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lunedì 30 marzo 2015

Rischio Vesuvio: gli incubi del prefetto Gabrielli...di Malko


  
Rischio Vesuvio: un vulcano da incubo..." di MalKo

Recitano i giornali che il capo della protezione civile Franco Gabrielli ha raccontato che il Vesuvio e un possibile terremoto in Calabria sono le due condizioni di rischio che gli tolgono il sonno… L’analisi è assolutamente da condividere con qualche precisazione che riguarda il suo dicastero a proposito del piano di evacuazione che ancora non salta fuori dai famosi cassetti.

In molte pubblicazioni ad oggetto il rischio vulcanico si evidenziano come i danni subiti dalle popolazioni sarebbero generalmente rapportati all’energia che sprizzerebbe fuori dal sottosuolo, secondo alcune logiche che evidenziano uno stretto collegamento tra l’energia liberata sotto forma di eruzione, le fenomenologie vulcaniche e la superficie territoriale coinvolta.
Tutti dati che non è possibile reperire a priori perché l’incognita sul quando e con quanta energia si verificherà la prossima eruzione del Vesuvio, rimane un’irrisolvibile equazione matematica che grava sull’agglomerato urbano vesuviano. Almeno oggi…domani chissà!

Alcuni ricercatori per rispondere al duplice interrogativo appena prospettato, e soprattutto per fornire elementi di valutazione alla parte politica e istituzionale che ha responsabilità dirette nella gestione del territorio a rischio, hanno elaborato studi statistici pubblicando alla fine percentuali probabilistiche sull’eruzione che verrà. Una sorta di proiezioni con la differenza che qui il campione rappresentativo (eruzioni) è numericamente irrisorio e oltremodo datato. Diciamo che ci provano a ipotizzare le energie che verrebbero messe in gioco per capire quanto territorio verrebbe interessato dalle varie fenomenologie… ma sul quando avverrà nessuna proiezione al mondo potrebbe avere un minimo di utilità pratica. Lo stesso dicasi per il rischio sismico che è ancora più imprevedibile e meno puntiforme della bocca di un vulcano. Di contro però, strategie costruttive antisismiche possono ridurre significativamente le conseguenze per le popolazioni esposte. Di fronte a un flusso piroclastico invece, non c’è difesa di superficie che tenga.

Una ripresa eruttiva con eruzione di tipo VEI 3 viene data quantitativamente parlando probabile, semmai il Vesuvio dovesse interrompere il suo stato di quiete nell’arco dei prossimi 130 anni. Nella peggiore delle ipotesi assisteremmo a una VEI 4 dicono gli esperti analisti, cioè a una eruzione di tipo sub pliniana simile a quella che flagellò l’area vesuviana nel 1631. L’eruzione pliniana (VEI 5), quella famosa di Pompei e Avellino, è stata letteralmente esclusa negli scenari di rischio elaborati dall’insonne capo Dipartimento della Protezione Civile.

Il  Prefetto Gabrielli sa perfettamente che in Italia il rischio lo si vuole maneggiare senza rinunce e senza scontentare gli amministratori regionali e comunali che hanno dalla loro il disinteresse di non poca parte della popolazione vesuviana che affronta il problema Vesuvio con una semplice alzata di spalle.
C’è poi la minoranza silenziosa che vive con ansia la sua condizione di promiscuità con il vulcano, e se non va via dalla plaga a rischio è solo perché l’informazione gli propina un quadro di iniziative rassicuranti, edulcorate e senza approfondimenti. Le notizie date in un certo modo implicitamente diffondono fiducia nello Stato di diritto che dovrebbe garantire ad ogni cittadino il bisogno sociale di sicurezza. Purtroppo non è così e la storia dell’Aquila, del terremoto  e della commissione grandi rischi che poi non era commissione, così dicono in quel contesto generatosi il 31 marzo 2009, dovrebbe far riflettere sulle necessità di indipendenza della scienza dal mondo dei gatti e delle volpi. La sicurezza e le tutele non possono essere di apparenza…

