reiniezione del fluido geotermico captato. 

Per quanto riguarda la redazione dei piani comunali di protezione civile, i due sindaci menzionati per gli stessi disposti di legge accennati in precedenza, devono provvedere a stilare il piano d’emergenza chiedendo sempre al dipartimento della protezione civile gli scenari di rischio che l’autorità scientifica (INGV) avrebbe già dovuto determinare per l’isola d’Ischia.

Il nostro invito è rivolto alla competente Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale, acché sia rigettato questo progetto, perché ci sono dubbi sulla innocuità delle trivellazione e delle pratiche di reiniezione. Altresì si chiede che si desista dallo sfruttamento dell’energia geotermica a media e ad alte temperature nelle zone napoletane a rischio vulcanico come Ischia e i Campi Flegrei e il Vesuvio. Si privilegi invece lo sfruttamento del calore terrestre meno energetico ma più accessibile e superficiale, attraverso un’operazione più diffusa di captazione dei fluidi caldi con sistemi e impianti magari meno invasivi ma certamente capaci di rispondere a una miriade di necessità diverse dal geo elettrico che può essere integrato da altre fonti naturali. 
Se la fonte geotermica è una fonte di energia rinnovabile, per sua natura vuol dire che è nelle nostre disponibilità anche future. Una risorsa a cui potremmo attingere attraverso tecnologie del tutto innovative, oppure con operazioni di trivellazioni maggiormente gestibili in termini di rischio, grazie ad apparecchiature e studi che diano magari una esatta corrispondenza del sottosuolo che bisognerà violare.










venerdì 9 dicembre 2016

Rischio Vesuvio: Fidel Castro chiese... di MalKo


Vesuvio visto da Napoli

Il Presidente dell’Istituto di Cooperazione e Sviluppo Italia-Cuba, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha raccontato che nel 1998 fu tra i pochi fortunati selezionati dall’ambasciatore cubano a Roma per incontrare Fidel Castro. Il Lider Maximo nel cordialissimo colloquio, inaspettatamente manifestò particolare interesse per il Vesuvio formulando al riguardo domande e lasciando trapelare incredulità sul fatto che sulle pendici del vulcano vivessero tante persone… e quindi chiese se erano stati approntati i piani di evacuazione. Un leader molto pragmatico…

I cittadini del vesuviano non pensano a come sia stato possibile che intorno a un vulcano esplosivo abbiano incredibilmente consentito di costruire palazzi su palazzi, perché loro fanno parte della parola incredibile; invece molto più realisticamente si chiedono se la posizione in cui risiedono sia più o meno pericolosa rispetto ad altre.

Nel merito del livello di rischio a cui giocoforza sono sottoposti per precisa collocazione geografica, e quindi distanza delle loro abitazioni dal cratere sommitale del Vesuvio, indubbiamente a fare la differenza sarà la portata energetica della prossima e imprevedibile eruzione. C’è da dire che le eruzioni maggiormente dirompenti possono differenziarsi per indice di esplosività vulcanica. Tra una sub pliniana (VEI4) e una pliniana (VEI5) passa un solo punto di differenza che non è poca cosa, perché i flussi piroclastici potrebbero coprire distanze di quasi 10 chilometri nel caso di una VEI4, ma anche il doppio in seno a una pliniana, come successe circa 4000 anni fa e ancora quasi 2000 anni or sono con la nota eruzione di Pompei del 79 d.C.

Il quadro delle conseguenze, ovvero dei territori coinvolgibili dai due stili eruttivi appena citati, come si vede è notevolmente differente. Ad essere ancora più precisi, nel caso di un’eruzione VEI4, le colate piroclastiche potrebbero percorrere distanze forse non eccedenti la linea nera Gurioli, rappresentata qui nella figura sottostante.


Se invece e malauguratamente l’eruzione dovesse assumere un carattere prettamente pliniano, cioè con un indice di esplosività vulcanica VEI5, le nubi ardenti dilagherebbero ben oltre il limite Gurioli, spingendosi fino all’area urbana di Napoli o alla base dei contrafforti dei Monti Lattari.

L’orlo calderico del Monte Somma non è sufficiente a proteggere gli abitanti di quel versante da una colata piroclastica. Questo spiega perché e nel dubbio, su un arco di 360° centrando il cratere, l’evacuazione dovrà essere totale nel momento dell’allarme.

Come abbiamo più volte scritto, l’autorità scientifica made in INGV, in assenza di elementi validi per poter definire con certezza l’energia della prossima eruzione del Vesuvio, ha potuto produrre solo conclusioni statistiche condivise appieno dalla Commissione Grandi Rischi che si è assunta l’onere di sancire definitivamente e nel senso deterministico che la prossima eruzione del Vesuvio sarà una VEI3 o al massimo una VEI4… In altre parole per i prossimi 128 anni Napoli è salva ma c’è il grosso problema proveniente dai contigui Campi Flegrei, in quanto pare che l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, abbia aperto un ciclo eruttivo piuttosto che chiuderlo.

