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lunedì 30 marzo 2015

Rischio Vesuvio: gli incubi del prefetto Gabrielli...di Malko


  
Rischio Vesuvio: un vulcano da incubo..." di MalKo

Recitano i giornali che il capo della protezione civile Franco Gabrielli ha raccontato che il Vesuvio e un possibile terremoto in Calabria sono le due condizioni di rischio che gli tolgono il sonno… L’analisi è assolutamente da condividere con qualche precisazione che riguarda il suo dicastero a proposito del piano di evacuazione che ancora non salta fuori dai famosi cassetti.

In molte pubblicazioni ad oggetto il rischio vulcanico si evidenziano come i danni subiti dalle popolazioni sarebbero generalmente rapportati all’energia che sprizzerebbe fuori dal sottosuolo, secondo alcune logiche che evidenziano uno stretto collegamento tra l’energia liberata sotto forma di eruzione, le fenomenologie vulcaniche e la superficie territoriale coinvolta.
Tutti dati che non è possibile reperire a priori perché l’incognita sul quando e con quanta energia si verificherà la prossima eruzione del Vesuvio, rimane un’irrisolvibile equazione matematica che grava sull’agglomerato urbano vesuviano. Almeno oggi…domani chissà!

Alcuni ricercatori per rispondere al duplice interrogativo appena prospettato, e soprattutto per fornire elementi di valutazione alla parte politica e istituzionale che ha responsabilità dirette nella gestione del territorio a rischio, hanno elaborato studi statistici pubblicando alla fine percentuali probabilistiche sull’eruzione che verrà. Una sorta di proiezioni con la differenza che qui il campione rappresentativo (eruzioni) è numericamente irrisorio e oltremodo datato. Diciamo che ci provano a ipotizzare le energie che verrebbero messe in gioco per capire quanto territorio verrebbe interessato dalle varie fenomenologie… ma sul quando avverrà nessuna proiezione al mondo potrebbe avere un minimo di utilità pratica. Lo stesso dicasi per il rischio sismico che è ancora più imprevedibile e meno puntiforme della bocca di un vulcano. Di contro però, strategie costruttive antisismiche possono ridurre significativamente le conseguenze per le popolazioni esposte. Di fronte a un flusso piroclastico invece, non c’è difesa di superficie che tenga.

Una ripresa eruttiva con eruzione di tipo VEI 3 viene data quantitativamente parlando probabile, semmai il Vesuvio dovesse interrompere il suo stato di quiete nell’arco dei prossimi 130 anni. Nella peggiore delle ipotesi assisteremmo a una VEI 4 dicono gli esperti analisti, cioè a una eruzione di tipo sub pliniana simile a quella che flagellò l’area vesuviana nel 1631. L’eruzione pliniana (VEI 5), quella famosa di Pompei e Avellino, è stata letteralmente esclusa negli scenari di rischio elaborati dall’insonne capo Dipartimento della Protezione Civile.

Il  Prefetto Gabrielli sa perfettamente che in Italia il rischio lo si vuole maneggiare senza rinunce e senza scontentare gli amministratori regionali e comunali che hanno dalla loro il disinteresse di non poca parte della popolazione vesuviana che affronta il problema Vesuvio con una semplice alzata di spalle.
C’è poi la minoranza silenziosa che vive con ansia la sua condizione di promiscuità con il vulcano, e se non va via dalla plaga a rischio è solo perché l’informazione gli propina un quadro di iniziative rassicuranti, edulcorate e senza approfondimenti. Le notizie date in un certo modo implicitamente diffondono fiducia nello Stato di diritto che dovrebbe garantire ad ogni cittadino il bisogno sociale di sicurezza. Purtroppo non è così e la storia dell’Aquila, del terremoto  e della commissione grandi rischi che poi non era commissione, così dicono in quel contesto generatosi il 31 marzo 2009, dovrebbe far riflettere sulle necessità di indipendenza della scienza dal mondo dei gatti e delle volpi. La sicurezza e le tutele non possono essere di apparenza…

Al Capo Dipartimento manca l’arma della prevenzione, e forse pure quella dell’interventistica perché non siamo sicuri che prima della sua prossima destinazione funzionale il prefetto Gabrielli riuscirà a battezzare un serio piano di evacuazione per l’area vesuviana di cui auspichiamo di avere presto notizie in rete. Un piano tra l’altro, che al Prefetto compete direttamente e istituzionalmente (piano di livello nazionale), anche se condivide il fardello con la Regione Campania rappresentata dall’assessore Edoardo Cosenza. Il vulcanico amministratore a tal proposito pubblicizza la carta strategica  evacuativa con la fine dei lavori per la realizzazione della terza corsia sull’autostrada A3 Napoli – Salerno, senza dare enfasi al fatto che da Pompei a Salerno le corsie sono e saranno tombalmente due e senza corsia di emergenza…

Lo spigoloso capo dipartimento ha dimostrato zelo da vendere, intimando ai parenti di alcune delle vittime del terremoto dell’Aquila la restituzione delle somme percepite in anticipo quali danni dovuti dalle rassicurazioni ricevute da un ex dirigente della protezione civile. Tecnicamente parlando avrebbe dovuto profondere pari piglio nel campo della prevenzione, magari valutando bene i contorni della nuova zona rossa e le complicanze tecniche e amministrative che tale scelta ha determinato.
Infatti, contrariamente al battiage pubblicitario, il diametro della zona rossa a maggior rischio vulcanico in realtà si è ristretto rispetto alla vecchia perimetrazione, mentre si è allargato il diametro dei territori da evacuare all’occorrenza, attraverso un piano di evacuazione che ricordiamo a noi e alla corte di  Strasburgo e alla Procura di Torre Annunziata, ancora non c’è.

Non è semplice spiegare bene questo concetto della zona rossa per chi non segue l’argomento da tempo e con attenzione, ma è necessario cercare di comprendere astuzie e ingenuità, visto che in gioco ci sono le vite dei burattini vesuviani odierni e futuri.
Il Comune di Boscoreale con sentenza del tribunale amministrativo regionale (TAR) n° 02561/del 05.08.2014 si è visto riconoscere il diritto ad estrapolare la parte di territorio comunale eccedente la linea nera Gurioli, in modo da uscire dalla tenaglia regionale che vieta l’edificato residenziale e i condoni edilizi nella zona vulcanica a maggior rischio (Rossa 1). La sentenza del TAR infatti, ha accolto il ricorso del Comune di Boscoreale e per tale motivo la Regione Campania nonostante il grande impegno dell'assessore Edoardo Cosenza, dovrà procedere alla ridefinizione della zona rossa 1 che sarà, in assenza di volontà specifiche dei comuni o decreti governativi, coincidente totalmente con l’area definita dalla linea nera Gurioli. La sentenza infatti, sostanzialmente lascia intendere che la Regione non può sostituirsi alla commissione grandi rischi (consesso scientifico) nella definizione della zona a maggior pericolo identificata appunto col perimetro Gurioli.