Al Capo Dipartimento manca l’arma della prevenzione, e forse pure quella dell’interventistica perché non siamo sicuri che prima della sua prossima destinazione funzionale il prefetto Gabrielli riuscirà a battezzare un serio piano di evacuazione per l’area vesuviana di cui auspichiamo di avere presto notizie in rete. Un piano tra l’altro, che al Prefetto compete direttamente e istituzionalmente (piano di livello nazionale), anche se condivide il fardello con la Regione Campania rappresentata dall’assessore Edoardo Cosenza. Il vulcanico amministratore a tal proposito pubblicizza la carta strategica  evacuativa con la fine dei lavori per la realizzazione della terza corsia sull’autostrada A3 Napoli – Salerno, senza dare enfasi al fatto che da Pompei a Salerno le corsie sono e saranno tombalmente due e senza corsia di emergenza…

Lo spigoloso capo dipartimento ha dimostrato zelo da vendere, intimando ai parenti di alcune delle vittime del terremoto dell’Aquila la restituzione delle somme percepite in anticipo quali danni dovuti dalle rassicurazioni ricevute da un ex dirigente della protezione civile. Tecnicamente parlando avrebbe dovuto profondere pari piglio nel campo della prevenzione, magari valutando bene i contorni della nuova zona rossa e le complicanze tecniche e amministrative che tale scelta ha determinato.
Infatti, contrariamente al battiage pubblicitario, il diametro della zona rossa a maggior rischio vulcanico in realtà si è ristretto rispetto alla vecchia perimetrazione, mentre si è allargato il diametro dei territori da evacuare all’occorrenza, attraverso un piano di evacuazione che ricordiamo a noi e alla corte di  Strasburgo e alla Procura di Torre Annunziata, ancora non c’è.

Non è semplice spiegare bene questo concetto della zona rossa per chi non segue l’argomento da tempo e con attenzione, ma è necessario cercare di comprendere astuzie e ingenuità, visto che in gioco ci sono le vite dei burattini vesuviani odierni e futuri.
Il Comune di Boscoreale con sentenza del tribunale amministrativo regionale (TAR) n° 02561/del 05.08.2014 si è visto riconoscere il diritto ad estrapolare la parte di territorio comunale eccedente la linea nera Gurioli, in modo da uscire dalla tenaglia regionale che vieta l’edificato residenziale e i condoni edilizi nella zona vulcanica a maggior rischio (Rossa 1). La sentenza del TAR infatti, ha accolto il ricorso del Comune di Boscoreale e per tale motivo la Regione Campania nonostante il grande impegno dell'assessore Edoardo Cosenza, dovrà procedere alla ridefinizione della zona rossa 1 che sarà, in assenza di volontà specifiche dei comuni o decreti governativi, coincidente totalmente con l’area definita dalla linea nera Gurioli. La sentenza infatti, sostanzialmente lascia intendere che la Regione non può sostituirsi alla commissione grandi rischi (consesso scientifico) nella definizione della zona a maggior pericolo identificata appunto col perimetro Gurioli.

Boscoreale prima della sentenza TAR:
 intero territorio in rossa1
La mappa a sinistra mostra il comune di Boscoreale prima della sentenza del TAR. Tutto il comprensorio è in zona rossa 1 e quindi come detto soggetto alla legge regionale 21 del 2003 che vieta l’edilizia residenziale. La cartina sottostante invece,mostra il Comune di Boscoreale dopo la sentenza del TAR del 2014. Come vedete la parte eccedente la linea nera Gurioli deve 
Boscoreale dopo la sentenza TAR: territorio suddiviso
dalla linea nera in rossa 1 e rossa 2
intendersi amministrativamente in zona rossa 2. Cos’è la zona rossa 2? Una parte di territorio dove si dovrà scappare a gambe levate in caso di allarme vulcanico ma nel contempo è ancora possibile costruire con tanto di licenza edilizia e condonare gli abusi edilizi… Ovviamente le sentenza fanno giurisprudenza e,quindi, ciò che vale per Boscoreale vale pure per gli altri comuni attraversati dal segmento Gurioli, tra cui Pompei, Torre Annunziata e altri..

