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sabato 15 novembre 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: la pericolosa resilienza intra calderica... di Malko



                                                              

Il 4 novembre 2025 si è tenuta la riunione della commissione grandi rischi  per stabilire lo stato di irrequietezza geo vulcanica ai Campi Flegrei.  Contemporaneamente il dipartimento della protezione civile ha stabilito di rimando e secondo alcuni automatismi, la fase operativa corrispondente.

In questo consesso tecnico scientifico è stato quindi sancito e proclamato nel flegreo, il livello di allerta gialla secondo la nuova classificazione, ovvero un'allerta per disequilibrio medio nel sottosuolo calderico del super vulcano. E' stata così confermata l’adozione della fase 2 relativamente alle attività operative corrispondenti che ci sembrano in tutti i casi azioni non particolarmente laboriose rispetto alle complicazioni che si dovrebbero affrontare, nella malaugurata ipotesi che si passi alle fasi successive.

 



Occorre precisare che fasi e livelli anche se quasi sempre si conglobano tra di loro, in realtà devono avere una precisa e indipendente classificazione e connotazione nel sistema di protezione civile, senza sovrapposizioni. La parte operativa infatti, potrebbe essere come risposta interventistica insufficiente o sovrabbondante, atteso le incertezze che accompagnano l'interpretazione dei dati geofisici e geochimici di monitoraggio utilizzati per valutare i livelli di attenzione al pericolo fin qui raggiunti.

Negli ultimi tempi le profondità della caldera flegrea hanno lasciato annotare fluttuazione dei parametri controllati con una tendenza al rialzo dei valori registrati, generando preoccupazioni per l'evidenza di squilibri di tutto rispetto che gli scienziati hanno definito di livello medio.

Nella condizione di livello di allerta giallo medio, i parametri geofisici e geochimici che potrebbero variare sono questi riportati di seguito:

  • Sollevamento del centro della caldera con velocità media a generale geometria radiale.
  • Sismicità vulcanico – tettonica frequente con Md massima sporadicamente compresa tra 4 – 4,5.
  • Moderato aumento della componente magmatica nei gas fumarolici. 
  • aumento dei flussi di anidride carbonica e dell’estensione delle aree di degassamento.
  • Ulteriori variazioni dei valori di P e T di equilibrio del sistema idrotermale.

Per quanto riguarda la possibile insorgenza di fenomeni pericolosi dettati da questa condizione di disequilibrio (medio), questi possiamo così riassumerli:

  • Concentrazione di CO2 e altri gas (H2S) potenzialmente dannosi per la salute umana in prossimità delle zone di emissione (anche diffusa); in zone sottovento, morfologicamente depresse o in luoghi chiusi.
  • Scuotimento sismico da lieve a occasionalmente intenso nelle aree epicentrali.
  • Esplosioni freatiche localizzate in aree con intensa attività idrotermale.
  • Frane sismo indotte in prossimità delle aree epicentrali.

Nella mappa sottostante è evidenziata la zona dove i fenomeni appena indicati, intesi come precursori vulcanici o comunque come processi di rimodulazione degli equilibri chimici e fisici che avvengono incessantemente nel sottosuolo calderico, possono manifestarsi con una certa intensità, incidenza e persistenza e pericolo. 

E' di tutta evidenza che l'area viola ricalca per intero i confini della zona bradisismica ristretta e allargata, che conta complessivamente circa 85.000 abitanti che risiedono, ricordiamolo, in un'area caratterizzata nel sottosuolo profondo da magma e da un sistema idrotermale pressurizzato.  Il centro radiale del bradisismo corrisponde al rione Terra di Pozzuoli, che è anche il punto che maggiormente si è innalzato negli ultimi venti anni, per quasi 150 cm. di altezza.



La commissione grandi rischi ha chiarito che i livelli di allerta rappresentano un indice legato alla variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano, che danno vita, secondo un incedere teoricamente progressivo, al potenziale pericolo eruttivo o comunque a una recrudescenza di fenomeni che in ogni caso non si possono sottovalutare per pericolosità.

Purtuttavia, stante la impossibilità di epurare tutte le incertezze che sussistono nella materia geo vulcanologica, non si può escludere che i passaggi da un livello di allerta all'altro possano avvenire con una temporalità non lineare, così come si potrebbe andare incontro addirittura a un salto di colore. Per esempio, si potrebbe passare direttamente dal giallo medio al rosso. Ovviamente quest'ultima  eventualità potrebbe mettere totalmente in crisi i piani di evacuazione della popolazione che, ricordiamolo, sono basati su un tempo di 72 ore a disposizione. D'altro canto un "salto" di livello di allerta direttamente sul rosso, innescherebbe la fase operativa di allarme evacuativo con sovrapposizioni di funzioni e procedure sicuramente deleterie per l’organizzazione complessiva dei soccorsi, che in un contesto generalizzato di panico, dovrebbero svuotare pure ospedali e cliniche e musei e carceri contemporaneamente alla popolazione della zona rossa che conta 550.000 residenti. Tra l'altro non ci si faccia ingannare dall'area violacea: se l'eruzione singola o multipla dovesse avvenire proprio in questo settore, qui si manifesterebbero le prime dirompenze, ma i prodotti piroclastici si disperderebbero in quota per decine di chilometri per poi ricadere, e le nubi ardenti dilagherebbero ben oltre i confini del semicerchio viola.

Queste possibilità seppur minime di dover affrontare improvvisamente l'allarme eruttivo, dovrebbero consigliare prudenzialmente la realizzazione di un piano B contenente le istruzioni per allontanarsi dall'area flegrea anche in una condizione di emergenza dettata dalla chiara percezione dei prodromi pre eruttivi, se non addirittura con eruzione in corso.

