Translate

Visualizzazione post con etichetta deep drilling project. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta deep drilling project. Mostra tutti i post

venerdì 9 dicembre 2016

Rischio Vesuvio: Fidel Castro chiese... di MalKo


Vesuvio visto da Napoli

Il Presidente dell’Istituto di Cooperazione e Sviluppo Italia-Cuba, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha raccontato che nel 1998 fu tra i pochi fortunati selezionati dall’ambasciatore cubano a Roma per incontrare Fidel Castro. Il Lider Maximo nel cordialissimo colloquio, inaspettatamente manifestò particolare interesse per il Vesuvio formulando al riguardo domande e lasciando trapelare incredulità sul fatto che sulle pendici del vulcano vivessero tante persone… e quindi chiese se erano stati approntati i piani di evacuazione. Un leader molto pragmatico…

I cittadini del vesuviano non pensano a come sia stato possibile che intorno a un vulcano esplosivo abbiano incredibilmente consentito di costruire palazzi su palazzi, perché loro fanno parte della parola incredibile; invece molto più realisticamente si chiedono se la posizione in cui risiedono sia più o meno pericolosa rispetto ad altre.

Nel merito del livello di rischio a cui giocoforza sono sottoposti per precisa collocazione geografica, e quindi distanza delle loro abitazioni dal cratere sommitale del Vesuvio, indubbiamente a fare la differenza sarà la portata energetica della prossima e imprevedibile eruzione. C’è da dire che le eruzioni maggiormente dirompenti possono differenziarsi per indice di esplosività vulcanica. Tra una sub pliniana (VEI4) e una pliniana (VEI5) passa un solo punto di differenza che non è poca cosa, perché i flussi piroclastici potrebbero coprire distanze di quasi 10 chilometri nel caso di una VEI4, ma anche il doppio in seno a una pliniana, come successe circa 4000 anni fa e ancora quasi 2000 anni or sono con la nota eruzione di Pompei del 79 d.C.

Il quadro delle conseguenze, ovvero dei territori coinvolgibili dai due stili eruttivi appena citati, come si vede è notevolmente differente. Ad essere ancora più precisi, nel caso di un’eruzione VEI4, le colate piroclastiche potrebbero percorrere distanze forse non eccedenti la linea nera Gurioli, rappresentata qui nella figura sottostante.


Se invece e malauguratamente l’eruzione dovesse assumere un carattere prettamente pliniano, cioè con un indice di esplosività vulcanica VEI5, le nubi ardenti dilagherebbero ben oltre il limite Gurioli, spingendosi fino all’area urbana di Napoli o alla base dei contrafforti dei Monti Lattari.

L’orlo calderico del Monte Somma non è sufficiente a proteggere gli abitanti di quel versante da una colata piroclastica. Questo spiega perché e nel dubbio, su un arco di 360° centrando il cratere, l’evacuazione dovrà essere totale nel momento dell’allarme.

Come abbiamo più volte scritto, l’autorità scientifica made in INGV, in assenza di elementi validi per poter definire con certezza l’energia della prossima eruzione del Vesuvio, ha potuto produrre solo conclusioni statistiche condivise appieno dalla Commissione Grandi Rischi che si è assunta l’onere di sancire definitivamente e nel senso deterministico che la prossima eruzione del Vesuvio sarà una VEI3 o al massimo una VEI4… In altre parole per i prossimi 128 anni Napoli è salva ma c’è il grosso problema proveniente dai contigui Campi Flegrei, in quanto pare che l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, abbia aperto un ciclo eruttivo piuttosto che chiuderlo.

La statistica offerta dagli esperti (Vesuvio) è tutta racchiusa nella tavola sottostante:

Proviamo a chiarire meglio i concetti di fondo che trapelano dallo schema riassuntivo. Il primo nodo che bisognava sciogliere riguardava l’arco di tempo da prendere in considerazione per avere la proiezione statistica dell’eruzione di riferimento. La finestra da prendere in esame poteva essere quella circoscritta da 60 a 200 anni (A), oppure da 60 anni in poi (B) senza un limite superiore. Quale hanno preso in esame? Ovviamente la prima tabella, perchè è maggiormente governabile in termini politichese, in quanto il broker statistico offre una percentuale pliniana dell’1% e posticipa ai posteri l’11% con cui dovranno poi misurarsi i tecnici e i politici e gli scienziati nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi.

In realtà l’1% serve solo a ri-pararsi da un eventuale e imprevedibile fallimento prognostico, offrendo comunque agli ingegneri della politica la possibilità di consentire ai comuni di Scafati e Poggiomarino di impastare ancora cemento a uso residenziale, mettendo gente su gente, in quei luoghi che saranno spazzati via da una possibile eruzione pliniana, o anche da una VEI5 meno meno o da una VEI4 con lode.  Diceva Indro Montanelli, che noi siamo un popolo di contemporanei, che non teniamo in debito conto il passato e né tantomeno il futuro…

Gli ingegneri napoletani si sono riuniti qualche giorno fa alla mostra d’oltremare per discutere di rischio vulcanico, sancendo che se il Vesuvio dovesse scoppiare, in 300 secondi potrebbe fare anche seicentomila vittime, ma siamo certi che non accadrà nei prossimi mesi. Il “mago” che ha azzardato questa previsione ha anche detto che un’eruzione può essere prevista con un mese di anticipo...

