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lunedì 27 maggio 2013

Vesuvio:quale piano d'emergenza?


"Il piano di emergenza nazionale rischio Vesuvio: lezioni 
di piano 2" di MalKo

Ogni volta che guardate una trasmissione televisiva o ascoltate un programma radiofonico o leggete quotidiani e riviste scientifiche ad oggetto il Vesuvio, sentirete o leggerete sempre le stesse cose:<<… è il vulcano più pericoloso del mondo e per questo è stato redatto un dettagliato piano d’emergenza dal Dipartimento della Protezione Civile, per mettere in salvo gli oltre seicentomila abitanti della plaga vesuviana, nel momento in cui si coglieranno con largo anticipo le variazione dei parametri controllati del vulcano, nel senso dell’eruzione …>>.
Molto spesso queste affermazioni provengono scontatamente dal personale del noto dipartimento. Altre volte invece, le forniscono docenti e ricercatori ed esperti di settore. Per lo più usano, tranne qualche rarissima eccezione, un linguaggio di benevole fiducia sull’argomento piani, che accennano senza approfondire, prediligendo di contro la trattazione geologica, che ben si presta a disquisizioni e approfondimenti di ogni genere. Inevitabilmente quindi, il piano d’evacuazione è lasciato in sordina e richiamato solo per le sue finalità, senza entrare nel merito dei contenuti. D’altra parte è un problema tecnico e non scientifico. E i tecnici non ne parlano.
Il piano d’emergenza contiene in prima battuta le conclusioni del mondo scientifico (INGV), relativamente agli scenari ipotizzati in caso di ripresa dell’attività eruttiva.  L’evento massimo che potrebbe manifestarsi (EMA) nel medio termine, hanno stimato possa essere un’eruzione simile a quella che avvenne nel 1631: particolarmente distruttiva ma limitata al comprensorio vesuviano (i diciotto comuni dell’area rossa). Ovviamente c’è chi ritiene necessario, in assenza di certezza matematiche, non tarare i piani sul massimo atteso ma sul massimo possibile (conosciuto), che potrebbe  essere una pliniana del tipo Avellino. In questo caso i fenomeni investirebbero anche la città di Napoli. La differenza in termini di vite umane esposte al pericolo cambierebbe significativamente.
Restando sulle stime che caratterizzarono gli eventi del 1631, sono state individuate tre distinte aree su cui possono abbattersi i fenomeni  vulcanici: la zona rossa, quella gialla e quella blu.
Ovviamente la zona rossa potrebbe essere investita dalle micidiali nubi ardenti, caldissime e velocissime.  Secondo le strategie del piano quindi, la zona rossa sarebbe evacuata per prima in caso di allarme. Dalla gialla la popolazione smobiliterebbe solo con eruzione in corso. Gli strateghi, infatti, ritengono fattibile una tale operazione anche durante la ricaduta di cenere e lapillo.
Premesso che la zona blu di base è una zona gialla, valgono le regole già previste per quest’ultima. Ovviamente nel settore blu sussiste l’aggiunta e l’aggravante di possibili fenomeni alluvionali indotti  dall’eruzione.
Gli evacuati della zona rossa dovrebbero raggiungere varie regioni d’Italia con cui ogni comune vesuviano è gemellato (così dicono). Quelli della zona gialla attenderebbero invece lo scemare dei fenomeni nell’ambito della stessa regione Campania, presumibilmente addossati nelle piane del Sele e del Volturno e relative fasce costiere dove si contano numerosi complessi turistici.
In termini operativi, i passaggi alle varie fasi (quattro) sono dettati dai corrispettivi livelli di allerta geologica (quattro). Col “rosso” scatterebbe l’evacuazione dell’intera zona appunto rossa, e degli stessi soccorritori che arretrerebbero nella zona gialla.
Nel merito dei tempi a disposizione per mettersi in salvo, furono azzardate cifre molto ottimistiche fino agli anni ’90. Nella revisione del 2001 si optò per sette giorni, mentre oggi ufficiosamente si sa che i tempi di fuga dovranno essere misurati in tre giorni.
