Translate

Visualizzazione post con etichetta CGR. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CGR. Mostra tutti i post

venerdì 9 dicembre 2016

Rischio Vesuvio: Fidel Castro chiese... di MalKo


Vesuvio visto da Napoli

Il Presidente dell’Istituto di Cooperazione e Sviluppo Italia-Cuba, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha raccontato che nel 1998 fu tra i pochi fortunati selezionati dall’ambasciatore cubano a Roma per incontrare Fidel Castro. Il Lider Maximo nel cordialissimo colloquio, inaspettatamente manifestò particolare interesse per il Vesuvio formulando al riguardo domande e lasciando trapelare incredulità sul fatto che sulle pendici del vulcano vivessero tante persone… e quindi chiese se erano stati approntati i piani di evacuazione. Un leader molto pragmatico…

I cittadini del vesuviano non pensano a come sia stato possibile che intorno a un vulcano esplosivo abbiano incredibilmente consentito di costruire palazzi su palazzi, perché loro fanno parte della parola incredibile; invece molto più realisticamente si chiedono se la posizione in cui risiedono sia più o meno pericolosa rispetto ad altre.

Nel merito del livello di rischio a cui giocoforza sono sottoposti per precisa collocazione geografica, e quindi distanza delle loro abitazioni dal cratere sommitale del Vesuvio, indubbiamente a fare la differenza sarà la portata energetica della prossima e imprevedibile eruzione. C’è da dire che le eruzioni maggiormente dirompenti possono differenziarsi per indice di esplosività vulcanica. Tra una sub pliniana (VEI4) e una pliniana (VEI5) passa un solo punto di differenza che non è poca cosa, perché i flussi piroclastici potrebbero coprire distanze di quasi 10 chilometri nel caso di una VEI4, ma anche il doppio in seno a una pliniana, come successe circa 4000 anni fa e ancora quasi 2000 anni or sono con la nota eruzione di Pompei del 79 d.C.

Il quadro delle conseguenze, ovvero dei territori coinvolgibili dai due stili eruttivi appena citati, come si vede è notevolmente differente. Ad essere ancora più precisi, nel caso di un’eruzione VEI4, le colate piroclastiche potrebbero percorrere distanze forse non eccedenti la linea nera Gurioli, rappresentata qui nella figura sottostante.


Se invece e malauguratamente l’eruzione dovesse assumere un carattere prettamente pliniano, cioè con un indice di esplosività vulcanica VEI5, le nubi ardenti dilagherebbero ben oltre il limite Gurioli, spingendosi fino all’area urbana di Napoli o alla base dei contrafforti dei Monti Lattari.

L’orlo calderico del Monte Somma non è sufficiente a proteggere gli abitanti di quel versante da una colata piroclastica. Questo spiega perché e nel dubbio, su un arco di 360° centrando il cratere, l’evacuazione dovrà essere totale nel momento dell’allarme.

Come abbiamo più volte scritto, l’autorità scientifica made in INGV, in assenza di elementi validi per poter definire con certezza l’energia della prossima eruzione del Vesuvio, ha potuto produrre solo conclusioni statistiche condivise appieno dalla Commissione Grandi Rischi che si è assunta l’onere di sancire definitivamente e nel senso deterministico che la prossima eruzione del Vesuvio sarà una VEI3 o al massimo una VEI4… In altre parole per i prossimi 128 anni Napoli è salva ma c’è il grosso problema proveniente dai contigui Campi Flegrei, in quanto pare che l’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, abbia aperto un ciclo eruttivo piuttosto che chiuderlo.

La statistica offerta dagli esperti (Vesuvio) è tutta racchiusa nella tavola sottostante:

Proviamo a chiarire meglio i concetti di fondo che trapelano dallo schema riassuntivo. Il primo nodo che bisognava sciogliere riguardava l’arco di tempo da prendere in considerazione per avere la proiezione statistica dell’eruzione di riferimento. La finestra da prendere in esame poteva essere quella circoscritta da 60 a 200 anni (A), oppure da 60 anni in poi (B) senza un limite superiore. Quale hanno preso in esame? Ovviamente la prima tabella, perchè è maggiormente governabile in termini politichese, in quanto il broker statistico offre una percentuale pliniana dell’1% e posticipa ai posteri l’11% con cui dovranno poi misurarsi i tecnici e i politici e gli scienziati nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi.

In realtà l’1% serve solo a ri-pararsi da un eventuale e imprevedibile fallimento prognostico, offrendo comunque agli ingegneri della politica la possibilità di consentire ai comuni di Scafati e Poggiomarino di impastare ancora cemento a uso residenziale, mettendo gente su gente, in quei luoghi che saranno spazzati via da una possibile eruzione pliniana, o anche da una VEI5 meno meno o da una VEI4 con lode.  Diceva Indro Montanelli, che noi siamo un popolo di contemporanei, che non teniamo in debito conto il passato e né tantomeno il futuro…

Gli ingegneri napoletani si sono riuniti qualche giorno fa alla mostra d’oltremare per discutere di rischio vulcanico, sancendo che se il Vesuvio dovesse scoppiare, in 300 secondi potrebbe fare anche seicentomila vittime, ma siamo certi che non accadrà nei prossimi mesi. Il “mago” che ha azzardato questa previsione ha anche detto che un’eruzione può essere prevista con un mese di anticipo...