Il Professor Edoardo Cosenza, anch’egli innanzitutto ingegnere ed ex assessore alla protezione civile regionale Campania, ha ricordato invece che nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanico è da alcuni anni sbilanciato sullo stato di attenzione (giallo): un primo gradino su quattro. Quando ci sarà l'eruzione ai flegrei però, è più probabile che sia piccola, riferisce… e in ogni caso ha aggiunto, le zone rosse per entrambe le aree, Vesuvio e Campi Flegrei, sono state preparate per i fenomeni più violenti (?).  Se l’ingegnere si riferisce ai piani di evacuazione, occorre che rettifichi immediatamente il dato perché è assolutamente inesatto.

L’assessore Cosenza è un tecnico molto preparato che alla base di qualsiasi discorso antepone i tempi di ritorno delle catastrofi. Da buon strutturista poi, da tempo tesse le lodi dell’Ospedale del Mare, un vero fortino bunker costruito in zona rossa Vesuvio (Ponticelli), capace di resistere ai sussulti simici estremi e ai depositi di prodotti piroclastici di ricaduta che si accumulerebbero in caso di eruzione sui tetti senza colpo ferire. Una grande resistenza statica comprovata da collaudi che in verità non serve molto alla sopravvivenza delle persone, visto che il grande nosocomio può essere investito dai flussi piroclastici che si caratterizzano in verità per un elevato potere distruttivo dinamico e termico, visto che avanzano con temperature che possono tranquillamente raggiungere e superare i 500°/600° gradi Celsius, ben oltre quindi i limiti di fusione dello stagno, dello zinco e anche dell’alluminio e del genere umano.

Sul versante dei Campi Flegrei invece, la notizia che campeggia sui giornali online, è la lettura stratigrafica che è stata fatta del carotaggio nel famoso pozzo del deep drilling project (CFDDP) a Bagnoli. Una perforazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità ma che si è fermata a 501 metri. Secondo il dirigente del progetto, Il Dott. Giuseppe De Natale, il dato interessante che è emerso al momento, riguarda l’analisi dei sedimenti che testimonierebbe per potenza, un’attività vulcanica modesta nel settore orientale flegreo rispetto a quella più intensa da ascrivere alla parte occidentale. Un dato che potrebbe consentire di ritrattare in parte la pericolosità vulcanica in danno al centro urbano di Napoli...

Intanto pare che alla stesura generale dei piani di evacuazione del vesuviano, pardon di allontanamento, gestiti dal dirigente regionale Ing. Italo Giulivo, manchino all’appello ancora quattro o cinque comuni inadempienti, che rendono l’operazione di mobilità extra urbana complessivamente ancora da definire e ultimare. Il titolo di viaggio però ed è certo, sarà gratuito…

Nel festeggiare i 175 anni di esistenza dell’Osservatorio Vesuviano, si è tenuto il 7 dicembre scorso un incontro commemorativo di una certa importanza. Il Dott. Augusto Neri, direttore della struttura vulcani dell’INGV, ha detto alcune cose fondamentali su cui riflettere e riflettere molto. Innanzitutto che la percezione comune che la previsione dell’evento vulcanico sia più facile da formulare non è vera, perché la maggior parte dei vulcani hanno sistemi molto complessi e non abbiamo al nostro attivo una documentazione sui precursori eruttivi. Il ricercatore chiama in causa proprio i tre distretti vulcanici napoletani, tutti ubicati su un solo territorio provinciale e purtuttavia tutti e tre molto dissimili tra loro. I segnali che ci giungono da questi vulcani - aggiunge - si colgono tutti, ma sostanzialmente bisogna mettere in evidenza che mancando una documentazione scientifica di base dei segnali pre-eruttivi dei medesimi, una previsione dell’evento eruttivo è un’operazione oltremodo difficile.
Un invito al confronto con il mondo scientifico mondiale - conclude - è quindi necessario, soprattutto con quegli esperti che studiano vulcani per caratteristiche molto simili a quelli campani. Un’occasione potrebbe essere il congresso internazionale Cities on Volcanoes che si terrà a Napoli nel 2018.

mercoledì 17 giugno 2015

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei : deep drilling project e geotermia Scarfoglio...di MalKo


