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domenica 19 luglio 2015

Vesuvio: nel 1999 panico da terremoto... di MalKo


Il Cono centrale del Vesuvio e l'orlo calderico del Monte Somma

Il 9 ottobre 1999 una scossa di terremoto con una magnitudo 3,6 (Md) localizzata nell’area craterica del Vesuvio a 3,8 chilometri di profondità dal livello medio mare, fu nettamente avvertita dalla popolazione vesuviana che rimase sgomenta, non solo per la sua evidente percettibilità, ma soprattutto perché l’energia proveniva dal ventre del temuto monte vulcanico. L'11 ottobre alle 4.35 una replica sismica da M 2.9 della scala Richter...
Il Comune di Portici, con cui eravamo in collegamento in ragione di una stretta collaborazione in tema di rischio vulcanico, ci riferì che la situazione era di ansia crescente tra i cittadini che chiamavano preoccupati al numero verde (H24) dell’ufficio comunale di protezione civile. Un servizio permanente che avevamo instaurato qualche anno prima perché le emergenze in genere, ma anche quelle sismiche e vulcaniche, hanno la caratteristica di potersi presentare con una certa rapidità, in qualsiasi giorno e a qualsiasi ora…
Le richieste telefoniche dell’utenza allarmata riguardavano prevalentemente un'unica e angosciosa e fondamentale domanda: dobbiamo scappare? La risposta sulle prime non era semplice e scontata, perché si trattava del terremoto più energetico dal 1944…ovvero dall'ultima eruzione del Vesuvio. Rispondemmo ai tanti appelli telefonici che al momento non c’erano presupposti di allarme e che bisognava attendere un po’ di giorni per capire se quella scossa aveva un significato importante. Ci rendemmo conto ben presto che anche all’Osservatorio Vesuviano erano dubbiosi e preoccupati e solo col passare delle ore e dei giorni o forse dei mesi si sarebbe potuto dare un significato alla spallata sismica che diede l’inaspettata sveglia ai vesuviani.

Nel frattempo conoscendo la localizzazione di qualche pozzo profondo in località Boscotrecase, cercammo di renderci utili partecipando a sondaggi sulle temperature dell’acqua insieme a personale dell’Osservatorio Vesuviano. Il comune di Portici aveva tra le attrezzature una sonda immergibile idonea a questo scopo. Nei due pozzi monitorati la temperatura dell’acqua a 125 metri di profondità superava di poco i 30° C. Trattandosi di siti non censiti in precedenza, il valore non risultò particolarmente indicativo per la mancanza di riferimenti passati. Passammo allora ad analizzare la temperatura nel pozzo campione di Torre del Greco. In questo caso scendemmo da una botola ubicata sul livello stradale e per alcuni metri nel sottosuolo. Da qui c’era l’accesso alla canna di pozzo. La temperatura che rilevammo dabbasso non si discostava dai valori base di riferimento. Il dato che ci allarmò molto invece, ci fu dato dal sensore elettrochimico collegato a un apparecchio portatile che avevamo per sicurezza aggrappato alla cintura: dopo pochi secondi incominciò ad emettere un cicalio assordante, intermittente e non tacitabile, perché l'apparecchio aveva rilevato il superamento della soglia limite di sopravvivenza all’anidride carbonica (CO2). Il locale era letteralmente invaso dal gas asfissiante proveniente dal pozzo saturo, fatta eccezione per la parte alta del locale areato appena dalla botola aperta…
A distanza di qualche giorno l’ex direttore dell'Osservatorio Vesuviano, Prof. Giuseppe Luongo, iniziò una querelle contro la Dott. Lucia Civetta, allora direttrice in carica, perché a suo dire con quel terremoto bisognava passare a un livello di attenzione vulcanica. Lo stesso livello di allerta che caratterizza oggi i Campi Flegrei

Gli attuali livelli di allerta vulcanica
Dall’Osservatorio invitarono alla calma e soprattutto evidenziarono che il dato anomalo riguardava un solo parametro e non gli altri. Risposta un po’ vera e un po’ governativa… Per affrontare questa diatriba che aggiunse ansia ai cittadini, pubblicammo in tutta fretta un numero speciale dell’informa comune, un giornale locale edito dal comune porticese e distribuito nelle piazze, in cui cercammo di spiegare come stavano i fatti aggiungendo elementi di tranquillità vertenti tutti sulla gran mole di lavoro e sugli importanti risultati raggiunti nel campo della prevenzione e dell’operatività a livello comunale. In quel periodo al governo della città c’era il sindaco Leopoldo Spedaliere, personaggio forse anche controverso, ma dal punto di vista della protezione dei cittadini dal pericolo vulcanico, si distinse per ruolo e competenza.  

L'edizione straordinaria dell'informa comune - Portici - .