Occorre dire che, specialmente in questo distretto vulcanico dove per plurisecolare quiescenza non si hanno dati certi sulla quantità e qualità e perduranza dei prodromi che anticipano un'eruzione, la previsione del fenomeno eruttivo rimane inevitabilmente un processo probabilistico, dove non si possono escludere condizioni di falsi allarmi o mancati allarmi. D'altra parte non è neanche possibile valutare in anticipo l’intensità dell'eruzione…

Neppure l'avanzatissima dotazione strumentale di monitoraggio gestita  dall’osservatorio vesuviano può garantire affidabilità previsionistiche. Questo perché le apparecchiature elettroniche non fanno previsioni ma producono numeri, di precisione assoluta ma numeri, e proprio perché non esistono valori di riferimento codificati o esperienze pregresse, la previsione dell’evento vulcanico  qui e in genere, rimane ancora oggi un procedimento “manuale” in capo alla commissione grandi rischi. Questo vuol dire pure che forse non si ha quel controllo diretto sul magma e sulla sua eventuale ascesa come ci è stato raccontato negli ultimi anni…

Che doveva esserci un aumento del livello di allerta vulcanica nei Campi Flegrei era  scontato ed era già nelle pieghe del pensiero della commissione grandi rischi, insediatasi nel 2023, e se non avessero allargata la maglia delle soglie duplicando i colori, forse oggi potevamo trovarci già negli spazi arancione. Infatti, i dati confermano un aumento costante del bradisismo con un sollevamento nelle ultime settimane di 2,5 cm. al mese con relativo incremento della sismicità che conta 165 terremoti nella settimana dal 3 al 9 novembre 2025. Anche il sistema idrotermale lascia registrare un aumento delle temperature e delle pressioni e dei flussi gassosi fumarolici dispersi in atmosfera. Variazioni che certamente non possono lasciare indifferenti coloro che sono preposti a garantire la sicurezza a tutti i livelli.

L'elemento che ci lascia perplessi come sempre, è quello legato all'utilizzo  che si fanno dei dati geochimici e geofisici nel loro insieme, e che in ultima analisi vengono utilizzati monotematicamente solo per rappresentare livelli di pericolosità e fasi operative. Una tabella denominata dei livelli di allerta che ha un apice drammatico, dovrebbe avere conseguenze non solo nella risposta operativa, tra l'altro francamente e inevitabilmente limitata per tutte le incertezze che governano la materia, ma i dati sulla pericolosità dell'area calderica, dovrebbero essere innanzitutto utilizzati per incentivare la prevenzione della catastrofe vulcanica, soprattutto da parte di chi è deputato al governo del territorio vulcanico.

Eppure le autorità politiche contrariamente alla logica non elettorale, parlano di resilienza, di bonus, superbonus, di finanziamenti statali ed europei, proponendo una persistenza abitativa purtroppo ammantata di rischio. È il caso di ricordare che pure rinforzando al massimo i palazzi, questi non offrono alcuna difesa da una eruzione che potrebbe generare flussi piroclastici da una bocca o più bocche eruttive non individuabili prima. Così come non si è scevri dal pericolo dei gas che si sprigionano dal sottosuolo, soprattutto in concomitanza con lo stimolo sismico. D'altro canto pure i fabbricati rinforzati alla stregua di un bunker, devono fare i conti con un bradisismo ora ascendente e il rischio di eruzioni freatiche, soprattutto nelle zone dove la componente idrotermale è palesemente manifesta.

I fabbricati che già oggi sono inabitabili, forse dovrebbero rimanere tali, e i proprietari forse farebbero bene a chiedere l'assegnazione di una magione fuori dalla zona rossa, in modo da garantirsi una serenità abitativa... Le autorità non dovrebbero incunearsi e impasticciarsi in pratiche risarcitorie monetizzabili, perché il sistema dei valori e degli aggiusti presunti o reali della parte e della controparte tende a ingolfarsi nonostante la mediazione dell'autorità locale che a volte non è risolutiva: anzi... Lo Stato allora, forse dovrebbe offrire case in luoghi sicuri e non soldi difficili da quantizzare e da spendere…

                                                                                 Vincenzo Savarese













martedì 17 giugno 2025

Rischio Vesuvio: da qui a 119 anni... di Malko

 

Napoli e il Vesuvio

Per mettere a punto un piano di emergenza a fronte del rischio eruttivo dettato dal famosissimo Vesuvio, è necessario un’attenta analisi che riguardi innanzitutto la determinazione energetica del pericolo insito nelle viscere della montagna, indagando necessariamente nel passato secolare e millenario del vulcano, senza lesinare ogni sforzo scientifico mirato a comprendere le dinamiche magmatiche operanti nel sottosuolo.

La tipologia eruttiva che ha caratterizzato la storia geologica dell’area vesuviana, annovera stili eruttivi molto differenti tra loro, con eruzioni talvolta da richiamo turistico, mentre altre volte potenti al punto da sconvolgere l’intera plaga vesuviana: ne sono un esempio l’eruzione pliniana del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano e quella sub pliniana del 1631. L’ultima dirompenza invece, è avvenuta nel 1944 a distanza di 38 anni da quella più dannosa del 1906, e fu prevalentemente effusiva con lava e caduta di cenere e lapilli. Ad oggi, sono quindi 81 anni che il Vesuvio è in uno stato di quiescenza…

Il gruppo di lavoro incaricato anni fa di stabilire quale tipologia eruttiva potrebbe caratterizzare la futura eruzione del Vesuvio, sintetizzò nelle conclusioni due percorsi che riconducono a una tabella A e a una tabella B. La differenza tra le due alternative è racchiusa in due intervalli di tempo diversi nel tetto ma non alla base, in quanto partono entrambe dai 60 anni di quiescenza dall’ultima eruzione. Ovviamente lo studio è di taglio statistico  probabilistico senza alcun risvolto deterministico.

Il prospetto A, come si vede nello schema sottostante, chiama in causa per lo stile eruttivo un intervallo di tempo a partire dai famosi 60 anni di quiete geologica ma senza un limite temporale superiore. Nella tabella B invece, la statistica riguarda un arco di tempo preciso che va sempre dai 60 anni di quiescenza ma fino ai 200 anni. In altre parole il percorso B indica le percentuali statistiche che caratterizzeranno nei prossimi 119 anni la possibilità che si manifesti un certo tipo di eruzione. 

Vesuvio: probabilità circa lo stile eruttivo della futura eruzione.