Con la sentenza del TAR tutte le casette in rosso nella mappa sottostante si trasformeranno in verde. La linea Gurioli sarà quindi destinata ad avere una crescente importanza al catasto quale limite di inedificabilità totale piuttosto che un limite scientifico di pericolo, tra l’altro di taglio deterministico…
Difficile dormire con queste schizofrenie amministrative… alla fine rimane solo l'amarezza nel constatare che lo stesso Stato è produttore di rischio in un mondo che pare quello di Collodi e l’informazione che dovrebbe puntare su un giornalismo investigativo quale valore della democrazia, si riduce invece alla pubblicazione in serie delle veline passate dalle varie segreterie... 


Le casette rosse identificano il territorio soggetto inizialmente all'inedificabilità residenziale. Con la sentenza del TAR del 2014  l'area compresa tra il tracciato rosso e nero diventa Rossa 2 e sarà quindi possibile edificare e condonare gli abusi edilizi.

domenica 22 giugno 2014

Rischio Vesuvio e l' abusivismo edilizio da obliare...di Malko

La plaga vesuviana e il Vesuvio visti dai monti Lattari

“Rischio Vesuvio e abusivismo edilizio: un decreto legge 
propone l’oblio.”   di Malko
Al senato è stato presentato  un Decreto Legge riguardante l’abusivismo edilizio in Campania, che ha nelle sue fondamenta ispiratrici alcune semplici considerazioni così riassumibili.  In alcune province campane, tra cui Napoli, si contano ben 270.000 costruzioni abusive. Ci sono soldi per abbatterne appena 1000 all’anno. Il senatore che ha proposto la legge, ha ravvisato nella sua iniziativa parlamentare la necessità di stilare una graduatoria delle priorità di demolizione, che dovranno contemplare primamente quelle pericolanti, e poi quelle realizzate dalle organizzazioni criminali e quindi quelle speculative, e solo in ultimo la scaletta degli abbattimenti potrà annoverare  le case abusive realizzate secondo le discutibile logiche della necessità abitativa, considerata un male minore in un contesto territoriale fatto di molti vincoli e poca pianificazione dello sviluppo sostenibile.
A conti fatti però, il pallottoliere riferisce che gli abusivi potrebbero tranquillamente vivere nei manufatti fuorilegge per  decine e decine di anni. Con i numeri in gioco era prevedibile e scontato che le associazioni ambientalistiche avrebbero subito gridato al condono edilizio mascherato… Qualcun altro ancora invece, si chiede se i proprietari degli edifici che si propone di relegare in un limbo amministrativo, hanno pagato e pagheranno le tasse alla stregua di quelli interamente immersi nell’inferno del balzello e senza alcuna scappatoia…
A ben pensarci è veramente straordinario il concetto contenuto nel decreto proposto, che salva capre e cavoli, cioè legalità e bisogno, prevedendo un congelamento della pratica di abbattimento per decine e decine di anni. 
La strategia consisterebbe nel relegare nel futuro la trattazione della faccenda penale che nel frattempo diventa amministrativa, e che potrebbe consistere in un abbattimento del mattone fuorilegge con un attimo di secolare ritardo, magari rivalendosi sui dolosi del cemento che dovrebbero  essere addirittura gli eredi e,quindi, totalmente incolpevoli dei reati ascritti ai loro avi…
Il primo cittadino di Torre del Greco è anche il primo fan di questa proposta; per sollecitare l’approvazione del DDL Falanga infatti, ha chiesto e ottenuto l’appoggio dei colleghi di Nola, Cercola, Pollena Trocchia, San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania, San Giorgio a Cremano, Ottaviano, Terzigno, Massa di Somma, Boscotrecase, Scafati, Trecase, Torre Annunziata, Boscoreale, Ercolano e San Sebastiano al Vesuvio. Tutti comuni in febbrile attesa per raccogliere i frutti di questa geniale proposta di salomonica politica. Municipi accomunati fra loro anche e soprattutto dalla condivisione del rischio vulcanico e dall’assenza di un piano di evacuazione utile per salvaguardare i cittadini amministrati, abusivi compresi. Queste amministrazioni  infatti, rientrano tutte nella zona rossa a sfollamento totale in caso di allarme vulcanico. Di seguito un promemoria…