La statistica offerta dagli esperti (Vesuvio) è tutta racchiusa nella tavola sottostante:

Proviamo a chiarire meglio i concetti di fondo che trapelano dallo schema riassuntivo. Il primo nodo che bisognava sciogliere riguardava l’arco di tempo da prendere in considerazione per avere la proiezione statistica dell’eruzione di riferimento. La finestra da prendere in esame poteva essere quella circoscritta da 60 a 200 anni (A), oppure da 60 anni in poi (B) senza un limite superiore. Quale hanno preso in esame? Ovviamente la prima tabella, perchè è maggiormente governabile in termini politichese, in quanto il broker statistico offre una percentuale pliniana dell’1% e posticipa ai posteri l’11% con cui dovranno poi misurarsi i tecnici e i politici e gli scienziati nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi.

In realtà l’1% serve solo a ri-pararsi da un eventuale e imprevedibile fallimento prognostico, offrendo comunque agli ingegneri della politica la possibilità di consentire ai comuni di Scafati e Poggiomarino di impastare ancora cemento a uso residenziale, mettendo gente su gente, in quei luoghi che saranno spazzati via da una possibile eruzione pliniana, o anche da una VEI5 meno meno o da una VEI4 con lode.  Diceva Indro Montanelli, che noi siamo un popolo di contemporanei, che non teniamo in debito conto il passato e né tantomeno il futuro…

Gli ingegneri napoletani si sono riuniti qualche giorno fa alla mostra d’oltremare per discutere di rischio vulcanico, sancendo che se il Vesuvio dovesse scoppiare, in 300 secondi potrebbe fare anche seicentomila vittime, ma siamo certi che non accadrà nei prossimi mesi. Il “mago” che ha azzardato questa previsione ha anche detto che un’eruzione può essere prevista con un mese di anticipo...

Il Professor Edoardo Cosenza, anch’egli innanzitutto ingegnere ed ex assessore alla protezione civile regionale Campania, ha ricordato invece che nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanico è da alcuni anni sbilanciato sullo stato di attenzione (giallo): un primo gradino su quattro. Quando ci sarà l'eruzione ai flegrei però, è più probabile che sia piccola, riferisce… e in ogni caso ha aggiunto, le zone rosse per entrambe le aree, Vesuvio e Campi Flegrei, sono state preparate per i fenomeni più violenti (?).  Se l’ingegnere si riferisce ai piani di evacuazione, occorre che rettifichi immediatamente il dato perché è assolutamente inesatto.

L’assessore Cosenza è un tecnico molto preparato che alla base di qualsiasi discorso antepone i tempi di ritorno delle catastrofi. Da buon strutturista poi, da tempo tesse le lodi dell’Ospedale del Mare, un vero fortino bunker costruito in zona rossa Vesuvio (Ponticelli), capace di resistere ai sussulti simici estremi e ai depositi di prodotti piroclastici di ricaduta che si accumulerebbero in caso di eruzione sui tetti senza colpo ferire. Una grande resistenza statica comprovata da collaudi che in verità non serve molto alla sopravvivenza delle persone, visto che il grande nosocomio può essere investito dai flussi piroclastici che si caratterizzano in verità per un elevato potere distruttivo dinamico e termico, visto che avanzano con temperature che possono tranquillamente raggiungere e superare i 500°/600° gradi Celsius, ben oltre quindi i limiti di fusione dello stagno, dello zinco e anche dell’alluminio e del genere umano.

Sul versante dei Campi Flegrei invece, la notizia che campeggia sui giornali online, è la lettura stratigrafica che è stata fatta del carotaggio nel famoso pozzo del deep drilling project (CFDDP) a Bagnoli. Una perforazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità ma che si è fermata a 501 metri. Secondo il dirigente del progetto, Il Dott. Giuseppe De Natale, il dato interessante che è emerso al momento, riguarda l’analisi dei sedimenti che testimonierebbe per potenza, un’attività vulcanica modesta nel settore orientale flegreo rispetto a quella più intensa da ascrivere alla parte occidentale. Un dato che potrebbe consentire di ritrattare in parte la pericolosità vulcanica in danno al centro urbano di Napoli...

Intanto pare che alla stesura generale dei piani di evacuazione del vesuviano, pardon di allontanamento, gestiti dal dirigente regionale Ing. Italo Giulivo, manchino all’appello ancora quattro o cinque comuni inadempienti, che rendono l’operazione di mobilità extra urbana complessivamente ancora da definire e ultimare. Il titolo di viaggio però ed è certo, sarà gratuito…