Il Professor Edoardo Cosenza, anch’egli innanzitutto ingegnere ed ex assessore alla protezione civile regionale Campania, ha ricordato invece che nei Campi Flegrei il livello di allerta vulcanico è da alcuni anni sbilanciato sullo stato di attenzione (giallo): un primo gradino su quattro. Quando ci sarà l'eruzione ai flegrei però, è più probabile che sia piccola, riferisce… e in ogni caso ha aggiunto, le zone rosse per entrambe le aree, Vesuvio e Campi Flegrei, sono state preparate per i fenomeni più violenti (?).  Se l’ingegnere si riferisce ai piani di evacuazione, occorre che rettifichi immediatamente il dato perché è assolutamente inesatto.

L’assessore Cosenza è un tecnico molto preparato che alla base di qualsiasi discorso antepone i tempi di ritorno delle catastrofi. Da buon strutturista poi, da tempo tesse le lodi dell’Ospedale del Mare, un vero fortino bunker costruito in zona rossa Vesuvio (Ponticelli), capace di resistere ai sussulti simici estremi e ai depositi di prodotti piroclastici di ricaduta che si accumulerebbero in caso di eruzione sui tetti senza colpo ferire. Una grande resistenza statica comprovata da collaudi che in verità non serve molto alla sopravvivenza delle persone, visto che il grande nosocomio può essere investito dai flussi piroclastici che si caratterizzano in verità per un elevato potere distruttivo dinamico e termico, visto che avanzano con temperature che possono tranquillamente raggiungere e superare i 500°/600° gradi Celsius, ben oltre quindi i limiti di fusione dello stagno, dello zinco e anche dell’alluminio e del genere umano.

Sul versante dei Campi Flegrei invece, la notizia che campeggia sui giornali online, è la lettura stratigrafica che è stata fatta del carotaggio nel famoso pozzo del deep drilling project (CFDDP) a Bagnoli. Una perforazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità ma che si è fermata a 501 metri. Secondo il dirigente del progetto, Il Dott. Giuseppe De Natale, il dato interessante che è emerso al momento, riguarda l’analisi dei sedimenti che testimonierebbe per potenza, un’attività vulcanica modesta nel settore orientale flegreo rispetto a quella più intensa da ascrivere alla parte occidentale. Un dato che potrebbe consentire di ritrattare in parte la pericolosità vulcanica in danno al centro urbano di Napoli...

Intanto pare che alla stesura generale dei piani di evacuazione del vesuviano, pardon di allontanamento, gestiti dal dirigente regionale Ing. Italo Giulivo, manchino all’appello ancora quattro o cinque comuni inadempienti, che rendono l’operazione di mobilità extra urbana complessivamente ancora da definire e ultimare. Il titolo di viaggio però ed è certo, sarà gratuito…

Nel festeggiare i 175 anni di esistenza dell’Osservatorio Vesuviano, si è tenuto il 7 dicembre scorso un incontro commemorativo di una certa importanza. Il Dott. Augusto Neri, direttore della struttura vulcani dell’INGV, ha detto alcune cose fondamentali su cui riflettere e riflettere molto. Innanzitutto che la percezione comune che la previsione dell’evento vulcanico sia più facile da formulare non è vera, perché la maggior parte dei vulcani hanno sistemi molto complessi e non abbiamo al nostro attivo una documentazione sui precursori eruttivi. Il ricercatore chiama in causa proprio i tre distretti vulcanici napoletani, tutti ubicati su un solo territorio provinciale e purtuttavia tutti e tre molto dissimili tra loro. I segnali che ci giungono da questi vulcani - aggiunge - si colgono tutti, ma sostanzialmente bisogna mettere in evidenza che mancando una documentazione scientifica di base dei segnali pre-eruttivi dei medesimi, una previsione dell’evento eruttivo è un’operazione oltremodo difficile.
Un invito al confronto con il mondo scientifico mondiale - conclude - è quindi necessario, soprattutto con quegli esperti che studiano vulcani per caratteristiche molto simili a quelli campani. Un’occasione potrebbe essere il congresso internazionale Cities on Volcanoes che si terrà a Napoli nel 2018.

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e linea nera: Intervista alla Dott. L. Gurioli...di Malko

Area vesuviana - foto aerea  a cura di Andrew Harris

Rischio Vesuvio, zona rossa e linea nera: intervista alla Dott. Lucia Gurioli... di MalKo
I flussi piroclastici rappresentano uno degli effetti più deleteri del risveglio di un vulcano esplosivo. Trattasi di un fenomeno temuto e pericoloso, soprattutto per una zona come quella vesuviana caratterizzata da una conurbazione asfissiante e caotica che ha letteralmente invaso la fascia pedemontana del Vesuvio, per poi spingersi fino alle pendici del monte. Un’urbanizzazione che, per superfici e numeri in gioco, ha portato l’indice di rischio zonale a un valore di inaccettabilità per un Paese che si definisce moderno e garantista.
Il Dipartimento della Protezione Civile, retto dal Prefetto Gabrielli, seguendo le indicazioni pervenute da una commissione incaricata di valutare e definire scenari e livelli di allerta, ha deciso, sentito anche la commissione grandi rischi (CGR), di adottare la pubblicazione scientifica della ricercatrice Dott. Lucia Gurioli per delimitare geograficamente l’area a maggior rischio per gli abitanti del vesuviano,includendo nuovi territori a quelli dei diciotto comuni già classificati in zona rossa. Gli scenari presi a riferimento e da cui bisognerà difendersi, sono quelli ipotizzabili per un’eruzione sub pliniana, accettata statisticamente dagli esperti istituzionali come eruzione di riferimento (EMA) per la stesura dei piani d’emergenza.

