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martedì 27 settembre 2016

Campi Flegre: l'inquieta caldera vulcanica... di MalKo


Campi Flegrei - Pozzuoli - Il Rione Terra


I Campi Flegrei sono un’area vulcanica di circa 10 Km. di diametro, che caratterizza la parte occidentale della città metropolitana di Napoli, che in questa zona annovera non pochi quartieri che insieme alle cittadine di Pozzuoli, Quarto, Bacoli e Monte di Procida, formano il semicerchio subaereo della caldera flegrea, il cui continuo digrada e affonda nelle acque del Golfo di Pozzuoli. La città puteolana si trova nella parte centrale della caldera vulcanica, lì dove le spinte sotterranee sembrano avere una maggiore incidenza…



La Zona Rossa flegrea che vedete in figura, è quella da evacuare cautelativamente in caso di ripresa dell’attività eruttiva dei Campi Flegrei, così come sancito dal D.M. del Presidente del Consiglio in data 24 giugno 2016. Infatti, il rischio che tale area venga invasa dalle colate piroclastiche, il fenomeno più temibile di un’eruzione vulcanica, è molto alto. Questa classificazione di alta pericolosità vulcanica avrebbe dovuto comportare in pari data l’emanazione del decreto legge regionale di inedificabilità totale ad uso residenziale. Sostanzialmente la stessa regola utilizzata per la zona rossa Vesuvio (Rossa 1), che è vincolata per le attività cementizie ai disposti della legge regionale Campania n° 21 del 2003. Nelle zone rosse si dovranno costruire solo opere d’interesse pubblico che non comportino un aumento della popolazione residente.

La zona rossa flegrea, comprende quindi Pozzuoli, Monte di Procida, Bacoli, Quarto e alcune porzioni dei territori di Giugliano in Campania e Marano di Napoli. Ed ancora e per intero le circoscrizioni della città di Napoli quali Soccavo, Pianura, Bagnoli, Fuorigrotta e parzialmente settori delle municipalità di San Ferdinando, Posillipo, Chiaia, Arenella, Vomero e Chiaiano, per un totale di 550.000 abitanti.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei narra di tre periodi diversi dove le eruzioni si sono susseguite con una certa frequenza ma anche intervallate da lunghe quiescenze vulcaniche. Secondo alcuni ricercatori, ai fini della determinazione degli scenari eruttivi da cui bisognerà un giorno difendersi, occorre concentrare l’attenzione sulla terza fase dei Campi Flegrei, ovvero sugli ultimi 5000 anni di vita geologica.
Secondo pubblicazioni ufficiali, la secolare subsidenza che ha interessato i Campi Flegrei, ha avuto un’inversione di tendenza a partire dal 1950. Un anno che potremmo definire di svolta geologica, perché il suolo ha iniziato a sollevarsi a tratti anche velocemente, dando così corso e spazio al famoso fenomeno del bradisismo puteolano. Un fenomeno che ancora oggi procede lentamente, segnando anche brevi periodi di stasi se non di regressione, che comunque e nell’insieme presenta un perdurevole trend al rialzo. Altre fenomenologie ancora indicano chiaramente una rinnovata quanto preoccupante vivacità del sottosuolo calderico dei Campi Flegrei.

Nell’attualità si registra alla stazione del Rione Terra (Pozzuoli) e a partire dal mese di gennaio 2016, un innalzamento del suolo misurato in 7 centimetri.

Durante la crisi bradisismica dal 1982 al 1985, la massima velocità di sollevamento si ebbe nel mese di ottobre del 1983 con 14,5 cm in un mese. Quando terminò il fenomeno nel 1985, si contò un dislivello di + 1,79 m che, sommato ai rigonfiamenti ascrivibili alle crisi precedenti, segnò una deformazione totale e verticale del piano campagna valutabile in + 3,34 metri rispetto ai livellamenti del 1968.
Dal 1985 e fino al 2004 il suolo ha ripreso ad abbassarsi di quasi un metro, anche se in quest’arco di tempo bisogna registrare oscillazioni tanto positive quanto negative del bradisismo. Dal 2004 al 2005 si registrò una stasi nelle deformazioni. Già dal 2005 però, nuove energie ridiedero tono al sollevamento del terreno congiuntamente a una modifica nella quantità e qualità dei gas fumarolici soprattutto a ridosso della Solfatara.

Il bradisismo quindi, oltre ad essere un fenomeno particolare del vulcanesimo che implica strascichi strutturali nell’edificato, è senz’altro un indicatore di rischio vulcanico, perché direttamente o indirettamente implica il magma sottostante. L’attuale ascesa dei suoli dura da ben 11 anni. Anche le manifestazioni idrotermali nell’area flegrea sono abbastanza diffuse tanto in mare quanto nel settore interno ed esterno della Solfatara, in località Pisciarelli, dove alcune macroscopiche fenomenologie, come l’aumento dell’attività fumarolica e di temperatura dei fluidi, insieme a un massiccio incremento della degassazione dell’anidride carbonica dai suoli, che raggiunse (2001) un’emissione di 1500 tonnellate al giorno, hanno contribuito ad accendere l’attenzione sul rischio vulcanico ai Campi Flegrei.