Nel festeggiare i 175 anni di esistenza dell’Osservatorio Vesuviano, si è tenuto il 7 dicembre scorso un incontro commemorativo di una certa importanza. Il Dott. Augusto Neri, direttore della struttura vulcani dell’INGV, ha detto alcune cose fondamentali su cui riflettere e riflettere molto. Innanzitutto che la percezione comune che la previsione dell’evento vulcanico sia più facile da formulare non è vera, perché la maggior parte dei vulcani hanno sistemi molto complessi e non abbiamo al nostro attivo una documentazione sui precursori eruttivi. Il ricercatore chiama in causa proprio i tre distretti vulcanici napoletani, tutti ubicati su un solo territorio provinciale e purtuttavia tutti e tre molto dissimili tra loro. I segnali che ci giungono da questi vulcani - aggiunge - si colgono tutti, ma sostanzialmente bisogna mettere in evidenza che mancando una documentazione scientifica di base dei segnali pre-eruttivi dei medesimi, una previsione dell’evento eruttivo è un’operazione oltremodo difficile.
Un invito al confronto con il mondo scientifico mondiale - conclude - è quindi necessario, soprattutto con quegli esperti che studiano vulcani per caratteristiche molto simili a quelli campani. Un’occasione potrebbe essere il congresso internazionale Cities on Volcanoes che si terrà a Napoli nel 2018.

mercoledì 2 novembre 2016

Rischio Vesuvio: sopravvivere all'eruzione... di MalKo


Vesuvio visto da sud


I terremoti che stanno sconquassando l’edificato soprattutto datato che poggia sulla catena appenninica del centro Italia, riapre come periodicamente succede il discorso sicurezza. Se il terremoto è assolutamente imprevedibile, e pur vero che attraverso una saggia progettazione e del buon cemento armato e ancoraggi e serraggi, è possibile edificare o adeguare palazzi in modo che resistano alle potenti sollecitazioni litosferiche, consentendo quindi la permanenza e la sopravvivenza in zona sismica.

Nel caso del Vesuvio e della sua capacità tutt’altro che astratta di produrre eruzioni esplosive, non c’è invece possibilità di coesistenza con fenomeno in corso. Non c’è difesa preventiva che tenga per i dimoranti vesuviani, se non quella di sperare di cogliere quei segnali geochimici e geofisici quali prodromi di eruzione imminente, per allontanarsi velocemente dal vulcano. Diversamente e in caso di eruzione, la catastrofe potrebbe essere un avvenimento ineluttabile.
Il rischio, come ci suggerisce visivamente il disegno in alto, è dettato dall’eccessiva promiscuità esistente tra uomini e Vesuvio. Doveva definirsi una distanza di sicurezza già all’indomani della terribile eruzione di Pompei del 79 d.C., quando incominciarono nel volgere di pochi anni le pratiche di lenta riurbanizzazione rurale dell’area vesuviana. In assenza di politiche di prevenzione giustificabili nell’antichità ma non nell’attualità, il Vesuvio è diventato un vulcano metropolitano irrimediabilmente serrato e accerchiato da un edificato asfissiante, con una popolazione esposta al pericolo eruttivo che in zona rossa conta ben 700.000 abitanti… Il Vesuvio non è possibile spostarlo da quella sede. Non è possibile neanche imbrigliare o domare le sue manifestazioni eruttive, così come non è possibile difendersi da fenomeni particolarmente violenti come le colate piroclastiche.

Non è possibile azzardare neppure una previsione eruttiva a lungo termine, ma solo sul cortissimo periodo che può essere di alcuni giorni, e comunque non quantificabile con precisione in termini di ore a disposizione. Praticamente l’ordine di abbandonare la zona per non incorrere nei falsi allarmi che non sono indolori, o nelle casistiche dei mancati allarmi che sono catastrofici, deve potersi dare al momento giusto: cioè, quando gli elementi prodromici a disposizione lasciano ritenere probabile con una percentuale del 50% più uno che siamo prossimi all’eruzione.  

Per poter attendere il punto di non ritorno bisogna contare su una pianificazione di evacuazione che richieda, come pianificato, un massimo di 72 ore per allontanare a ritmo ininterrotto tutti i residenti vesuviani. Un sistema di allontanamento che, per poter funzionare, ha bisogno di essere rodato, così come è necessario che la catena decisionale tanto scientifica quanto politica, possa annoverare notevoli competenze in quello che dovrà essere uno staff esperto e allenato allo stress decisionale.

Quando si parla di piani di evacuazione, nelle premesse bisogna tenere fortemente in conto lo stato d’animo della platea da salvaguardare: gli elementi di pericolo che determineranno in futuro gli estremi per dichiarare lo stato di allarme vulcanico, saranno percepibili o non percepibili? Ebbene, se il risveglio del Vesuvio sarà fisicamente percepibile per brontolii o scosse sismiche o tremori, pensiamo che si possa scatenare il panico. Il panico a sua volta produrrà disobbedienza civile, ritardi e intoppi e soprusi e scontri tra le popolazioni in fuga; molti schemi salteranno con i più deboli che inesorabilmente saranno alla mercé della calca.