La Dott.ssa Lucia Gurioli come detto, è autrice insieme ad altri, di un lavoro scientifico in cui si evidenziano su carta  alcune linee che rappresentano il limite entro cui dilagarono i flussi piroclastici nel corso della plurimillenaria storia eruttiva del Vesuvio. I risultati, frutto di un lavoro campale, sono stati oggetto di un articolo molto interessante dal titolo “Pyroclastic flow hazard assessment at Somma-Vesuvius based on the geological record”.
Lo studio geologico basatosi su un’intensa attività all’aperto, è stato suffragato da indagini dirette sui materiali deposti dal Vesuvio nell’arco della sua lunghissima storia eruttiva. Alla gentile Dott. Lucia Gurioli, che vive e lavora in Francia, abbiamo posto alcune domande:
Dott.ssa Gurioli, la mappa che riportiamo è tratta dalla pubblicazione citata in precedenza.  I limiti definiti da un segmento rosso, e poi nero e ancora verde, cosa indicano esattamente?
I limiti riportati sono quelli di depositi messi in posto dai flussi piroclastici durante le maggiori eruzioni del Vesuvio verificatesi negli ultimi 20.000 anni (Pomici di Base, Verdoline, Pomici di Mercato, Pomici di Avellino, Pomici di Pompei, Pollena e 1631). Nella pubblicazione abbiamo elaborato, per ogni singola eruzione, il piano di giacitura dei prodotti rilevati con le attività di campo. 
Sovrapponendo quindi ogni piano, caratterizzato da uno spessore e da una superficie, siamo riusciti a mappare e definire i limiti d’invasione dei flussi piroclastici.

La figura qui di fianco riporta le zone del vulcano che sono state flagellate dalle colate piroclastiche con un diverso indice di frequenza.
La linea rossa delimita una zona ad alta frequenza d’invasione, che raggruppa le aree colpite da tutte le eruzioni che hanno comportato la formazione di nubi ardenti.  La linea nera invece, delimita un’area leggermente più estesa che comprende una frequenza media di accadimenti invasivi.  La “corona” asimmetrica tra la linea rossa e nera invece, indica una zona, dove almeno due eruzioni hanno lasciato in loco i loro depositi. Infine, si evidenzia l’area gialla, quella più estesa, dove si registrano i depositi da flussi scaturiti dalle imponenti eruzioni di tipo pliniano. Quest’ultime, ricordiamo, sono le più energetiche e distruttive prodotte dal Vesuvio.
La zona gialla che si protende verso sud est é quella che fu colpita dall’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C. Quella orientata a nord invece, fu invasa dai flussi della violenta eruzione di Avellino. Queste due aree racchiuse complessivamente e omogeneamente all’interno della linea verde, furono flagellate da colate piroclastiche molto energetiche, caratterizzate da elevata mobilità. Eventi indubbiamente particolari che si sono manifestati solo due volte nell’arco dei 20.000 anni presi in esame.
I materiali piroclastici visionati e analizzati hanno dato un’idea delle temperature raggiunte dalle colate piroclastiche?
La temperatura media dei depositi di tutte queste eruzioni é di 250-370 °C (Zanella et al. 2013). Questi dati sono stati ottenuti con misure paleomagnetiche condotte sui litici dispersi nei depositi piroclastici.
La linea nera ha un suo logico proseguimento anche sul mare. A volerla tracciare a quanti metri dalla costa bisognerebbe evidenziarla?
La linea nera rappresenta un’indicazione: se si vuole tracciarla sul mare, diventa una linea fantascientifica perché non abbiamo alcun tipo di misura. Comunque, a forzare una risposta su basi analitiche, due chilometri dalla costa potrebbe essere una misura accettabile per disegnare un segmento che unisca le due estremità della linea nera.
I centri urbani con i loro edifici in zona nera costituiscono un serio freno al dilagare dei flussi piroclastici? Un po’ di anni fa c’era chi proponeva una sorta di muraglia cinese per difendere le popolazioni dalle nubi ardenti…
Non mi pronuncio neanche sull’idea originale, ma poco convincente della “muraglia cinese”. Per quanto riguarda la linea dell’edificato invece, dico solo che gli studi fatti nelle aree archeologiche colpite dall’eruzione di Pompei, hanno evidenziato che i flussi, soprattutto quelli più diluiti, interagiscono localmente con la struttura urbana, ma poi il sistema di trasporto della corrente (che può essere spessa anche fino a 200 metri), passa la città indisturbata ancora per chilometri (Gurioli et al. 2005 ; 2007 e Zanella et al. 2007)
- Il limite della black line lo possiamo definire garantista rispetto a quali tipologie eruttive e a quali fenomeni?
La line nera non era assolutamente stata pensata come un limite di rischio. Se io dovessi tracciare un qualcosa, innanzitutto disegnerei una fascia nera piuttosto che una linea. Poi, questo nero é un segmento tracciato e basato su limiti di depositi, e quindi rappresenta un valore minimo di riferimento. Noi non sappiamo con il passare del tempo quello che é stato perso in termini di materiali in sito, e logicamente non abbiamo informazione di quello che si è perso senza lasciare tracce. In questa carta poi, non c’é alcuna indicazione delle aree che potrebbero essere interessate dalla parte più diluita della corrente, che noi chiamiamo ash cloud. Quindi, per me la linea nera non dovrebbe essere utilizzata in termini di tutela, o comunque dovrebbe essere utilizzata come un limite minimo di riferimento. Per tracciare una carta di pericolosità utile per la prevenzione, occorre fare un lavoro più ponderato e finalizzato, ma non era questo lo scopo della pubblicazione. Teniamo presente inoltre, che questa carta deve essere completata con altri elementi di studio che riguardano ad esempio i depositi di caduta, dei quali noi non facciamo alcun cenno nell’articolo scientifico.
- Al di là della black line, nel senso opposto al Vesuvio, cosa è lecito attendersi nel caso dovesse verificarsi un’eruzione sub pliniana del tipo 1631?
Questa é una domanda alla quale non saprei rispondere. Noi sappiamo che i flussi piroclastici del 1631 sono stati delimitati dalla barriera del Somma, ciononostante sono state trovate delle ceneri oltre l’orlo calderico. Dato che le ceneri hanno lasciato uno spessore irrisorio e una dispersione limitata, non sono state prese in esame in questa carta, ma la loro presenza é sufficiente per affermare che porzioni più diluite dei flussi sono andate anche oltre il rilievo del Somma.
- In Francia com’è valutato il rischio Vesuvio?
Per tutti i vulcanologi e non solo francesi, il Vesuvio rappresenta certamente uno dei vulcani più pericolosi al mondo, a causa dell’elevato numero di abitanti che affollano le pendici del vulcano, la base e l’intera plaga vesuviana circostante.
 La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott. Lucia Gurioli per la gentile disponibilità a rispondere ad alcune domande particolarmente utili per tenere aggiornati, anzi aggiornatissimi, tutti i temi che riguardano direttamente o indirettamente il Vesuvio. L’opera informativa in questo caso ha una valenza non solo dal punto di vista della ricerca e della prevenzione, ma anche da quello più spigoloso riguardante i piani d’emergenza e d’evacuazione che sono appena in itinere.