Boscoreale prima della sentenza TAR:
 intero territorio in rossa1
La mappa a sinistra mostra il comune di Boscoreale prima della sentenza del TAR. Tutto il comprensorio è in zona rossa 1 e quindi come detto soggetto alla legge regionale 21 del 2003 che vieta l’edilizia residenziale. La cartina sottostante invece,mostra il Comune di Boscoreale dopo la sentenza del TAR del 2014. Come vedete la parte eccedente la linea nera Gurioli deve 
Boscoreale dopo la sentenza TAR: territorio suddiviso
dalla linea nera in rossa 1 e rossa 2
intendersi amministrativamente in zona rossa 2. Cos’è la zona rossa 2? Una parte di territorio dove si dovrà scappare a gambe levate in caso di allarme vulcanico ma nel contempo è ancora possibile costruire con tanto di licenza edilizia e condonare gli abusi edilizi… Ovviamente le sentenza fanno giurisprudenza e,quindi, ciò che vale per Boscoreale vale pure per gli altri comuni attraversati dal segmento Gurioli, tra cui Pompei, Torre Annunziata e altri..

Con la sentenza del TAR tutte le casette in rosso nella mappa sottostante si trasformeranno in verde. La linea Gurioli sarà quindi destinata ad avere una crescente importanza al catasto quale limite di inedificabilità totale piuttosto che un limite scientifico di pericolo, tra l’altro di taglio deterministico…
Difficile dormire con queste schizofrenie amministrative… alla fine rimane solo l'amarezza nel constatare che lo stesso Stato è produttore di rischio in un mondo che pare quello di Collodi e l’informazione che dovrebbe puntare su un giornalismo investigativo quale valore della democrazia, si riduce invece alla pubblicazione in serie delle veline passate dalle varie segreterie... 


Le casette rosse identificano il territorio soggetto inizialmente all'inedificabilità residenziale. Con la sentenza del TAR del 2014  l'area compresa tra il tracciato rosso e nero diventa Rossa 2 e sarà quindi possibile edificare e condonare gli abusi edilizi.

mercoledì 11 marzo 2015

Rischio Vesuvio 2015: la zona gialla...di Malko


Eruzione Vesuvio 1944. Bombardieri americani B25 schierati a Terzigno  vengono flagellati
dalla pioggia di cenere e lapilli.
  Rischio Vesuvio 2015: la zona gialla, quella della pioggia 
di cenere e lapilli…” di MalKo

La zona gialla nelle mappe di pericolosità dettate dal rischio Vesuvio, identifica quella parte del territorio campano dove la ricaduta di cenere e lapillo potrebbe assumere intensità tali da costituire un serio problema per la tenuta statica delle coperture dei fabbricati che, a causa degli accumuli, potrebbero cedere con gravi conseguenze per gli abitanti ricoverati negli ambienti sottostanti.
Lo scenario massimo (VEI 4 - eruzione sub pliniana) adottato dal dipartimento della protezione civile su input dell'INGV, può considerarsi deterministico e prevede per il Vesuvio una colonna eruttiva di 10 - 15 chilometri che verrebbe imbrigliata dal vento soprattutto nella parte alta composta da materiali più leggeri e oramai con scarsa energia cinetica da contrapporre ai refoli. I lapilli, ma soprattutto la cenere, verrebbe così spinta e aspersa pure a notevole distanza dal cratere, con la conseguenza che si andrebbe a depositare anche sulle case in una misura influenzabile dalla direzione e dall’intensità del vento, dalla distanza degli agglomerati urbani dal cratere e dalla posizione dei fabbricati rispetto alla direttrice del vento passante per il cono sommitale (nell’esempio la linea celeste).

In siffatte condizioni e abbastanza velocemente (ore), si accumulerebbe tanto materiale piroclastico sui tetti, da costituire soprattutto se imbibito, un peso sufficientemente grande da compromettere seriamente la statica delle coperture in piano e delle terrazze.
Nelle zone sottovento, in ragione dell’intensità del vento e dell’altezza raggiunta dalla colonna eruttiva (nelle pliniane anche oltre 30 Km. di quota), si avrebbero precipitazioni intense di cenere ed altro particolato, che determinerebbero nelle aree maggiormente esposte un innaturale calare della notte. Si avrebbero poi difficoltà nell’orientamento a causa della coltre sottile che tutto ricoprirebbe, ma i danni da tenere in debito conto sarebbero soprattutto fisici laddove dovessero sprofondare i solai, e quelli all’apparato respiratorio e agli occhi, in assenza di protezione, con arrossamenti e lacrimazioni già nelle prime fasi eruttive a causa delle fini ceneri che potrebbero contenere a percentuali variabili prodotti nocivi di tutto rispetto come la silice e il fluoro.
I danni fisici per le popolazioni esposte sarebbero quindi commisurati alla concentrazione e al diametro delle particelle rocciose diffuse nell’aria, e al tempo di esposizione alla polvere vulcanica e alla sua composizione che è un dato forse stimabile per il Vesuvio. Certamente i danni alla salute avrebbero un’incidenza dipendente anche dalle condizioni fisiche iniziali degli esposti, con una platea più vulnerabile laddove composta da asmatici e allergici, vecchi e bambini. 
Le istruzioni dettate dalle autorità dipartimentali e regionali indicano per la popolazione della zona gialla esposta all’eventuale problema della massiccia ricaduta di cenere e lapilli, la necessità di permanere in luoghi riparati e chiusi, che abbiano però coperture capaci di sopportare il sovraccarico innaturale dettato dall’accumulo delle ceneri sui tetti. A tal proposito le indicazioni dipartimentali invitano i comuni a inquadrare e classificare finanche ogni singolo fabbricato, in ragione della resistenza delle coperture. Inoltre, e sempre a cura delle autorità locali, sarà necessario individuare edifici che, per caratteristiche costruttive, non temano i sovraccarichi e consentano ripari collettivi alle popolazioni da proteggere. Le avvertenze poi, consigliano di individuare luoghi dove poter ammassare i prodotti piroclastici rimossi dalle strade presumibilmente in un momento successivo all’evento.
Mappa 2015 - Zona Gialla a cura del Dipartimento della Protezione Civile
Sempre nella minuta che accompagna la cartografia tematica della zona gialla, si evidenzia in caso di eruzione la probabilità di black out elettrici, interruzione dei collegamenti telefonici, intasamento delle fogne, spegnimento dei motori e impercorribilità delle strade.
Da queste prime considerazioni dovrebbe risultare alquanto problematica l’attuazione dinamica del piano di evacuazione per alcuni settori della zona gialla con eruzione in corso. Il grosso problema che si presenterebbe in caso di ripresa eruttiva, è che già a distanza di alcune ore dal risveglio del vulcano, il settore sottovento potrebbe essere gravemente compromesso in termini strutturali, di viabilità e di impianti tecnologici che diverrebbero inutilizzabili, senza contare possibili scuotimenti sismici che minerebbero ulteriormente la resistenza dei fabbricati, laddove il tetto risulterebbe inusualmente appesantito.
Non si capisce bene quindi in un cotale inferno e in assenza di collegamenti anche radio che potrebbero essere compromessi, in che modo si fornirebbero precise e vitali informazioni alle popolazioni arroccate nei fabbricati. E in caso di situazione insostenibile, in che modo si porterebbero via le persone dai settori maggiormente colpiti della zona gialla, posti all’interno della curva di isocarico da 300 kg a metro quadro di cenere, cioè con spessori al suolo superiori ai 30 centimetri in una condizione operativa ambientale tra l’altro proibitiva pure per gli elicotteri.
Nell’immagine d’apertura risalente al mese di marzo 1944, si vedono i bombardieri americani B-25 schierati sul campo d’aviazione ubicato tra Terzigno e Poggiomarino, danneggiati e bloccati da cenere e lapilli per un improvviso cambiamento dello stile eruttivo del Vesuvio che diede luogo a una colonna sostenuta di circa 5 chilometri che asperse in quella direzione il suo gravame piroclastico.