Avremo un minimo di contegno sociale delle masse, solo se l’ordine di evacuazione arriverà senza percezione fisica del pericolo. Secondo una certa letteratura, dopo lo scoppio della centrale nucleare di Cernobyl (1986), con radiazioni altissime riscontrabili in ogni loco soprattutto nelle zone prossime alla sorgente, l’evacuazione dei cittadini fu ordinata e non furono pochi quelli che decisero di rimanere in loco lasciandoci la pelle. Nonostante i silenzi di stato e la propaganda politica, le informazioni comunque circolarono sotto banco, ma non scatenarono panico perché le radiazioni pur essendo un subdolo elemento di pericolosità estrema, purtroppo non sono percepibili…

Il piano di evacuazione è uno strumento di difesa attiva, aggiungeremmo democratico, perché deve contemplare la salvaguardia di uomini donne e bambini, e tra questi vecchi e malati, senza alcuna distinzione e discriminazione in ordine alla sopravvivenza che è un diritto che va assicurato a tutti, a prescindere da razza, religione, ecc.

Avere un piano di evacuazione credibile a fronte del rischio Vesuvio, è il desiderio di molti abitanti del vesuviano che credono che un’eruzione del temibile vulcano sia un evento che bisogna necessariamente contemplare nella sfera dei possibili accadimenti, e quindi bisogna adoperarsi per la prevenzione delle catastrofi.

La notizia che i vesuviani non hanno ancora un piano di evacuazione per fronteggiare attraverso l’evacuazione preventiva il pericolo eruttivo, doveva essere uno scoop da prima pagina. I media nazionali e internazionali avrebbero dovuto incalzare per questo il Dipartimento della Protezione Civile, la Regione Campania e la pletora degli inadempienti comuni della zona rossa, alzando la voce e sbandierando la carta dei disattesi diritti dell’uomo, nonostante l’indifferenza pilatesca dimostrata per l’argomento dalla competente corte europea di Strasburgo (CEDU). 

La politica della precedente amministrazione regionale e dell’assessorato alla protezione civile, è stata tutta protesa alle discutibili logiche dei tempi di ritorno delle grandi catastrofi e delle eruzioni vulcaniche pliniane. Attraverso queste disquisizioni singolari è stato adottato come scenario eruttivo da cui difendersi, un’eruzione di media intensità (VEI4). Questo spiega lo scandalo dei comuni di Poggiomarino e Scafati che nicchiano e urbanizzano ancora con licenze edilizie un territorio che potrebbe essere in futuro travolto da un’eruzione pliniana (VEI5). 

A distanza di alcuni decenni il piano di emergenza Vesuvio corredato dall’appendice più importante, il piano di evacuazione, è prossimo a una fine progettuale. L’attuale pianificazione che tra poco dovrebbe vedere la luce nella sua interezza, si basa sulla ottimistica certezza dell’obbedienza civile e della svizzera organizzazione intermodale dei trasporti, con modalità ci sembra, più affini ai grandi eventi che alle grandi catastrofi. Di seguito i dati salienti pubblicati dalla Regione Campania.

Il piano che è stato approntato è pachidermico anche se abbastanza elementare e semplice nella struttura; è un piano di garanzia istituzionale e ricorda a tratti e per la parte aritmetica, la bozza di piano che fu varata nel 1995.

La tabella che vi proponiamo è abbastanza riassuntiva di alcuni disposti regionali da tenere in debito conto in caso di variazione dei livelli di allerta vulcanica.

Chi ha residenza alternativa e autovettura propria (C) può andarsene dal vesuviano già nella fase di pre allarme. Chi si riconosce nella condizione A o B deve attendere la fase di allarme per essere assistito dall’organizzazione di protezione civile comunale, regionale e nazionale. Chi si trova nelle condizioni C ed ha atteso la fase di allarme per andare via, può allontanarsi seguendo esclusivamente i percorsi prestabiliti.

Chi non è autonomo automobilisticamente parlando, dovrà portarsi nelle aree di attesa comunali. Chi non ha residenze alternative ma autovettura a disposizione può portarsi nelle aree di incontro ubicate fuori dalla zona rossa per avere informazioni, oppure direttamente nelle aree di prima accoglienza. L’ubicazione di questi spazi strategici fuori dalla zona rossa sono già stati individuati.

Perché dicevamo che qualcosa di questo piano non ci convince. Innanzitutto ci sembra, ripetiamo,  aritmetico e non affronta il problema panico. Forse che l’Osservatorio Vesuviano o la Commissione Grandi Rischi hanno dato certezze che non ci sarà percettibilità dell’approssimarsi dell’eruzione nella fase di allarme? Ma è soprattutto un elemento a lasciare profondamente perplessi: nell’articolazione dell’allontanamento che dovrà svilupparsi nelle fatidiche 72 ore, il documento ufficiale recita che sono previste 12 ore per organizzarsi e posizionarsi; 48 ore per l’allontanamento della popolazione, e le 12 ore rimanenti rappresentano un margine di sicurezza aggiuntivo. Praticamente grasso che cola…

Sempre nel documento si stimano 4365 corse di autobus al giorno per portare la popolazione non autonoma alle aree di incontro grazie all’impiego di 500 autobus. Facendo qualche calcolo 500 autobus corrispondono a una continuità di circa 6 chilometri. Praticamente oltre 6 chilometri di bus che entrano ed escono dalla zona rossa offrendo un servizio navetta in una condizione di allarme vulcanico. Analiticamente è possibile, ma pensate che sia una operazione praticamente fattibile?