Rischio Vesuvio: work in progress... di Malko



Il Dipartimento della Protezione Civile (DPC) ha reso noto i territori dell’area vesuviana che potrebbero essere colpiti dagli effetti più deleteri di un’eruzione esplosiva dell’arcinoto Vesuvio. In tal caso sono state definite delle aree che abbiamo schematizzato concettualmente nel disegno di figura 1.
Zona nera (R1) : Interessa la parte montana e pedemontana del Vesuvio con un limite verso il basso segnato sulle mappe ufficiali da una linea nera asimmetrica (black line). In questa zona il pericolo maggiore è dettato dai flussi piroclastici che potrebbero interessare qualsiasi versante del vulcano. Entro tale circonferenza, oltre alle nubi ardenti il pericolo potrebbe provenire anche dalla copiosa caduta di cenere, lapilli e bombe vulcaniche.
Zona rossa (R2): in quest’area la pioggia di materiale piroclastico potrebbe assumere intensità tale da costituire comunque un problema per le persone e per la statica delle coperture in piano dei palazzi, che potrebbero sprofondare sotto il peso di cenere e lapillo. Gli accumuli dei prodotti eruttati renderebbe i fabbricati più vulnerabili anche alle scosse sismiche che, probabilmente, accompagnerebbero le fenomenologie vulcaniche durante le varie fasi parossistiche.