I nostri lettori sanno che dopo la zona rossa e la zona gialla manca all’appello ancora un tassello del mosaico a tema il rischio Vesuvio: la zona blu. 
Ubicata a nord – est del Vesuvio, comprende una serie di comuni che potrebbero subire intensi allagamenti, dovuti alla posizione areale depressa che pare tocchi un massimo nella conca di Nola, proprio nei pressi del vulcano buono…. 
Nola - Il vulcano buono
Si stimano altezza delle acque di circa due metri… Il comune di Nola ha una particolarità: il suo territorio comprende la zona rossa, quella gialla e quella blu.  Ai piani terra? Solo garage all’ombra di tetti spioventi…

sabato 28 febbraio 2015

Rischio Vesuvio: il monito dall'archeologia...di Malko






“Rischio Vesuvio: per la zona rossa si contempli l’archeologia…” 
di MalKo

Il Vesuvio rappresenta una minaccia per niente campata in aria, perché la storia pregressa del vulcano annovera avvenimenti eruttivi a volte anche particolarmente catastrofici, come quelli che seppellirono quasi duemila anni fa le città di Pompei ed Ercolano e prima ancora insediamenti preistorici dell’età del bronzo antico nel nolano.
Plinio il vecchio nel 79 d. C. nel corso dell’eruzione di Pompei si lanciò con le sue navi da Miseno alla volta del vesuviano come un moderno comandante dei Vigili del Fuoco, tentando di salvare ciò che restava di una popolazione oramai irrimediabilmente perduta, alla mercé della pioggia di cenere e lapillo e delle colate piroclastiche che spazzarono gli insediamenti urbani ubicati alla base del vulcano. Se la storia insegna qualcosa, né cittadini e né soccorritori dovranno farsi trovare in caso di allarme vulcanico nel settore invadibile dalle nubi ardenti e dal loro rovente carico di materiale piroclastico.
Quale sia questo settore lo hanno deciso i vertici del Dipartimento della Protezione Civile dopo aver valutato le risultanze della commissione Vesuvio e aver acquisito il parere e le note della commissione grandi rischi.  In quest’ambito di alto livello decisionale, è stato deciso di adottare a garanzia dei vesuviani un’eruzione dal valore energetico VEI 4 (eruzione sub pliniana), visto che una elaborazione probabilistica effettuata da alcuni ricercatori dell’INGV, indica in un’eruzione VEI 3 (ultra stromboliana) quella più probabile se dovesse cessare la quiescenza del Vesuvio nei prossimi 130 anni.



Gli esperti hanno quindi individuato i territori su cui potrebbero abbattersi e spalmarsi gli effetti più deleteri di un’eruzione sub pliniana, prendendo in esame una pubblicazione scientifica della ricercatrice Lucia Gurioli, che ha tracciato su una mappa delle linee a colori segnando la massima distanza raggiunta dalle colate piroclastiche intorno al Vesuvio secondo indici di varia frequenza. La linea nera Gurioli circoscrive appunto i limiti di massimo scorrimento dei depositi da flusso per eruzioni a media frequenza (VEI 4). La zona rossa Vesuvio dovrebbe quindi coincidere con l’area (black line) circoscritta dalla Gurioli. In realtà la nuova perimetrazione è più ampia, in parte per scelta politica dovuta alla classificazione precedente, e in parte perché sono stati aggiunti alcuni settori ad est (rossa 2) dove la pioggia di cenere e lapilli costituirebbe una minaccia non trascurabile.