I piani di garanzia istituzionale sono quelli che numericamente corrispondono a tutte le esigenze evacuative dettate dai numeri in gioco e dalle tipologie dei trasferimenti individuate. I piani di garanzia istituzionale in sostanza sono giuridicamente inattaccabili anche se un po' surreali, perché non contemplano quei fattori perturbanti che generalmente possono ampiamente prevedersi. 

Il problema è che il pianificatore non può non essersi chiesto che succede se saltano gli schemi da gita scolastica prefissati. Come abbiamo avuto modo di spiegare in altre occasioni, in caso di percezione fisica del pericolo vulcanico, a prescindere a che livello di allerta vulcanica ci troviamo, la zona rossa diventerà nel volgere di poco una pompa centrifuga con 25 fori di uscita che ben difficilmente consentiranno a qualcosa che sia un autobus o un veicolo di emergenza di entrare nell’area da abbandonare…

Nel documento ufficiale di Regione e Protezione Civile si evince una tipologia di evacuazione soft; tocca dire però, che le autorità hanno utilizzato in tutta onestà il termine piano di allontanamento e non piano di evacuazione. Un piano di allontanamento comprende lo spostamento della popolazione senza traumi e in assenza del pericolo manifesto.

Il piano di evacuazione invece, è la pratica ultima per sottrarsi al pericolo incombente. Quindi, i documenti sono tutti garantisti. La classe scientifica riferisce che sapremo mesi prima dell’incalzare di un evento eruttivo grazie alle sofisticatissime strumentazione anche spaziali che ci monitoreranno il suolo al millesimo di millimetro. L’ascesa del magma non passerà inosservata, così come la classe tecnica e politica ci garantisce la movimentazione della popolazione in 72 ore.

I gemellaggi sono stati fatti, anche se mancano le istruzioni operative, quindi possiamo concludere che la meta della sicurezza vulcanica entro il 31 dicembre 2016 dovrebbe essere raggiunta: almeno per il Vesuvio. Ai Campi Flegrei c’è un work in progress…

Nel prossimo articolo vi spiegheremo che significa produrre un piano d’emergenza…d’emergenza, perché molto spesso la realtà anche geologica, supera la fantasia.

giovedì 13 ottobre 2016

Rischio Vesuvio: Habemus piano?... di MalKo



livelli di allerta e fasi operative


Vorremmo tranquillizzare i nostri lettori. Il governatore della Campania De Luca, ha presentato (12/10/2016) il piano di emergenza a fronte del rischio Vesuvio, indicando anche la prassi operativa da rispettare per poter evacuare la zona rossa 1 e 2 nelle 72 ore previste.
Vesuvio: zona rossa 1 (R1) e zona rossa 2 (R2)

Tale presentazione non è un atto dettato dall’incombenza del pericolo eruttivo, ma più semplicemente è un modo per uscire dallo scacco matto delle intollerabili inadempienze comunali.

Il Vesuvio ad oggi permane in uno stato di quiete vulcanica, e nessun segnale lascia presagire che possa mutare la sua annosa e gradita quiescenza nel breve termine.

Per fine ottobre i comuni vesuviani che ancora non hanno stilato il piano di protezione civile comunale, sono stati richiamati dall’autorità regionale e con molta energia affinchè si adoperino per produrlo, o comunque a indicare almeno i punti strategici per accordarsi e raccordarsi al piano generale presentato al pubblico negli uffici regionali.

La bontà del piano così elaborato che prevede il trasporto della popolazione appiedata utilizzando 220 convogli ferroviari e 500 autobus, sarà oggetto del prossimo articolo che pubblicheremo a breve.
Il punto fondamentale che a nostro avviso farà la differenza, sarà la percezione fisica o meno dell'imminenza di un'eruzione... Un problema comunque, che oggi non c'è! 

martedì 27 settembre 2016

Campi Flegre: l'inquieta caldera vulcanica... di MalKo


Campi Flegrei - Pozzuoli - Il Rione Terra


I Campi Flegrei sono un’area vulcanica di circa 10 Km. di diametro, che caratterizza la parte occidentale della città metropolitana di Napoli, che in questa zona annovera non pochi quartieri che insieme alle cittadine di Pozzuoli, Quarto, Bacoli e Monte di Procida, formano il semicerchio subaereo della caldera flegrea, il cui continuo digrada e affonda nelle acque del Golfo di Pozzuoli. La città puteolana si trova nella parte centrale della caldera vulcanica, lì dove le spinte sotterranee sembrano avere una maggiore incidenza…



La Zona Rossa flegrea che vedete in figura, è quella da evacuare cautelativamente in caso di ripresa dell’attività eruttiva dei Campi Flegrei, così come sancito dal D.M. del Presidente del Consiglio in data 24 giugno 2016. Infatti, il rischio che tale area venga invasa dalle colate piroclastiche, il fenomeno più temibile di un’eruzione vulcanica, è molto alto. Questa classificazione di alta pericolosità vulcanica avrebbe dovuto comportare in pari data l’emanazione del decreto legge regionale di inedificabilità totale ad uso residenziale. Sostanzialmente la stessa regola utilizzata per la zona rossa Vesuvio (Rossa 1), che è vincolata per le attività cementizie ai disposti della legge regionale Campania n° 21 del 2003. Nelle zone rosse si dovranno costruire solo opere d’interesse pubblico che non comportino un aumento della popolazione residente.