Tempio di Serapide - Pozzuoli

Le operazioni di trivellazione del suolo e del sottosuolo, in mare e in terra, pare siano diventate il business della nuova economia mondiale, con torri perforanti che s’innalzano e s’innalzeranno dai deserti alle coltre polari, dalle tundre ai mari e finanche nelle spianate vulcaniche. Tra un paio di secoli trivelleremo pure i pianeti…Si cerca spasmodicamente petrolio o gas o fluidi caldi o chissà cosa da convertire in calore ed energia sonante… Una necessità è vero, ma non siamo ancora al punto da dover mollare tutte le garanzie di sicurezza.
Il sottosuolo è un ambiente sconosciuto, e in alcune località del mondo le perforazioni in qualche caso hanno causato danni catastrofici, come quelle che nel 2010 caratterizzarono l’inquinamento nel Golfo del Messico, con l’asfaltatura dei fondali marini, o le inarrestabili fuoriuscite di fango bollente a Giava (Lusi 2006). Problemi  si sono avuti pure alle Canarie e in Svizzera e in California e in Emilia Romagna e in altri siti che contano gli effetti diretti e indiretti delle sequenze sismiche provocate dalle trivellazioni e dalla pratiche di reiniezione dei liquidi in profondità.
Anche nel napoletano si è rimesso mano alle trivelle qualche anno fa con un progetto di perforazione profonda della caldera flegrea, che in prima battuta si associava al geotermico, anche se rapidamente e in corso d’opera si trasformò in pura ricerca scientifica. Forse si trattò di un lapsus giornalistico della prima ora…
Stiamo parlando del famoso deep drilling project (CFDDP), che suscitò non poche perplessità in alcuni ricercatori e proteste da parte di diversi movimenti di cittadini che ritennero assurda un’operazione di scavo profondo all’interno di un’area vulcanica e metropolitana come quella di Napoli. Così, il pozzo che doveva avvicinarsi ai 4000 metri di profondità, raggiunta la quota pilota di 502 metri nel ventre tufaceo di Bagnoli, si è fermato per consentire l’analisi del primo carotaggio, ma non si esclude una pausa più lunga del necessario dovuta a un impasse di tipo giudiziario.
Il tentativo corrente offerto anche da una conferenza stampa a tema, sembra quello di riavviare in qualche modo la trivella, o comunque di magnificarne virtù e assenza di controindicazioni, forse per dare forza a un nuovo progetto geotermico da attuarsi nella zona fumarolica di Pisciarelli a ridosso del vulcano Solfatara a Pozzuoli. Praticamente nel punto più stressato del super vulcano flegreo… L’operazione che si profila all’orizzonte si chiama progetto Scarfoglio,  e la consulenza scientifica è offerta dall’amra, un consorzio con nomi molto noti alla scienza e alle istituzioni statali.
I risultati scientifici conseguiti con il pozzo pilota del deep drilling project di Bagnoli (502 mt.), sono stati presentati a palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, nel corso di una conferenza stampa dell’INGV napoletano. Non sono pochi quelli che sperano che dallo scavo scientifico emergano alibi sufficienti per spalmare sui suoli contaminati dell’ex italsider palazzi di lusso con vista sul Golfo  calderico… Paradosso? Non scherzava affatto l’assessore regionale Prof. Edoardo Cosenza, quando disse in un recente convegno che le proibizioni edilizie a uso residenziale  valevoli per la zona rossa Vesuvio non valgono automaticamente  per la zona rossa del super vulcano dei Campi Flegrei: occorre una legge ad hoc…
Tra i dati offerti al pubblico, è stato posto in rilievo la scoperta di materiale tufaceo ascrivibile a un’eruzione di 45000 anni fa. Se, come viene scritto altrove, l’attività vulcanica nell’area flegrea è iniziata 60000 anni fa, riteniamo che il minimo che possa accadere carotando in giro per i Campi Flegrei, è di trovare tracce di eruzioni antecedenti o successive a quella famosa dell’ignimbrite campana…Tra l’altro, una buona parte della caldera flegrea è sommersa è non è da escludere che sorprese verranno prima o poi anche dall’ambiente sottomarino.
Un altro elemento che lascia dubbiosi ma probabilmente per difetto interpretativo della stampa, riguarda la scoperta che il bradisismo flegreo dipende un po’ dai fluidi e un po’ dal magma, al 50% dicono…