Per le strategie di allontanamento dovrà farsi riferimento, come detto, al piano d’evacuazione che è un annesso del piano d’emergenza nazionale Vesuvio.
In realtà questo piano, drammaticamente e inutilmente generico, è fermo ai disposti del 2001, tra l’altro ancora vigenti. Come vettori di trasferimento della popolazione furono previsti treno, autobus e, solo per i capifamiglia, l’autovettura.
Il naviglio leggero (aliscafi e catamarani) non fu preso in considerazione come trasporto alternativo marittimo, pare perché gli analisti temevano tra i prodromi eruttivi un significativo rigonfiamento dei suoli costieri che avrebbero reso inservibili i porti.
Agli assertori di tale teoria però, è sfuggito che la ferrovia passa a pochi metri dal mare e per lunghi tratti confina con gli scogli.  Ai binari bastano pochi centimetri di disallineamento per diventare inservibili. Addirittura dopo ogni scossa sismica di una certa consistenza, ed è prassi mondiale, bisogna interrompere il transito dei vagoni fino a quando non s’ispeziona la linea ferrata con un carrello. Anche i terremoti rientrano nei prodromi…
Sempre gli strateghi hanno poi cacciato il coniglio dal cappello: consentiranno a ogni capo famiglia di mettere i materassi e i bagagli in macchina e andarsene lestamente nella regione di destinazione.  Lì da qualche parte poi, aspetteranno moglie e figli che dovranno salvarsi autonomamente con qualche tradotta, tra i sussulti litosferici, i tremori vulcanici e la calca impazzita che non conosce regole.
I cittadini di Boscoreale invece, dovranno andare via, sempre col treno, partendo dalla locale stazione delle ferrovie dello Stato. Missione ardua perché la linea ferrata è stata completamente dismessa da anni, con rimozione addirittura della tratta aerea elettrificata e delle sbarre ai passaggi a livello.
I cittadini di Portici, dovrebbero porsi al sicuro prendendo invece il treno a San Giovanni a Teduccio (Napoli), perché la loro stazione ubicata a ridosso del porto del Granatello, dovrà essere usata dagli abitanti di Ercolano che non hanno fermate ferroviarie. Si tratterebbe di un atto di generosità e di altruismo…
Potremmo continuare aggiungendo incongruenze organizzative, paradossi e altro che riguardano anche la semplice organizzazione operativa. I pochi esempi fatti però, dovrebbero essere sufficienti per intuire la bontà di un prodotto inutile  e per questo solo pubblicizzato. La parte geologica invece, è  ampiamente  trattata in ogni dove, estero compreso. Ecco perché passa la tesi di un grande piano d’emergenza…
L’attuale pseudo piano di evacuazione per l’area vesuviana quindi, è un insieme di carte e numeri senza alcuna utilità operativa. Un vero piano di evacuazione è idealmente quello che di norma è  affisso dietro le porte degli alberghi, nei corridoi delle scuole, delle navi, delle fabbriche, ecc… istruzioni semplici, sintetiche, chiare e corredate da mappe con i percorsi di fuga a colori comprensivi di una simbologia adeguata.
Il dipartimento della protezione civile, in ragione del fatto che il rischio Vesuvio è annoverato come calamità di portata nazionale, ha il compito istituzionale di mettere a punto il piano d’emergenza con annesso piano d’evacuazione. Questa prerogativa che si avvale di commissioni e sottocommissioni e gruppi di lavoro, dura dal 1993. Sono circa diciotto anni quindi, che gli esperti si riuniscono in conclavi, per mettere su carte e ancora carte, e solo carte purtroppo ad oggi senza alcuna utilità operativa, almeno dal punto di vista dell’evacuazione. Nessuna utilità! In tanti anni mai uno straccio di foglio è giunto nelle case dei vesuviani per dire: attenzione! In caso di allarme eruzione fate questo. Mai!