La zona rossa flegrea, comprende quindi Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli, Quarto e alcune porzioni dei territori di Giugliano in Campania e Marano di Napoli. Ed ancora e per intero le circoscrizioni della città di Napoli quali Soccavo, Pianura, Bagnoli, Fuorigrotta e parzialmente settori delle municipalità di San Ferdinando, Posillipo, Chiaia, Arenella, Vomero e Chiaiano, per un totale di 550.000 abitanti.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei narra di tre periodi diversi dove le eruzioni si sono susseguite con una certa frequenza ma anche intervallate da lunghe quiescenze vulcaniche. Secondo alcuni ricercatori, ai fini della determinazione degli scenari eruttivi da cui bisognerà un giorno difendersi, occorre concentrare l’attenzione sulla terza fase dei Campi Flegrei, ovvero sugli ultimi 5000 anni di vita geologica.
Secondo pubblicazioni ufficiali, la secolare subsidenza che ha interessato i Campi Flegrei, ha avuto un’inversione di tendenza a partire dal 1950. Un anno che potremmo definire di svolta geologica, perché il suolo ha iniziato a sollevarsi a tratti anche velocemente, dando così corso e spazio al famoso fenomeno del bradisismo puteolano. Un fenomeno che ancora oggi procede lentamente, segnando anche brevi periodi di stasi se non di regressione, che comunque e nell’insieme presenta un perdurevole trend al rialzo. Altre fenomenologie ancora indicano chiaramente una rinnovata quanto preoccupante vivacità del sottosuolo calderico dei Campi Flegrei.

Nell’attualità si registra alla stazione del Rione Terra (Pozzuoli) e a partire dal mese di gennaio 2016, un innalzamento del suolo misurato in 7 centimetri.

Durante la crisi bradisismica dal 1982 al 1985, la massima velocità di sollevamento si ebbe nel mese di ottobre del 1983 con 14,5 cm in un mese. Quando terminò il fenomeno nel 1985, si contò un dislivello di + 1,79 m che, sommato ai rigonfiamenti ascrivibili alle crisi precedenti, segnò una deformazione totale e verticale del piano campagna valutabile in + 3,34 metri rispetto ai livellamenti del 1968.
Dal 1985 e fino al 2004 il suolo ha ripreso ad abbassarsi di quasi un metro, anche se in quest’arco di tempo bisogna registrare oscillazioni tanto positive quanto negative del bradisismo. Dal 2004 al 2005 si registrò una stasi nelle deformazioni. Già dal 2005 però, nuove energie ridiedero tono al sollevamento del terreno congiuntamente a una modifica nella quantità e qualità dei gas fumarolici soprattutto a ridosso della Solfatara.

Il bradisismo quindi, oltre ad essere un fenomeno particolare del vulcanesimo che implica strascichi strutturali nell’edificato, è senz’altro un indicatore di rischio vulcanico, perché direttamente o indirettamente implica il magma sottostante. L’attuale ascesa dei suoli dura da ben 11 anni. Anche le manifestazioni idrotermali nell’area flegrea sono abbastanza diffuse tanto in mare quanto nel settore interno ed esterno della Solfatara, in località Pisciarelli, dove alcune macroscopiche fenomenologie, come l’aumento dell’attività fumarolica e di temperatura dei fluidi, insieme a un massiccio incremento della degassazione dell’anidride carbonica dai suoli, che raggiunse (2001) un’emissione di 1500 tonnellate al giorno, hanno contribuito ad accendere l’attenzione sul rischio vulcanico ai Campi Flegrei.

Secondo gli studi e le analisi campali condotte dal Dott. Giovanni Chiodini (INGV), è stato possibile valutare che la degassazione di anidride carbonica nella zona di Pisciarelli è praticamente raddoppiata rispetto al 2001, tant’è che nel mese di gennaio 2015 si contava una dispersione di questo gas asfissiante nell’ordine delle 3000 tonnellate al giorno.
Un dato di tutto rispetto… Come di notevole valore sono i 420° C. misurati un po’ di anni fa alla base del pozzo di S. Vito (-3046 mt.): una temperatura per dare l’idea, sufficiente per cagionare la fusione dello zinco. Nella zona di Mofete, a 2700 metri di profondità, non da meno si riscontrano temperature nell’ordine dei 350° C.
 