nuovi scenari pubblicati dal dipartimento della protezione civile, contengono alcune note per consentire ai comuni di fresca nomina (Scafati, Poggiomarino, Nola, San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Pomigliano d’Arco e Napoli con i quartieri di Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio), di modificare il tracciato della linea rossa portandola a ridosso della linea nera.
Per operare in tal senso, i comuni indicati dovranno dimostrare che i tetti sono stati rinforzati e possono reggere al sovrappeso dei prodotti piroclastici, e ancora che sono stati predisposti piani zonali intercomunali di evacuazione (???). I sindaci interessati dovranno quindi dimostrare carte (calcoli) alla mano, il requisito di resistenza statica delle coperture, e non il <<basta la parola!>> come recitava una famosa e storica propaganda del “Carosello” televisivo.
Il comune di Poggiomarino evidentemente questi calcoli li ha già fatti. Infatti, qualche giorno fa ha licenziato un documento contenente la nuova perimetrazione. Il consiglio comunale all’unanimità ha proposto di spostare i confini della zona rossa ai limiti della linea nera. Gli amministratori poggiomarinesi hanno varato la loro idea di demarcazione, precisando che hanno dovuto lavorare non poco per estrapolare quanta più terra possibile dalla tenaglia della legge regionale 21 del 2003, che proibisce l’edificazione residenziale nella zona rossa e nera. Il risultato è stato ottenuto non sposando la tesi di assumere strade e canali come cippi di confine, ma molto più proficuamente con i segmenti delle particelle catastali… si è operato al metro se non al centimetro insomma.
Per capire in pratica cosa significa l’addossamento della linea rossa alla black line, dobbiamo tener conto che, se tutti i comuni della zona rossa (R1 – R2) applicassero il modello Poggiomarino, nella figura 1 scomparirebbe la zona rossa (R2) e rimarrebbe solo quella nera, blu e una gialla; quest’ultima molto più vasta, ma svincolata dai disposti di assoluta inedificabilità residenziale.
La Zona gialla è da ridefinire completamente anche sulla scorta del rimodellamento perimetrale della linea rossa tuttora in corso. Il settore ha un indice di pericolosità non valutabile puntualmente e a priori, perché legato alla caduta di materiale piroclastico un po’ più leggero rispetto alle zone interne (nera e rossa). Il pericolo maggiore in questo caso sarebbe a carico degli agglomerati urbani posti sottovento e in linea col centro eruttivo e con la direzione dei refoli. La fig. 2 rende bene l’idea. E’ ovvio poi, che l’ellisse gialla sarà proporzionalmente più allungata e più stretta in ragione dell’intensità del vento. Un effetto similare ma più contenuto si riscontrerebbe pure nella zona rossa per i proietti più piccoli espulsi dal vulcano. In caso di eruzione possono riscontrarsi sostanziali variazioni della protuberanza gialla, il cui orientamento sarà dettato dalla direzione di provenienza dei venti stratosferici dominanti. Statisticamente però, pare che questi il più delle volte provengono da occidente. Nulla cambierebbe invece per le zone nera e rossa che mantengono intattoil loro indice di massima pericolosità, a prescindere dai fattori esterni all’area… escamotage amministrativi compresi.

La Zona blu è legata in termini di pericolosità alle curve di livello del terreno. Le copiose acque piovane che caratterizzano spesso le eruzioni, scorrerebbero in direzione della Conca di Nola allagandola. Problemi anche molto seri si riscontrerebbero in modo direttamente proporzionale alla quantità d’acqua che precipiterebbe e si riverserebbe dai rilievi circostanti, e dai suoli la cui permeabilità potrebbe essere compromessa dall’effetto sigillante delle ceneri sottili asperse dal vulcano. La zona blu non dovrebbe subire modifiche particolari per il futuro, se non alla luce d’importanti opere artificiali di drenaggio delle acque superficiali.