Il dipartimento della protezione civile, visto le conclusioni del gruppo di lavoro e, sentito la commissione grandi rischi,  decise di adottare il percorso B e con esso tutto ciò che ne consegue col successivo apporto della regione Campania per rifinire i contorni della zona rossa secondo logiche che dovevano essere probabilmente più garantiste. Gruppo e commissione avevano operato la scelta dell’eruzione di scenario optando per una VEI4,  obliando l’eruzione pliniana (VEI5) dal novero delle possibilità eruttive: non lo diciamo noi, ma lo dice il piano d’emergenza nazionale che perimetra di fatto l’estensione della zona rossa partendo dall'assunto eruttivo sub pliniano prestabilito dalle autorità.

Con questi numeri, in entrambi i casi, A o B, un evento di tipo stromboliano (VEI3) risulta essere l’eruzione più probabile, anche se, come sottolinea lo stesso lavoro degli esperti, le eruzioni stromboliane violente caratterizzano di solito un vulcano a condotto aperto. Questo dovrebbe indurre a ritenere che la prossima eruzione del Vesuvio possa presentarsi con una tipologia eruttiva di tipo esplosivo. Gli esperti concordarono che l’adozione di uno scenario di piano tarato su un evento massimo sub pliniano VEI4, avrebbe assicurato tutela ovviamente pure a fronte di un evento eruttivo VEI3, e sarebbe stato quindi statisticamente garantista per la popolazione vesuviana, coprendo il 99% delle dinamiche eruttive prospettate dagli indici probabilistici riportati nel percorso B.

Se il dipartimento della protezione civile avesse invece adottato la tabella A, i piani d’emergenza per forza di cose avrebbero dovuto contemplare l’eruzione pliniana (VEI5) come evento massimo di scenario, visto i valori probabilistici in questo caso non proprio minimi (11%). La grande novità di quest’ultima scelta, sarebbe stata l’inclusione di buona parte della città di Napoli nella zona rossa vulcanica: una possibilità che nessuno voleva e vuole, anche se la problematica non è risolvibile col diniego generale. 

La buona politica del governo del territorio, con implicazioni politiche locali, regionali e nazionali, avrebbe dovuto riflettere attentamente sul tempo offerto dal percorso B che, pur preso per oro colato, se da un lato ha ridimensionato in evento medio l'eruzione di riferimento massima attesa al Vesuvio per il prossimo secolo, ha stabilito in ogni caso un arco di tempo, un giro di boa oltre il quale occorrerà annoverare pure la possibilità che si materializzi un evento pliniano.

Un principio che dovrebbe essere faro del fare, e che dovrebbe guidare con molta convinzione gli strateghi della prevenzione, è quello che stabilisce il concetto che i piani di emergenza e di evacuazione non devono adeguarsi al territorio che evolve, soprattutto se in forma scoordinata, ma è il territorio che deve evolversi adeguandosi alle necessità di sicurezza, attraverso rinunce e ingegno, innanzitutto perchè il pericolo eruttivo non è delocalizzabile. Purtroppo assistiamo a politiche urbanistiche miopi, che badano più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce... Tra l'altro parliamo di un pericolo, quello vulcanico, non garantito deterministicamente dalle pratiche previsionali, né sul quando si presenterà, e neanche sul quanto sarà energetico il futuro evento, se non con azzardo statistico. 

Un armonico e coordinato sviluppo antropico, pratica assolutamente necessaria nell’area napoletana, dovrebbe essere regolamentato intorno al Vesuvio, seguendo le scie lasciate dai depositi piroclastici di tutte le eruzioni e i punti del fin dove si sono spinte. La pianificazione urbanistica dovrebbe guardare al futuro, per evitare le condizioni di una conurbazione disordinata, asfissiante, e senza politica degli spazi, tanto necessaria per fronteggiare un pericolo raro ma incontenibile. Purtroppo parlare di quello che succederà tra un secolo, una distanza temporale che non vedrà attori e decisori che operano nell'attualità, è quasi impossibile per chi non ha l'abito mentale di pensare pure al futuro e alla vivibilità provinciale che si tramanda. 

Le politiche di prevenzione della catastrofe vulcanica, avrebbero dovuto trarre spunto dalle parole del ministro Musumeci, che ha affermato a proposito dei Campi Flegrei, che sono decenni che non si è fatto niente per garantire sicurezza a questi territori. Una affermazione che dovrebbe essere all’origine di profonde riflessioni in capo all'inerzia di non pochi protagonisti istituzionali e amministrativi, che vivono dell’oggi e senza estendere i loro orizzonti garantisti a favore dei posteri, che saranno sempre più fragili per condizioni antropiche e per estrema dipendenza tecnologica. 

Si fa notare che l’inedificabilità sancita per la zona rossa VEI 4 (R1), di fatto ha incentivato la fame di case nel perimetro immediatamente contiguo alla zona ad alta pericolosità vulcanica, cioè quella attuale che chiamiamo VEI4. Per quanto esposto e in ossequio alle politiche di prevenzione, nel 2019 suggerimmo di delimitare anche una zona rossa pliniana (VEI5) intorno alla attuale zona rossa VEI4, dove non è necessario vietare in toto la realizzazione di manufatti ad uso residenziale come è stato fatto solo per la zona rossa 1 (R1), ma almeno di classificare tale corona circolare come zona regolamentata, in modo che sia possibile preventivamente procedere con la pianificazione delle misure di difesa passiva e attiva che richiedono impegno di urbanisti e ingegneri dell'ambiente e del territorio.

Disegno non in scala.


Per entrare nelle logiche discorsive a proposito della zona regolamentata, occorre un preambolo: le matrici di rischio che governano la coesistenza con un pericolo naturale come le eruzioni vulcaniche, prevedono nell’odierno e in genere tre possibilità:

  • 1.    Mancato allarme eruttivo;
  • 2.    Allarme eruttivo diramato in tempi utili;
  • 3.    Falso allarme eruttivo.