Abbiamo apprezzato moltissimo la pacata trasmissione radiofonica mandata in onda da RADIO3 scienza dal titolo: Lezioni di piano. Non dubitavamo che le interviste le avrebbero fatte a Portici. Comunque, inizialmente un esperto del dipartimento, secondo procedure ampiamente standardizzate e collaudate, pubblicizza come al solito il piano d’evacuazione accennandolo solo a tratti, ma ribadendo subito dopo che è flessibile ed è  in corso di aggiornamento…non ha precisato l’esperto,  che questo  piano si aggiorna di continuo nello stesso luogo da dove non è mai uscito.
Dal trentanovesimo minuto di registrazione in poi, il pubblico intervistato ammette, a onor del vero, di non avere notizie sul piano (e come potrebbero averle…).  Una sola intervistata afferma di aver avuto sotto mano un piano d’evacuazione circa dieci anni fa. In realtà era un vademecum concernente, l’esercitazione Vesuvio 2001, edito dal comune di Portici e distribuito ai porticesi 
in seno all’esercitazione nazionale di  protezione civile che si tenne appunto in quella cittadina dal 27 al 30 settembre 2001. Non possiamo sbagliarci perché è l’unica bozza di piano comunale esistente. Fu una forzatura del comune. Il paradosso di quell’esercitazione fu che il treno con cui si dovevano evacuare diverse centinaia di persone, arrivò con circa un’ora di ritardo… e il catamarano preteso dal comune di Portici per testare la via del mare fu platealmente brillante nel suo operare.
Nel famoso vademecum, fu stabilito che la via di fuga principale per i porticesi fosse l’autostrada A3 (casello di via libertà) e, quindi, l’evacuazione sarebbe avvenuta prevalentemente con autovetture private (iniziativa comunale unilaterale).   Diciamo subito che il comune di Portici anticipò di dodici anni (1999) le conclusioni attuali accennate ufficiosamente nell’intervista radiofonica dall’esperto del dipartimento. Purtroppo il casello di pedaggio sopra citato, strategico al massimo perché ubicato al termine di un’importante e mediana arteria cittadina, è in procinto di essere abolito dai lavori di ammodernamento dell’A3. Ci sarà un unico ingresso per Portici ed Ercolano ubicato ai limiti delle due cittadine: una brutta strozzatura!  La beffa, come abbiamo già citato in altri articoli, consiste pure nel fatto che i lavori autostradali già controproducenti per i porticesi, hanno fagocitato e reso inutilizzabile anche l’area prevista nel piano regolatore quale elisuperficie da utilizzarsi per esigenze di protezione civile. Eppure parliamo di un comune fortemente urbanizzato (12.000 ab. Per kmq.). Che dire…
Intanto le autorità dovrebbero evitare rassicurazioni implicite dichiarando attivo un piano d’evacuazione che non c’è. In questo modo non si incorre nell’errore  che fu fatto nella città dell’Aquila pochi giorni prima del terremoto del 6 aprile 2009. In quell’occasione, alcuni componenti della commissione grandi rischi tranquillizzarono gli aquilani sul fatto che i frequenti sisma non avrebbero superato una certa soglia. Per qualcuno questa indicazione, purtroppo risultò  fatale.
Ai cittadini bisogna quindi dire chiaramente e a larghe lettere la verità! Chi s’insedia abusivamente o lecitamente nell’area vesuviana, si sottopone a un rischio non mitigabile con certezza in termini di salvaguardia. Se con quest’affermazione poi crolla il mercato immobiliare e i sindaci e gli assessori dovranno darsi da fare per rispondere a tante domande concernenti il loro (in)operato, non  è un problema di chi ha il compito di garantire la sicurezza. Intanto il dipartimento della protezione civile dovrebbe spiegarci quanto ci sono costati diciotto anni di commissioni e sottocommissioni e dov’è il piano di evacuazione! Domande che è lecito fare se si vive in una grande democrazia…Perché noi siamo una grande democrazia vero?

domenica 26 maggio 2013

Rischio Vesuvio:i bruciati vivi dell'eruzione di Pompei


"Rischio Vesuvio: i bruciati vivi" di MalKo
La famosa eruzione di Pompei del 79 dopo Cristo è l’eruzione per eccellenza; ovvero quella che in Italia e non solo, è chiamata in causa per testimoniare la forza distruttrice di un vulcano in eruzione.
