"Il piano di emergenza nazionale rischio Vesuvio: lezioni
di piano 2" di MalKo
Ogni volta che guardate una trasmissione televisiva o ascoltate un programma radiofonico o leggete quotidiani e riviste scientifiche ad oggetto il Vesuvio, sentirete o leggerete sempre le stesse cose:<<… è il vulcano più pericoloso del mondo e per questo è stato redatto un dettagliato piano d’emergenza dal Dipartimento della Protezione Civile, per mettere in salvo gli oltre seicentomila abitanti della plaga vesuviana, nel momento in cui si coglieranno con largo anticipo le variazione dei parametri controllati del vulcano, nel senso dell’eruzione …>>.
Molto spesso queste affermazioni provengono scontatamente dal personale del noto dipartimento. Altre volte invece, le forniscono docenti e ricercatori ed esperti di settore. Per lo più usano, tranne qualche rarissima eccezione, un linguaggio di benevole fiducia sull’argomento piani, che accennano senza approfondire, prediligendo di contro la trattazione geologica, che ben si presta a disquisizioni e approfondimenti di ogni genere. Inevitabilmente quindi, il piano d’evacuazione è lasciato in sordina e richiamato solo per le sue finalità, senza entrare nel merito dei contenuti. D’altra parte è un problema tecnico e non scientifico. E i tecnici non ne parlano.
Il piano d’emergenza contiene in prima battuta le conclusioni del mondo scientifico (INGV), relativamente agli scenari ipotizzati in caso di ripresa dell’attività eruttiva. L’evento massimo che potrebbe manifestarsi (EMA) nel medio termine, hanno stimato possa essere un’eruzione simile a quella che avvenne nel 1631: particolarmente distruttiva ma limitata al comprensorio vesuviano (i diciotto comuni dell’area rossa). Ovviamente c’è chi ritiene necessario, in assenza di certezza matematiche, non tarare i piani sul massimo atteso ma sul massimo possibile (conosciuto), che potrebbe essere una pliniana del tipo Avellino. In questo caso i fenomeni investirebbero anche la città di Napoli. La differenza in termini di vite umane esposte al pericolo cambierebbe significativamente.Restando sulle stime che caratterizzarono gli eventi del 1631, sono state individuate tre distinte aree su cui possono abbattersi i fenomeni vulcanici: la zona rossa, quella gialla e quella blu.
Ovviamente la zona rossa potrebbe essere investita dalle micidiali nubi ardenti, caldissime e velocissime. Secondo le strategie del piano quindi, la zona rossa sarebbe evacuata per prima in caso di allarme. Dalla gialla la popolazione smobiliterebbe solo con eruzione in corso. Gli strateghi, infatti, ritengono fattibile una tale operazione anche durante la ricaduta di cenere e lapillo.
Premesso che la zona blu di base è una zona gialla, valgono le regole già previste per quest’ultima. Ovviamente nel settore blu sussiste l’aggiunta e l’aggravante di possibili fenomeni alluvionali indotti dall’eruzione.
Gli evacuati della zona rossa dovrebbero raggiungere varie regioni d’Italia con cui ogni comune vesuviano è gemellato (così dicono). Quelli della zona gialla attenderebbero invece lo scemare dei fenomeni nell’ambito della stessa regione Campania, presumibilmente addossati nelle piane del Sele e del Volturno e relative fasce costiere dove si contano numerosi complessi turistici.
In termini operativi, i passaggi alle varie fasi (quattro) sono dettati dai corrispettivi livelli di allerta geologica (quattro). Col “rosso” scatterebbe l’evacuazione dell’intera zona appunto rossa, e degli stessi soccorritori che arretrerebbero nella zona gialla.
Nel merito dei tempi a disposizione per mettersi in salvo, furono azzardate cifre molto ottimistiche fino agli anni ’90. Nella revisione del 2001 si optò per sette giorni, mentre oggi ufficiosamente si sa che i tempi di fuga dovranno essere misurati in tre giorni.