Secondo gli studi e le analisi campali condotte dal Dott. Giovanni Chiodini (INGV), è stato possibile valutare che la degassazione di anidride carbonica nella zona di Pisciarelli è praticamente raddoppiata rispetto al 2001, tant’è che nel mese di gennaio 2015 si contava una dispersione di questo gas asfissiante nell’ordine delle 3000 tonnellate al giorno.
Un dato di tutto rispetto… Come di notevole valore sono i 420° C. misurati un po’ di anni fa alla base del pozzo di S. Vito (-3046 mt.): una temperatura per dare l’idea, sufficiente per cagionare la fusione dello zinco. Nella zona di Mofete, a 2700 metri di profondità, non da meno si riscontrano temperature nell’ordine dei 350° C.
 
Probabilmente all’origine della decisione della commissione grandi rischi di segnalare alla Protezione Civile la necessità di instaurare lo stato di attenzione vulcanica ai Campi Flegrei (dicembre 2012), cioè il passaggio a un primo livello di allerta vulcanica tuttora vigente, non è da escludere che ci siano proprio le anomalie fumaroliche della zona Pisciarelli congiuntamente alla ripresa del bradisismo.


Livelli di allerta vulcanica



Lo Sato di attenzione vulcanica comporta l’emissione settimanale di un bollettino vulcanologico a cura dell’Osservatorio Vesuviano. L’informazione dovrebbe poi essere replicata e diffusa ai cittadini attraverso i mezzi di comunicazione locali. Il comune d’altra parte nella fase di attenzione ha il precipuo compito di rodare le attività previste nella successiva fase di preallarme, che contempla tra l’altro l’esodo spontaneo delle popolazioni e l’evacuazione preventiva degli ospedali.

La zona di Pisciarelli tanto per rimanere ancora nell’attualità, coincide praticamente con quella di Scarfoglio, località dove secondo un’ipotesi progettuale dovrebbe realizzarsi una centrale geotermica per la produzione di energia elettrica. L’impianto sfrutterebbe i fluidi geotermici a 180° C prelevati a circa 1000 metri di profondità per poi reiniettarli nel sottosuolo d’origine.
Il rischio connesso a un’esplosione freatica in questa zona pregna d’acqua e di calore ci sembra alto, come alta potrebbe essere la dispersione in atmosfera di indesiderate e massicce quantità di anidride carbonica, favorite dalla pratica delle trivellazioni o dall’esplosione del pozzo. Un progetto geotermico che riteniamo francamente improponibile in un contesto territoriale ribollente e classificato ufficialmente da un atto dello Stato come ad alta pericolosità vulcanica…

Ulteriori e recenti studi a cura del Dott. D’Auria (INGV), lasciano ritenere probabile che nei suoli flegrei si siano insinuati dal profondo della camera magmatica (8 Km), filoni di magma che sono ascesi fino a 3 km dalla superficie per poi slargarsi brevemente, generando quei micro sismi con qualche evento a sciami che tanto hanno allarmato la platea scolastica qualche anno fa. Queste intrusioni potrebbero apportare calore ed essere responsabili dell’aumento dalle fumarole dei gas di origine magmatica.

Campi Flegrei: vecchia zona rossa, nuova zona rossa e linea nera Orsi.

Secondo il ricercatore Dott. Orsi (INGV), la storia eruttiva degli ultimi 5000 anni come già accennavamo in precedenza, è quella contenente gli elementi di geo vulcanologia da cui bisogna trarre gli scenari eruttivi di riferimento per la redazione dei piani d’emergenza.

La linea nera Orsi che qui vediamo raffigurata, indica i limiti di deposito dei flussi piroclastici prodotti da eventi verificatesi appunto negli ultimi 5000 anni nella caldera. Si contano in tale periodo 24 eruzioni di cui 21 a carattere esplosivo e 3 ad andamento effusivo. L’ultima eruzione riportata negli annali storici è quella che portò alla nascita del Monte Nuovo (Pozzuoli), che si erge per 133 metri sul livello del mare. L’eruzione si verificò nel 1538 e fu preceduta da eventi sismici e poco prima dell’eruzione da un sommovimento bradisismico accentuato al punto da mettere allo scoperto il fondo del mare costellato di pesci.
Dagli studi statistici che hanno analizzato le eruzioni in caldera negli ultimi 5000 anni di attività, è stata elaborata una stima statistica circa la probabilità condizionata di accadimento di quella che potrebbe essere la futura eruzione ai Campi Flegrei. La tabella sottostante indica quindi queste percentuali:

Campi Flegrei: statistica VEI 

Analizzando i risultati, è stato ritenuto probabile che una prossima eruzione ai Campi Flegrei possa presentare valori di esplosività non eccedenti una eruzione di intensità VEI 4.  Sostanzialmente queste conclusioni rispecchiano quelle già elaborate per il Vesuvio dove una VEI 4 corrisponde similmente a una sub pliniana…
Ovviamente la scala energetica dell’eruzione potrebbe essere influenzata dall’ingressione delle acque che potrebbero contattare il magma. Infatti, stante le caratteristiche della caldera, non si può escludere che una eventuale eruzione possa verificarsi in mare o nelle zone lacuali o in altri settori pregni di acqua idrotermale come quelli di Agnano-Pisciarelli.