Il Dipartimento della Protezione Civile, sulla scorta del parere favorevole della commissione grandi rischi (CGR), ha ritenuto il lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli valido per la definizione della zona rossa 1, adottando la black line ivi riportata sulla carta a tema, per delimitare l’area (nera) a maggior pericolo.
Fra un po’ di tempo,comuni permettendo, avremo un quadro preciso delle zone su cui potrebbero abbattersi gli effetti dirompenti di un’eruzione sub pliniana, che è quella massima attesa (E.M.A.) e assunta come intensità di riferimento dagli esperti.
Stabilito l’evento eruttivo da tenere in debito conto e le aree a differente pericolosità, bisognerà poi modulare la strategia operativa e poi quella organizzativa e poi attendere che i 25 comuni dell’area rossa elaborino i loro piani di evacuazione che, messi insieme come un enorme puzzle, daranno origine a un unicum che si chiamerà piano d’emergenza Vesuvio, contenente in allegato e in primogenitura il piano d’evacuazione areale.
Indi, a ogni singola famiglia del vesuviano dovrà essere consegnato un vademecum contenente poche note introduttive e organizzative del piano, per dare spazio alle istruzioni sui modi di sfollamento, arricchite da cartine con i percorsi da impegnare all’occorrenza, in ragione dei vettori pubblici o privati previsti o disponibili. Anni di lavoro…
Stampa e televisioni solo di recente e in assenza <<del rischio di querela per procurato allarme>>, hanno un po’ invertito la tendenza ottimistica sul problema Vesuvio, iniziando a profferire timidamente parole come piano d’emergenza sottostimato. In realtà, e come più volte è stato scritto, la bozza di piano esistente come anche l’attuale revisione degli scenari, non tratta in alcun modo i “sentieri” da percorrere per mettersi in salvo. Quindi, questo famoso piano Vesuvio in passato iperpubblicizzato, in termini di salvaguardia non è inadeguato, bensì semplicemente inesistente… Confondere le due cose non aiuta a inquadrare i due problemi che sono scientifici per gli aspetti attinenti gli scenari eruttivi e i livelli di allarme, e tecnici per quanto riguarda i piani d’evacuazione. Però, giacché la scienza, quella di ogni ordine e grado,dipartimentale, istituzionale e universitaria, asserisce in modo sostanzialmente concordante che non è possibile prevedere quando un’eruzione accadrà e di che tipo sarà, le istituzioni che hanno competenze per il soccorso tecnico urgente, dovranno ad un certo punto prendere atto di questo limite, uscendo dall’empasse in cui si trovano, e muoversi anche con motu proprio per mettere in campo tutte le iniziative possibili a tutela della distratta popolazione vesuviana.
L’organizzazione operativa dei soccorsi dovrà evolversi: occorre un salto di qualità, perché altrimenti i Vigili del Fuoco corrono il rischio d’intervenire alla cieca in caso di eruzione, senza produrre un’efficace azione di protezione. Si pensi al massimo operativo e non all’intervento da tarare sulla media statistica e probabilistica eruttiva. Un’eruzione tipo 1944 sarebbe già sufficientemente drammatica e sarebbe già un successo operativo possedere un piano per fronteggiarla.
Riesce difficile far comprendere ai non tecnici che il rischio è una cosa che va al di là del pericolo, superandolo…. Se in uno stadio di calcio qualcuno lancia l’allarme bomba, ci saranno grossi problemi e danni alle persone per la fuga disordinata a cui si aggiungeranno quelli meccanici letali provocati dallo scoppio. Se l’allarme bomba è infondato, ci saranno solo danni alle persone per la fuga disordinata… in entrambi i casi però, pericolo o non pericolo, nelle prime file ci saranno problemi… Necessita architettare quindi un piano d’evacuazione semplice ma efficace, in surroga a quello d’emergenza che è ancora in una fase iniziale di concepimento.
La più protettiva delle formule di tutela consisterebbe nel prendere a riferimento l’evento eruttivo massimo conosciuto (E.M.C.) che, nel nostro caso, è assimilabile a un’eruzione pliniana di tipo Avellino. Questa scelta implicherebbe probabilmente e indirettamente una conclamata impossibilità di mettere a punto un piano di evacuazione per tre milioni di persone: i numeri in gioco che superano il concetto di esodo biblico, farebbero decadere immediatamente l’attenzione al problema.
Quando il cataclisma ipotizzato nella sua forma massima lascia poco spazio alla tutela per una complessità di fattori geografici e antropici, lo stratega opererà al massimo delle possibilità che gli sono offerte, senza “consumarsi” nell’attesa di risposte previsionali attualmente impossibili e controverse. Pianificherà il soccorso come detto, sfruttando tutte le risorse umane e materiali e infrastrutturali disponibili sul territorio che va coinvolto in primis, rimandando alla politica il compito di far quadrare i conti che non tornano in termini di numero di abitanti esposti al pericolo.
Questi nuovi scenari made in DPC , hanno introdotto limiti ma anche possibilità. Non è da escludere che ci sarà baraonda nel prossimo futuro. Perché Pompei e Torre Annunziata e Boscoreale e Somma Vesuviana e Sant’Anastasia, probabilmente qualche discriminazione la lamenteranno quando capiranno la sperequazione che è stata attuata in loro danno da scenari contenenti alchimie che rischiano addirittura di restringere (amministrativamente) la zona rossa (R1+R2) piuttosto che allargarla…
I pompeiani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano e in tanti perirono per la novità. I vesuviani sanno perfettamente cos’è quel monte grigio, eppure ne affollano anche i più piccoli meandri e anfratti montani e pedemontani, lasciando alle pratiche scongiuristiche (corna) e poi religiose (San Gennaro), il compito di proteggerli.
In questa plaga sussistono troppe commistioni pubbliche e private deleterie per la sicurezza. Il fatto che i palazzi in R1 freneranno le colate piroclastiche, non dovrebbe essere motivo per autorizzare deregolamentazioni edilizie nelle zone contigue a quella nera.
La nostra impressione è che nel vesuviano ci sia un Work in Progress, ma in direzione del caos…


lunedì 27 maggio 2013

Vesuvio:quale piano d'emergenza?