Boscoreale
Zona rossa 1

San Giorgio a Cremano
Zona rossa 1
Boscotrecase
Zona rossa 1

San Giuseppe
Vesuviano         
Zona rossa 1
Cercola
Zona rossa 1

San sebastiano al
Vesuvio
Zona rossa 1
Ercolano
Zona rossa 1

Scafati
Zona rossa 2
Massa di somma
Zona rossa 1

Terzigno
Zona rossa 1
Nola
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona gialla
Zona blu

Torre annunziata
Zona rossa 1
Ottaviano
Zona rossa 1

Torre del Greco
Zona rossa 1
Palma Campania
Zona rossa 1:
(parziale)
Zona rossa 2

Trecase
Zona rossa 1
Pollena Trocchia
Zona rossa 1




La zona rossa 1 (R1), lo ricordiamo per i nuovi lettori, è quella invadibile, in caso di eruzione sub pliniana o pliniana, dalle colate piroclastiche, cioè qualcosa di molto simile a una valanga di fuoco che, dalla colonna eruttiva che s'innalza per chilometri verso l’alto, si stacca scivolando ad altissima velocità sui fianchi del vulcano distruggendo e bruciando ogni cosa sul suo cammino e nel giro di pochi minuti.
La zona rossa 2 invece, riguarda quei territori dove è più probabile che la pioggia di cenere e lapillo possa assumere valori di invivibilità già nelle prime fasi dell’eruzione. Si prevedono sommovimenti accentuati degli edifici sovraccaricati; crollo dei solai di copertura; fermo dei motori e difficoltà anche gravi della respirazione. Tant'è che entrambe le zone rosse  (R1 e R2), per i motivi suddetti, ricadono  nella zona  a evacuazione totale e preventiva.


(rischio Vesuvio) La zona rossa di evacuazione totale

Secondo l’oramai noto principio di precauzione e alcune logiche legate anche al disposto giuridico di colpa cosciente, ben difficilmente lo Stato potrà dilazionare l’abbattimento di abitazioni costruite in un sedime a rischio. Che sia o meno un abuso di necessità infatti, non risolve la premessa iniziale che trattasi di zone sottoposte a un pericolo immanente.
Intanto queste notizie relative a una possibile risoluzione del problema abusi edilizi, fosse anche di semplice dilazione dei tempi d’abbattimento, non fanno altro che offrire un input in più alle bitumiere che languono  ma insonni all’ombra del vulcano in attesa degli eventi.
Occorrerebbe poi una commissione d’inchiesta che spieghi com’è possibile che in una zona rossa fortemente a rischio siano stati realizzati migliaia di fabbricati abusivi senza che nessuno si sia accorto sul nascere della pervasività del fenomeno cementizio. Un'accidia incredibile... Tutti orbi sordi e muti?
Saremmo pronti anche a sostenere le logiche di un condono edilizio nel vesuviano perchè il problema c'è ed è smisuratamente grande, ma solo dopo che siano stati formalizzati alcuni tombali capisaldi regolamentari, tra cui il divieto di vendere la residenza sanata, dando poi forza al principio di destituzione del sindaco per abuso edilizio rapportato all’omessa vigilanza del territorio di pertinenza.

Molti forse non sanno che uno dei pochi casi in Italia di rimozione del primo cittadino per incapacità nel frenare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, si registrò proprio  nel tenimento di Terzigno... una cittadina che è stata per anni la vera punta di diamante dell’abusivismo edilizio nella zona rossa Vesuvio. 

lunedì 27 maggio 2013

Vesuvio:quale piano d'emergenza?


