Il Vesuvio |
“Rischio
Vesuvio: oggi più di ieri e meno di domani…” di MalKo
Nel resoconto di fine anno 2014
dobbiamo annotare che non è stata un’annata totalmente negativa per la
prevenzione del rischio vulcanico in Campania, anche se nessuna soluzione di
tutela è ancora vigente per mettere in salvo all’occorrenza e in pochissimo
tempo migliaia e migliaia di cittadini. Una moltitudine di gente oggi più
di ieri e meno di domani esposta al rischio di essere investita dai
fen0meni esplosivi che potrebbero scaturire dai due principali vulcani napoletani:
il Vesuvio e i Campi Flegrei. Due apparati che serbano nel grembo sotterraneo
capacità distruttive di prim’ordine e difficili da prevedere…
Non è stata un’annata
negativa perché almeno molta parte della popolazione napoletana ha ricevuto
direttamente o indirettamente e comunque ufficialmente la notizia di essere esposta a un rischio tutt’altro che secondario e
contenibile come quello vulcanico. Soprattutto ai Campi Flegrei dove i
residenti per l’assenza di spiccati rilievi dal caratteristico aspetto a cono
rovescio e città sepolte come Pompei, non hanno mai riflettuto abbastanza sul
termine Campi Flegrei (campi ardenti) e su una vasta caldera che corona il
circondario, smembrata e ridotta a brandelli da fenomeni evidentemente tutt’altro
che effusivi… Questa scarsa perspicacia ha dato corso qualche tempo fa a un
tentativo di cordata da parte di alcuni imprenditori e intellettuali
napoletani, circa una proposta di cementificazione del litorale di Bagnoli, in
nome del “risorgimento napoletano e del riscatto della città…” L’idea di
costruire alloggi nella spianata di Bagnoli, sede del deep drilling project a pochi passi dal vulcano Solfatara, non è
nuovissima, ed è frutto della filosofia
che assegna importanza a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si
costruisce…
I comuni o quartieri della zona rossa flegrea |
Il comune di Terzigno è anche
il municipio che ha emesso un bando pubblico per affidare a tecnici esterni la
redazione dei piani di emergenza comunali, compreso quello a fronte del rischio
Vesuvio, nonostante abbia tecnici formati in tal senso da appositi corsi, e non
certo a costo zero, varati dalla Regione Campania qualche anno fa in sinergia
con il Dipartimento della Protezione Civile e l’Osservatorio Vesuviano, in un
clima di grande celebrazione.
Zona Rossa Vesuvio (R1 e R2) |
In due recenti articoli a
firma del geofisico Enzo Boschi e
del Prof. Benedetto De Vivo
pubblicati sul foglietto della ricerca,
è stato messo in evidenza un ruolo eccessivamente esaltato della statistica
come elemento su cui basare le politiche di prevenzione delle catastrofi. Ci chiediamo spesso come uscire da questa disciplina numerica esasperante, veicolata
come valore deterministico ancorché mercanteggiato dalla politica e anche inflazionato
nell’odierno dall’assessore regionale alla protezione civile, Ing. Edoardo Cosenza, che ad ogni dibattito
e convegno sforna calcoli mischiando il sismico col vulcanico anche se in realtà sono due tipologie di rischio sovrapponibili ma che richiedono diverse strategie difensive.
Il rischio sismico all’arrivo delle
onde trasversali ha nella resistenza dello stabile in cui si staziona il vero
elemento di difesa passiva. Quindi parliamo di un fattore assolutamente
mutevole in ragione dei luoghi che frequentiamo (casa, ufficio, negozi, chiese,
palestra, cinema, ecc.), perché non hanno tutti lo stesso criterio costruttivo
antisismico o un’efficace manutenzione. Il massimo della difesa consisterebbe
allora nel vivere in un punto della sfera terrestre asismico, diversamente in
un agglomerato urbano caratterizzato totalmente da una similitudine strutturale
particolarmente resistenze alle scosse telluriche.