Per le strategie di allontanamento dovrà farsi riferimento, come detto, al piano d’evacuazione che è un annesso del piano d’emergenza nazionale Vesuvio.
In realtà questo piano, drammaticamente e inutilmente generico, è fermo ai disposti del 2001, tra l’altro ancora vigenti. Come vettori di trasferimento della popolazione furono previsti treno, autobus e, solo per i capifamiglia, l’autovettura.
Il naviglio leggero (aliscafi e catamarani) non fu preso in considerazione come trasporto alternativo marittimo, pare perché gli analisti temevano tra i prodromi eruttivi un significativo rigonfiamento dei suoli costieri che avrebbero reso inservibili i porti.
Agli assertori di tale teoria però, è sfuggito che la ferrovia passa a pochi metri dal mare e per lunghi tratti confina con gli scogli. Ai binari bastano pochi centimetri di disallineamento per diventare inservibili. Addirittura dopo ogni scossa sismica di una certa consistenza, ed è prassi mondiale, bisogna interrompere il transito dei vagoni fino a quando non s’ispeziona la linea ferrata con un carrello. Anche i terremoti rientrano nei prodromi…
Sempre gli strateghi hanno poi cacciato il coniglio dal cappello: consentiranno a ogni capo famiglia di mettere i materassi e i bagagli in macchina e andarsene lestamente nella regione di destinazione. Lì da qualche parte poi, aspetteranno moglie e figli che dovranno salvarsi autonomamente con qualche tradotta, tra i sussulti litosferici, i tremori vulcanici e la calca impazzita che non conosce regole.
I cittadini di Boscoreale invece, dovranno andare via, sempre col treno, partendo dalla locale stazione delle ferrovie dello Stato. Missione ardua perché la linea ferrata è stata completamente dismessa da anni, con rimozione addirittura della tratta aerea elettrificata e delle sbarre ai passaggi a livello.
I cittadini di Portici, dovrebbero porsi al sicuro prendendo invece il treno a San Giovanni a Teduccio (Napoli), perché la loro stazione ubicata a ridosso del porto del Granatello, dovrà essere usata dagli abitanti di Ercolano che non hanno fermate ferroviarie. Si tratterebbe di un atto di generosità e di altruismo…
Potremmo continuare aggiungendo incongruenze organizzative, paradossi e altro che riguardano anche la semplice organizzazione operativa. I pochi esempi fatti però, dovrebbero essere sufficienti per intuire la bontà di un prodotto inutile e per questo solo pubblicizzato. La parte geologica invece, è ampiamente trattata in ogni dove, estero compreso. Ecco perché passa la tesi di un grande piano d’emergenza…
L’attuale pseudo piano di evacuazione per l’area vesuviana quindi, è un insieme di carte e numeri senza alcuna utilità operativa. Un vero piano di evacuazione è idealmente quello che di norma è affisso dietro le porte degli alberghi, nei corridoi delle scuole, delle navi, delle fabbriche, ecc… istruzioni semplici, sintetiche, chiare e corredate da mappe con i percorsi di fuga a colori comprensivi di una simbologia adeguata.
Il dipartimento della protezione civile, in ragione del fatto che il rischio Vesuvio è annoverato come calamità di portata nazionale, ha il compito istituzionale di mettere a punto il piano d’emergenza con annesso piano d’evacuazione. Questa prerogativa che si avvale di commissioni e sottocommissioni e gruppi di lavoro, dura dal 1993. Sono circa diciotto anni quindi, che gli esperti si riuniscono in conclavi, per mettere su carte e ancora carte, e solo carte purtroppo ad oggi senza alcuna utilità operativa, almeno dal punto di vista dell’evacuazione. Nessuna utilità! In tanti anni mai uno straccio di foglio è giunto nelle case dei vesuviani per dire: attenzione! In caso di allarme eruzione fate questo. Mai!