Il fenomeno maggiormente distruttivo che segnò nell’antichità Pompei, l’abbiamo più volte detto sono le temibili colate piroclastiche che possono manifestarsi lungo i pendii di un vulcano esplosivo, quando collassa la colonna eruttiva che può ergersi per un bel po’ di chilometri.
Altrimenti chiamate nubi ardenti, queste colate sono tra gli avvenimenti più pericolosi che si possono sviluppare in seno ad un’eruzione, perché sono di difficile prevedibilità e non c’è modo di arginarle preventivamente.
Probabilmente il fatto stesso che non sia un fenomeno che si manifesta in contemporanea con l’inizio dell’eruzione, colse di sorpresa un certo numero di abitanti di Pompei, nel 79 d.C., tant’è che furono letteralmente bruciati dal passaggio della coltre piroclastica surriscaldata. Non è da escludere che costoro dopo i primi parossismi vulcanici siano ritornati alle loro magioni per recuperare il salvabile, non intuendo che i fenomeni più devastanti dovevano ancora manifestarsi e abbattersi su ciò che rimaneva dell’abitato.
Possiamo ipotizzare che a gruppetti si siano avventurati sui luoghi del disastro approfittando forse di una stasi eruttiva per essere poi colti o dall’oscurità o dal ripresentarsi del fenomeno della caduta di cenere che limitava fortemente la visibilità, accampandosi quindi in loco…
La ricerca del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo e degli altri ricercatori italiani Petrone, Pappalardo e Guarino, ha il merito di certificare scientificamente il motivo di quelle morti la cui postura nell’attimo ultimo della vita ci è riproposta dai calchi in gesso, esposti a Pompei e in altri musei suscitando non poca pietà.
Gli esiti dello studio sono riportati nella rivista  National Geographic, così come l’interessante disquisizione scientifica  è riproposta integralmente in inglese nelle pagine del periodico Plos One .

Vesuvio e camera magmatica: intervista alla Dott. Lucia Pappalardo.


Il Vesuvio da Trecase
"Rischio Vesuvio: intervista alla Prof. Lucia Pappalardo" di MalKo
Negli anni novanta, presso le sedi comunali della zona rossa, arrivavano periodicamente delle note via fax diramate dall’Osservatorio Vesuviano, circa gli eventi sismici di magnitudo superiore a una certa soglia minima (2,5 Richter) che avvenivano nel distretto vulcanico del Somma-Vesuvio.
Oltre all’energia registrata, veniva segnalato l’ipocentro del sisma. Ricordiamo bene che alcuni di questi “fuochi” energetici avevano origine a una profondità di alcuni chilometri. Molti ritenevano che la superficialità degli ipocentri, rispetto a una camera magmatica posta a circa dieci chilometri di profondità, lasciasse presagire una risalita del magma in superficie.
Nell’immaginario collettivo la camera magmatica è una sorta di pentola ribollente posta a una certa profondità al di sotto del camino vulcanico. La gente del vesuviano più addentro alla materia, ha quindi sempre arzigogolato disquisendo sia sulla profondità sia sull’estensione di tale struttura geologica, azzardando ipotesi varie sulla pericolosità del Vesuvio. Una pericolosità che molti esperti correlano agli anni che passano tra un’eruzione e un’altra, lasciando intendere che il sistema di “ricarica” energetica del vulcano è direttamente proporzionale al fattore tempo (T). Tant’è che nella determinazione degli scenari eruttivi del Vesuvio è stato indicato come eruzione massima di riferimento, nel breve e medio termine, quella del 1631 (EMA).
La Dott.ssa Lucia Pappalardo
Grazie alla gentile collaborazione della ricercatrice, Dott.ssa Lucia Pappalardo, esperta di ciò che accade nel sottosuolo vulcanico, lì dove il magma si accumula, siamo in grado di offrire ai nostri lettori una disquisizione su camera magmatica e rischio Vesuvio, articolata secondo i dettami di un’intervista che vi proponiamo integralmente.
a) Gentile Dott.ssa, potrebbe chiarirci che cos’è una camera magmatica? Il concetto della pentola che contiene lava è verosimile?