A voler forzare le statistiche da un punto di vista discorsivo, c’è il 33,33% di possibilità che si verifichi un mancato allarme eruttivo con conseguente disastro vulcanico. Nel 66,66% dei casi invece, la popolazione vesuviana sarebbe salva o perché non si verifica l’evento annunciato, o perché è stato previsto in tempo utile. Il problema grosso però, e che adottando una eruzione di taglia media (VEI4) nei piani di emergenza e non quella massima conosciuta (VEI5), si determinerebbe, per quanto misurata, un’ulteriore matrice di rischio dovuta alla possibilità che si possa presentare, magari pure prevista e annunciata dall’ente di sorveglianza, un evento eruttivo di taglia superiore a quello adottato dagli attuali piani di emergenza. Non va sottaciuto infatti, che non è possibile stabilire in anticipo che tipo di eruzione il Vesuvio ha in serbo per il futuro prossimo o lontano o lontanissimo; tra l’altro bisogna tenere in debito conto che l’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C., attinse materiale rovente direttamente dalla camera magmatica miriametrica, senza bisogno di accumulare nei primi chilometri il materiale da eruttare…

L’ulteriore matrice di rischio comporterebbe:

      4.   Allarme eruttivo diramato in tempo utile con eruzione    energicamente   Superiore a VEI 4.    

In quest’ultimo caso e premesso che le popolazioni ricadenti nella zona gialla devono attendere istruzioni con eruzione in corso, si creerebbe la condizione che non pochi vesuviani ancorchè non menzionati e non coinvolti dal piano d’emergenza, sentendosi garantiti proprio dall’esclusione evacuativa, rimarrebbero immoti e verrebbero quindi travolti dalle dirompenze vulcaniche di un’eruzione pliniana o simil pliniana, perché l’indice di esplosività vulcanica (VEI), potrebbe essere superiore alla cifra tonda, ma non fino a quella successiva, come nel caso dell’eruzione del 472 d.C. che nella letteratura scientifica viene classificata dai ricercatori come una sub pliniana vigorosa, e da altri come una pliniana appena minore...

La zona rossa vulcanica attualmente vigente nella plaga vesuviana, è una zona determinata in parte scientificamente, in parte amministrativamente e in parte politicamente. Molti amministratori e tecnici, hanno grattato risorse interpretative dal barile dei limiti, in modo da ridurre all'osso le distanze di sicurezza, magari in un contesto di controllori nel migliore dei casi distratti. Utilizzando multi criteri allora, è stata circoscritta la nuova zona rossa Vesuvio, adottando una eruzione media come eruzione di scenario su cui pianificare, e ancora è stato assunto il principio discutibile che l'orlo calderico del Monte Somma è un baluardo protettivo a fronte dei flussi piroclastici prodotti da un evento con indice di esplosività vulcanica VEI4. Questa convinzione ha fatto sì che il confine della zona rossa a ridosso delle municipalità napoletane (San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli) e fino a Volla compresa, è talmente esiguo da contravvenire a qualsiasi principio di precauzione, visto l'assenza di distanze di rispetto dalla linea di deposito dei flussi piroclastici. 

Il comune di Napoli che ha salvaguardato le aree ancora edificabili dalla mannaia della legge anti cemento 21/2003, non ha inteso estendere questi limiti in via precauzionale all'interezza territoriale delle tre municipalità orientali, rendendo inalterato e all'occorrenza, il pericolo rappresentato dalla parte meno densa e aerea delle correnti piroclastiche.

Lucia Gurioli: Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius
based on the geological record

Nel disegno soprastante estrapolato dal lavoro scientifico della ricercatrice Lucia Gurioli si vedono nel campo giallo limitato da una linea verde, i limiti d'invasione dei flussi piroclastici nel corso di due eruzioni pliniane. L'area gialla orientata a sud est riguarda l'evento eruttivo di Pompei del 79 d.C. Quella a nord ovest con testa rotondeggiante, è afferente alla terribile eruzione delle pomici di Avellino verificatasi 3800 anni fa. La linea nera invece, così come già accennato in precedenza,  delimita, col metodo delle indagini campali, il limite di massimo scorrimento dei flussi piroclastici in seno ad eruzioni VEI4. In altre parole, la linea nera Gurioli dovrebbe essere la linea scientifica dell’attuale zona rossa ma non di quella futura, quando e nella migliore delle ipotesi,  si resetteranno da qui a un secolo gli orologi statistici. 

D’altra parte ed è utile ricordarlo, nella stessa relazione scientifica del 2012, si annota che la decisione di assumere una eruzione VEI 4 come evento di riferimento sui cui pianificare le misure protettive per la popolazione, è frutto pure di valutazioni da rischio accettabile: una formula che dovrebbe competere alle autorità politiche piuttosto che a quelle scientifiche...

Vesuvio: zona rossa 1, rossa 2, gialla e blu.

    
                                                          di Vincenzo Savarese       






lunedì 2 giugno 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il pericolo vulcanico non è percepito... Malko

 

Rione Terra - Pozzuoli

I Campi Flegrei sono una vasta caldera vulcanica che caratterizza un luogo del Pianeta ancorchè dell’area occidentale metropolitana di Napoli, dove è possibile che si verifichino eruzioni di tutto rispetto in quello che di fatto è un super vulcano. L’ultimo evento eruttivo risale al 1538 e fu di modeste dimensioni. In tutti i casi sono 487 anni che la crosta pur con sussulti, ingobbimenti e degassazioni, riesce a contenere le masse magmatiche stipate a circa 8 – 10 chilometri nel sottosuolo calderico senza dare spazio a dirompenze. Trattandosi di una copertura crostale abbastanza fratturata, c’è chi ipotizza che si sia infiltrata qualche intrusione magmatica fino a circa 3 chilometri dalla superficie. Questa condizione porterebbe un ulteriore apporto al riscaldamento delle acque idrotermali già surriscaldate dai fluidi magmatici, favorendo ulteriormente  il fenomeno del bradisismo e della sismicità associata. L’ente ufficiale preposto al monitoraggio vulcanico (INGV) invece, esclude questa possibilità intrusiva.

Dalle stesse spaccature della crosta superficiale, in alcuni punti si sprigionano una gran quantità di gas prevalentemente di origine magmatica, come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato: sostanze gassose che vengono spinte in superficie si diffondono nell’aria soprattutto in concomitanza con eventi sismici che fessurano ulteriormente la crosta e shakerano le acque gasate. Le pressioni interne alla crosta superficiale deformano gli strati litoidi fino a spaccarli inducendo i terremoti che, anche se non sono di elevata magnitudo, in ogni caso sono temibili per la superficialità degli ipocentri. I danni in genere sono riconducibili alla qualità dell’edificato e alle caratteristiche dei suoli di fondazione.