Probabilmente all’origine della decisione della commissione grandi rischi di segnalare alla Protezione Civile la necessità di instaurare lo stato di attenzione vulcanica ai Campi Flegrei (dicembre 2012), cioè il passaggio a un primo livello di allerta vulcanica tuttora vigente, non è da escludere che ci siano proprio le anomalie fumaroliche della zona Pisciarelli congiuntamente alla ripresa del bradisismo.


Livelli di allerta vulcanica



Lo Sato di attenzione vulcanica comporta l’emissione settimanale di un bollettino vulcanologico a cura dell’Osservatorio Vesuviano. L’informazione dovrebbe poi essere replicata e diffusa ai cittadini attraverso i mezzi di comunicazione locali. Il comune d’altra parte nella fase di attenzione ha il precipuo compito di rodare le attività previste nella successiva fase di preallarme, che contempla tra l’altro l’esodo spontaneo delle popolazioni e l’evacuazione preventiva degli ospedali.

La zona di Pisciarelli tanto per rimanere ancora nell’attualità, coincide praticamente con quella di Scarfoglio, località dove secondo un’ipotesi progettuale dovrebbe realizzarsi una centrale geotermica per la produzione di energia elettrica. L’impianto sfrutterebbe i fluidi geotermici a 180° C prelevati a circa 1000 metri di profondità per poi reiniettarli nel sottosuolo d’origine.
Il rischio connesso a un’esplosione freatica in questa zona pregna d’acqua e di calore ci sembra alto, come alta potrebbe essere la dispersione in atmosfera di indesiderate e massicce quantità di anidride carbonica, favorite dalla pratica delle trivellazioni o dall’esplosione del pozzo. Un progetto geotermico che riteniamo francamente improponibile in un contesto territoriale ribollente e classificato ufficialmente da un atto dello Stato come ad alta pericolosità vulcanica…

Ulteriori e recenti studi a cura del Dott. D’Auria (INGV), lasciano ritenere probabile che nei suoli flegrei si siano insinuati dal profondo della camera magmatica (8 Km), filoni di magma che sono ascesi fino a 3 km dalla superficie per poi slargarsi brevemente, generando quei micro sismi con qualche evento a sciami che tanto hanno allarmato la platea scolastica qualche anno fa. Queste intrusioni potrebbero apportare calore ed essere responsabili dell’aumento dalle fumarole dei gas di origine magmatica.

Campi Flegrei: vecchia zona rossa, nuova zona rossa e linea nera Orsi.

Secondo il ricercatore Dott. Orsi (INGV), la storia eruttiva degli ultimi 5000 anni come già accennavamo in precedenza, è quella contenente gli elementi di geo vulcanologia da cui bisogna trarre gli scenari eruttivi di riferimento per la redazione dei piani d’emergenza.

La linea nera Orsi che qui vediamo raffigurata, indica i limiti di deposito dei flussi piroclastici prodotti da eventi verificatesi appunto negli ultimi 5000 anni nella caldera. Si contano in tale periodo 24 eruzioni di cui 21 a carattere esplosivo e 3 ad andamento effusivo. L’ultima eruzione riportata negli annali storici è quella che portò alla nascita del Monte Nuovo (Pozzuoli), che si erge per 133 metri sul livello del mare. L’eruzione si verificò nel 1538 e fu preceduta da eventi sismici e poco prima dell’eruzione da un sommovimento bradisismico accentuato al punto da mettere allo scoperto il fondo del mare costellato di pesci.
Dagli studi statistici che hanno analizzato le eruzioni in caldera negli ultimi 5000 anni di attività, è stata elaborata una stima statistica circa la probabilità condizionata di accadimento di quella che potrebbe essere la futura eruzione ai Campi Flegrei. La tabella sottostante indica quindi queste percentuali:

Campi Flegrei: statistica VEI 

Analizzando i risultati, è stato ritenuto probabile che una prossima eruzione ai Campi Flegrei possa presentare valori di esplosività non eccedenti una eruzione di intensità VEI 4.  Sostanzialmente queste conclusioni rispecchiano quelle già elaborate per il Vesuvio dove una VEI 4 corrisponde similmente a una sub pliniana…
Ovviamente la scala energetica dell’eruzione potrebbe essere influenzata dall’ingressione delle acque che potrebbero contattare il magma. Infatti, stante le caratteristiche della caldera, non si può escludere che una eventuale eruzione possa verificarsi in mare o nelle zone lacuali o in altri settori pregni di acqua idrotermale come quelli di Agnano-Pisciarelli.

La zona dove secondo gli esperti sussiste una maggiore possibilità di apertura di una bocca eruttiva è quella che vedete cerchiata grossolanamente nell’immagine sottostante.
Trattasi ovviamente, precisiamo, di una probabilità, perché le relazioni scientifiche sottolineano che qualsiasi punto della depressione calderica potrebbe essere sede di una bocca eruttiva.
Le problematiche della previsione del rischio vulcanico comportano elementi di incertezza oggettivi e comuni ad altri distretti napoletani, come ad esempio sul quando avverrà un’eruzione e di che tipo sarà quest’eruzione: domande clou che rimangono senza risposta. A differenza degli imprevedibili terremoti, nel caso delle eruzioni la previsione dell’evento potrebbe azzardarsi con una certa probabilità di successo alcuni giorni se non poche ore prima dell’evento.