La zona dove secondo gli esperti sussiste una maggiore possibilità di apertura di una bocca eruttiva è quella che vedete cerchiata grossolanamente nell’immagine sottostante.
Trattasi ovviamente, precisiamo, di una probabilità, perché le relazioni scientifiche sottolineano che qualsiasi punto della depressione calderica potrebbe essere sede di una bocca eruttiva.
Le problematiche della previsione del rischio vulcanico comportano elementi di incertezza oggettivi e comuni ad altri distretti napoletani, come ad esempio sul quando avverrà un’eruzione e di che tipo sarà quest’eruzione: domande clou che rimangono senza risposta. A differenza degli imprevedibili terremoti, nel caso delle eruzioni la previsione dell’evento potrebbe azzardarsi con una certa probabilità di successo alcuni giorni se non poche ore prima dell’evento.

Con siffatti tempi a disposizione (72 ore), evacuare un milione di persone (Vesuvio) non è facile nel giro di qualche giorno, così come sarebbe oggetto di grosse polemiche un'evacuazione senza che si manifestasse poi l’eruzione.


Per evitare il mancato allarme o il falso allarme, le due condizioni estreme, è necessario attendere ragionevolmente che i prodromi eruttivi siano colti in una misura e in un tempo tale da non incorrere in una delle due condizioni citate in precedenza. Cogliere il momento giusto è molto difficile, ma può aiutare molto un'efficiente organizzazione evacuativa capace di mettere rapidamente in sicurezza i cittadini. Non c’è previsione invece, neanche a ridosso dell’evento, per individuare la tipologia eruttiva che sarà svelata esclusivamente con eruzione in corso.  

Per la caldera flegrea, l’ulteriore elemento d’incertezza è dato dall’incognita circa il punto dove avverrà l’eruzione, che anche in questo caso potrebbe essere individuato solo poche ore prima dell’evento. A queste non marginali incertezze, bisogna aggiungere pure la considerazione che non si può escludere che si possano attivare contemporaneamente più bocche eruttive…

La popolazione flegrea oggi è forse quella più in evidenza a proposito del rischio vulcanico, perché questo sottosuolo ardente è teatro di una serie di processi geochimici e geofisici che lasciano ritenere fortemente probabile l'innesco di interazioni da parte di intrusioni magmatiche. Un situazione però, che, nonostante le evidenti anomalie, potrebbe mantenere queste soglie di incertezza con alti e bassi per secoli, o, viceversa, gli eventi potrebbero evolversi in un pericoloso crescendo nel giro di poco tempo...

Il passaggio allo stato di attenzione vulcanica non è un mero processo burocratico, ma rende necessario stabilire anche politicamente delle assolute priorità in ordine alla organizzazione di protezione civile che bisognerà assegnare all’area flegrea.

Nel merito si rende quindi improcrastinabile varare il vincolo vulcanico alla cementificazione di tipo residenziale nella zona rossa flegrea, perché le esigenze della protezione civile e le incertezze legate a un pericolo di cui non è garantita un’utile prevedibilità, non tollerano oltre un aumento del valore esposto (abitanti).

Bisognerebbe poi stabilire quali elementi strutturali e infrastrutturali e viari bisogna progettare e realizzare per favorire le politiche della sicurezza areale oramai racchiusa nell’evacuazione preventiva.

La grande spianata di Bagnoli, terra di dissidi e interessi politici, dovrebbe essere bonificata e dovrebbe continuare ad offrire alla cittadinanza il concetto di spiaggia, di mare e soprattutto di spazio, magari secondo alcune e necessarie priorità infrastrutturale e strutturali che troverebbero una marcata utilità nel campo della protezione civile e non solo flegrea. Un argomento che tratteremo prossimamente...

Rimane poi il grande problema dei piani di evacuazione ancora da completare e che devono ultimarsi tenendo conto dell’attualità e non della progettualità futura di grandi opere e arterie stradali da venire… Un vademecum illustrativo sancirà l'effettiva ultimazione della pianificazione d'emergenza, e dovrà essere distribuito casa per casa garantendo ai cittadini e prima ancora delle applicazioni operative sui smartphone, l'imprescindibile diritto all'informazione che è il primo tassello della prevenzione.. 
E ancora bisognerebbe discutere della zona gialla con le maestranze di Palazzo San Giacomo, perché allo stato dell’arte questa zona comprende sostanzialmente tutto il centro storico di Napoli. A parità di quantità di materiale piroclastico di ricaduta, la vulnerabilità di questo settore storico cittadino, è almeno doppia rispetto alla zona gialla del Vesuvio. 