"Il piano di emergenza nazionale rischio Vesuvio: lezioni 
di piano 2" di MalKo

Ogni volta che guardate una trasmissione televisiva o ascoltate un programma radiofonico o leggete quotidiani e riviste scientifiche ad oggetto il Vesuvio, sentirete o leggerete sempre le stesse cose:<<… è il vulcano più pericoloso del mondo e per questo è stato redatto un dettagliato piano d’emergenza dal Dipartimento della Protezione Civile, per mettere in salvo gli oltre seicentomila abitanti della plaga vesuviana, nel momento in cui si coglieranno con largo anticipo le variazione dei parametri controllati del vulcano, nel senso dell’eruzione …>>.
Molto spesso queste affermazioni provengono scontatamente dal personale del noto dipartimento. Altre volte invece, le forniscono docenti e ricercatori ed esperti di settore. Per lo più usano, tranne qualche rarissima eccezione, un linguaggio di benevole fiducia sull’argomento piani, che accennano senza approfondire, prediligendo di contro la trattazione geologica, che ben si presta a disquisizioni e approfondimenti di ogni genere. Inevitabilmente quindi, il piano d’evacuazione è lasciato in sordina e richiamato solo per le sue finalità, senza entrare nel merito dei contenuti. D’altra parte è un problema tecnico e non scientifico. E i tecnici non ne parlano.
Il piano d’emergenza contiene in prima battuta le conclusioni del mondo scientifico (INGV), relativamente agli scenari ipotizzati in caso di ripresa dell’attività eruttiva.  L’evento massimo che potrebbe manifestarsi (EMA) nel medio termine, hanno stimato possa essere un’eruzione simile a quella che avvenne nel 1631: particolarmente distruttiva ma limitata al comprensorio vesuviano (i diciotto comuni dell’area rossa). Ovviamente c’è chi ritiene necessario, in assenza di certezza matematiche, non tarare i piani sul massimo atteso ma sul massimo possibile (conosciuto), che potrebbe  essere una pliniana del tipo Avellino. In questo caso i fenomeni investirebbero anche la città di Napoli. La differenza in termini di vite umane esposte al pericolo cambierebbe significativamente.
Restando sulle stime che caratterizzarono gli eventi del 1631, sono state individuate tre distinte aree su cui possono abbattersi i fenomeni  vulcanici: la zona rossa, quella gialla e quella blu.
Ovviamente la zona rossa potrebbe essere investita dalle micidiali nubi ardenti, caldissime e velocissime.  Secondo le strategie del piano quindi, la zona rossa sarebbe evacuata per prima in caso di allarme. Dalla gialla la popolazione smobiliterebbe solo con eruzione in corso. Gli strateghi, infatti, ritengono fattibile una tale operazione anche durante la ricaduta di cenere e lapillo.
Premesso che la zona blu di base è una zona gialla, valgono le regole già previste per quest’ultima. Ovviamente nel settore blu sussiste l’aggiunta e l’aggravante di possibili fenomeni alluvionali indotti  dall’eruzione.
Gli evacuati della zona rossa dovrebbero raggiungere varie regioni d’Italia con cui ogni comune vesuviano è gemellato (così dicono). Quelli della zona gialla attenderebbero invece lo scemare dei fenomeni nell’ambito della stessa regione Campania, presumibilmente addossati nelle piane del Sele e del Volturno e relative fasce costiere dove si contano numerosi complessi turistici.
In termini operativi, i passaggi alle varie fasi (quattro) sono dettati dai corrispettivi livelli di allerta geologica (quattro). Col “rosso” scatterebbe l’evacuazione dell’intera zona appunto rossa, e degli stessi soccorritori che arretrerebbero nella zona gialla.
Nel merito dei tempi a disposizione per mettersi in salvo, furono azzardate cifre molto ottimistiche fino agli anni ’90. Nella revisione del 2001 si optò per sette giorni, mentre oggi ufficiosamente si sa che i tempi di fuga dovranno essere misurati in tre giorni.