"Il piano di emergenza nazionale rischio Vesuvio: lezioni 
di piano 2" di MalKo

Ogni volta che guardate una trasmissione televisiva o ascoltate un programma radiofonico o leggete quotidiani e riviste scientifiche ad oggetto il Vesuvio, sentirete o leggerete sempre le stesse cose:<<… è il vulcano più pericoloso del mondo e per questo è stato redatto un dettagliato piano d’emergenza dal Dipartimento della Protezione Civile, per mettere in salvo gli oltre seicentomila abitanti della plaga vesuviana, nel momento in cui si coglieranno con largo anticipo le variazione dei parametri controllati del vulcano, nel senso dell’eruzione …>>.
Molto spesso queste affermazioni provengono scontatamente dal personale del noto dipartimento. Altre volte invece, le forniscono docenti e ricercatori ed esperti di settore. Per lo più usano, tranne qualche rarissima eccezione, un linguaggio di benevole fiducia sull’argomento piani, che accennano senza approfondire, prediligendo di contro la trattazione geologica, che ben si presta a disquisizioni e approfondimenti di ogni genere. Inevitabilmente quindi, il piano d’evacuazione è lasciato in sordina e richiamato solo per le sue finalità, senza entrare nel merito dei contenuti. D’altra parte è un problema tecnico e non scientifico. E i tecnici non ne parlano.
Il piano d’emergenza contiene in prima battuta le conclusioni del mondo scientifico (INGV), relativamente agli scenari ipotizzati in caso di ripresa dell’attività eruttiva.  L’evento massimo che potrebbe manifestarsi (EMA) nel medio termine, hanno stimato possa essere un’eruzione simile a quella che avvenne nel 1631: particolarmente distruttiva ma limitata al comprensorio vesuviano (i diciotto comuni dell’area rossa). Ovviamente c’è chi ritiene necessario, in assenza di certezza matematiche, non tarare i piani sul massimo atteso ma sul massimo possibile (conosciuto), che potrebbe  essere una pliniana del tipo Avellino. In questo caso i fenomeni investirebbero anche la città di Napoli. La differenza in termini di vite umane esposte al pericolo cambierebbe significativamente.
Restando sulle stime che caratterizzarono gli eventi del 1631, sono state individuate tre distinte aree su cui possono abbattersi i fenomeni  vulcanici: la zona rossa, quella gialla e quella blu.
Ovviamente la zona rossa potrebbe essere investita dalle micidiali nubi ardenti, caldissime e velocissime.  Secondo le strategie del piano quindi, la zona rossa sarebbe evacuata per prima in caso di allarme. Dalla gialla la popolazione smobiliterebbe solo con eruzione in corso. Gli strateghi, infatti, ritengono fattibile una tale operazione anche durante la ricaduta di cenere e lapillo.
Premesso che la zona blu di base è una zona gialla, valgono le regole già previste per quest’ultima. Ovviamente nel settore blu sussiste l’aggiunta e l’aggravante di possibili fenomeni alluvionali indotti  dall’eruzione.
Gli evacuati della zona rossa dovrebbero raggiungere varie regioni d’Italia con cui ogni comune vesuviano è gemellato (così dicono). Quelli della zona gialla attenderebbero invece lo scemare dei fenomeni nell’ambito della stessa regione Campania, presumibilmente addossati nelle piane del Sele e del Volturno e relative fasce costiere dove si contano numerosi complessi turistici.
In termini operativi, i passaggi alle varie fasi (quattro) sono dettati dai corrispettivi livelli di allerta geologica (quattro). Col “rosso” scatterebbe l’evacuazione dell’intera zona appunto rossa, e degli stessi soccorritori che arretrerebbero nella zona gialla.
Nel merito dei tempi a disposizione per mettersi in salvo, furono azzardate cifre molto ottimistiche fino agli anni ’90. Nella revisione del 2001 si optò per sette giorni, mentre oggi ufficiosamente si sa che i tempi di fuga dovranno essere misurati in tre giorni.
Per le strategie di allontanamento dovrà farsi riferimento, come detto, al piano d’evacuazione che è un annesso del piano d’emergenza nazionale Vesuvio.
In realtà questo piano, drammaticamente e inutilmente generico, è fermo ai disposti del 2001, tra l’altro ancora vigenti. Come vettori di trasferimento della popolazione furono previsti treno, autobus e, solo per i capifamiglia, l’autovettura.
Il naviglio leggero (aliscafi e catamarani) non fu preso in considerazione come trasporto alternativo marittimo, pare perché gli analisti temevano tra i prodromi eruttivi un significativo rigonfiamento dei suoli costieri che avrebbero reso inservibili i porti.
Agli assertori di tale teoria però, è sfuggito che la ferrovia passa a pochi metri dal mare e per lunghi tratti confina con gli scogli.  Ai binari bastano pochi centimetri di disallineamento per diventare inservibili. Addirittura dopo ogni scossa sismica di una certa consistenza, ed è prassi mondiale, bisogna interrompere il transito dei vagoni fino a quando non s’ispeziona la linea ferrata con un carrello. Anche i terremoti rientrano nei prodromi…
Sempre gli strateghi hanno poi cacciato il coniglio dal cappello: consentiranno a ogni capo famiglia di mettere i materassi e i bagagli in macchina e andarsene lestamente nella regione di destinazione.  Lì da qualche parte poi, aspetteranno moglie e figli che dovranno salvarsi autonomamente con qualche tradotta, tra i sussulti litosferici, i tremori vulcanici e la calca impazzita che non conosce regole.
I cittadini di Boscoreale invece, dovranno andare via, sempre col treno, partendo dalla locale stazione delle ferrovie dello Stato. Missione ardua perché la linea ferrata è stata completamente dismessa da anni, con rimozione addirittura della tratta aerea elettrificata e delle sbarre ai passaggi a livello.