La linea nera Gurioli è un tracciato geo referenziato; da limite di deposito qual era è diventato innaturalmente un limite di pericolo addirittura deterministico. Al punto che a pochi metri dalla linea Gurioli (Scafati – Poggiomarino) è possibile richiedere licenza edilizia.
Il problema che oggi ci troviamo ad affrontare a proposito della tutela dei cittadini dal rischio Vesuvio, è tutto incentrato sul fatto che nonostante bisognerebbe prendere in esame nella pianificazione d’emergenza l’eruzione massima conosciuta, gli esperti del dipartimento di Franco Gabrielli hanno invece optato per un evento eruttivo  ponderato (VEI 4), su cui fare riferimento nei piani. Nella sostanza, le autorità governative si sono scelte il nemico vulcanico sub pliniano, che rappresenta una misura energetica nel nostro caso medio – alta, ma non quella massima conosciuta che, per il Vesuvio, lo ripetiamo, è una pliniana (VEI 5), cioè simile a quella famosa di Pompei o di Avellino. Rispettivamente eventi manifestatisi circa 2000 e 4000 anni fa.
Il collasso della colonna eruttiva (colate piroclastiche), è l’evento e il momento più pericoloso e il più distruttivo in assoluto in seno a un’eruzione. Il fenomeno si ricollega all’energia potenziale guadagnata dalla quota raggiunta dai materiali eruttati dal vulcano; questi a un certo punto mancando del sostentamento precipiterebbero verticalmente e rapidamente sulle pareti scoscese del vulcano che favorirebbero un indirizzo di scivolamento sempre più orizzontale dei flussi che macinerebbero chilometri. Trattandosi di una sorta di valanga a temperature di diverse centinaia di gradi, si avrebbero danni meccanici e termici su di una superficie territoriale ampia in una misura dipendente dall’intensità dell’eruzione (VEI) e dalle caratteristiche del “miscuglio” eruttato… Nelle pliniane l’alito ardente del vulcano ha raggiunto anche i 20 chilometri di distanza dal cratere.
Secondo recenti studi, gli ercolanesi che furono raggiunti dai flussi piroclastici nel 79 d. C. morirono all’istante per effetto delle elevate temperature che indussero shock termico e nucleazione dei liquidi biologici. Per gli abitanti di Pompei invece, pare che il motivo principale delle morti sia da imputarsi al soffocamento dovuto alle ceneri, e a un particolato particolarmente irritante e tiepido che si staccò dalla parte alta dei flussi piroclastici continuandone per abbrivio il cammino ben oltre i limiti di deposito. Diversi calchi delle vittime dell’eruzione di Pompei riportano una posizione di difesa delle prime vie aeree o comunque di abbandono al sonno…
Non sappiamo quali strategie operative le istituzioni stiano mettendo a punto per architettare un piano di emergenza e di evacuazione capace di portare in salvo e in poco tempo settecentomila persone (zona rossa)… Sappiamo però, che l’ossatura del piano si basa non già sull’evento massimo conosciuto ma su quello statistico probabilistico. La differenza consiste in circa due milioni di persone fuori da ogni garanzia… Ovviamente una siffatta decisione abbiamo il sospetto che semplifichi la vita a un bel po’ di maestranze politiche e istituzionali e cementizie, che si affidano come in una roulette alla statistica puntando tutto sul nero della linea Gurioli.  Se la probabilità eruttiva statistica è azzeccata, lo sapremo solo alla prossima eruzione o fra 130 anni in assenza di eventi.
In realtà da un punto di vista prettamente tecnico, ci si dovrebbe affidare alla scelta statistica probabilistica solo in mancanza di alternative valide per porre la popolazione al sicuro dall’evento massimo atteso. L’accettazione statistica in questo caso è un grosso azzardo che dovrebbe far tremare le vene e i polsi anche al più disinvolto dei pianificatori. Pensate che in caso di evento vulcanico impossibile da decifrare in partenza, gli abitanti di Striano o Volla, per dirne alcuni, dovranno starsene quieti perché la statistica li pone al sicuro dagli effetti più deleteri dell’eruzione, tant’è che non rientrano nel settore rosso ad evacuazione preventiva.
Non siamo certi che nella recente campagna informativa Edurisk 2015 condotta nelle scuole vesuviane sia stato segnalato correttamente questo difetto garantista, oppure che sia stato chiaramente sottolineata l’assenza di un piano di evacuazione. Invitiamo professori e insegnanti e allievi a meglio documentarsi sull'argomento, spostandosi appena un poco dai canali ufficiali dell'informazione particolarmente edulcorati... 




Le eruzioni pliniane sono una rarità e sono circa 2000 anni che non si verificano. 
Sappiamo però che il serbatoio magmatico napoletano, tra l’altro unico per i Campi Flegrei e il Vesuvio, contiene miscela a sufficienza per qualsiasi tipo di eruzione. Sappiamo che ogni volta che il Vesuvio entra in una fase di quiescenza soprattutto a condotto chiuso ridiventa indecifrabile, come indecifrabili nei tempi e nei modi saranno i precursori. Si parla di evacuazione possibile in 72 ore, ma non esistono ancora piani in tal senso…  
In Giappone nel 2011 si è verificato un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter. Il terremoto più potente in assoluto mai verificatosi nel paese del Sol Levante, che ricevette morte e distruzione dal sisma e da uno Tsunami associato… I pianificatori giapponesi terranno in debito conto scenari con questa magnitudo nelle loro strategie di difesa o oblieranno il valore 9 perché rappresenta un singolo episodio?
Secondo il nostro punto di vista la zona rossa Vesuvio dovrebbe essere intanto circolare (vedi figura sottostante) e inglobare innanzitutto le due aree archeologiche flagellate e sepolte dalle eruzioni di Pompei e Avellino, perché in un certo qual senso queste due località rappresentano un confine logico e tangibile e visibile del pericolo.
D’altra parte a nord est non si è spinta solo l’eruzione di Avellino, ma anche le fenomenologie alluvionali (zona blu) di buona parte delle eruzioni pliniane e sub pliniane e anche ultra stromboliane. Quest’area così come l’abbiamo circoscritta, non solo garantisce una significativa e opportuna fascia di rispetto dalla linea nera Gurioli, ma ingloba anche alcuni comuni per niente menzionati che rischierebbero non poco in caso di eruzione pliniana.
Vorremmo ricordare al dipartimento della protezione civile che il principio di precauzione non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull'assenza di prove e dati che lo escludano. Nel nostro caso mancano anche certezze sui tempi di previsione dell’eruzione in linea con le necessità di tutela della popolazione da evacuare all’occorrenza.


Ovviamente ribadiamo la necessità di precludere l’edilizia ad uso residenziale nella zona rossa, quella che vedete, favorendo comunque le opere di adeguamento antisismico e le opere di difesa passiva (tetti spioventi), che possono essere anche non cementizie e di taglio prefabbricato come griglie metalliche inclinate. Come più volte abbiamo scritto, in termini di prevenzione bisognerebbe mettere mano a un riordino territoriale che contempli alcune necessità come la realizzazione di strade a scorrimento veloce acchiappando nel contempo l’edilizia per i capelli, onde trascinarla verso nord, lontana dai distretti vulcanici napoletani.

Per quanto riguarda la determinazione dello scenario eruttivo, vogliamo appena ricordare una delle massime di Benjamin Disraeli; ci sono tre tipi di bugie: le piccole bugie, le grandi bugie e la statistica. 

martedì 6 gennaio 2015

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la metropoli vulcanica... di Malko

Vesuvio al calar della sera

“Rischio Vesuvio: un vademecum per ogni famiglia...” di MalKo

Con la pubblicazione di molti articoli a tema il Vesuvio e il rischio vulcanico, riteniamo di aver fornito ai nostri lettori strumenti informativi sufficientemente ampi per la conoscenza del rischio vulcanico che sovrasta la metropoli partenopea. E’ necessario precisare che non sussistono segnali allarmanti per il Vesuvio che continua imperterrito la sua quiescenza, così come ai Campi Flegrei permane un prudenziale stato di attenzione vulcanica dettato qualche anno fa dalla ripresa del bradisismo, che già caratterizzò l’area puteolana negli anni ’70 e ’80, e che lascia sempre un po’ perplessi per la difficile interpretazione da dare al fenomeno.