Per le strategie di allontanamento dovrà farsi riferimento, come detto, al piano d’evacuazione che è un annesso del piano d’emergenza nazionale Vesuvio.
In realtà questo piano, drammaticamente e inutilmente generico, è fermo ai disposti del 2001, tra l’altro ancora vigenti. Come vettori di trasferimento della popolazione furono previsti treno, autobus e, solo per i capifamiglia, l’autovettura.
Il naviglio leggero (aliscafi e catamarani) non fu preso in considerazione come trasporto alternativo marittimo, pare perché gli analisti temevano tra i prodromi eruttivi un significativo rigonfiamento dei suoli costieri che avrebbero reso inservibili i porti.
Agli assertori di tale teoria però, è sfuggito che la ferrovia passa a pochi metri dal mare e per lunghi tratti confina con gli scogli.  Ai binari bastano pochi centimetri di disallineamento per diventare inservibili. Addirittura dopo ogni scossa sismica di una certa consistenza, ed è prassi mondiale, bisogna interrompere il transito dei vagoni fino a quando non s’ispeziona la linea ferrata con un carrello. Anche i terremoti rientrano nei prodromi…
Sempre gli strateghi hanno poi cacciato il coniglio dal cappello: consentiranno a ogni capo famiglia di mettere i materassi e i bagagli in macchina e andarsene lestamente nella regione di destinazione.  Lì da qualche parte poi, aspetteranno moglie e figli che dovranno salvarsi autonomamente con qualche tradotta, tra i sussulti litosferici, i tremori vulcanici e la calca impazzita che non conosce regole.
I cittadini di Boscoreale invece, dovranno andare via, sempre col treno, partendo dalla locale stazione delle ferrovie dello Stato. Missione ardua perché la linea ferrata è stata completamente dismessa da anni, con rimozione addirittura della tratta aerea elettrificata e delle sbarre ai passaggi a livello.
I cittadini di Portici, dovrebbero porsi al sicuro prendendo invece il treno a San Giovanni a Teduccio (Napoli), perché la loro stazione ubicata a ridosso del porto del Granatello, dovrà essere usata dagli abitanti di Ercolano che non hanno fermate ferroviarie. Si tratterebbe di un atto di generosità e di altruismo…
Potremmo continuare aggiungendo incongruenze organizzative, paradossi e altro che riguardano anche la semplice organizzazione operativa. I pochi esempi fatti però, dovrebbero essere sufficienti per intuire la bontà di un prodotto inutile  e per questo solo pubblicizzato. La parte geologica invece, è  ampiamente  trattata in ogni dove, estero compreso. Ecco perché passa la tesi di un grande piano d’emergenza…
L’attuale pseudo piano di evacuazione per l’area vesuviana quindi, è un insieme di carte e numeri senza alcuna utilità operativa. Un vero piano di evacuazione è idealmente quello che di norma è  affisso dietro le porte degli alberghi, nei corridoi delle scuole, delle navi, delle fabbriche, ecc… istruzioni semplici, sintetiche, chiare e corredate da mappe con i percorsi di fuga a colori comprensivi di una simbologia adeguata.
Il dipartimento della protezione civile, in ragione del fatto che il rischio Vesuvio è annoverato come calamità di portata nazionale, ha il compito istituzionale di mettere a punto il piano d’emergenza con annesso piano d’evacuazione. Questa prerogativa che si avvale di commissioni e sottocommissioni e gruppi di lavoro, dura dal 1993. Sono circa diciotto anni quindi, che gli esperti si riuniscono in conclavi, per mettere su carte e ancora carte, e solo carte purtroppo ad oggi senza alcuna utilità operativa, almeno dal punto di vista dell’evacuazione. Nessuna utilità! In tanti anni mai uno straccio di foglio è giunto nelle case dei vesuviani per dire: attenzione! In caso di allarme eruzione fate questo. Mai!