Una camera magmatica è un’area al di sotto della superficie terrestre in cui il magma si accumula per tempi anche relativamente lunghi. Non è una cavità ma un volume di roccia solida (chiamata roccia incassante) attraversata da una fitta rete di fratture riempite di magma (roccia fusa ricca in silice che può contenere anche gas e cristalli) ad altissima temperatura, generalmente tra 800 e 1200°C.
Le camere magmatiche sono molto difficili da identificare anche con le moderne tecniche di indagine, e generalmente si trovano nei primi 10 km di profondità al di sotto dei vulcani attivi della Terra. La camera magmatica è, quindi, la roccia serbatoio che contiene il magma, quest’ultimo si trasforma in lava quando, risalendo in superficie attraverso il condotto vulcanico, erutta in modo effusivo (senza esplosioni). La lava, infatti, ha la stessa composizione del magma da cui deriva, senza però i gas che si liberano durante l’eruzione.
b) I dati più aggiornati cosa dicono in termini di ubicazione ed estensione della camera magmatica del Vesuvio?
La camera magmatica del Vesuvio è estesa 400 chilometri quadrati e si trova a circa otto chilometri di profondità al di sotto del vulcano, cosi come indicato dai dati della tomografia sismica (che è una tecnica di indagine simile alla Tac in medicina). In particolare, vengono generate onde sismiche attraverso delle esplosioni, poi misurando la velocità e direzione delle onde sismiche viene ricostruita una immagine della crosta terrestre al di sotto del vulcano. Questo tipo di indagine ha rivelato quindi che un esteso volume di magma potenzialmente in grado di eruttare in qualsiasi momento è già presente al di sotto del Vesuvio. Tuttavia il magma modifica continuamente le sue caratteristiche chimiche e fisiche poiché raffredda e cristallizza, dal momento che scambia calore con le rocce incassanti più fredde. Solo quando il magma raggiunge un valore critico di viscosità e contenuto in gas sarà in grado di produrre eruzioni fortemente esplosive. I nostri studi sulla velocità di crescita dei cristalli nelle camere magmatiche indicano che i magmi vesuviani raggiungono tali condizioni critiche anche dopo brevi periodi di riposo del vulcano (dell’ordine di alcune decine di anni), e quindi la camera magmatica del Vesuvio potrebbe già contenere magma ricco in silice e gas in grado di produrre anche eruzioni pliniane. Se una eruzione esplosiva di questo tipo dovesse verificarsi, un’area estesa fino ad almeno 15 km dal vulcano sarebbe a rischio di distruzione; questo territorio include anche l’area metropolitana di Napoli fino ad oggi non inserita nel piano di emergenza e abitata da circa 3 milioni di persone. Lo studio di passate eruzioni pliniane al Vesuvio ha infatti dimostrato che il territorio oggi occupato dalla città di Napoli fu distrutto dal passaggio delle cosiddette nubi ardenti. Queste sono valanghe di lapilli e gas vulcanici ad elevata velocità e temperatura, che scorrono lungo i fianchi del vulcano distruggendo ed incenerendo qualunque cosa incontrino sul loro percorso. I depositi di cenere vulcanica lasciati dal passaggio di queste nubi ardenti dell’eruzione pliniana di 4000 anni fa (detta eruzione di Avellino) li abbiamo ritrovati al di sotto del Maschio Angioino al centro della città di Napoli, a testimonianza di questa antica catastrofe .
c) La pericolosità del Vesuvio è correlata in modo direttamente proporzionale al tempo di quiete?
No, oggi sappiamo che per i vulcani simili al Vesuvio non esiste alcuna correlazione tra il tempo di riposo e l’entità della futura eruzione. Un esempio è la famosa eruzione pliniana del 1980 al Monte Saint Helens nello stato di Washington (USA)  che si verificò dopo un breve periodo di riposo del vulcano.
d) Lo studio della camera magmatica potrebbe essere all’origine della previsione di eventi vulcanici?