Entrando nelle tematiche naturali che caratterizzano questo territorio, diciamo subito che l’area calderica flegrea è una zona multirischio, con fenomeni a diversa estensione e intensità e pericolo, che si distinguono per la grande differenza esistente fra ogni singola manifestazione naturale, e per quelli che sono gli  intervalli di ritorno dei fenomeni che non sono quantificabili. Ovviamente finché perdura il bradisismo, perdura tutta la fenomenologia associabile al bradisismo che è legato alla radice magmatica flegrea. Quindi dovrebbe essere piuttosto chiaro che una eruzione è un evento non obliabile:  rimane infatti un avvenimento  fenomenale, potente, e naturalmente e purtroppo immanente in questi luoghi.

FENOMENO:

Eruzione vulcanica

Terremoti

Bradisismo

Emanazioni gassose

ULTIMA MANIFESTAZIONE:

1538

Mm > 2

23/05/2025

In corso

In corso

TEMPI DI RITORNO:

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ignoti

Ognuno di questi fenomeni legati al vulcanesimo flegreo che non è statico ma dinamico con implicazioni superficiali e profonde, sono di fatto imponderabili nel loro incedere, e quindi non è possibile lanciarsi in previsioni sul divenire delle cose che sono tutte figlie del famoso concetto del Panta rei. La constatazione poco rassicurante è che tutte le tipologie di pericolo segnalate, con sintomi a diversa intensità, sono in una certa misura da ritenersi ineluttabili, almeno finché il sottosuolo dei Campi Flegrei avrà una consistente base magmatica a profondità miriametrica. Tra l’altro le rocce fuse si estendono fino al sottosuolo vesuviano, in quella che sembra sia una unica e vasta camera magmatica: "un gran lago di magma" recitavano i media circa una decina di anni fa, anche se non ci sono evidenze di reciproche ingerenze tra i due distretti vulcanici.

Secondo un  emerito accademico salernitano invece, le eruzioni degli ultimi millenni nei Campi Flegrei vanno scemando in potenza, e dalle deformazioni della camera magmatica si capisce che i volumi di magma in gioco non sono eccessivi e sono stimabili in cento milioni di metri cubi: come una piccola collinetta. L'esperto continua affermando che in caso di eruzione ci si aspetta un evento simile a quello del 1538. In realtà i volumi di magma che interessarono quest'ultima eruzione, sono stati decisamente inferiori a quelli richiamati dall'esperto... Se l'eruzione tipo 1538 avvenisse sotto una città, secondo l'associato ed è lapalissiano, i problemi in ogni caso non mancherebbero. L'attesa di una eruzione simile a quella che diede vita al Monte Nuovo (H 133 metri), è condivisa senza conferme ufficiali da più scienziati. I piani di emergenza però, e lo ricordiamo, sono tarati su un evento massimo di tipo sub pliniano (VEI4).

Il fenomeno che preoccupa le popolazioni flegree, spiccatamente puteolane, sono le puntate bradisismiche che caratterizzano da secoli questi luoghi. Nel recente passato si segnalano le crisi  bradisismiche del 1969/1972, e poi quella del 1982/1984. La terza puntata bradisismica, cioè quella attuale, è iniziata in sordina il 2005, ma con una intensità via via crescente e resasi preoccupante ad iniziare dal 2018. Il massimo sollevamento del suolo di 145 centimetri, misura provvisoria, si registra sul fondo del mare a circa 500 metri a sud del Rione Terra (Pozzuoli). Una eventuale controtendenza del bradisismo che potrebbe divenire discendente, mitigherebbe di molto la componente sismica. Anche in questo caso però, il pericolo vulcanico rimarrebbe intatto.

Affrontando l’argomento rischio pure da un punto di vista tecnico, occorre sottolineare che nel flegreo sono percepibili dai sensi solo i terremoti e le emanazioni gassose di idrogeno solforato per il loro caratteristico odore di uova marce. I sismi quindi sono il fenomeno che coglie la maggiore attenzione della popolazione, a causa della diretta percepibilità dell’energia rilasciata nell’area dai sussulti crostali, non influenzabili in alcun modo dalle condizioni ambientali.

L’altro fenomeno, quello delle emanazioni gassose dal sottosuolo che si diffondono nell’aria, come detto sono percepibili dall’olfatto solo per la componente idrogeno solforato: per quanto riguarda l’anidride carbonica invece, è il caso di ricordare che è un gas  inodore e incolore; più pesante dell'aria e rilevabile in genere solo con apposite strumentazioni. Il sollevamento del suolo poi, è un fenomeno lentissimo, pari a circa mm. 0,05 al giorno, che è una misura che può anche variare nel tempo, ma in tutti i casi non è fisicamente percepibile direttamente dalla popolazione. Se lo fosse il pericolo sarebbe massimo e da gambe in spalla.

La percezione di un fenomeno allarmante è sicuramente un processo complesso proprio degli esseri viventi e quindi degli umani, ancorché fondamentale per poter comprendere e interpretare attraverso l'elaborazione delle informazioni fornite dai sensi, i pericoli derivanti dall'ambiente circostante. La risposta al pericolo spesso è la fuga che non sempre è ragionata e a volte è inconsulta: sovente dettata da una pressione psicologica che mina la lucidità mentale quando si è sotto minaccia. Nello schema sottostante si evidenzia la differenza tra un piano di evacuazione e un piano di allontanamento: la chiave comportamentale è proporzionale alla intensità con cui i sensi percepiscono il fenomeno nocivo o letale, con la variante dettata dalle informazioni che si hanno sulle caratteristiche del pericolo.



La componente amministrativa ai vari livelli ma anche quella scientifica, sembrano orientate a scollegare dalla comprensione collettiva i fenomeni naturali prima accennati dal rischio eruttivo. Una necessità considerata strategica per favorire probabilmente politiche di resilienza a fronte dei terremoti ritenuti il vero problema di cui occuparsi nella zona d'intervento bradisismica. Apparentemente tali politiche sembrano convincenti, ma sarà proprio questa scaltra selezione dei pericoli che ha consentito al ministro Musumeci di poter dire che ci sono decine di lustri di ritardo nella prevenzione del rischio vulcanico. Cavalcare quindi la sola teoria sismica, è un modus operandi che assicura consensi popolari, ma che può essere sconfessato in qualsiasi momento; in tutti i casi non sono manovre da grande politica, perchè possono minare le future necessità di sicurezza della popolazione intra calderica.