Abbiamo apprezzato moltissimo la pacata trasmissione radiofonica mandata in onda da RADIO3 scienza dal titolo: Lezioni di piano. Non dubitavamo che le interviste le avrebbero fatte a Portici. Comunque, inizialmente un esperto del dipartimento, secondo procedure ampiamente standardizzate e collaudate, pubblicizza come al solito il piano d’evacuazione accennandolo solo a tratti, ma ribadendo subito dopo che è flessibile ed è  in corso di aggiornamento…non ha precisato l’esperto,  che questo  piano si aggiorna di continuo nello stesso luogo da dove non è mai uscito.
Dal trentanovesimo minuto di registrazione in poi, il pubblico intervistato ammette, a onor del vero, di non avere notizie sul piano (e come potrebbero averle…).  Una sola intervistata afferma di aver avuto sotto mano un piano d’evacuazione circa dieci anni fa. In realtà era un vademecum concernente, l’esercitazione Vesuvio 2001, edito dal comune di Portici e distribuito ai porticesi 
in seno all’esercitazione nazionale di  protezione civile che si tenne appunto in quella cittadina dal 27 al 30 settembre 2001. Non possiamo sbagliarci perché è l’unica bozza di piano comunale esistente. Fu una forzatura del comune. Il paradosso di quell’esercitazione fu che il treno con cui si dovevano evacuare diverse centinaia di persone, arrivò con circa un’ora di ritardo… e il catamarano preteso dal comune di Portici per testare la via del mare fu platealmente brillante nel suo operare.
Nel famoso vademecum, fu stabilito che la via di fuga principale per i porticesi fosse l’autostrada A3 (casello di via libertà) e, quindi, l’evacuazione sarebbe avvenuta prevalentemente con autovetture private (iniziativa comunale unilaterale).   Diciamo subito che il comune di Portici anticipò di dodici anni (1999) le conclusioni attuali accennate ufficiosamente nell’intervista radiofonica dall’esperto del dipartimento. Purtroppo il casello di pedaggio sopra citato, strategico al massimo perché ubicato al termine di un’importante e mediana arteria cittadina, è in procinto di essere abolito dai lavori di ammodernamento dell’A3. Ci sarà un unico ingresso per Portici ed Ercolano ubicato ai limiti delle due cittadine: una brutta strozzatura!  La beffa, come abbiamo già citato in altri articoli, consiste pure nel fatto che i lavori autostradali già controproducenti per i porticesi, hanno fagocitato e reso inutilizzabile anche l’area prevista nel piano regolatore quale elisuperficie da utilizzarsi per esigenze di protezione civile. Eppure parliamo di un comune fortemente urbanizzato (12.000 ab. Per kmq.). Che dire…
Intanto le autorità dovrebbero evitare rassicurazioni implicite dichiarando attivo un piano d’evacuazione che non c’è. In questo modo non si incorre nell’errore  che fu fatto nella città dell’Aquila pochi giorni prima del terremoto del 6 aprile 2009. In quell’occasione, alcuni componenti della commissione grandi rischi tranquillizzarono gli aquilani sul fatto che i frequenti sisma non avrebbero superato una certa soglia. Per qualcuno questa indicazione, purtroppo risultò  fatale.
Ai cittadini bisogna quindi dire chiaramente e a larghe lettere la verità! Chi s’insedia abusivamente o lecitamente nell’area vesuviana, si sottopone a un rischio non mitigabile con certezza in termini di salvaguardia. Se con quest’affermazione poi crolla il mercato immobiliare e i sindaci e gli assessori dovranno darsi da fare per rispondere a tante domande concernenti il loro (in)operato, non  è un problema di chi ha il compito di garantire la sicurezza. Intanto il dipartimento della protezione civile dovrebbe spiegarci quanto ci sono costati diciotto anni di commissioni e sottocommissioni e dov’è il piano di evacuazione! Domande che è lecito fare se si vive in una grande democrazia…Perché noi siamo una grande democrazia vero?