I cittadini di Portici, dovrebbero porsi al sicuro prendendo invece il treno a San Giovanni a Teduccio (Napoli), perché la loro stazione ubicata a ridosso del porto del Granatello, dovrà essere usata dagli abitanti di Ercolano che non hanno fermate ferroviarie. Si tratterebbe di un atto di generosità e di altruismo…
Potremmo continuare aggiungendo incongruenze organizzative, paradossi e altro che riguardano anche la semplice organizzazione operativa. I pochi esempi fatti però, dovrebbero essere sufficienti per intuire la bontà di un prodotto inutile  e per questo solo pubblicizzato. La parte geologica invece, è  ampiamente  trattata in ogni dove, estero compreso. Ecco perché passa la tesi di un grande piano d’emergenza…
L’attuale pseudo piano di evacuazione per l’area vesuviana quindi, è un insieme di carte e numeri senza alcuna utilità operativa. Un vero piano di evacuazione è idealmente quello che di norma è  affisso dietro le porte degli alberghi, nei corridoi delle scuole, delle navi, delle fabbriche, ecc… istruzioni semplici, sintetiche, chiare e corredate da mappe con i percorsi di fuga a colori comprensivi di una simbologia adeguata.
Il dipartimento della protezione civile, in ragione del fatto che il rischio Vesuvio è annoverato come calamità di portata nazionale, ha il compito istituzionale di mettere a punto il piano d’emergenza con annesso piano d’evacuazione. Questa prerogativa che si avvale di commissioni e sottocommissioni e gruppi di lavoro, dura dal 1993. Sono circa diciotto anni quindi, che gli esperti si riuniscono in conclavi, per mettere su carte e ancora carte, e solo carte purtroppo ad oggi senza alcuna utilità operativa, almeno dal punto di vista dell’evacuazione. Nessuna utilità! In tanti anni mai uno straccio di foglio è giunto nelle case dei vesuviani per dire: attenzione! In caso di allarme eruzione fate questo. Mai!
Abbiamo apprezzato moltissimo la pacata trasmissione radiofonica mandata in onda da RADIO3 scienza dal titolo: Lezioni di piano. Non dubitavamo che le interviste le avrebbero fatte a Portici. Comunque, inizialmente un esperto del dipartimento, secondo procedure ampiamente standardizzate e collaudate, pubblicizza come al solito il piano d’evacuazione accennandolo solo a tratti, ma ribadendo subito dopo che è flessibile ed è  in corso di aggiornamento…non ha precisato l’esperto,  che questo  piano si aggiorna di continuo nello stesso luogo da dove non è mai uscito.
Dal trentanovesimo minuto di registrazione in poi, il pubblico intervistato ammette, a onor del vero, di non avere notizie sul piano (e come potrebbero averle…).  Una sola intervistata afferma di aver avuto sotto mano un piano d’evacuazione circa dieci anni fa. In realtà era un vademecum concernente, l’esercitazione Vesuvio 2001, edito dal comune di Portici e distribuito ai porticesi 
in seno all’esercitazione nazionale di  protezione civile che si tenne appunto in quella cittadina dal 27 al 30 settembre 2001. Non possiamo sbagliarci perché è l’unica bozza di piano comunale esistente. Fu una forzatura del comune. Il paradosso di quell’esercitazione fu che il treno con cui si dovevano evacuare diverse centinaia di persone, arrivò con circa un’ora di ritardo… e il catamarano preteso dal comune di Portici per testare la via del mare fu platealmente brillante nel suo operare.
Nel famoso vademecum, fu stabilito che la via di fuga principale per i porticesi fosse l’autostrada A3 (casello di via libertà) e, quindi, l’evacuazione sarebbe avvenuta prevalentemente con autovetture private (iniziativa comunale unilaterale).   Diciamo subito che il comune di Portici anticipò di dodici anni (1999) le conclusioni attuali accennate ufficiosamente nell’intervista radiofonica dall’esperto del dipartimento. Purtroppo il casello di pedaggio sopra citato, strategico al massimo perché ubicato al termine di un’importante e mediana arteria cittadina, è in procinto di essere abolito dai lavori di ammodernamento dell’A3. Ci sarà un unico ingresso per Portici ed Ercolano ubicato ai limiti delle due cittadine: una brutta strozzatura!  La beffa, come abbiamo già citato in altri articoli, consiste pure nel fatto che i lavori autostradali già controproducenti per i porticesi, hanno fagocitato e reso inutilizzabile anche l’area prevista nel piano regolatore quale elisuperficie da utilizzarsi per esigenze di protezione civile. Eppure parliamo di un comune fortemente urbanizzato (12.000 ab. Per kmq.). Che dire…
Intanto le autorità dovrebbero evitare rassicurazioni implicite dichiarando attivo un piano d’evacuazione che non c’è. In questo modo non si incorre nell’errore  che fu fatto nella città dell’Aquila pochi giorni prima del terremoto del 6 aprile 2009. In quell’occasione, alcuni componenti della commissione grandi rischi tranquillizzarono gli aquilani sul fatto che i frequenti sisma non avrebbero superato una certa soglia. Per qualcuno questa indicazione, purtroppo risultò  fatale.
Ai cittadini bisogna quindi dire chiaramente e a larghe lettere la verità! Chi s’insedia abusivamente o lecitamente nell’area vesuviana, si sottopone a un rischio non mitigabile con certezza in termini di salvaguardia. Se con quest’affermazione poi crolla il mercato immobiliare e i sindaci e gli assessori dovranno darsi da fare per rispondere a tante domande concernenti il loro (in)operato, non  è un problema di chi ha il compito di garantire la sicurezza. Intanto il dipartimento della protezione civile dovrebbe spiegarci quanto ci sono costati diciotto anni di commissioni e sottocommissioni e dov’è il piano di evacuazione! Domande che è lecito fare se si vive in una grande democrazia…Perché noi siamo una grande democrazia vero?