Vogliamo poi ricordare che l’Osservatorio Vesuviano ha la responsabilità del monitoraggio dei vulcani campani, ma non quella di lanciare direttamente allarmi. Questo significa che eventuali variazioni dei parametri controllati dei vulcani devono essere trasmesse al Dipartimento della Protezione Civile, oggi retto dal Prefetto Franco Gabrielli, che consulterebbe la Commissione Grandi Rischi per un parere e la Presidenza del Consiglio dei Ministri per le direttive. Se dovessero presentarsi gli estremi, al termine dell’iter procedurale il Dipartimento emetterebbe il bollettino di variazione nello stato di allerta vulcanica, o verrebbe dichiarata una situazione di preallarme o allarme direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tutte le decisioni sarebbero comunque oggetto di consulto con gli uffici campani della presidenza regionale.
Dopo queste formalità tecniche e politiche necessarie per assicurare a una ipotetica emergenza da fronteggiare l’impegno dello Stato centrale e periferico ai massimi livelli, l’informazione sul da farsi giungerebbe ai cittadini tramite l’autorità comunale di protezione civile, ovvero dal sindaco, che ha il compito di attivare tutti i canali di diffusione più idonei per far giungere notizie in ogni contrada e quartiere del territorio amministrato.
I sindaci, è bene ricordarlo, proprio perché usufruiscono del titolo di autorità locale di protezione civile, hanno l’onere ben preciso e ben prima che si presenti un’emergenza, di impegnarsi nel campo della previsione e della prevenzione delle catastrofi, attraverso l’individuazione di strumenti di difesa attivi e passivi che contemplino anche una organizzazione comunale di gestione delle emergenze (COC – COM).

Il piano di protezione civile comunale per il quale tutti i comuni campani volente o nolente hanno ricevuto un finanziamento per realizzarlo, deve contenere nelle premesse tutte le ipotesi di rischio che caratterizzano il territorio di pertinenza a fronte di ogni pericolo naturale o antropico conosciuto. Il piano d’emergenza dovrebbe essere un compendio di pubblica utilità visionabile pure online con spazi previsti per le osservazioni a cura degli utenti cittadini, secondo logiche di amministrazione condivisa.
Nel caso del rischio Vesuvio e Campi Flegrei, ad ogni famiglia dovrebbe essere distribuito un vademecum contenente i percorsi di allontanamento e l’ubicazione delle aree strategiche. Ed ancora istruzioni dettagliate da osservare a cura di chi si allontana con mezzo di trasporto personale verso dimore alternative; oppure e viceversa, se dovesse sussistere la necessità di dover ricorrere all’assistenza per il viaggio (mezzi collettivi) o per l’alloggio o per entrambe le esigenze.
Su ogni copertina del vademecum, dovrebbe essere stampigliato o incollato il codice a barre che identifica quella famiglia, onde consentire rapide procedure di identificazione lungo il percorso o alle varie destinazioni finali attraverso lettori ottici.

Le istruzioni dovrebbero contenere, in caso di emergenza vulcanica, le eventuali limitazioni di transito ai mezzi pesanti e indicazioni precise sul come lasciare e sigillare l’appartamento da evacuare. Non è detto infatti, che i prodromi preeruttivi diano sempre e come risultato finale l’eruzione, o che vada sicuramente distrutta la casa che si abbandona. L’allarme vulcanico, nessuno lo può escludere, è anche possibile che rientri… Da questo punto di vista è necessario che la popolazione acquisisca la necessaria conoscenza dei fenomeni vulcanici e la necessaria maturità per affrontare secondo logica l’emergenza che potrebbe presentarsi. Si ritenga sempre preferibile un falso allarme piuttosto che un allarme lanciato in ritardo; avremo poi l’intelligenza di lasciare in momenti successivi spazio per le polemiche, partendo dalle disquisizioni sull’operato personale prima ancora di esaminare quello degli altri. 

La nostra scienza è bene dirlo è all’avanguardia e i limiti nella previsione dei fenomeni vulcanici sono limiti planetari. Il nostro contributo alla sicurezza dovrà essere innanzitutto quello di rinunciare a piccole e grandi furbizie in nome di un bene più grande che è quello della comunità di cui facciamo parte. Occorre quindi consapevolezza e onestà per eleggere una classe dirigente e amministrativa che ci porti con le regole della prevenzione e della buona amministrazione fuori dalle grandi catastrofi e non dentro ai piccoli e personalissimi interessi.  

La metropoli vulcanica c’era già ieri anche se la scopriamo solo oggi. L’informazione che vi ha sempre accompagnato in questi anni allora non sempre è stata super partes e molto spesso, generalizzando, non è stata altro che una diramazione delle segreterie istituzionali e politiche di riferimento e una rinuncia al giornalismo investigativo.
Per riuscire a vivere sui fertili terreni tufacei o cinerei, è necessario che si giunga a un certo equilibrio in termini di densità abitativa e numero di abitanti, attraverso una deconcentrazione della popolazione da spalmare con incentivi su tutte le province campane. Sono poi necessarie strade a scorrimento veloce e ad alta capacità ricettiva con multi accessi e aree polifunzionali da attivare nell’emergenza. I porti vanno dragati e non più lasciati in balia delle maestranze locali, così come sarebbero necessarie banchine ad attracco rapido perché è sui litorali la maggiore concentrazione di abitanti da allontanare.

Se tutto andrà bene, sul finire del 2015 o forse 2016 sapremo anche cosa fare se dovessero attivarsi le fasi 2 (preallarme) e 3 (allarme) dei piani di emergenza Vesuvio e Campi Flegrei. Nel frattempo bisogna incominciare a tracciare gli scenari di rischio vulcanico per l’Isola d’Ischia.