Emeriti scienziati anche del passato accennavano già a questa caratteristica dei campi ardenti, anche se da una interessante disquisizione del Prof. Giuseppe Luongo, ci è sembrato di capire che non si possa esclude che le forze in gioco all’origine del bradisismo ascendente lascino propendere per un intervento del magma piuttosto che dei fluidi, ovvero con una prevalenza del primo sul secondo. Che il contestatissimo Campi Flegrei deep drilling project con il suo pozzo esplorativo a 502 metri di profondità abbia rivoluzionato, come tuona in questi giorni la stampa, le conoscenze sulla caldera flegrea e sulle dinamiche del bradisismo, ci sembra un’affermazione forse un po’ eccessiva. Leggiamo infatti, da una pubblicazione del 2009 del Prof. Benedetto De Vivo, che il bradisismo è un fenomeno ampiamente studiato… Su un’autorevole rivista scientifica poi (amraGiovanni OrsiAldo Zollo), si cita che la caldera flegrea è stata indagata in dettaglio negli ultimi 30 anni attraverso perforazioni profonde (1 - 3 Km.), studi tomografici basati su dati di terremoti locali e telesismi, indagini gravimetriche e magnetiche, misure di temperatura in profondità e di flussi di calore in superficie. Immagini ad alta risoluzione della struttura calderica, sono state ottenute dall’analisi di dati di sismica a riflessione acquisiti durante l’esperimento SERAPIS nel 2001, supportate dalla nave oceanografica Nadir dell’ifremer e dall’installazione di più di 60 sismometri da fondali marini nelle baie di Napoli e Pozzuoli >>. Potremmo continuare con l’analisi delle perforazioni profonde e meno profonde dell’AGIP e di ENEL che si contano a diecine per poi passare ai satelliti e a tutte le altre tecnologie applicate in loco…
Certamente le trivellazioni sono un elemento pragmatico dello studio del sottosuolo della caldera flegrea con la sua struttura particolarmente complessa e dinamica. Il carotaggio però, consente di conoscere ciò che prospetticamente si vede dal buco della serratura ma non nelle stanze accanto come dimostra appunto il ritrovamento di tufi mai prima censiti… La caldera flegrea racchiude diverse decine di bocche eruttive e come dicevamo è in parte sommersa. La complessità del sottosuolo in siffatta area richiede sicuramente uno studio continuo e approfondito e quindi meritevole di finanziamenti mirati. Trattandosi di un territorio densamente abitato e metropolitano però, sede anche di importanti strutture viarie e ferroviarie, bisognerebbe privilegiare sistemi di esplorazione necessariamente indiretti, non solo per tenere alto il famoso principio di precauzione, ma anche perché lì dove ci sono agglomerati urbani  non è consentito dalla legge apportare modifiche artificiali a un sistema naturale che racchiude pericoli imprecisabili dettati da un sottosuolo sotto stress, con presenza di fluidi allo stato critico e supercritico.
Per quanto riguarda la stazione avanzata di monitoraggio installata nel pozzo pilota ubicato lì nel sottosuolo tufaceo di Bagnoli, questa coglie e coglierà anche i sommovimenti micrometrici, probabilmente consentendo di avere elementi meno perturbati su cui elaborare teorie endodinamiche. Difficilmente però, questi dati sui microsismi potranno essere definiti concreti elementi di previsione delle eruzioni flegree, perché nella zona i movimenti del suolo in realtà si contano a metri, e le scosse sismiche a migliaia durante le fasi acute di sollevamento. Segnali anche vistosi che potrebbero non approdare a un’eruzione, ma fenomeni certamente capaci di minare nel concreto la statica dei fabbricati.
Il deep drilling project, ovvero il progetto di perforazione profonda in zona calderica (Bagnoli), non ebbe il nulla osta dal sindaco d’allora, Rosa Russo Iervolino, e solo con l’avvento del successore è stato possibile perforare almeno il pozzo pilota (502 metri).
Oggi in Campania il problema delle perforazioni si pone in modo piuttosto serio, perché sono stati dati permessi (iter in corso) per lo sfruttamento geotermico dei fluidi caldi sia per l’isola d’Ischia, che per il settore occidentale e orientale dei Campi Flegrei con i progetti Forio, Cuma e Scarfoglio.
Certamente l’idea di collocare una centrale geotermica a ridosso della Solfatara di Pozzuoli è interessante in termini di strategia commerciale e rispetto del paesaggio. In questa zona ci sono i fluidi più caldi, e ciò che potrebbe fuoriuscire dalla centrale geotermica sarebbe sostanzialmente ciò che fuoriesce dalla Solfatara, il che non farebbe temere impatti ambientali dalla direzione dei venti, così come la eventuale sismicità indotta dalle trivelle e dalle rieiniezioni dei fluidi sul fondo del cratere sarebbe difficilmente discriminabile dai normali microsismi che interessano quella zona in particolare.