Campi Flegrei: zona rossa e gialla

Occorrerebbe pure definire al meglio la vulnerabilità delle coste esposte al rischio maremoto, atteso che metà della caldera flegrea è sott’acqua e come abbiamo detto in precedenza, un’eruzione è possibile in uno o più punti dell’intera depressione calderica…

Diciamo che c’è molto da fare… La morale conclusiva è che la previsione dell'evento vulcanico non è ancora una realtà contenente quelle certezze di cui abbiamo bisogno per vivere in sicurezza. Bisognerebbe quindi privilegiare la strada maestra della prevenzione che però difetta di seguaci, perché è un percorso multidisciplinare difficile, comprendente tecnica e scienza e politica e soprattutto è una disciplina un po’ invisa perché richiede tante rinunce… La misura della prevalenza dell’interesse pubblico, la darà la progettualità da realizzarsi sulla colmata di Bagnoli.





 

lunedì 12 settembre 2016

Campi Flegrei - Il progetto geotermico Scarfoglio... di MalKo



Pozzuoli (Campi Flegrei) - macellum


Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha in corso di valutazione d’impatto ambientale (VIA), un progetto di sfruttamento geotermico per la produzione di energia elettrica da realizzarsi nella località Scarfoglio (Campi Flegrei), a ridosso del vulcano Solfatara nella zona Pisciarelli di Pozzuoli. Motore del sistema dovrebbero essere le caldissime acque del sottosuolo vulcanico.

La documentazione a corredo della richiesta di autorizzazione ha avuto una partnership scientifica istituzionale per molti versi riconducibili all’Osservatorio Vesuviano (INGV), che dovrebbe essere la struttura di garanzia per le problematiche vulcaniche in Campania. Una situazione per molti versi discutibile, perché se la commissione ministeriale ambientale dovesse respingere il progetto Scarfoglio per motivi precauzionali a fronte dell’incolumità pubblica, metterebbe in seria difficoltà l’immagine dell’Osservatorio Vesuviano che, poco indirettamente, ha espresso invece parere di fattibilità del progetto, minimizzando i rischi indotti dalle trivellazione e dalla reiniezione dei fluidi operativi nel sottosuolo.

Anche noi abbiamo inviato le nostre osservazioni al Ministero dell’Ambiente, rimarcando la necessità che determinati rischi si accettano e si respingono anche in ragione delle alternative possibili. Se Le energie geotermiche sono rinnovabili vuol dire che saranno a disposizione della collettività per migliaia di anni. Quindi, se dovesse subentrare una fame di energia che potrebbe mettere in ginocchio la nostra società iper tecnologica e post industriale, allora i rischi dovuti alle trivellazioni e alla pratica di reiniezione gioco forza diventerebbero accettabili, addirittura auspicabili. Oggi però, non ci sono queste condizioni, perché a muovere questo progetto al momento è solo un business industriale…

Abbiamo chiesto al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano, un’analisi dei fattori che a suo giudizio rendono improponibile le attività geotermiche nell’area calderica flegrea. Il noto vulcanologo ci ha consentito di accedere alle osservazioni che ha sviluppato e inviato al Ministero dell’Ambiente. Ve le proponiamo qui di seguito, anche se in una forma riassuntiva.

<< Nella zona dove è stato presentato un progetto d’installazione di un impianto geotermico, ovvero nell’area epicentrale Solfatara – Pisciarelli nei Campi Flegrei, si è avuto recentemente uno sciame sismico di circa 45 scosse con ipocentri superficiali e a bassa magnitudo. Il 7 ottobre del 2015, eventi sismici analoghi indussero non pochi residenti ad abbandonare le proprie abitazioni, così come in alcune scuole i dirigenti scolastici decisero di evacuare i plessi a loro affidati.    

Una ricerca pubblicata sulla rivista Nature- Scientific Reports nell'agosto del 2015 dal dott. Luca D'Auria e altri ricercatori INGV e CNR, ad oggetto le deformazioni del suolo avvenute tra il 2012 e 2013, ha dimostrato come in detto periodo si sia verificata probabilmente una risalita di magma fino a circa 3 Km. dalla superficie, proprio al di sotto di una zona che potremmo definire centrale della caldera flegrea.

Tale risultato ha evidenziato la scarsa rilevabilità della possibile risalita di corpi magmatici dal profondo, ma anche un’analoga e oggettiva difficoltà a individuare nell’attualità le intrusioni già esistenti, nonostante si disponga di un sistema di monitoraggio areale di una certa efficienza. Quindi, non conoscendo la posizione e l’estensione delle protuberanze magmatiche eventualmente presenti a bassa profondità nell'area di Agnano - Pisciarelli, risulta alquanto sconsigliabile procedere con attività di trivellazioni, onde evitare di innescare indesiderati processi perturbativi nella zona calderica anche di tipo esplosivo.

L’area di Agnano – Pisciarelli (Scarfoglio), è strategica e prioritaria per il monitoraggio geofisico e geochimico della caldera attiva dei Campi Flegrei, soprattutto perché esiste un database ultradecennale di tutto rispetto dei dati di monitoraggio del super vulcano flegreo, che sarebbe il caso di non alterare con valori e misure che sarebbero compromesse nella loro naturalità dai processi di trivellazione, emungimento e reiniezione dei fluidi caldi prelevati dal sottosuolo.