In tutto questo incominciano a segnalarsi sui blog e sulle riviste la profezia di Nostradamus ad oggetto il Vesuvio e una catastrofica eruzione che si manifesterebbe nel 2015. E’ quasi superfluo aggiungervi che non crediamo nelle profezie…

venerdì 2 gennaio 2015

Rischio Vesuvio:oggi più di ieri e meno di domani...di Malko



Il Vesuvio

“Rischio Vesuvio: oggi più di ieri e meno di domani…” di MalKo

Nel resoconto di fine anno 2014 dobbiamo annotare che non è stata un’annata totalmente negativa per la prevenzione del rischio vulcanico in Campania, anche se nessuna soluzione di tutela è ancora vigente per mettere in salvo all’occorrenza e in pochissimo tempo migliaia e migliaia di cittadini. Una moltitudine di gente oggi più di ieri e meno di domani esposta al rischio di essere investita dai fen0meni esplosivi che potrebbero scaturire dai due principali vulcani napoletani: il Vesuvio e i Campi Flegrei. Due apparati che serbano nel grembo sotterraneo capacità distruttive di prim’ordine e difficili da prevedere…
Non è stata un’annata negativa perché almeno molta parte della popolazione napoletana ha ricevuto direttamente o indirettamente e comunque ufficialmente la notizia di essere esposta a un rischio tutt’altro che secondario e contenibile come quello vulcanico. Soprattutto ai Campi Flegrei dove i residenti per l’assenza di spiccati rilievi dal caratteristico aspetto a cono rovescio e città sepolte come Pompei, non hanno mai riflettuto abbastanza sul termine Campi Flegrei (campi ardenti) e su una vasta caldera che corona il circondario, smembrata e ridotta a brandelli da fenomeni evidentemente tutt’altro che effusivi… Questa scarsa perspicacia ha dato corso qualche tempo fa a un tentativo di cordata da parte di alcuni imprenditori e intellettuali napoletani, circa una proposta di cementificazione del litorale di Bagnoli, in nome del “risorgimento napoletano e del riscatto della città…” L’idea di costruire alloggi nella spianata di Bagnoli, sede del deep drilling project a pochi passi dal vulcano Solfatara,  non è nuovissima, ed è frutto della filosofia che assegna importanza a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce…

I comuni o quartieri della zona rossa flegrea
L’informazione veicolata a sufficienza grazie alla pubblicazione sui media dei perimetri delle zone rosse con tutto quello che ciò comporta, cozza comunque contro l’indifferenza della maggior parte delle amministrazioni locali che non si sono spese abbastanza in tema di informazione e prevenzione delle catastrofi. Viceversa, si sono adoperate non poco nel pretendere a tutti i costi i condoni edilizi anche nelle zone a rischio tabula rasa, chiamando in causa il principio popolare di quel che è fatto è fatto! Il Comune di Terzigno da questo punto di vista gioca all’attacco con tremila pratiche di condono edilizio pronte alla firma…Ovviamente quando le cifre incominciano ad essere a tre zeri, è indubbio che il problema risieda nell’omissione dei controlli. Il governo centrale avrebbe dovuto insediare una commissione d’inchiesta per chiarire i retroscena della faccenda, perché l’abuso edilizio commesso in zona rossa Vesuvio non è solo un’operazione fraudolenta, ma anche un rischio vitale per chi s’insedia e un’aggravante in termini di affollamento per chi nell’area dimora da tempo.
Il comune di Terzigno è anche il municipio che ha emesso un bando pubblico per affidare a tecnici esterni la redazione dei piani di emergenza comunali, compreso quello a fronte del rischio Vesuvio, nonostante abbia tecnici formati in tal senso da appositi corsi, e non certo a costo zero, varati dalla Regione Campania qualche anno fa in sinergia con il Dipartimento della Protezione Civile e l’Osservatorio Vesuviano, in un clima di grande celebrazione.

Zona Rossa Vesuvio (R1 e R2)

In due recenti articoli a firma del geofisico Enzo Boschi e del Prof. Benedetto De Vivo pubblicati sul foglietto della ricerca, è stato messo in evidenza un ruolo eccessivamente esaltato della statistica come elemento su cui basare le politiche di prevenzione delle catastrofi. Ci chiediamo spesso come uscire da questa disciplina numerica esasperante, veicolata come valore deterministico ancorché mercanteggiato dalla politica e anche inflazionato nell’odierno dall’assessore regionale alla protezione civile, Ing. Edoardo Cosenza, che ad ogni dibattito e convegno sforna calcoli mischiando il sismico col vulcanico anche se in realtà sono due tipologie di rischio sovrapponibili ma che richiedono diverse strategie difensive.
Il rischio sismico all’arrivo delle onde trasversali ha nella resistenza dello stabile in cui si staziona il vero elemento di difesa passiva. Quindi parliamo di un fattore assolutamente mutevole in ragione dei luoghi che frequentiamo (casa, ufficio, negozi, chiese, palestra, cinema, ecc.), perché non hanno tutti lo stesso criterio costruttivo antisismico o un’efficace manutenzione. Il massimo della difesa consisterebbe allora nel vivere in un punto della sfera terrestre asismico, diversamente in un agglomerato urbano caratterizzato totalmente da una similitudine strutturale particolarmente resistenze alle scosse telluriche.
Nel caso del pericolo vulcanico invece, per difendersi da una colata piroclastica bisogna portarsi inevitabilmente e fisicamente fuori dalla portata di scorrimento della medesima. Questo significa che non c’è fattore costruttivo che tenga, e l’unica difesa efficace consiste nel frapporre una notevole distanza tra noi e i flussi roventi.
Al riguardo molto spesso viene richiamata la bontà costruttiva e antisismica dell’ospedale del mare costruito incredibilmente in zona rossa Vesuvio. Ebbene, nel caso di evento sismico particolarmente robusto dettato da prodromi pre eruttivi, il più grande nosocomio del sud Italia resterebbe di certo in piedi nonostante le possenti scosse litosferiche, ma sarebbe comunque da evacuare. Ora, se l’ospedale del mare è un bunker, non si può dire lo stesso dell’edificato che lo circonda. Questo vuol dire che la vulnerabilità del piano di evacuazione ospedaliero dovrà scontrarsi comunque con le incognite stradali causate dalle macerie altrui che ingombrerebbero o incomberebbero sulla viabilità ordinaria da impegnare.
Ospedale del mare (Ponticelli - Napoli)
Quindi, la scelta del sito dove costruire il nosocomio tra l’altro oggetto di accese polemiche, probabilmente è stata dettata da molte ragioni ma non da quelle di una impellente necessità sanitaria da soddisfare in quel preciso luogo, atteso che, c’è un ospedale a Torre del Greco, Boscotrecase, Scafati, Sarno, Pollena Trocchia, Castellammare di Stabia così come molte cliniche private nel circondario vesuviano garantiscono in surroga molti servizi di tipo ospedaliero, day Hospital e pronto soccorso. Nulla si toglie alla eccellenza delle prestazioni che verranno erogate dall'ospedale  del mare appena aprirà, ma non è che oggi per farsi curare bisogna affrontare i viaggi della speranza.