Alla base della minore sensibilità verso il rischio eruttivo dettato forse pure da un bisogno psicologico di obliarlo, c'è la mancata percezione da parte dei sensi della pericolosità vulcanica. Un pericolo che ha rendicontazione analitica e non direttamente  percepita in assenza della colonna eruttiva, con processi informativi che coinvolgono varie istituzioni e amministrazioni spesso con linguaggi da pensiero unico sbilanciati su tutti i pericoli areali tranne quello vulcanico. 

Nel flegreo ci sono segnali geofisici e geochimici che possono essere inquadrati come prodromi preeruttivi. Ebbene, questi segnali tra l'altro non corroborati da statistiche valutative pregresse che potrebbero indicare la tendenza dei fenomeni, sono tutti presenti nel flegreo, e ultimamente si nota un incremento della fenomenologia  anche in ambito sub marino. Occorre chiarire però, che anche se siamo in presenza di squilibri geofisici e geochimici ben acclarati nel sottosuolo flegreo, questi segnali possono continuare per anni e senza che si manifesti una eruzione, così come in poco tempo potrebbero indicare una condizione pre eruttiva. In tutti i casi non ci sono garanzie deterministiche su quello che geologicamente può succedere...

A fronte di tante indecisioni sulla previsione del fenomeno eruttivo, nonostante rassicurazioni di prassi non vincolanti come testimoniano i bollettini emessi dall'osservatorio vesuviano, le uniche iniziative verso la sicurezza areale e che avrebbero un senso, riguardano la prevenzione strutturale come strategia passiva per ridurre il valore esposto (VE), e una concreta pianificazione di evacuazione come strumento attivo di protezione per separare in poche ore la popolazione dal pericolo eruttivo. 



Partendo dal presupposto che la caldera è fisicamente inamovibile, allora, per separare  gli uomini e le donne dal pericolo eruttivo, all'occorrenza prima che le dirompenze si manifestino con crudezza, occorre dare corso a un piano di evacuazione. Per forza di cose bisogna quindi agire sul valore esposto, cioè sulla popolazione (550.000 ab.),  che dovrà essere spostata all’occorrenza ad una distanza (d) di circa 10/15 chilometri dai confini della zona rossa vulcanica. La direzione comando e controllo (DICOMAC) del dipartimento della protezione civile ad esempio, organo direttivo che si attiverà modularmente per gestire il pre allarme, e integralmente in caso di allarme, è ubicata a circa 30 chilometri a nord est di Pozzuoli. Un luogo che, per posizione geografica e distanza, dovrebbe risultare immune dalle fenomenologie eruttive: non si può dire lo stesso per la sede dell'osservatorio vesuviano... In tutti i casi, anche a piedi, in circa 3 ore, c’è la possibilità di mettersi fuori portata dagli effetti più deleteri di un’eruzione vulcanica. Questo significa che la segnalazione di percorsi pedonali per uscire fuori dalla zona rossa, potrebbe essere una tattica estrema per non farsi cogliere impreparati qualora l'eruzione dovesse iniziare a manifestarsi in un contesto di circolazione automobilistica totalmente compromessa dal caos. D'altro canto la lapide di Portici del 1632 diretta ai posteri parla chiaro sui comportamenti da adottare quando si dimora nel raggio d'azione di un vulcano.

                                                                      di Vincenzo Savarese








lunedì 2 dicembre 2024

Rischio Vesuvio: la prevenzione al ribasso...di Malko

Le zone pericolose al Vesuvio

Per poter meglio rappresentare i concetti ad oggetto la prevenzione della catastrofe vulcanica legata a una possibile eruzione del Vesuvio, una premessa che spieghi in che modo  è stato suddiviso il territorio della plaga vesuviana è necessaria per la comprensione della diversificazione del pericolo. Lo spaccato proposto in basso ci sembra adatto allo scopo.



La zona rossa 1 (R1) circoscrive il territorio invadibile da qualsiasi fenomenologia vulcanica, ma soprattutto dalle micidiali colate piroclastiche che andrebbero a formarsi prevalentemente  in seno ad eruzioni esplosive di tipo sub pliniane (VEI 4) e pliniane (VEI 5). Tale dirompente fenomeno in genere si presenta susseguentemente al collasso della colonna eruttiva, che può raggiungere altezze stratosferiche, per poi collassare sui pendii del vulcano scivolando e avanzando con violenza distruttiva sul terreno, ma anche sul mare, a una temperatura di diverse centinaia di gradi Celsius, sufficiente e in pochi secondi, a vaporizzare i liquidi corporei di chiunque venisse raggiunto dai flussi ardenti.

Per poter stabilire a che distanza dal Vesuvio ci si possa ritenere sufficientemente al sicuro da siffatta micidiale fenomenologia, occorre adottare un’eruzione di riferimento indagandone il passato rappresentato dai limiti di deposito del materiale veicolato dai flussi nella loro avanzata.

Nel merito del problema, gli strateghi hanno ritenuto di non pianificare sull’eruzione massima conosciuta al Vesuvio, bensì su quella che loro considerano l’evento massimo probabile. Con siffatta premessa, l’autorità scientifica ha indicato come eruzione di riferimento una sub pliniana, evento medio con indice di esplosività VEI 4. Con questo incipit è stata individuata la zona rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica.



La zona rossa 2 (R2) invece, individuata a est del vulcano, è quella dove il sistema di protezione civile ritiene pericolose non già le colate piroclastiche, bensì la notevole pioggia di cenere e lapilli che renderebbe nel giro di qualche ora, la vivibilità anche in zona rossa 2 pericolosa o quantomeno problematica. Gli accumuli poi dei prodotti piroclastici sui tetti piani, causerebbero il crollo delle coperture meno resistenti, e a seguire dei solai sottostanti. Le ceneri sottili asperse in aria comporterebbero con il loro contenuto di silicio seri problemi alla respirazione e agli occhi. Il contesto sarebbe di oscurità, con disturbi alle telecomunicazioni e il blocco dei motori. Le zone rossa 1 e 2 hanno caratteristiche diverse, anche se il colore identifica e accomuna la stessa necessità dell’evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo. Stranamente, in zona rossa 1 sussiste l’inedificabilità ad uso abitativo (legge regionale 21/2003), mentre non ci sono limiti residenziali in zona rossa 2. 