La Solfatara - Pozzuoli

Il problema principale è rappresentato dalle incertezze circa i possibili squilibri che si causerebbero a un sistema complesso e stressato come quello che caratterizza il sottosuolo flegreo, tra l’altro parliamo di un territorio che vive una condizione di bradisismo ascendente e un livello di allerta vulcanica in una fase di attenzione.

Con questo non si vuole dire che si ha la certezza che le perforazioni creino problemi di sicurezza diversi da quelli di cantiere; si vuole semplicemente affermare che se sussistesse questa possibilità anche minima, non è possibile accrescere artificialmente il rischio a un’area che di rischio sismico e vulcanico ne somma a sufficienza, tra l’altro in una condizione oggettiva di urbanizzazione spiccata e senza piani territoriali di protezione civile.
Nella valutazione del rischio poi, visto che una centrale geotermica richiede come nel caso in esame reiniezione dei fluidi con pratica non occasionale, il rischio di squilibrio nel sottosuolo si manterrebbe nel tempo con una certa indeterminatezza dovuta alle interazioni date da un sottosuolo in evoluzione. Soprattutto nella zona di trivellazione dei pozzi che ricadono nella zona Solfatara – Pisciarelli, dove dal 2006 si sono segnalati aumenti di temperatura e dei flussi delle emissioni fumaroliche.
Nell’analisi del rischio bisogna contemplare le caratteristiche territoriali per una misura in senso estensivo almeno pari alla distanza ricopribile dagli effetti delle energie che potrebbero rilasciarsi dalla sorgente emettitrice artificiale. In tutte le disquisizioni sul rischio poi, un ruolo fondamentale lo giocano le alternative che molte volte non vengono prese in considerazione perché più costose.
E’ chiaro che le uniche zone dove i fluidi presenti nel sottosuolo hanno temperature significative al punto da rendere interessante uno sfruttamento geotermico, sono quelle in Toscana, Tirreno Meridionale, Ischia e Campi Flegrei e il Canale di Sicilia. E’ altrettanto chiaro che gli impianti di sfruttamento terrestre hanno meno costi di esercizio rispetto a quelli ubicati in mare, così che l’Amiata, Ischia e i Campi Flegrei, sono probabilmente le zone più appetitose per il geotermico italiano.
L’area di Larderello è molto sfruttata e gli abitanti sono in subbuglio e tutt’altro che convinti dell’impatto zero del geotermico soprattutto con tecnologia non a circuito chiuso: rimane allora quella ischitana e flegrea da esplorare. Purtroppo o per fortuna, nel nostro caso quelle meridionali sono anche tra le zone più belle d’Italia e tra le più urbanizzate e con un flusso turistico di tutto rispetto. Al momento alternative alla produzione di energia elettrica ce ne sono e quindi dovrebbe essere preferibile non correre alcun rischio tra l’altro in una zona (Campi Flegrei) che registra parametri di alterazione geochimica e geofisica con punte localizzate soprattutto nella località Scarfoglio dove s’intende procedere con le trivellazioni per la realizzazione di tre pozzi emungitori, e due di reiniezione dei liquidi.
Il comune di Pozzuoli ovviamente dovrebbe avere un ruolo di vigilanza in questa faccenda visto che il progetto Scarfoglio dovrebbe attuarsi sui territori puteolani, e ci si augura che oltre all’accordo collaborativo con l’INGV, sia garantito innanzitutto il diritto all’informazione, pubblicizzando l’impegno geotermico in loco.
Nella relazione d’impatto ambientale prodotta dall’amra a firma del Prof. Paolo Gasparini, si legge che:<< l’attività sismica associata alle applicazioni geotermiche che è tipicamente di bassa energia (M< 3), è la risultante di differenti effetti, come l’iniezione e l’estrazione di fluidi che producono variazioni dello stress statico, sia per l’effetto della pressione di poro che per l’effetto dello stress termico…>>. Per quanto riguarda l’interferenza con il sistema vulcanico, Gasparini afferma che << non ci sono osservazioni o modelli collaudati in proposito e che, in linea teorica, poiché l’attività geotermica sottrae energia al sistema vulcanico, potrebbe semmai essere considerata stabilizzante allontanandola dal punto critico (eruzione)>>.
Gli aspetti delle trivellazioni napoletane è possibile dividerli in due filoni. Uno riguarda la zona (Bagnoli) dei Campi Flegrei, dove permane la possibilità  che il progetto scientifico (deep drilling project) di perforazione profonda riprenda vigore. Questo progetto non è stato soggetto a valutazione d’impatto ambientale (VIA), che d’altra parte dovrebbe essere un processo di garanzia e di sicurezza a prescindere dalle finalità della trivellazione. E’ particolarmente interessante rilevare che proprio il direttore del deep drilling project chiarisce che non c’è bisogno di valutazione d’impatto ambientale perché il progetto è di semplice carotaggio, e non comporta alcun prelievo o immissione di fluidi, quindi non può assolutamente turbare gli equilibri idrologici e di sforzo nel sottosuolo. L’annotazione è di rilievo…  Nei documenti d’impatto ambientale che riguardano il progetto Scarfoglio invece, ci sembra di cogliere elementi di garanzia per considerazioni opposte, cioè le operazioni si attuerebbero solo negli strati superficiali (1000 metri) sostanzialmente asismici e non nel profondo...