Certamente gli eventi sismici possono essere i precursori inovviabili di un’eruzione e, quindi, bisogna che le case, tutte, siano costruite per resistere a siffatte sollecitazioni. Anzi, la vulnerabilità sismica del costruito può incidere pesantemente sull’efficacia dei piani di evacuazione del vesuviano. Quello che abbiamo appena detto e che vale per l’ospedale del mare infatti, vale logicamente anche per tutta l’area vesuviana…
Hanno sicuramente un senso allora, le politiche di ristrutturazione antisismica dei fabbricati esistenti e abitati all’ombra del Vesuvio. Molto meno condivisibile è la possibilità di consentire il recupero statico di spiccati o ruderi diroccati e inabitati perchè aggiungerebbero abitanti ai troppi già dimoranti nel vesuviano…
Per quanto riguarda i condoni continuiamo a ritenere che non è possibile che lo Stato possa sanare i manufatti abusivi in zone dallo stesso Stato dichiarate ad altissimo rischio per la vita umana, anche se comprendiamo che le migliaia di costruzioni abusive che costellano il vesuviano rappresentano indubbiamente un problema di difficile soluzione.

Qualche scordatura ci sembra emergere in questo campo pure tra il direttore del parco nazionale del Vesuvio, Luca Capasso, particolarmente favorevole ai condoni edilizi in zona rossa, e il commissario straordinario del medesimo parco, Ugo Leone, che non ha avuto dubbi sul definire connivente con il rischio chi non si oppone alla cementificazione nella zona rossa Vesuvio, sia in senso colposo dovuto presumibilmente all’ignoranza, sia in senso doloso dovuto magari a un mero calcolo elettorale. Affermazioni sicuramente condivisibili...

Tra Campi Flegrei e Vesuvio ad essere chiamata in gioco è la metropoli vulcanica napoletana. Un’area di 1171 kmq.  con oltre tre milioni di abitanti.  Una metropoli che deve essere oggetto di dibattiti interdisciplinari anche internazionali che traccino le linee guide o elaborino idee sul come coniugare abitabilità e sicurezza nei distretti vulcanici. L'unico urbanista che abbiamo sentito affrontare il problema è Aldo Loris Rossi e non molti altri, probabilmente perchè la professione di architetto è decisamente in conflitto con quella di mitigatore del valore esposto, non sempre proteso ai valori dell'urbanizzazione... 
Per il bene della collettività servono urgentemente indicazioni sullo sviluppo sostenibile, e la scienza, che non può essere solo quella istituzionale e politicizzata, deve esprimersi sui livelli di pericolosità vulcanica, nel breve,medio e lungo termine, in modo che non si lascino pesanti eredità alle generazioni che ci succederanno.  

Per remare nella direzione indicata dall’assessore Cosenza, abbiamo pubblicato le istruzioni che il dirigente aveva chiesto ad ogni comune della plaga vesuviana di diffondere. Le indicazioni da fornire alla cittadinanza riguardano le linee strategiche del piano che verrà. L’assessore comprenderà che dire di recarsi a una determinata area in caso di necessità e che questa sarà indicata solo successivamente quando saranno pronti i piani di emergenza comunali, non è il massimo della sicurezza da aspergere a favore di una popolazione che al momento crede solo nella bontà della perdurante quiescenza geologica.
La sicurezza dell’area vesuviana è un processo lungo che richiede moltissimi anni e personaggi autorevoli e lungimiranti che traccino le linee guida della rivoluzione urbanistica tanto necessaria per una vivibilità futura all'insegna della sicurezza. Ridurre il numero di abitanti è fondamentale come lo stop all’edilizia che doveva essere imposto in tutta la zona rossa Vesuvio, a prescindere se di prima (R1) o di seconda fascia (R2). I giochini delle zone rosse purtroppo hanno procurato e procurano danni enormi. Infatti, la prima classificazione di zona rossa (18 comuni) escludeva Scafati e Poggiomarino. La conseguenza è stata una domanda abitativa notevolmente incisiva specialmente nel comune salernitano (Scafati), che ha registrato un trend costantemente al rialzo circa la crescita del numero di abitanti che oggi superano le cinquantamila unità. Con la classificazione attuale (25 comuni) il giochino continua risultando semplicemente allargato  il cerchio del pericolo, e i vesuviani cercheranno allora casa ai limiti, tra Angri e Nocera. Poi, tra un po’ di anni la zona rossa Vesuvio verrà rielaborata di nuovo perché l’eruzione di riferimento sarà sicuramente pliniana, da notare che il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo lo chiede già oggi, e i confini della zona rossa Vesuvio coincideranno allora con i limiti estremi della piana dell’agro nocerino -  sarnese fino ai contrafforti montuosi dei Monti Lattari e dei Monti Sarnesi. A nord  fino ai limiti della zona rossa flegrea...  Ovviamente il settore a rischio si amplificherà all’ennesima potenza. Nelle more degli ampliamenti delle zone rosse e prima che la cementificazione divori il territorio, è necessario che si costruiscano quelle famose bretelle di collegamento che in senso radiale dovranno collegare la sp 268 del Vesuvio con l’autostrada Caserta – Salerno (A30).  
Nell'attualità si può sperare solo nell'elaborazione di un piano d'emergenza... d'emergenza. Tra molti virtuosi anni avremo invece un piano d'emergenza strutturale che impone al territorio lo sviluppo sostenibile e non viceversa, cioè un piano che dovrà adeguarsi alle storture imposte dal cementificatore di turno.
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domenica 21 dicembre 2014