La zona gialla è quella dove la ricaduta di cenere e lapilli dovrebbe essere di minore intensità. In ogni caso il fenomeno potrebbe cagionare molti disagi agli abitati che si trovano allineati  col cratere e col vento che generalmente spira verso est. Il piano di emergenza nazionale prevede di evacuare in corso d’eruzione quei settori gialli maggiormente colpiti.

C’è poi una zona blu a nord del vulcano, poco pubblicizzata dai media, che interessa la superficie depressa del nolano. I problemi in questo settore sarebbero quelli propri della zona gialla, a cui si aggiungerebbero quelli alluvionali dettati dalla gran quantità d’acqua espulsa dall’eruzione, in un contesto di terreni impermeabilizzati dalle ceneri fini. In passato il livello delle acque che si accumularono nella conca nolana, superarono largamente i due metri di altezza.



 Gli eventi estremi.

Sembrerà strano, ma grazie a stazioni di osservazioni astronomiche anche amatoriali, in genere si riesce a cogliere in anticipo il rischio di un impatto con un meteorite, pure mesi prima, stabilendo l’entità del pericolo dalle dimensioni dell’oggetto, dalla composizione chimica del corpo astrale, dalla sua velocità e dalle coordinate stimate di contatto con una precisione a mano a mano crescente.

Purtroppo, essendo il sottosuolo terrestre precluso alle indagini dirette, se non in un modo puntiforme e con profondità massime fin qui raggiunte di circa 12 chilometri, l’analisi dei dinamismi che agitano la litosfera, sono  affidate alle prospezioni indirette, e quindi inevitabilmente nella loro complessità sono generiche, e almeno per il momento senza una particolare utilità deterministica necessaria per la previsione delle catastrofi naturali ascrivibili ai terremoti e alle eruzioni vulcaniche.

In altre parole, non è possibile prevedere quando si manifesterà la prossima eruzione del Vesuvio, anche se molti esperti sono sicuri che l’eventuale progredire dei prodromi pre-eruttivi, fornirebbero elementi utili per definire in tempi corti e con buona approssimazione il momento dell’eruzione.

I piani di emergenza e di evacuazione sono tarati su settantadue ore, quale tempo che gli strateghi ritengono necessario per il rapido allontanamento dei settecentomila abitanti dalla plaga vesuviana. Quindi, una previsione per essere utile deve comprendere un allarme rosso diramato con sufficiente anticipo sull'evento, calcolando pure il tempo necessario per lanciare e rilanciare il segnale di rapido allertamento (it-alert) alla popolazione. I tempi dell'azione si abbreviano se ogni cittadino conosce bene il da farsi all'occorrenza, muovendosi secondo i dettami del piano di emergenza, e senza alcun tentennamento nell'assunzione delle decisioni che comprendono l’impossibilità di salvare i beni materiali.

L’espediente evacuativo consentirebbe di interporre entro 72 ore una distanza (d) tra il pericolo eruttivo (P) e il Valore esposto (VE). 


 

Le modalità evacuative sono state diversificate e sono state formalizzate secondo logiche aritmetiche come da palline sul pallottoliere, e quindi l’efficacia delle procedure di allontanamento rapido non sono matematicamente assicurate, così come non c'è certezza del disciplinato comportamento della popolazione, che è strettamente commisurato alla percezione fisica del pericolo. A tal proposito le autorità sperano in un massiccio allontanamento della popolazione già nella fase di preallarme, per avere numeri ridotti da mobilitare se si arriva al livello successivo di allarme. Tecnicamente però, anche qui non c’è certezza che si riesca a cogliere la soglia del preallarme, così come non c’è certezza sui tempi di durata di questa condizione geologica, se la si coglie, e che può dilungarsi oltre misura, o al contrario essere immediatamente surclassata o addirittura saltata dall’allarme generale rosso.

Il vulnus non è solo nella previsione d'eruzione assolutamente incerta, ma è anche sulla incognita della tipologia eruttiva. Infatti, non è dato sapere in anticipo quando e con quali caratteristiche le energie irromperanno in superficie, perché eventuali prodromi possono forse annunciare in tempo utile il momento eruttivo, ma non la tipologia dell’eruzione che rimane un dato qualificabile solo dopo l’eruzione. 

Questi due elementi di incertezza sono la spina nel fianco delle pianificazioni di emergenza, tanto nel vesuviano quanto nel flegreo. Quindi, nella formula semplificata del Rischio (R) R= P x VE che prima abbiamo schematizzato graficamente, occorre evidenziare che il rischio aumenta se aumentano uno o entrambi i fattori in formula. Il Pericolo (P), cioè la pericolosità vulcanica, è destinata ad aumentare col passare dei decenni, dei lustri e dei secoli. Purtroppo anche il valore esposto (VE), in assenza di regole urbanistiche che vietino gli insediamenti residenziali leciti o illeciti, è un dato destinato a crescere. L’aumento dei due fattori provoca l'aumento del rischio vulcanico, che già oggi ha raggiunto livelli di inaccettabilità, perché il territorio non è strutturato e la popolazione non è preparata al meglio per una possibile evacuazione massiva.

Nella plaga vesuviana gli scienziati e i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania, hanno deciso, come detto, di pianificare tenendo conto di uno scenario eruttivo medio di tipo sub pliniano (VEI4), che accorperebbe anche le esigenze protettive legate a un evento VEI3 al Vesuvio, che gli esperti dell'osservatorio vesuviano tra l’altro reputano il più probabile. Rimane il fatto che assumendo un’eruzione media (VEI4) come scenario di riferimento per i piani di emergenza, si esclude di fatto l’eruzione pliniana dal novero delle possibilità  di accadimento, assegnando alle decisioni così assunte forzate caratteristiche  deterministiche che deterministiche non sono. Lo dimostra il fatto che non è stato elaborato alcun piano d’emergenza capace di fronteggiare eruzioni a maggiore energia. Questo modus operandi legato all’assunzione del pericolo medio e non quello massimo conosciuto negli scenari eruttivi di riferimento, certamente agevola la stesura dei piani di emergenza perché riduce il territorio d’intervento, ma con esso si riducono pure le superfici che dovrebbero essere inedificabili o regolamentate per assicurare politiche strutturali di prevenzione della catastrofe vulcanica, soprattutto a favore dei posteri...