Nel caso del pericolo
vulcanico invece, per difendersi da una colata piroclastica bisogna portarsi
inevitabilmente e fisicamente fuori dalla portata di scorrimento della medesima.
Questo significa che non c’è fattore costruttivo che tenga, e l’unica difesa efficace
consiste nel frapporre una notevole distanza tra noi e i flussi roventi.
Al riguardo molto spesso viene richiamata
la bontà costruttiva e antisismica dell’ospedale
del mare costruito incredibilmente in zona rossa Vesuvio. Ebbene, nel caso
di evento sismico particolarmente robusto
dettato da prodromi pre eruttivi, il più grande nosocomio del sud Italia resterebbe
di certo in piedi nonostante le possenti scosse litosferiche, ma sarebbe comunque
da evacuare. Ora, se l’ospedale del mare è un bunker, non si può dire lo stesso
dell’edificato che lo circonda. Questo vuol dire che la vulnerabilità del piano
di evacuazione ospedaliero dovrà scontrarsi comunque con le incognite stradali
causate dalle macerie altrui che ingombrerebbero o incomberebbero sulla
viabilità ordinaria da impegnare.
Ospedale del mare (Ponticelli - Napoli) |
Quindi,
la scelta del sito dove costruire il nosocomio tra l’altro oggetto di accese
polemiche, probabilmente è stata dettata da molte ragioni ma non da quelle di
una impellente necessità sanitaria da soddisfare in quel preciso luogo, atteso
che, c’è un ospedale a Torre del Greco, Boscotrecase, Scafati, Sarno, Pollena
Trocchia, Castellammare di Stabia così come molte cliniche private nel
circondario vesuviano garantiscono in surroga molti servizi di tipo
ospedaliero, day Hospital e pronto soccorso. Nulla si toglie alla eccellenza delle prestazioni che verranno erogate dall'ospedale del mare appena aprirà, ma non è che oggi per farsi curare bisogna affrontare i viaggi
della speranza.
Certamente gli eventi
sismici possono essere i precursori inovviabili di un’eruzione e, quindi,
bisogna che le case, tutte, siano costruite per resistere a siffatte sollecitazioni.
Anzi, la vulnerabilità sismica del costruito
può incidere pesantemente sull’efficacia dei piani di evacuazione del vesuviano.
Quello che abbiamo appena detto e che vale per l’ospedale del mare infatti, vale
logicamente anche per tutta l’area vesuviana…
Hanno
sicuramente un senso allora, le politiche di ristrutturazione antisismica dei
fabbricati esistenti e abitati all’ombra del Vesuvio. Molto meno condivisibile
è la possibilità di consentire il recupero statico di spiccati o ruderi diroccati
e inabitati perchè aggiungerebbero abitanti ai troppi già dimoranti nel
vesuviano…
Per
quanto riguarda i condoni continuiamo a ritenere che non è possibile che lo
Stato possa sanare i manufatti abusivi in zone dallo stesso Stato dichiarate ad
altissimo rischio per la vita umana, anche se comprendiamo che le migliaia di costruzioni abusive
che costellano il vesuviano rappresentano indubbiamente un problema di
difficile soluzione.
Qualche
scordatura ci sembra emergere in questo campo pure tra il direttore del parco
nazionale del Vesuvio, Luca Capasso,
particolarmente favorevole ai condoni edilizi in zona rossa, e il commissario
straordinario del medesimo parco, Ugo
Leone, che non ha avuto dubbi sul definire connivente con il rischio chi
non si oppone alla cementificazione nella zona rossa Vesuvio, sia in senso
colposo dovuto presumibilmente all’ignoranza, sia in senso doloso dovuto magari
a un mero calcolo elettorale. Affermazioni sicuramente condivisibili...
Tra Campi Flegrei e Vesuvio
ad essere chiamata in gioco è la metropoli vulcanica napoletana. Un’area di
1171 kmq. con oltre tre milioni di abitanti.