Un database di queste dimensioni è indubbiamente e particolarmente utile per valutazioni di ordine scientifico sulla pericolosità vulcanica, grazie a comparazioni da cui potrebbero discendere indicazioni scientifiche circa i livelli di allerta da assegnare all’area, ai fini dell’attuazione dei piani di salvaguardia delle popolazioni esposte. D’altra parte bisogna anche annotare che la realizzazione di un database come questo quale frutto di una ultradecennale attività di monitoraggio, ha richiesto l’investimento di ingenti risorse pubbliche, tanto umane quanto materiali. 

La realizzazione di uno stabilimento industriale che emunge fluidi caldi (180° C.) dal sottosuolo per poi reiniettarli orientativamente nel bacino di prelievo, renderebbe praticamente indistinguibile, nel caso dovessero presentarsi eventi simici, la differenziazione tra origine naturale o indotta di questi fenomeni in tutti i casi pericolosi. L’incertezza determinerebbe pure implicazioni di natura giuridica nella individuazione delle responsabilità, qualora dovessero riscontrarsi malauguratamente danni a persone o a beni pubblici e privati. 

Il vulcano Solfatara - Pozzuoli (Campi Flegrei)
Le criticità naturali insite nella caldera flegrea, sono altresì aggravate dalla perdurante assenza di piani di evacuazione per l'area dei Campi Flegrei, con un valore esposto destinato a salire perché parliamo di un contesto territoriale dove ancora manca un vincolo vulcanico che renda impossibile l’edificazione ad uso residenziale, alla stregua di quanto è già stato fatto per il Vesuvio con la legge regionale numero 21 del 2003.

Recentemente bisogna pure annoverare la risalita di fluidi fangosi all'interno del pozzo di Bagnoli realizzato nell'area ex ITALSIDER nel 2012 e profondo 500 metri (CFDDP).  Il Commissario dell'Osservatorio Vesuviano, dott. Marcello Martini, ha dovuto disporre nel merito urgenti consulenze, senza escludere interventi di ottimizzazione del sito di perforazione nel senso della sicurezza.   

Una vasta letteratura mondiale documenta i rischi connessi ad attività di trivellazione in generale. Tra i più comuni effetti osservati con questa pratica, segnaliamo gli inneschi di eventi sismici e sequenze sismiche, anche prolungate nel tempo, così come le esplosioni o eruzioni dei pozzi, con innesco di fuoriuscite di fluidi anche per lunghi periodi di tempo. Ed ancora processi di subsidenza del suolo, alterazioni delle falde acquifere ed eventi franosi dai rilievi circostanti. Per tali motivazioni, i siti di perforazione sono generalmente posti a distanza dai centri abitati, e in aree non interessate da strutture tettoniche attive.

Le mie perplessità non sono singolari e convergono anche con quelle dei colleghi dott. Giovanni Chiodini dell'INGV, prof.ssa Tiziana Vanorio dell'Università di Stanford USA e il prof. Franco Ortolani, già professore ordinario presso l'Università di Napoli Federico II. Similmente abbiamo segnalato la pericolosità delle trivellazioni in un’area vulcanica particolarmente dinamica come quella flegrea, dove vige tra le altre cose, lo stato di attenzione vulcanica.

Nel caso delle aree vulcaniche attive come quella in esame (Campi Flegrei), i rischi citati sono notevolmente amplificati dagli elevati valori di temperatura e pressione dei fluidi circolanti nel sottosuolo, titolari anche di un certo fattore chimico di tossicità, in un sistema circolatorio sotterraneo che potrebbe essere caratterizzato da intrusioni magmatiche abbastanza superficiali.

Nel computo delle complicazioni dovute alle trivellazioni in aree vulcaniche, segnaliamo sicuramente il vulcano di fango Lusi nell’isola di Giava. Altri esempi riguardano la caldera del Fogo (Sao Miguel Azzorre), dove da alcuni anni è esplose un pozzo durante una trivellazione profonda circa 600 metri; perforazioni crostali finalizzate alla realizzazione di un impianto geotermico. Questa esplosione è stata associata a sequenze sismiche, processi di fratturazione del suolo e nascita di nuovi campi fumarolici.  

Il vulcano Lusi: il fango invade il villaggio di Sidorajo - Fotografia di John Stanmeyer, National Geographic
Gli eventi esplosivi in campi geotermici associati a rapida decompressione e transizione di fase di fluidi ad alta pressione e temperatura, sono possibili nelle aree ad alto gradiente di temperatura, così come accennavamo in precedenza, e il sistema geotermico dei Campi Flegrei è ottimale da questo punto di vista, risultando quindi appetibile da un punto di vista industriale, inappetibile dal punto di vista della sicurezza di questa zona.

Per quanto riguarda invece, l'innesco di sequenze sismiche a seguito di attività di trivellazione, estrazione e reiniezione di fluidi, la problematica è ben documentata anche in aree non vulcaniche, in prossimità di strutture tettoniche attive, come ad esempio nei pozzi localizzati presso Basilea, in Oklahoma e in Olanda.