Le centrali geotermiche che sfruttano i fluidi caldi operando nell’ambito dei mille metri di profondità con un ciclo binario, cioè chiuso, pare che siano quelle più affidabili da un punto di vista dell’impatto ambientale di superficie. Il problema rimane nelle profondità e nelle eventuali alterazioni che si porterebbero agli equilibri presenti nel sottosuolo sotto forma di tensioni e circolazione dei fluidi caldi. Se in una terra “normale” questo tipo di attività richiede una certa attenzione, riteniamo che su terra bradisismica intracalderica caratterizzata da suoli  ballerini e super vulcano latente, i benefici economici che mai ritroveremo in bolletta, non valgono la candela di un rischio che difficilmente potrà essere a livello zero.

Per quanto riguarda la perforazione a uso non commerciale (CFDDP), questa riteniamo fortemente che debba essere parimenti e alla stregua di altre soggetta a Valutazione d’Impatto Ambientale, soprattutto per mantenere alto il concetto che non esistono attività che possano autoescludersi dalle necessità di verifica, onde non aprire il campo a scorciatoie scientifiche per analisi tutte commerciali.
Bagnoli ( Campi Flegrei) Quasi sul lungomare l'area del deep drilling project



martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio: la zona rossa e la black line...di Malko



"Rischio Vesuvio: la black line segna la nuova zona rossa" di MalKo
La black line riportata dagli scienziati sulla mappa della macro zona rossa Vesuvio, dovrà alla fine e in ogni comune a rischio tradursi in qualcosa di necessariamente operativo, nel senso che dovrà avere una sua posizione georeferenziata sul territorio, senza alcuna lacuna o titubanza interpretativa.
Potrebbero usarsi pietre miliari, capisaldi, obelischi, oppure paletti o addirittura stele a confine, o altri strumenti ancora che in modo visivo e speditivo lascino capire il settore dove è possibile l’invasione delle colate piroclastiche in caso di eruzione.
Per fare questo probabilmente bisognerà assicurare agli uffici tecnici comunali un largo numero di coordinate geografiche, assolute o UTM, in modo che si possa tracciare con certezza la linea nera di demarcazione del pericolo. Altrimenti bisognerà dare ai medesimi direttamente le mappe comunali con il predetto limite già tracciato nei dettagli.
Per i comuni di fresca nomina il segmento nero che s’insinua sul loro territorio, rappresenta per i settori comunali ubicati a monte della line, una vera iattura perché segna o dovrebbe segnare la fine del provvido cemento. Occorre anche dire che dall’analisi delle mappe tali porzioni di territorio sono sostanzialmente residuali. Il problema principale probabilmente riguarda la città di Napoli, perché la black line passa in alcuni punti dei quartieri di Barra, Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. Zone notoriamente con un notevole indice di affollamento comprendenti strutture importanti e forse anche qualche impianto con un rischio industriale che dovrebbe essere oggetto di attente valutazioni.
Intanto invitiamo il ricercatore L. Gurioli, autore del testo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius based on the geological record” a tracciare la black line anche sul mare pur se a poca distanza dal litorale. Infatti, la linea nera che delimita la zona a maggiore rischio chiamata R1, sarà assunta, anzi è già stata assunta dagli abitanti del vesuviano, come una sorta di confine da tenere in debito conto (l’asimmetricità la rende importante e referenziata) e da superare, ovviamente nel senso diametralmente opposto al Vesuvio in caso di eruzione.
Chi abita in uno dei paesi costieri invece, potrebbe fare lo stesso ragionamento, individuando nella black line on the sea, il traguardo per mettersi al riparo dai flussi piroclastici, che sono il pericolo principale di cui tener conto nelle eruzioni esplosive.
D’altra parte la linea nera che si dovrà tracciare sul mare dovrebbe avere un’importanza anche strategica per i nuclei operativi preposti al soccorso.
I sindaci e gli abitanti delle zone rosse di recente individuazione, hanno avuto momenti di panico all’uscita della nuova demarcazione pubblicata dal Dipartimento della Protezione Civile. Per capire il dramma già accennato in precedenza, è utile riprendere una dichiarazione del sindaco di Palma Campania a proposito dei nuovi scenari: <<… sembra che abbiano creato un falso allarmismo sull’argomento, in quanto si tratta di adeguare i piani comunali di protezione civile o di crearli nei comuni dove non ci sono, e non di limitazioni sul piano dell’urbanistica>>.
Sulla scorta di un contributo alla chiarezza offerto dall’assessore regionale all’urbanistica Marcello Taglialatela, il sindaco di Poggiomarino pure rassicura i propri cittadini: <<il Comune verrà suddiviso in due zone rosse e la seconda non sarà soggetta ai vincoli previsti dalla legge regionale n. 21 del 2003>>.
Il polso della situazione è esattamente questo. Nessun dramma. A far paura non sono le nubi ardenti o la rovinosa pioggia di cenere e lapilli, ma l’impossibilità di mettere mano al cemento intorno al “placido” monte…
Questi nuovi limiti hanno portato una sperequazione in termini territoriali evincibili dalla figura in basso, in cui abbiamo simulato l’arretramento della linea rossa a ridosso di quella nera (possibilità prevista dal disposto del DPC) per i comuni di Scafati, Poggiomarino, San Gennaro Vesuviano, Nola, Palma Campania e Napoli. Per i restanti comuni della vecchia zona rossa, questa chiamiamola opportunità non è concessa. Ergo, si è ricreata un’incongruenza territoriale in termini di esposizione al pericolo, con anse e penisole, alla stregua delle vecchie demarcazioni oggetto di vecchie polemiche.
rischio vesuvio
Non escludiamo che comitati e associazioni e partiti politici dei comuni di Torre Annunziata, Pompei, Boscoreale, Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, faranno sentire la loro voce per la palese discriminazione subita. Se non lo fanno sbagliano! L’elasticità della linea rossa deve essere una possibilità per tutti come fatto di principio, di serietà, ancorché come concreta possibilità di interventi nella direzione dello sviluppo. Siamo sicuri che un ricorso al tribunale amministrativo darebbe ragione agli esclusi.
Secondo la vecchia classificazione, nella zona rossa possono abbattersi flussi piroclastici oltre che prodotti di ricaduta. La mappa di L. Gurioli accettata dalla Commissione Grandi Rischi, sancisce quindi una diversa rideterminazione dei settori a rischio, stabilendo un perimetro per la parte ad altissimo pericolo (nube ardente), evincibile appunto dalla Black line. Nell’insieme allora, si rideterminino i confini con la linea di pericolo e non con i limiti amministrativi secondo una logica che deve valere per tutti i comuni esposti senza differenziazioni alcuna tra i nuovi e i vecchi classificati. Se occorrerà modificare leggi regionali come quella 21/2003 sul divieto di edificare per scopi residenziali, si proceda pure in tal senso senza esitazione.
Molte sono le perplessità circa i nuovi limiti assegnati alle aree esposte al rischio Vesuvio; intanto, però, sta ritornando in auge il progetto di geotermia per la spianata di Bagnoli. Il Deep Drilling Project (CFDDP), non sappiamo quanto sia correlato alla fame di energia e alla vocazione industriale della classe politica locale.
bagnoli MalKo
Agli amministratori della metropoli ma anche alla comunità scientifica partenopea, suggeriamo di evitare assunzioni di impegni e di decisioni in merito a scavi profondi e a insediamenti residenziali e industriali, fino a quando non siano stati presentati gli scenari eruttivi per i Campi Flegreila pianificazione del territorio infatti, dovrà avere quel documento come nastro di partenza. Sarà quel documento ufficiale a definire e a quantificare il pericolo. Sarà quel documento a tracciare una linea nera, una rossa e una gialla, secondo ipotesi che saranno interessantissime da consultare, visto che parliamo di area calderica e supervulcano con annesso bradisismo. Solo in seguito, il sindaco Luigi De Magistris o anche il suo vice Tommaso Sodano che non ci sembra marginale al discorso, sommando altri elementi ai dati che gli saranno consegnati dalla Commissione Grandi Rischi (CGR), valuterà in che modo bisognerà pianificare lo sviluppo sostenibile nell’area flegrea, ovviamente con una particolare propensione alla prevenzione che non può in alcun caso essere subalterna alle pur comprensibili necessità di battere cassa.