Una metropoli che deve essere oggetto di
dibattiti interdisciplinari anche internazionali che traccino le linee guide o
elaborino idee sul come coniugare abitabilità e sicurezza nei distretti
vulcanici. L'unico urbanista che abbiamo sentito affrontare il problema è Aldo Loris Rossi e non molti altri, probabilmente perchè la professione di architetto è decisamente in conflitto con quella di mitigatore del valore esposto, non sempre proteso ai valori dell'urbanizzazione...
Per il bene della collettività servono urgentemente indicazioni sullo sviluppo sostenibile, e la scienza, che non può essere solo quella istituzionale e politicizzata, deve esprimersi sui livelli di pericolosità vulcanica, nel breve,medio e lungo termine, in modo che non si lascino pesanti eredità alle generazioni che ci succederanno.
Per il bene della collettività servono urgentemente indicazioni sullo sviluppo sostenibile, e la scienza, che non può essere solo quella istituzionale e politicizzata, deve esprimersi sui livelli di pericolosità vulcanica, nel breve,medio e lungo termine, in modo che non si lascino pesanti eredità alle generazioni che ci succederanno.
Per remare nella direzione
indicata dall’assessore Cosenza, abbiamo pubblicato le istruzioni che il
dirigente aveva chiesto ad ogni comune della plaga vesuviana di diffondere. Le
indicazioni da fornire alla cittadinanza riguardano le linee strategiche del
piano che verrà. L’assessore comprenderà che dire di recarsi a una determinata
area in caso di necessità e che questa sarà indicata solo successivamente quando
saranno pronti i piani di emergenza comunali, non è il massimo della sicurezza
da aspergere a favore di una popolazione che al momento crede solo nella bontà
della perdurante quiescenza geologica.
La sicurezza dell’area
vesuviana è un processo lungo che richiede moltissimi anni e personaggi
autorevoli e lungimiranti che traccino le linee guida della rivoluzione
urbanistica tanto necessaria per una vivibilità futura all'insegna della sicurezza. Ridurre il numero di
abitanti è fondamentale come lo stop all’edilizia che doveva essere imposto in
tutta la zona rossa Vesuvio, a prescindere se di prima (R1) o di seconda fascia (R2). I
giochini delle zone rosse purtroppo hanno procurato e procurano danni enormi.
Infatti, la prima classificazione di zona rossa (18 comuni) escludeva Scafati e Poggiomarino. La conseguenza è stata una domanda abitativa notevolmente incisiva specialmente nel comune salernitano (Scafati), che ha registrato un trend
costantemente al rialzo circa la crescita del numero di abitanti che oggi superano le cinquantamila unità. Con la classificazione
attuale (25 comuni) il giochino continua risultando semplicemente allargato il cerchio del pericolo, e i vesuviani cercheranno allora casa ai limiti, tra Angri e Nocera. Poi,
tra un po’ di anni la zona rossa Vesuvio verrà rielaborata di nuovo perché l’eruzione di
riferimento sarà sicuramente pliniana, da notare che il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo lo chiede già oggi, e i confini della zona rossa Vesuvio coincideranno allora con i limiti estremi della piana dell’agro nocerino - sarnese fino ai contrafforti montuosi dei Monti Lattari e dei Monti Sarnesi. A
nord fino ai limiti della zona rossa
flegrea... Ovviamente il settore a rischio si amplificherà all’ennesima
potenza. Nelle more degli ampliamenti delle zone rosse e prima che la cementificazione divori il territorio, è
necessario che si costruiscano quelle famose bretelle di collegamento che in
senso radiale dovranno collegare la sp 268 del Vesuvio con l’autostrada Caserta
– Salerno (A30).
Nell'attualità si può sperare solo nell'elaborazione di un piano d'emergenza... d'emergenza. Tra molti virtuosi anni avremo invece un piano d'emergenza strutturale che impone al territorio lo sviluppo sostenibile e non viceversa, cioè un piano che dovrà adeguarsi alle storture imposte dal cementificatore di turno.
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