Dettagliate documentazioni, relative a sismicità indotta, emissioni gassose nocive, emissioni acustiche, e anche esplosioni idrotermali, sono registrate storicamente in tempi più recenti, in aree geotermiche anche di vulcani non attivi, come ad esempio nei siti italiani del Monte Amiata e di Larderello.

D'altra parte, nel progetto pilota " Scarfoglio", è prevista la possibilità di eventi sismici indotti, ma per tale area è noto come la magnitudo massima attesa possa superare il 4 grado Richter, e in tale zona può produrre danneggiamenti.  Il sito prescelto per le trivellazioni è all'interno dell'area epicentrale delle frequenti sequenze sismiche dei Campi Flegrei e dei maggiori terremoti registrati e avvertiti durante le crisi bradisismiche. In particolare, proprio per il rischio sismico, durante la crisi conclusasi nel 1985 fu decisa la totale evacuazione della popolazione di Pozzuoli, trasferita nel nuovo insediamento di Monterusciello.

Ricerche condotte dal sottoscritto, in collaborazione con altri colleghi dell'INGV e di altri istituti, pubblicate su riviste internazionali già alla fine degli anni 90 e negli anni successivi, dimostrano l'estrema instabilità dei sistemi geotermici, sotto l'effetto anche di minime perturbazioni termiche e meccaniche in profondità, con evoluzione imprevedibile e dagli effetti a volte assolutamente indesiderati. Tali condizioni possono essere indotte proprio dalle attività di trivellazione.

Le insufficienti conoscenze dell'assetto geologico-strutturale e termo-fluidodinamico dell’area calderica (Scarfoglio – Pisciarelli), dove dovrebbe collocarsi l’impianto per la produzione di energia elettrica sfruttando i fluidi caldi circolanti nel sottosuolo, in assenza di modelli robusti e affidabili sul comportamento di tali sistemi perturbabili dalle attività di trivellazione, rendono il progetto Scarfoglio rischioso per le comunità e in netto contrasto con il principio di precauzione.

Oltre ai rischi immediati, previsti tra l’altro da modelli di calcolo di processi termo - fluidodinamici in mezzi porosi, le modificazioni sostanziali che potrebbe interessare il sistema profondo, si potrebbero verificare anche a distanza di alcuni decenni.

Utilizzando i comuni programmi di calcolo per l'evoluzione di sistemi geotermici in caso di attività di estrazione di fluidi, si può infatti prevedere la generazione di una estesa modificazione di temperatura, pressione e regime di circolazione dei fluidi in un raggio di centinaia di metri, centrato presso la massima profondità del pozzo, in un periodo che va da alcuni anni a qualche decennio, a partire dall'inizio delle attività estrattive. Le conseguenze sull'ambiente derivanti da tali processi, sono del tutto imprevedibili.

Per le ragioni riportate e vista l'assoluta impossibilità previsionale teorica su quello che potrebbe succedere, tra l’altro una situazione non mitigabile neanche attraverso il monitoraggio delle attività previste nel programma geotermico da realizzare nel sito di Agnano Pisciarelli, le trivellazioni così come la reiniezione dei fluidi da attuarsi nell’area vulcanica flegrea, sono da considerarsi ad altissimo rischio, e quindi, da evitare nell'interesse comune.


venerdì 2 settembre 2016

Rischio Vesuvio: la situazione è tutta sotto controllo…di MalKo

Vesuvio in fiamme - agosto 2016

Le trasmissioni televisive e radiofoniche ma anche la maggioranza dei giornali e delle riviste pure scientifiche, prevedono un uso politicamente strategico e allineato del linguaggio mediatico, mettendo al primo posto il principio non scritto che la notizia innanzitutto non deve allarmare. Teoria molto cara ai prefetti…

Con queste premesse, difficilmente tali testate giornalistiche riusciranno a trattare nel senso più ampio del termine, argomenti particolarmente rilevanti come il rischio Vesuvio, perché nella nostra Penisola non è diffuso il giornalismo d’inchiesta che rimane una nicchia da terza serata. D’altra parte noi siamo il popolo dei tengo famiglia… Ne consegue che assistiamo sovente alla rappresentazione mediatica dei rischi esattamente come ce li propongono e ripropongono personaggi e strutture in posizione di potere o di comando, che utilizzano i media compiacenti come cassa di risonanza per minimizzare il pericolo e propagandare come il meglio del meglio le loro scelte tutte vertenti sul principio strategico bene occultato dei costi benefici, sfoderando ampio ottimismo a spese degli altri. Alla stampa e alla televisione allora, viene demandato il compito di propinare la messaggistica del “tutto a posto!”, palesando il pieno controllo della situazione da parte delle istituzioni tecniche e scientifiche del nostro Paese.

Questo modo arrendevole di fare giornalismo, aiuta solo a nascondere la verità, che invece dovrebbe essere buttata nuda e cruda al di là dello schermo televisivo, come pane quotidiano della democrazia partecipativa. Il giornalismo investigativo ha un ruolo contributivo cruciale per il sostentamento della democrazia e della libertà di espressione e di denuncia e di controllo della classe politica e dei boiardi istituzionali; certamente prevede lo scotto di qualche rinuncia in termini di simpatia e perdita di favori, a tutto vantaggio però, dei valori umani che, certo e capiamo, non fanno cassa.