Il Vulcano Marsili e il deepwater drilling: di Malko



“Il vulcano sottomarino Marsili e il deepwater drilling” di MalKo

Il Marsili è un seamount vulcanico dalle mastodontiche dimensioni che riposa disteso sui fondali tirrenici meridionali, ad alcune migliaia di metri di profondità e a circa 45 miglia a Nord Ovest delle isole Eolie. Il dorso del vulcano si spinge verso l’alto mantenendosi comunque al di sotto del livello del mare a una profondità di circa cinquecento metri. Bastava veramente poco per svettare in superficie come i suoi confratelli Eoliani… Il Marsili è il più grande vulcano mediterraneo ed europeo. Fino a non molto tempo fa lo si considerava estinto, ma alcune recenti campionature hanno consentito di individuare prodotti eruttivi databili al di sotto dei 5000 anni di età.
La sismicità che si denota in quest’area tirrenica e il rilascio di gas magmatici congiuntamente all’osservazione della buona conservazione di alcuni coni vulcanici sommitali, lasciano ritenere il Marsili ancora attivo, anche se non è chiaro lo stato di pericolosità… Molto probabilmente occorreranno nuove prospezioni profonde per capire meglio di quanta vitalità intrinseca goda, ma dubitiamo che si focalizzeranno certezze, visto che neanche per i vulcani emersi come il Vesuvio è possibile sbilanciarsi con la previsione del fenomeno eruttivo che rimane tutt’oggi un’incognita geologica…
I dati fin qui raccolti sul possente apparato sommerso lasciano intendere un’attività eruttiva passata prevalentemente di taglio effusivo e forse modicamente esplosiva. Risulta quindi particolarmente importante continuare le campagne esplorative dei fondali marini tirrenici, onde reperire altri dati geochimici e geofisici capaci di chiarire con qualche certezza in più non solo lo stato attuale del Marsili, ma anche quello degli altri vulcani meno noti che pure costellano e per largo raggio la piana abissale.

Le acque calde con temperature oscillanti fra i 300° e i 500° C. che circolano con una forte pressione e come linfa vitale nella parte medio alta del Marsili dando origine pure a qualche geyser, hanno catturato l’attenzione della Eurobuilding spa che intende sfruttare i caldissimi acquiferi per la produzione di energia elettrica attraverso uno o più impianti   galleggianti posizionati sulla verticale del vulcano. Un progetto sicuramente originale e futuristico che dovrà superare perplessità inerenti l’impatto ambientale.

Uno studio preliminare forse in corso di attuazione o da attuarsi (filtrano poche notizie), si prefigge innanzitutto di “fissare” i parametri geofisici e geochimici del Marsili e delle acque che lo circondano e dell’aria che lo sovrasta in superficie prima di procedere con la perforazione. Tutti dati che serviranno a fornire elementi di base utili per le comparazioni future a proposito della salvaguardia dell’ambiente che le attività geotermiche nel loro complesso potrebbero minare.  Nelle note introduttive la Eurobuilding chiarisce che l’area oggetto della perforazione e quindi dello sfruttamento geotermico non ha vincoli particolari di tutela biologica o archeologica o di ripopolamento ittico, e che la costa più vicina è rappresentata appunto dalle isole Eolie che distano circa 80 chilometri dalla nave che effettuerà il pozzo esplorativo.
I metodi di screening iniziali sono stati ritenuti non invasivi e senza effetti collaterali sull’ambiente, tanto che lo stesso Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha deciso di non applicare le disposizioni sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), almeno in questa fase.

Il progetto della Eurobuilding contiene elementi particolarmente avveniristici e affascinanti. Produrre energia direttamente sulla verticale di un gigantesco vulcano sommerso richiede tecnologia e un forte spirito imprenditoriale. I costi ovviamente sono elevati come le incognite che sono di gran lunga superiori a un impianto di pari tipo ma terrestre. I fluidi caldi idrotermali infatti, contrariamente a quanto si pensi, non sono totalmente innocui perché in genere contengono sostanze molto pericolose come l’arsenico e i metalli pesanti che certo non sono un toccasana per la salute. Infatti, la captazione di queste acque richiede attenzione. In un sistema aperto il pompaggio delle acque prelevate e deriscaldate dall’uso geotermico e poi condensate e immesse direttamente nella sorgente di prelevamento dovrebbe garantire in buona parte il contenimento degli inquinanti.
Nello studio preliminare relativo alle operazioni di screening, è stato dato molto spazio alla caratterizzazione dei campioni d’acqua e dei suoli intorno al sito di perforazione. Si è largheggiato anche sull’inquinamento acustico che potrebbe danneggiare gli organi sensoriali dei cetacei, stabilendo poi una soglia limite per la possibile intrusione in superficie dell’idrogeno solforato. Quello che manca però, è la disamina dei rischi correlati direttamente alla perforazione del vulcano attivo. Da questo punto di vista l’argomento non è nuovissimo, perché è stato già oggetto di accesi dibattiti legati a un’altra nota perforazione: quella del super vulcano flegreo nell’ambito del Campi Flegrei deep drilling project (CFDDP). Una iniziativa scientifica da più parti ritenuta un azzardo. Lo scalpello rotante in questo caso si è fermato a 500 metri di profondità, con una battuta di arresto che perdura da due anni senza nessun segnale di ripresa dell’attività di scavo. Sorge forte il dubbio allora, che il deepwater abbia una corsia preferenziale per la sua posizione in alto mare. Mancando la popolazione infatti, manca il rischio…ma solo apparentemente. Se le attività di perforazione direttamente o indirettamente dovessero attivare seppur remotamente una frana, gli effetti di un’onda di maremoto si ripercuoterebbero sulla costa e non sul sito di perforazione. Il riversamento in mare degli inquinanti idrotermali produrrebbe invece effetti deleteri in ragione delle quantità e delle concentrazioni disperse…
Nel comitato scientifico della Eurobuilding ci sono scienziati dell’INGV che possono sicuramente argomentare meglio l’innocuità della trivellazione, ovvero i rischi che essa può determinare nell’equilibrio di una struttura litica, dai fianchi acclivi e flaccidi, di differente coesione e a strati e internamente dinamica. Argomentazioni che avrebbero dovuto arricchire lo studio preliminare ambientale relativo alla perforazione del pozzo esplorativo offshore chiamato Marsili 1.
Probabilmente la perforazione del vulcano Marsili ci offre lo spunto per una riflessione più grande che bisognerà fare, meglio prima che dopo, sulle trivellazioni, a prescindere se inseguono petrolio e gas e fluidi caldi. Gli studi a tema sono oggi alquanto controversi… Come dobbiamo inquadrare questa pratica poco gradita alle popolazioni che vogliono al bando le trivelle (il sud della Sicilia ne sarà invaso), come un’occasione di sviluppo in più o come un azzardo?

Abbiamo provato a battere a varie porte istituzionali e politiche per introdurre l’argomento e avere delle risposte, ma senza alcun successo. Se la scelta di trivellare il Marsili non è discutibile perché trattasi  di una irrinunciabile risorsa strategica nazionale, vorremmo che si chiariscano meglio questi aspetti in modo che l’esposizione a un rischio sia consapevolmente accettato dai cittadini, così  che abbiano libertà di decisione a proposito della dipendenza energetica dall’estero. Per il nucleare fu fatto un referendum...Un tema come si vede a forte valenza politica e scientifica, che vorremmo avere certezze sia immune da quel bubbone appena scoperto da mafia capitale.