Lo schema sottostante riporta le tre tipologie eruttive che possono interessare il Vesuvio, partendo dal principio che esiste un valore probabilistico che diminuisce marcatamente in rapporto all'aumento dell'indice di esplosività vulcanica. Nel merito della pericolosità, occorre ricordare che qualsiasi di queste tre tipologie eruttive produce la pioggia di cenere e lapilli. Le eruzioni sub pliniane e pliniane invece, si caratterizzano per la formazione anche di colate piroclastiche oltre a tutti gli altri fenomeni che caratterizzano un'eruzione esplosiva.



Gli eventi come un’eruzione pliniana sono quelli da cigno nero, cioè sono quelli estremi che sfuggono in linea preventiva ai modelli teorici di pericolo ancorché esclusi e marginalizzati dalla chiave probabilistica, tant’è che poco o per niente se ne parla in pubblico, perché subentra un certo imbarazzo a sostenere quello che quasi tutti giudicano una vera iattura da esorcizzare… D’altro canto è difficile mettere in guardia da un evento calamitoso di grandissima portata, quando non c’è esperienza diretta o ravvicinata di questi scenari peggiori, sia da parte degli scienziati che della popolazione.

Il pericolo vulcanico al Vesuvio contiene in sé tre possibilità  che possono caratterizzare operativamente lo sviluppo del fenomeno eruttivo con grandissime differenze per la salvaguardia della vita umana. Infatti, le condizioni  operative che possono segnare il momento preeruttivo, possono essere diverse:

-        mancato allarme;

-        falso allarme;

-        successo previsionale con relativa evacuazione.

Una quarta possibilità che non viene mai citata o presa in considerazione, il famoso vulnus di fondo, è insita proprio nella tipologia eruttiva, perché qualora l’eruzione dovesse assurgere a dimensioni da pliniana o simil pliniana, cosa che nessuno può escludere, si verificherebbe nella migliore delle ipotesi un successo previsionale accompagnato da catastrofe vulcanica. Per quanto rara questa possibilità, il surplus energetico fuori piano andrebbe a interessare e invadere con i flussi piroclastici anche la zona contigua alla rossa 1 e 2, che noi chiamiamo zona rossa VEI5. In questa corona circolare schematizzata nel grafico sottostante, non c’è alcuna prevenzione strutturale e sussiste l’impreparazione totale della popolazione che non è destinataria di procedure evacuative e né tantomeno pone attenzione al problema del rischio vulcanico. In altre parole, i residenti della zona rossa VEI5, in caso di eruzione rimarrebbero fermi o si muoverebbero tardi e caoticamente per sfuggire alle ostilità vulcaniche lì mai previste.  



Nel territorio della provincia di Napoli e a ridosso delle plaghe vulcaniche, l’urbanizzazione è partita da lontano ancorché favorita dai vantaggi offerti dal territorio fertile e dalla contiguità col mare che è una importantissima risorsa economica e commerciale. L’urbanizzazione non è stata evitata in passato perché le eruzioni, almeno nel nostro caso,  non sono eventi annuali come i monsoni, e poi perché nessuno voleva rinunciare alle sue proprietà terriere: la terra non è traslocabile... Più di recente perché nessun politico o amministratore o istituzione ha inteso ricordare al popolo amministrato e che di fatto non vuole politiche di ansia e di rinunce, che in questi territori ameni e ricchi di storia, la pericolosità eruttiva è immanente e senza possibilità di disinnesco. La notizia che alleggerisce l’ansia di vivere in un territorio a rischio, è stata offerta dalla scienza che palesa la possibilità di prevedere per tempo un’eruzione, così come riportato nelle FAQ dell’osservatorio vesuviano che recita: Non è possibile prevedere a lungo termine quando ci sarà la prossima eruzione. Tuttavia, grazie alla sorveglianza del vulcano è possibile rilevare con ampio anticipo l'insorgenza di fenomeni precursori, che generalmente precedono un'eruzione, e procedere all'evacuazione prima che avvenga l'eruzione.

Con questa ottimistica premessa, i problemi di tutela vitale automaticamente risultano tutti risolti, al punto da non doversi prevedere necessariamente sostanziali e drastiche politiche di prevenzione.

Rimane il dato tutt’altro che incoraggiante però, che anche le moderne stazioni multi parametriche esibite dall'osservatorio vesuviano come la chiave di volta tecnologica della previsione d’eruzione e quindi della sicurezza areale, forniscono in realtà solo dati che dovranno essere analizzati “manualmente” dalla commissione grandi rischi,  perché la previsione è ancora oggi una procedura ricca di dati da interpretare, che dovranno scontrarsi inesorabilmente con  le incognite dettate da un sottosuolo inesplorato, le cui dinamiche sono parti di sistemi complessi che dovranno essere sottoposti nel nostro caso al vaglio di esperti e poi della commissione grandi rischi, ovvero tutti scienziati che non hanno mai vissuto l’esperienza eruttiva o pre eruttiva dei vulcani napoletani.

Bisognerebbe partire dal principio che la pianificazione urbanistica territoriale in area vulcanica vesuviana, dovrebbe includere anche la zona di massima estensione del pericolo (VEI5), magari attraverso regolamentazioni, secondo logiche preventive volte all'adeguamento strutturale del territorio alle necessità dei piani di emergenza… Allo stato dei fatti invece, si sta verificando esattamente  il contrario, cioè che i piani di emergenza e di evacuazione devono e dovranno correre dietro alle irrefrenabili modificazioni del territorio dettate dalla speculazione edilizia, dall'abusivismo, e prima ancora dalla miopia politica di cui abbiamo un fulgido esempio nel flegreo. Infatti, il recentissimo disposto regionale assevera rischio sismico e vulcanico nella zona d'intervento, lasciando il grosso della zona rossa senza regole di prevenzione della catastrofe vulcanica... 


Zona d'intervento (celeste e viola) dove vige
l'inedificabilità a uso residenziale

                                                                         di Vincenzo Savarese