Della diatriba scientifica possiamo aggiungere che in realtà Luongo aveva ragione, perché il livello di attenzione implica semplicemente una maggiore attività di sorveglianza geochimica e geofisica dei parametri del vulcano: non altro, ed era esattamente quello che occorreva fare in quel momento. Con una spallata sismica di quel tipo non bisognava aspettare il cambiamento di altri parametri per drizzare le orecchie, soprattutto se questi valori non venivano acquisiti in tempo reale grazie a stazioni automatiche. D’altra parte però, possiamo garantire che in quel contesto fatto di ignoranza generalizzata anche da parte dei comuni a proposito dei livelli di allerta vulcanica e delle fasi operative corrispondenti, dichiarare lo stato di attenzione equivaleva ad accendere forse la miccia del panico, ma più ancora del ridicolo perché si sarebbe messo in risalto la colpevole assenza dei piani di evacuazione.
Più di qualcuno nel bailamme delle notizie cambiò aria… La verità sull'intera faccenda fu che si passò nei fatti a uno stato di attenzione vulcanica senza per questo dichiararlo. Una soluzione veramente salomonica...

Oggi seguiamo con interesse le dissertazioni e gli argomenti che propone l’avvocato Giuseppe D’Aniello da un apposito sito web, a proposito di un sistema di monitoraggio vulcanico (Vesuvio) che presenta falle su molti lati, soprattutto sull’acquisizione in tempo reale dei dati riguardanti la chimica delle fumarole e i segnali sismici particolarmente disturbati dal passaggio dei bus turistici all’interno della Riserva naturale statale Tirone Alto Vesuvio.  Un andrivieni meccanico tra l'altro in contrasto con le necessità dichiarate di equilibrio ambientale dell'oasi...
Dagli scritti dell’avvocato ci sembra di capire che il presidente dell’INGV, Stefano Gresta, sia seccato da questo puntiglioso interesse scientifico di D’Aniello che segnala discrasie nel sistema di sorveglianza. Interesse centrato soprattutto sugli aspetti che riguardano il monitoraggio dei parametri fisici e chimici del Vesuvio. Riteniamo che la semplice appartenenza alla zona rossa Vesuvio, quale area geografica dove non è garantito l’imprescindibile diritto alla sicurezza, dia titolo per pretendere di sapere cosa accade all'interno delle strutture statali di monitoraggio, visto che la previsione dell’evento eruttivo rimane non già l’arma, ma l’unica speranza per non essere investiti improvvisamente da una colata piroclastica incandescente. Ne consegue che l’INGV deve rispondere nel concreto agli interrogativi e alle segnalazioni  dei cittadini a prescindere, perché solo dall'efficienza e dall'efficacia della pratica di monitoraggio in tempi reali dei parametri vulcanici, si possono cogliere sul nascere i salvifici prodromi pre eruttivi.
La parte istituzionale amministrativa (Dipartimento Protezione Civile e Comuni) hanno dalla loro il secondo elemento della sicurezza. Infatti, se anche l’Osservatorio Vesuviano riuscirà a cogliere sul nascere i sintomi di un possibile risveglio del Vesuvio, sarà necessario rendere operativo un piano di evacuazione che oggi non c'è! C’è l’obbligo si stilarli però, a cura dei Comuni vesuviani e flegrei entro il 31 dicembre del 2015, pena la perdita dei finanziamenti europei stanziati ad hoc. Staremo a vedere…

Se il vulcano avrà la bontà di mantenere la sua pace geologica almeno fino a questa data e l’Osservatorio Vesuviano metterà in secondo piano il geotermico e le trivellazioni concentrandosi sulla sorveglianza vulcanica con tutta l'efficacia possibile, probabilmente incominceremo a mettere insieme i tasselli giusti della sicurezza areale dei tre distretti vulcanici napoletani, a tutto vantaggio del giuridico e superiore interesse pubblico.  
Il presidente dell'INGV  si rimbocchi le maniche e aguzzi l'ingegno organizzativo e operativo della struttura che dirige, in modo che si tenga alto il concetto che uno dei ruoli fondamentali della scienza consiste nell'evitare che un evento naturale come un'eruzione, possa trasformarsi in una immane catastrofe...




giovedì 2 luglio 2015

Rischio Vesuvio: Noè e l'ultima spiaggia...di MalKo



Il Vesuvio da Torre del Greco

Il principale compito della commissione incaricata di provvedere all’aggiornamento dei piani d’emergenza dell’area vesuviana per il rischio Vesuvio, è stato quello di individuare il tipo di eruzione da cui dobbiamo difenderci, perché non è stata assunta quella massima conosciuta per delineare gli scenari eruttivi di riferimento. Interpretare i segnali che ci giungono in superficie da quel mondo sotterraneo dove i magmi si costipano, si muovono e si rinnovano, non è facile per le innumerevoli variabili e interazioni che caratterizzano la chimica e la fisica delle rocce allo stato plastico. Quindi, non solo è difficile prevedere un’eruzione, ma è da vero azzardo stimarne l’intensità eruttiva e con essa il territorio su cui si potrebbero abbattere le fenomenologie vulcaniche più deleterie. 