Campi Flegrei e bradisismo



"Campi Flegrei: incognita bradisismo" di MalKo
Nei Campi Flegrei c’è un livello di allerta vulcanica classificato di attenzione o, se preferite, giallo. Secondo processi standardizzati di valutazione voluti dalla stessa autorità scientifica, il passaggio a un livello successivo diverso da quello base si verifica nel momento in cui la rete di sorveglianza registra variazioni significative dei parametri fisici e chimici del vulcano preso in esame. E così è stato.
Il Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Marcello Martini, qualche settimana fa ha annunciato uno stato di attenzione scientifica per i Campi Flegrei, dovuto alla constatazione che ci sono state:<<delle variazioni significative dei parametri sismici, geochimici e di deformazione del suolo, rispetto ai livelli ordinariamente registrati>>.
A voler semplificare certi linguaggi, siamo in una fase di ripresa del bradisismo flegreo. Ovviamente il bradisismo con il suo rigonfiamento dei suoli presenta sempre delle incognite dal fondo e di fondo, in questo caso alleggerite dal dipartimento della protezione civile, che ha sottolineato che le ipotesi interpretative dei fenomeni in corso non evidenziano al momento variazioni tali da far presupporre situazioni di criticità a breve termine.
A fine novembre poi, la commissione scientifica istituita nel 2009 ha consegnato, al dicastero della protezione civile retto dal Prefetto Franco Gabrielli, una relazione contenente gli scenari previsti in caso di ripresa dell’attività eruttiva nell’area flegrea. Si sapranno quindi con certezza i fenomeni da cui bisognerà difendersi e l’E.M.A., che suona come un prefisso trasfusionale, ma in realtà è l’acronimo dell’eruzione (ipotizzata) massima attesa nel breve – medio termine. Per il Vesuvio, ricorderete, è stata presa a campione quella sub pliniana del 1631.
Ovviamente tale documento dovrà contenere anche i limiti della zona rossa, quella a maggior pericolo, e poi di quella gialla, dove sono previsti fenomeni di ricaduta dei prodotti piroclastici. La consegna di questo documento scientifico i cui autori rimangono sempre un po’ sconosciuti alle masse, darà poi il via alla stesura dei piani d’emergenza che, pare, devono essere solo aggiornati.
Il deep drilling project (CFDDP), cioè la perforazione profonda che si sta facendo nell’area ex italsider di Bagnoli (Bagnoli Futura) per installare degli innovativi sistemi di controllo dei parametri vulcanici e sismici nell’area, ha raggiunto il 26 novembre 2012 quota meno 430 metri. Poche diecine di metri ancora e si toccherà la profondità prevista dei 500 metri. Che cosa succederà dopo non lo sappiamo. Ovviamente anche per il clamore suscitato dalla trivellazione e dalla situazione di allerta esistente oggi nell’area flegrea, un’eventuale ripresa dell’attività perforativa oltre la misura indicata, dovrà essere condivisa da tutti gli attori istituzionali che hanno un ruolo nella previsione e prevenzione dei rischi sismici e vulcanici nell’area flegrea, a iniziare dalla commissione grandi rischi, che presumibilmente sarà interpellata, e dal sindaco di Napoli che dovrà tenere in debito conto più fattori, compreso l’allarme sociale che si è creato intorno a questo  progetto di perforazione profonda.
I fenomeni di bradisismo sono stati da sempre una caratteristica dei Campi Flegrei (Campi ardenti). Di recente si ricordano i movimenti ascensionali dei primi anni ’70 caratterizzati da scarsa attività sismica, e poi di nuovo un rigonfiamento dei suoli tra il 1982 e il 1984, questa volta con manifestazioni sismiche intense (migliaia di scosse) e un terremoto di magnitudo 4 che creò non poche apprensioni il 4 ottobre del 1984.
L’innalzamento notevole del suolo costrinse le autorità a far evacuare precauzionalmente circa quarantamila persone, molte delle quali abitavano in palazzi particolarmente fatiscenti. Per far fronte alle necessità degli alloggi, fu edificato in poco tempo un complesso residenziale popolare nella frazione di Monteruscello. Fortunatamente non ci fu eruzione e l’allarme rientrò. La nota critica, e che le nuove e squadrate  costruzioni sorsero su suoli ubicati nel Comune di Pozzuoli, che rientra a pieno titolo nella zona rossa.
E poi gli alloggi prontamente costruiti potevano ospitare quarantamila persone: una cifra in realtà sproporzionata rispetto al reale fabbisogno abitativo misurato in diecimila sfollati. Si largheggiò molto col denaro pubblico. Il vulcanologo Haroun Tazieff adirato ebbe a dire: «È davvero triste che la gogna sia stata abolita. Una gogna moltiplicata all’infinito dalla televisione sarebbe il mezzo migliore per smascherare le truffe che si commettono in nome del rischio sismico».
Dal 2005, scrive l’Osservatorio Vesuviano, il suolo ha ricominciato a innalzarsi per un totale di 15 centimetri. Nel 2012 il fenomeno pare si sia notevolmente incrementato dando origine il 7 settembre 2012 a uno sciame sismico di circa 200 scosse a bassa magnitudo.
Nel puteolano si annoverano rigonfiamenti e sprofondamenti, a volte lentissimi altre volte ancora incalzanti, ma non dimentichiamo che ci sono state anche eruzioni come quella del Monte Nuovo nel 1538, evento annunciato da deformazioni metriche sviluppatesi nell’arco di pochi giorni e da un appariscente arretramento del mare che lasciò all’asciutto moltissimi pesci per la gioia dei pescatori ignari del pericolo.
Le cause del bradisismo restano un problema ancora irrisolto per una molteplicità di fattori, anche se, da un punto di vista concettuale, il fenomeno in se comunque è da ascriversi, direttamente o indirettamente, al magma nel sottosuolo e alla sua verve ardente.
L’area flegrea rimane quindi una grossa incognita scientifica e tecnica ma anche politica per gli aspetti della prevenzione, che in questo caso dovrebbe ruotare inesorabilmente e prevalentemente su un abbattimento della pressione demografica, una riqualificazione antisismica dei fabbricati e un’organizzazione del territorio che garantisca una rapida mobilità degli abitanti in caso di dichiarata emergenza vulcanica. Elementi di difficile attuazione: ma ci dovrà pur essere un inizio…

Campi Flegrei: stato di attenzione vulcanica?