Con siffatti tempi a disposizione (72 ore), evacuare un milione di persone (Vesuvio) non è facile nel giro di qualche giorno, così come sarebbe oggetto di grosse polemiche un'evacuazione senza che si manifestasse poi l’eruzione.


Per evitare il mancato allarme o il falso allarme, le due condizioni estreme, è necessario attendere ragionevolmente che i prodromi eruttivi siano colti in una misura e in un tempo tale da non incorrere in una delle due condizioni citate in precedenza. Cogliere il momento giusto è molto difficile, ma può aiutare molto un'efficiente organizzazione evacuativa capace di mettere rapidamente in sicurezza i cittadini. Non c’è previsione invece, neanche a ridosso dell’evento, per individuare la tipologia eruttiva che sarà svelata esclusivamente con eruzione in corso.  

Per la caldera flegrea, l’ulteriore elemento d’incertezza è dato dall’incognita circa il punto dove avverrà l’eruzione, che anche in questo caso potrebbe essere individuato solo poche ore prima dell’evento. A queste non marginali incertezze, bisogna aggiungere pure la considerazione che non si può escludere che si possano attivare contemporaneamente più bocche eruttive…

La popolazione flegrea oggi è forse quella più in evidenza a proposito del rischio vulcanico, perché questo sottosuolo ardente è teatro di una serie di processi geochimici e geofisici che lasciano ritenere fortemente probabile l'innesco di interazioni da parte di intrusioni magmatiche. Un situazione però, che, nonostante le evidenti anomalie, potrebbe mantenere queste soglie di incertezza con alti e bassi per secoli, o, viceversa, gli eventi potrebbero evolversi in un pericoloso crescendo nel giro di poco tempo...

Il passaggio allo stato di attenzione vulcanica non è un mero processo burocratico, ma rende necessario stabilire anche politicamente delle assolute priorità in ordine alla organizzazione di protezione civile che bisognerà assegnare all’area flegrea.

Nel merito si rende quindi improcrastinabile varare il vincolo vulcanico alla cementificazione di tipo residenziale nella zona rossa flegrea, perché le esigenze della protezione civile e le incertezze legate a un pericolo di cui non è garantita un’utile prevedibilità, non tollerano oltre un aumento del valore esposto (abitanti).

Bisognerebbe poi stabilire quali elementi strutturali e infrastrutturali e viari bisogna progettare e realizzare per favorire le politiche della sicurezza areale oramai racchiusa nell’evacuazione preventiva.

La grande spianata di Bagnoli, terra di dissidi e interessi politici, dovrebbe essere bonificata e dovrebbe continuare ad offrire alla cittadinanza il concetto di spiaggia, di mare e soprattutto di spazio, magari secondo alcune e necessarie priorità infrastrutturale e strutturali che troverebbero una marcata utilità nel campo della protezione civile e non solo flegrea. Un argomento che tratteremo prossimamente...

Rimane poi il grande problema dei piani di evacuazione ancora da completare e che devono ultimarsi tenendo conto dell’attualità e non della progettualità futura di grandi opere e arterie stradali da venire… Un vademecum illustrativo sancirà l'effettiva ultimazione della pianificazione d'emergenza, e dovrà essere distribuito casa per casa garantendo ai cittadini e prima ancora delle applicazioni operative sui smartphone, l'imprescindibile diritto all'informazione che è il primo tassello della prevenzione.. 
E ancora bisognerebbe discutere della zona gialla con le maestranze di Palazzo San Giacomo, perché allo stato dell’arte questa zona comprende sostanzialmente tutto il centro storico di Napoli. A parità di quantità di materiale piroclastico di ricaduta, la vulnerabilità di questo settore storico cittadino, è almeno doppia rispetto alla zona gialla del Vesuvio. 

Campi Flegrei: zona rossa e gialla

Occorrerebbe pure definire al meglio la vulnerabilità delle coste esposte al rischio maremoto, atteso che metà della caldera flegrea è sott’acqua e come abbiamo detto in precedenza, un’eruzione è possibile in uno o più punti dell’intera depressione calderica…

Diciamo che c’è molto da fare… La morale conclusiva è che la previsione dell'evento vulcanico non è ancora una realtà contenente quelle certezze di cui abbiamo bisogno per vivere in sicurezza. Bisognerebbe quindi privilegiare la strada maestra della prevenzione che però difetta di seguaci, perché è un percorso multidisciplinare difficile, comprendente tecnica e scienza e politica e soprattutto è una disciplina un po’ invisa perché richiede tante rinunce… La misura della prevalenza dell’interesse pubblico, la darà la progettualità da realizzarsi sulla colmata di Bagnoli.