Alcuni ricercatori dell’INGV con l'avallo della commissione grandi rischi, hanno indicato l’evento eruttivo ultra stromboliano come quello più probabile nel medio termine, mentre il sub pliniano come evento massimo di riferimento.  La possibilità che possa verificarsi un’eruzione pliniana simile a quella che distrusse Pompei nel 79 d.C. o a quella di Avellino che 3800 anni fa sconvolse la plaga vesuviana, è stata letteralmente scartata: il grosso problema è che non ci sono basi deterministiche per farlo… Questa decisione scientifica è stata accettata e condivisa dagli organismi tecnici regionali e dipartimentali.

Il direttore dell'Osservatorio Vesuviano, Dott. Giuseppe De Natale, esclude invece che oggi sia possibile definire i tempi di ritorno di un'eruzione di qualsivoglia tipologia eruttiva; regola che vale per tutti i vulcani in generale ma in particolare per le eruzioni pliniane del Vesuvio. Quelle a noi note infatti, sono in numero talmente esiguo che qualunque analisi statistica ha una significatività estremamente bassa.

Allora, cosa c’è dietro alle politiche di protezione civile applicate agli ambiti territoriali del vesuviano e del flegreo per quanto ci riguarda e abbastanza chiaro, e lo si poteva intuire partecipando al convegno tenutosi nella prestigiosa sede del castello Angioino di Napoli il 29 giugno 2015. Per tutti coloro che si sono persi l’importante dibattito, c’è la possibilità di riascoltare gli esperti attraverso i programmi di radio radicale, a cui va il merito di garantire una puntuale informazione sull’argomento.

Ebbene, secondo le filosofie del Prof. Edoardo Cosenza, figura preminente dell’ultimo quinquennio della protezione civile regionale e nazionale, non si tutelano le persone allargando la zona rossa, ma al contrario bisogna restringerla secondo logiche ottimali; così i falsi allarmi che sono una concreta possibilità in questo campo minato della previsione vulcanica, diventerebbero gestibili riducendo al minimo i rischi intrinsechi allo spostamento delle masse. Il professore chiarisce poi, che bisogna tenere presente gli intervalli legati alla frequenza delle catastrofi, cioè i tempi di ritorno, e su quelli concentrare le politiche di protezione civile e non già sull’evento peggiore che si conosce. Se per esempio volessimo prendere in esame il massimo evento di riferimento nel campo della geologia, aggiunge, dovremmo partire dal super continente iniziale e dalla deriva dei continenti; come eventi massimi poi, apocalisse, estinzione dei dinosauri e diluvio universale, soprattutto per coloro che non si chiamano Noè

Il richiamo a Noè ci torna utile quale esempio di azzeccatissima previsione delle catastrofi… Tra l’altro la previsione proprio perché prevede un fenomeno che ancora non c’è, invisibile e impercettibile, richiede da parte dei destinatari del messaggio premonitore un’assunzione di fede per non vanificare l'efficacia dell'anteprima informativa. La fede laica invece, riguarda la fiducia nelle istituzioni…
L’esempio di Noè si presta bene anche per far capire l’importanza dell’informazione. L’altissimo proprio per bonificare l’ambiente terrestre dai peccatori, rese noto al solo patriarca la previsione del diluvio: non diffondendo quindi la notizia dell’approssimarsi della catastrofe, gli impuri e i corrotti vennero travolti dalle acque.

Le teorie del Prof. Cosenza diciamola tutta non sono il massimo della garanzia ma trovano applicazione nelle situazioni estreme, altrimenti dette da ultima spiaggia… Quindi, diamo per scontato che c'è una condizione critica nel vesuviano, dettata da una miscela comprendente un vulcano esplosivo, previsione incerta del fenomeno, prevenzione zero e 700.000 abitanti arroccati sulla bomba.  Le condizioni estreme oggettivamente sussistono e ci sono tutte… Ma tutti sono inermi al capezzale della prevenzione che nessuno tenta di rianimare.