Per eruttare il magma, presente nella camera, deve aprirsi un passaggio verso la superficie fratturando le rocce al tetto della camera magmatica. Questo insieme di fratture che mette in comunicazione la camera con la superficie viene chiamata condotto vulcanico. Durante la formazione del condotto e la risalita del magma in superficie si originano terremoti, rigonfiamenti del suolo, variazioni della composizione chimica e temperatura dei gas fumarolici. Questi fenomeni sono i cosiddetti precursori delle eruzioni e possono manifestarsi mesi, giorni, o ore prima dell’eruzione; se registrati in superficie dalle reti di monitoraggio possono permettere ai vulcanologi di prevedere l’avvicinarsi di una nuova eruzione.
I nostri studi sulla tessitura delle rocce vesuviane indicano che la risalita dei magmi dalla camera alla superficie può essere molto rapida.  In particolare nel caso di eruzioni pliniane il magma potrebbe raggiungere la superficie in meno di qualche ora. I tempi di risalita sono invece più lunghi e variabili nel corso delle eruzioni effusive. La presenza di un condotto centrale individuato dalla tomografia e i tempi di risalita calcolati con gli studi tessiturali su rocce di passate eruzioni indicano che una eventuale futura eruzione pliniana al Vesuvio avrà luogo in corrispondenza del cono vulcanico e che una volta fratturato il tetto della camera magmatica, il processo eruttivo potrebbe svilupparsi anche in poche ore, con un breve pre-allarme.
e) I tre distretti vulcanici campani, Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia non hanno nessuna interconnessione in termini di lava e magma?
I nostri studi basati sulle caratteristiche chimiche delle rocce eruttate nelle passate eruzioni da questi vulcani, indicano che il serbatoio magmatico a 8-10 km di profondità potrebbe essere esteso al di sotto dell’intera area vulcanica campana.
f) Nei famosi bollettini informativi citati in precedenza, che valore interpretativo bisogna dare agli ipocentri che si verificano più o meno in superficie ?
Oggi sappiamo che i terremoti superficiali di bassa magnitudo (inferiore a tre) sono legati alla presenza di antichi condotti magmatici estesi per km sotto il cratere e riempiti di magma ormai solidificato. Vengono chiamati  terremoti vulcano-tettonici, e si ritiene che siano generati dai forti sforzi gravitativi dovuti al peso del vulcano stesso, che si focalizzano intorno all’asse craterico a causa delle forti variazioni di rigidità in quella zona.
g) Un’ultima domanda: i piccoli terremoti registrati nel camino vulcanico non potrebbero essere originati dalle masse terrose e rocciose che gravano nel condotto e che periodicamente si assestano?
Come indicato prima, i dati sismici hanno mostrato la presenza nella parte centrale del vulcano fino a circa 5 km di profondità, di un antico condotto vulcanico attualmente non più attivo e riempito da magma solidificato. Intorno a questa area si generano ogni anno un centinaio di terremoti di bassa magnitudo generalmente non avvertiti dalla popolazione vesuviana, ma registrati dai sistemi di monitoraggio. Questi terremoti sono legati principalmente al peso dell’edificio vulcanico e alla concentrazione degli sforzi gravitativi in corrispondenza dell’antico condotto, e non possono essere considerati quindi come fenomeni precursori di una ripresa dell’attività vulcanica. Tuttavia a questi eventi si sovrappone una sismicità di origine diversa legata a variazioni della dinamica interna del vulcano, principalmente dovuta alla migrazione del magma, che può generare crisi sismiche con grande numero di eventi per anno, come accaduto ad esempio nel 1989, 1995-’96, 1999. Questi terremoti indicano che anche se il Vesuvio è in quiescenza dall’ultima eruzione del 1944 è tuttavia ancora un vulcano attivo; come abbiamo detto la sua sorgente,  l’area cioè in cui il magma continua ad accumularsi è stata identificata intorno a 8-10 km di profondità, dove i dati sia sismici che chimici evidenziano una zona di accumulo di magma molto estesa e probabilmente comune anche agli altri vulcani attivi della Campania cioè i Campi Flegrei e l’isola d’ Ischia.

(La redazione di Hyde Park ringrazia la Dott.ssa Lucia Pappalardo per la gentile collaborazione e per la chiarezza con cui ha affrontato gli argomenti proposti).