Non sono pochi quelli che preferiscono essere il punto di riferimento degli addetti stampa delle varie segreterie dei vari enti e istituzioni e amministrazioni, pubblicando spesso solo veline compiacenti che il fax o le mail gli depositano direttamente sulla scrivania, poco ingombra e prevalentemente utilizzata a mo’ di poggiapiedi, in un contesto odoroso di caffè con l’aria condizionata che marcia a pompa…

Generalmente nel nostro Paese i pochi giornalisti che si danno al giornalismo d’inchiesta, non sempre riescono a centrare l’obiettivo principale che si propongono, cioè la divulgazione della verità, perché questa possono rivelartela solo fonti confidenziali o un grande lavoro investigativo, ma anche in questo caso è richiesta un’affannosa attività di ricerca delle prove documentali o testimoniali. La verità quindi è una primizia che giunge sulla scorta di conoscenze personali e poi particolari, ma soprattutto è il risultato ultimo dello studio e della comparazione di una moltitudine di documenti che vengono intrecciati e poi sovrapposti e poi verificati e poi incolonnati secondo schemi e metodi oggettivi e soggettivi, per essere poi offerti ai lettori sotto forma di new sui loro sofisticatissimi super computer tascabili, da cui non alzano lo sguardo perché oramai attaccati e ipnotizzati alla rete globale, che macina milioni di notizie al minuto sugli affari privati dei nostri pseudo amici. Ciò che scorre è già obsoleto...

Il giornalista di punta dicevamo, opera confrontando e incrociando dati scientifici e politici e amministrativi, scovando gli evasori della verità uno per uno. Il risoluto uomo della stampa o anche dei blog o dei programmi televisivi di denuncia sociale, alla fine riesce a individuare gli angoli più oscuri del sistema che ci governa e ci amministra e ci protegge in nome di una realpolitik non dichiarata, che non sempre coincide con i principi di libertà e di democrazia dei popoli…

Molti degli aspetti che regolano i processi legati ai rischi e alle emergenze e alla protezione civile e alla prevenzione e all’operatività e al terremoto e al pericolo vulcanico li conosciamo bene, e tentiamo ogni strada per divulgare questi argomenti che partono dalla scienza geologica e arrivano poi alla politica e alla tecnica operativa e alla sociologia e all’antropologia e alle istituzioni e alle università e agli enti pubblici e di volontariato, ecc.

Il rischio vulcanico deve fare i conti con una massa enorme di persone che cercano, generalizzando, la panacea della rassicurazione anche minimamente convincenti, e mal digeriscono una verità sbattuta in faccia che gli pone la necessità innanzitutto di pensare prima ancora che agire. La verità è uno strumento democratico di prevenzione dei rischi...

Un po’ di giorni fa guardavamo un filmato prodotto e mandato in onda da Rai New 24: “seduti sul vulcano”, a cura di Gerardo D’Amico. Dopo una decina di minuti sui generis, vediamo per la prima volta la Dott.ssa Francesca Bianco, la nuova direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, che illustra ciò che rimandano gli schermi della sala di monitoraggio della sede INGV napoletana.

Il documentarista D’Amico passa poi alla domanda clou indicando in una gigantografia aerea l’urbanizzazione inusitata che circonda il Vesuvio: ma in caso di eruzione tutta questa popolazione che fa? La direttrice Bianco risponde senza un attimo di esitazione: c’è un piano d’emergenza e c’è un piano di evacuazione… La rapidità della mendace risposta, induce a ritenere possibile che esista un prontuario dell’informazione televisiva sul rischio vulcanico a cui tutte le istituzioni devono attenersi, secondo una scaletta scritta e riscritta da tempo, votata al concetto mediatico che insieme si con-vince…

Appena oltre e nello stesso filmato, il cauto ingegnere Italo Giulivo dirigente della protezione civile regionale Campania, afferma in contro tendenza, che si è in attesa che i comuni vesuviani e flegrei provvedano alla redazione e alla consegna dei piani comunali di protezione civile e nella fattispecie che i comuni “vulcanici” individuino a livello comunale la viabilità evacuativa. Un discorso quindi tutto al futuro…

Il 30 agosto 2016 invece, è la volta della trasmissione della La7 a proporci nell’ambito del programma “L’aria d’estate”, un superbo consigliere della Regione Campania per gli affari della protezione civile, dott. Aniello Di Nardo, che alla domanda del conduttore ad oggetto il Vesuvio: << zona rossa 672.000 persone: in quanto tempo riuscite ad evacuarle?>> Risponde così :<<in 72 ore! >>. Incalza allora l’intervistatore: << in coscienza lei ci crede?>> Risposta: << Il piano è fatto benissimo e ci credo>>. Nello stesso filmato e dopo qualche minuto, viene interpellato sempre l’Ing. Italo Giulivo con quest’altra domanda: << Quanto tempo ci vuole per testare il piano? Risposta:<< Sicuramente dei tempi lunghi…>>.