Il Prof. Cosenza espone poi un altro dato che si collega alla faccenda rischio: le chances che ha la popolazione vesuviana sono racchiuse in una matrice due per due. Cioè, possiamo avere un’evacuazione senza eruzione. Un’evacuazione con eruzione. Un’eruzione con evacuazione. Un’eruzione senza evacuazione. A nostro avviso manca una quinta possibilità dettata proprio dall’incognita VEI (Indice di Esplosività Vulcanica): infatti, un’eruzione al rialzo fuori dalla scala statistica delle probabilità, cioè una pliniana, diverrebbe anche con l’evacuazione preventiva una catastrofe, perché i territori investiti dai flussi piroclastici, sarebbero in questo caso ben più estesi di quelli evacuati. Diciamo allora che l'assunto adottato dal dipartimento della protezione civile e dalla Regione Campania, comporta, nel caso dovesse verificarsi un’eruzione pliniana, il totale fallimento del piano d'emergenza, a prescindere se il fenomeno eruttivo viene previsto o non previsto all'insorgere. Su tutto poi, manca l'informazione corretta e puntuale come strumento attivo di prevenzione del rischio vulcanico... 

In tutte queste disquisizioni il grande assente come accennavamo in precedenza è la prevenzione delle catastrofi. La prevenzione è sinteticamente parlando una sorta di surrogato della previsione. Cioè, se non si riesce a prevedere il fenomeno distruttivo, è possibile almeno mitigarne gli effetti attraverso misure adeguate che nel nostro caso possono avere un’incidenza utile abbassando drasticamente il numero degli abitanti esposti al pericolo e contemporaneamente conformando un piano d'emergenza e d'evacuazione particolarmente efficace. Ritornando a uno dei principi descritti dall’Ing. Cosenza, cioè che le zone rosse devono essere ristrette quando la misura abitativa è grande e sussiste il problema dei falsi allarmi, potremmo intanto sottolineare che la formula inversa apre spiragli, cioè restringendo il fattore (numero) abitanti, si potrebbe allargare la zona rossa Vesuvio.

Per avere un quadro della realtà si guardino le figure sottostanti : la A evidenzia Il cerchio che  rappresenta la linea nera Gurioli, che è quella che delimita in senso deterministico i limiti d’invasione dei flussi piroclastici unicamente per eruzioni di tipo sub pliniano o inferiore. All’interno della linea nera Gurioli ricade poi la vera zona rossa che non consente nuovo edificato a uso abitativo. Appena oltre però si può costruire, come sanno perfettamente molti comuni ai confini della black line che nicchiano: in primis Poggiomarino, Scafati e Napoli...
La figura B invece, rappresenta il limite diciamo pliniano di scorrimento dei flussi piroclastici. Ora, se sovrapponiamo la situazione attuale (A) all’interno del cerchio pliniano (B), avremo la condizione di figura C che mostra tematicamente la prospettiva futura. Una situazione per niente rassicurante, perché si continua ad ammassare palazzi e persone all’interno di quel settore che verrebbe letteralmente travolto da un’eruzione pliniana, che nessun scienziato al mondo già oggi può escludere.
 

La mancata prevenzione delle catastrofi come vedete, allora ha parecchi attori tutti protagonisti, provenienti sia dal mondo amministrativo che tecnico e politico e anche scientifico. Tutti recitano una parte, la stessa parte. Offrendo scenari eruttivi statistici con pochi numeri in colonna, si da corso a una pratica che serve solo agli ingiustificabili per non dare conto ai cittadini, tra l'altro distratti, circa le responsabilità del caos urbanistico che regna sovrano in un'area segnata da agglomerati urbani che gravano sul vulcano dal carattere esplosivo.  

Nelle conferenze a venire chiedete pure ai protagonisti della protezione civile cosa si è fatto nel campo della prevenzione delle catastrofi vulcaniche; e al mondo scientifico chiedete tra quanti anni riterrà che un’eruzione pliniana possa ritornare nelle possibilità eruttive di cui tenerne conto... e agli esperti di politica e di politiche del territorio, chiedete quale condizione urbanistica erediteranno i posteri vesuviani, visto che la futura zona rossa dovrà essere necessariamente allargata, da questa generazione o comunque dall'altra.  Il business sta divorando tutto, compreso la sicurezza dei cittadini che in qualche caso aggirano le regole che sono anche di salvaguardia attraverso l'abusivismo edilizio che non può essere di necessità perchè non è a costo zero. Nessun Tribunale potrà condonare gli abusi in zona rossa senza garanzie di sicurezza e piani d'emergenza adeguati: solo il cinismo della politica potrà farlo.
Al Prof. Cosenza bisogna poi annotare chiudendo, che non si vuole scendere ai primordi della nascita del Pianeta per indicare l’evento massimo da cui difendersi:  i riferimento ce li danno i resti umani  di Ercolano e Pompei che sono ancora lì riversi al suolo sotto forma di scheletri e volumi, quali prede inermi della nube ardente che duemila anni fa precipitò dalle pendici del Vesuvio avvolgendoli… Ecco: sono i poveri resti che ancora impietosiscono i visitatori a fissare i limiti temporali di riferimento delle catastrofi che ancora oggi dovremmo tenere in debito conto...