Abbiamo apprezzato moltissimo la pacata trasmissione radiofonica mandata in onda da RADIO3 scienza dal titolo: Lezioni di piano. Non dubitavamo che le interviste le avrebbero fatte a Portici. Comunque, inizialmente un esperto del dipartimento, secondo procedure ampiamente standardizzate e collaudate, pubblicizza come al solito il piano d’evacuazione accennandolo solo a tratti, ma ribadendo subito dopo che è flessibile ed è in corso di aggiornamento…non ha precisato l’esperto, che questo piano si aggiorna di continuo nello stesso luogo da dove non è mai uscito.
Dal trentanovesimo minuto di registrazione in poi, il pubblico intervistato ammette, a onor del vero, di non avere notizie sul piano (e come potrebbero averle…). Una sola intervistata afferma di aver avuto sotto mano un piano d’evacuazione circa dieci anni fa. In realtà era un vademecum concernente, l’esercitazione Vesuvio 2001, edito dal comune di Portici e distribuito ai porticesi in seno all’esercitazione nazionale di protezione civile che si tenne appunto in quella cittadina dal 27 al 30 settembre 2001. Non possiamo sbagliarci perché è l’unica bozza di piano comunale esistente. Fu una forzatura del comune. Il paradosso di quell’esercitazione fu che il treno con cui si dovevano evacuare diverse centinaia di persone, arrivò con circa un’ora di ritardo… e il catamarano preteso dal comune di Portici per testare la via del mare fu platealmente brillante nel suo operare.
Nel famoso vademecum, fu stabilito che la via di fuga principale per i porticesi fosse l’autostrada A3 (casello di via libertà) e, quindi, l’evacuazione sarebbe avvenuta prevalentemente con autovetture private (iniziativa comunale unilaterale). Diciamo subito che il comune di Portici anticipò di dodici anni (1999) le conclusioni attuali accennate ufficiosamente nell’intervista radiofonica dall’esperto del dipartimento. Purtroppo il casello di pedaggio sopra citato, strategico al massimo perché ubicato al termine di un’importante e mediana arteria cittadina, è in procinto di essere abolito dai lavori di ammodernamento dell’A3. Ci sarà un unico ingresso per Portici ed Ercolano ubicato ai limiti delle due cittadine: una brutta strozzatura! La beffa, come abbiamo già citato in altri articoli, consiste pure nel fatto che i lavori autostradali già controproducenti per i porticesi, hanno fagocitato e reso inutilizzabile anche l’area prevista nel piano regolatore quale elisuperficie da utilizzarsi per esigenze di protezione civile. Eppure parliamo di un comune fortemente urbanizzato (12.000 ab. Per kmq.). Che dire…
Intanto le autorità dovrebbero evitare rassicurazioni implicite dichiarando attivo un piano d’evacuazione che non c’è. In questo modo non si incorre nell’errore che fu fatto nella città dell’Aquila pochi giorni prima del terremoto del 6 aprile 2009. In quell’occasione, alcuni componenti della commissione grandi rischi tranquillizzarono gli aquilani sul fatto che i frequenti sisma non avrebbero superato una certa soglia. Per qualcuno questa indicazione, purtroppo risultò fatale.
Ai cittadini bisogna quindi dire chiaramente e a larghe lettere la verità! Chi s’insedia abusivamente o lecitamente nell’area vesuviana, si sottopone a un rischio non mitigabile con certezza in termini di salvaguardia. Se con quest’affermazione poi crolla il mercato immobiliare e i sindaci e gli assessori dovranno darsi da fare per rispondere a tante domande concernenti il loro (in)operato, non è un problema di chi ha il compito di garantire la sicurezza. Intanto il dipartimento della protezione civile dovrebbe spiegarci quanto ci sono costati diciotto anni di commissioni e sottocommissioni e dov’è il piano di evacuazione! Domande che è lecito fare se si vive in una grande democrazia…Perché noi siamo una grande democrazia vero?
articolo pubblicato su hyde park il 26 agosto 2011.
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