"Bradisismo ai Campi Flegrei: stato di attenzione?" di MalKo
Nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanica dovrebbe essere passato al gradino di attenzione. Dovrebbe essere così perché l’Osservatorio Vesuviano tramite il Direttore Marcello Martini, ha prodotto un comunicato in cui si afferma che le reti di monitoraggio dei Campi Flegrei hanno registrato nell’ultimo periodo «variazioni significative dei parametri sismici, geochimici e di deformazione del suolo rispetto ai livelli ordinariamente registrati.».
Al livello di attenzione vulcanica dovrebbe quindi corrispondere parimenti una fase operativa a carico dei comuni della zona rossa. Napoli in primis con i quartieri di Soccavo, Pianura, Bagnoli e Fuorigrotta. E poi i comuni di Quarto e Pozzuoli; e ancora Bacoli, Quarto, Marano e Monte di Procida.
La fase di attenzione non rappresenta in se una situazione d’immediato pericolo, ma serve all’autorità scientifica per acuire la sorveglianza strumentale e diretta della zona, dando poi una “sveglia” ai comuni a rischio. Questi devono principalmente e preventivamente verificare  l’organizzazione locale, procedendo a una lettura critica del piano d’emergenza comunale e di quello di evacuazione, prendendo in esame tutto ciò che potrebbe nell’attualità favorirlo od ostacolarlo nell’applicazione.
I sindaci in questi frangenti e in ragione di precisi disposti legislativi, hanno l’onere dell’informazione corretta e puntuale su quello che accade, presumibilmente attraverso comunicati giornalieri.
Ogni istituzione presente sul territorio flegreo dovrebbe, nella “fase gialla” rodare la sua struttura operativa nell’evenienza che ci sia un incremento dei parametri di pericolo. Anche gli ospedali hanno compito di verifica, perché nei momenti di crisi rappresentano una priorità interventistica.
L’Osservatorio Vesuviano per il ruolo che occupa, forse avrebbe dovuto utilizzare nel comunicato un linguaggio tecnico operativo immediatamente adeguato, dichiarando, dopo la segnalazione della variazione significativa dei parametri geochimici e fisici nell’area flegrea, lo stato di attenzione vulcanica.
E’ un po’ riduttivo parlare di attenzione scientifica (un termine generico) senza divulgare un corrispettivo operativo. I cittadini devono sapere che alla fase di allerta vulcanica corrisponde una pari fase operativa definita gialla che riguarda i comuni. Certamente l’assenza di un piano d’emergenza per l’area flegrea pesa come un macigno, creando forti imbarazzi alla parte tecnico politica chiamata in causa dall’allerta e da recenti polemiche connesse alla perforazione profonda calderica.
Premesso che l’istituzione più vicina ai cittadini è il comune, le municipalità che caratterizzano la caldera flegrea, dovrebbero in questa fase instaurare a livello comunale il C.O.C. (Comitato Operativo Comunale) con un servizio telefonico informativo dedicato al rischio sismico e vulcanico 24 ore su 24 con operatore. I funzionari comunali invece, dovrebbero alternarsi nel presidiare il COC, osservando turni di guardia o di reperibilità immediata.
Tutte le attività comunali vanno tarate secondo i livelli di allerta che possono variare col tempo o mantenersi tali per mesi o anni.
Ovviamente la fase di attenzione può introdurre quella di preallarme ma anche retrocedere di nuovo al livello base. Nessun pericolo immediato quindi, ma occorre seguire appunto con attenzione gli eventi tutti naturali intracalderici tenendo in debito conto sia i prodromi passati (innalzamento del suolo valutato in metri) ma anche l’imprevedibilità della natura che potrebbe avere nelle sue fenomenologie andamenti diversi dal solito.
Domani, 26 novembre 2012, inizieranno dei corsi di formazione per i comuni e gli operatori di protezione civile dell’area flegrea. Un’attività formativa, si legge, fortemente voluta dal dipartimento della protezione civile, dalla regione Campania e dall’Osservatorio Vesuviano.
Questi corsi dicono, nascono dall’esigenza di formare coloro che dovranno partecipare all’elaborazione dei piani d’emergenza o che potrebbero all’occorrenza gestire una possibile evacuazione.
A questo punto bisognerebbe incrementare pure le attività del Deep Drilling Project (CFDDP), per avere, come promesso, uno strumento innovativo di previsione, e attendere poi le decisioni dei comitati promotori dei corsi (Dipartimento Protezione Civile, Regione, Comuni) su quelle che saranno le iniziative di prevenzione che imprescindibilmente e indiscutibilmente bisognerà mettere in campo.
Siamo sicuri che in questo contesto un sindaco flegreo prima di concedere una licenza edilizia con una fase di attenzione in atto ci penserà tantissimo sopra. Forse bisognerebbe, a proposito della prevenzione, varare qualche vincolo edilizio nell’area flegrea alla stregua di quello già esistente (legge regionale 21/2003) nel vesuviano, altrimenti nessuna istituzione sarà credibile e le attività di formazione e pianificazione potrebbero connotarsi più come iniziative di facciata che di reale tutela dei cittadini.

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…