All’effervescente governatore della Campania Vincenzo De Luca gli saranno fischiate le orecchie, tant’è che dalle pagine dei giornali con sicumera ha affermato che tra settembre e ottobre dovranno chiudersi i piani di evacuazione per il rischio Vesuvio e Campi Flegrei (Corriere del mezzogiorno 30/08/2016). Che cosa evacua allora il consigliere Di Nardo in 72 ore?

A fine agosto hanno scoperto che il comune di Pompei non ha un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio (corriere del mezzogiorno 29/08/2016). Verità agghiacciante ma per chi? Il piano di evacuazione non ce l’ha nemmeno Torre del Greco, il paese mediano da 100.000 abitanti, ma neanche Boscoreale…  La cronaca dice che sono circa 135 i comuni campani che non hanno provveduto a stilare il piano di protezione civile comunale, e tra quelli che lo hanno prodotto bisognerà ancora verificare la bontà e la qualità del documento cartaceo di salvaguardia.

Campi Flegrei. Il sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia, nell’articolo riportato dalla testata giornalistica online ReportWeb.tV dichiara:<< Mai fino ad oggi era stato redatto un piano comunale di emergenza così dettagliato, né Pozzuoli aveva avuto un Centro Operativo Comunale come quello che abbiamo realizzato a Monterusciello: una struttura all’avanguardia, capace di servire anche di altri comuni…>>. Senza rendersi evidentemente conto di quello che dice aggiunge:<< Riguardo al Piano di allontanamento della popolazione-Rischio Vulcanico, o piano di esodo, come da direttive del Dipartimento della Protezione Civile, analogamente al Piano Vesuvio, l’aggiornamento di tale pianificazione è e resta di competenza della Regione Campania, su indicazioni e d’intesa col Dipartimento stesso…>>.  L’affermazione sembra sottintendere che Pozzuoli sta aspettando che il piano di evacuazione comunale glielo faccia la Regione…

Nelle storie che si inseguono e che stupiscono, annoveriamo pure quella narrata dal noto settimanale l’Espresso, che riferisce che all’interno del comitato operativo della Protezione Civile riunitosi per vagliare il da farsi in seguito al terremoto del 24 agosto, sieda Bernardo De Bernardinis, ex braccio destro di Bertolaso, che proprio a seguito di alcune inopportune rassicurazioni sul terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 venne condannato dalla corte aquilana. 

Nello stesso articolo ad oggetto il terremoto che ha devastato il centro Italia, viene riportato con una certa enfasi che:<<nel caos delle prime ore, si è rivelato fondamentale l'intervento dal cielo degli elicotteri dei pompieri>> che, trasportando squadre specializzate, hanno reso possibile il salvataggio di 215 persone estratte dai cumuli di macerie.

Quest’ultima notizia è in controtendenza con quella che proviene dal napoletano, dove è stato siglato un accordo, cioè un protocollo d’intesa tra il Parco Nazionale del Vesuvio e il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). In caso di esigenze di soccorso e salvataggio nell’ambiente montano, forestale e pedemontano e impervio dell’arcinoto Vesuvio, bisogna formulare richiesta di aiuto digitando i numeri 331 4597777 a cui corrisponde l’utenza telefonica della organizzazione CNSAS campana. In assenza di risposta, bisogna procedere chiamando il primo dei soccorritori reperibili…

Il soccorso tecnico urgente in Italia fino a questo accordo doveva essere istituzionalmente assicurato su tutto il territorio nazionale, ad eccezione del mare, dai Vigili del Fuoco componendo il numero telefonico 115. La Regione Campania invece, con propria delibera n° 247 del 07/06/2016, riconosce nei volontari del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), i reali soggetti di riferimento da utilizzare per le azioni di salvataggio e recupero nel soccorso in montagna. Quindi un’operatività che va ben oltre il prestigioso circuito vesuviano.

Vigili  del Fuoco - Addestramento in montagna

Il Soccorso Alpino (CNSAS) riceve non solo finanziamenti di base, ma gli accordi prevedono un rapido rimborso delle spese a cura della Regione Campania per ogni intervento effettuato. I Vigili del Fuoco hanno in forza ai nuclei elicotteri personale specializzato per il soccorso in montagna e zone impervie (SAF), e tra l’altro intervengono entro pochi minuti dalla chiamata (115) e in ogni angolo dell’Italia Campania compresa.  C'è in gioco una extra territorialità? Qualcosa in termini economici e organizzativi e di garanzie per i cittadini non torna vero? La nostra impressione è che si confonda il ruolo istituzionale di un Corpo dello Stato con una organizzazione di volontariato che discende da un famoso Club Alpino.  

Vigili del Fuoco (SAF) - addestramento in montagna
I dirigenti dei Vigili del Fuoco avrebbero dovuto sobbalzare e tracciare un confine netto tra prerogative e competenze di un Corpo istituzionale dello Stato rispetto alle associazioni di volontariato. I Vigili del Fuoco danno a volte l'impressione che all'interno del Ministero dell'interno contino quanto Fantozzi davanti al mega direttore...ovviamente quando non ci sono emergenze.  Allora parliamo di rappresentatività altalenante...