" 21 maggio 2011: incubo Marsili? "
di MalKo
Pare che l’allarme, circa la possibilità che il 21 maggio 2011 venga la fine del mondo, o comunque quella dell’Italia meridionale o forse di tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, a causa di un’onda di tsunami generata dal vulcano sottomarino Marsili, sia stato raccolto da più di qualcuno in termini di apprensione.
C’è anche chi anticipa le sue angosce all’11 maggio, perché un’ulteriore profezia, preannuncia un catastrofico terremoto nella zona di Roma: si dice sia una previsione di Raffaele Bendandi, ma non si hanno certezze.
Un’onda di tsunami generalmente può essere associata a tre eventi calamitosi: un forte sisma localizzato in mare o a ridosso di esso; un’eruzione vulcanica marina o sub marina o una consistente massa, di solito rocciosa, che precipita in acqua ancor più se velocemente. Nella fattispecie potrebbe essere un meteorite o una frana staccatasi da un monte o, nel nostro caso (Marsili), da un vulcano. Ovviamente alla base del “sistema tsunami” concorrono due elementi fondamentali: una notevole energia e il mare. In realtà frane che spostano masse d’ acqua le abbiamo avute anche in terra ferma.
La tragedia del Vajont, nel 1963, fu causata appunto dal traboccamento di un’ingente quantità d’acqua da un bacino artificiale (diga), a causa di una frana (oltre 250 milioni di metri cubi) staccatasi dal Monte Toc. L’onda anomala (chiamiamola impropriamente così) che si generò, superò di circa 100 metri in altezza il margine della diga, rovinando a valle con una corsa che distrusse villaggi e causò perdite umane ingenti.
Un forte terremoto è il fenomeno che forse più siamo abituati ad associare quale causa del prodursi di uno tsunami. I sommovimenti ai bordi delle faglie ubicate sui fondali marini, infatti, hanno la capacità, in determinate condizioni, di imprimere un vigoroso movimento alle masse d’acqua marina sovrastanti. Le onde con questa genesi, percorrono centinaia e centinaia di chilometri ad alta velocità, prima di infrangersi sui tratti costieri che vengono scavalcati dall’incedere imperioso delle acque anche per diversi chilometri nell’entroterra .
In Italia il maremoto più richiamato nei testi è quello che si verificò il 28 dicembre 1908 a seguito di un sisma violentissimo (10° grado Mercalli), che sconquassò le città di Reggio Calabria e Messina. Il più recente invece, è di pochi anni fa (2002): una frana staccatasi dai versanti scoscesi dello Stromboli, causò un’onda anomala con effetti prevalentemente locali e senza arrecare danni alle persone che, fortunatamente e per la stagione invernale, non erano esposte sulle spiagge.
La dirompenza vulcanica può a sua volta creare uno tsunami. Il vulcano Krakatoa ubicato tra le isole di Giava e Sumatra, da questo punto di vista è stato uno spettacolare protagonista con l’eruzione del 1883, definita la più grande mai avvenuta in epoca storica. Cagionò onde altissime, anche di alcune decine di metri, che spazzarono le vicine isole da costa a costa. Una nave, racconta la cronaca dell’epoca, fu scaraventata direttamente nella giungla. Le onde furono più di una e, come detto, con altezze considerevoli. Dopo l’eruzione, dell’isola vulcanica Krakatoa, non rimase altro che qualche brandello di terra.
Le teorie dell’illustre Bendandi sulla previsione dei terremoti invece, afferiscono a cicli e congiunzioni astrali (generalizzando), come causa dei sommovimenti litosferici. Senza entrare nel merito di argomenti che non conosciamo bene, rileviamo che un’eventuale e non escludibile componente astrale che faciliti gli squilibri e gli equilibri litosferici, per effetto di attrazioni, allineamenti, congiunzioni e altro, in termini di cause ed effetti dovrebbe essere correlata nei dettagli alle variabili tutte terrestri della litosfera. Interrelazioni quindi, molto difficili da interpretare e quantificare e decifrare, al punto da rendere sostanzialmente impraticabile la strada della previsione puntiforme o quasi dei terremoti, attraverso il movimento dei corpi celesti.
Comunque, se queste profezie o previsioni come dir si voglia, dovessero rilevarsi attendibili, giorno più giorno meno, (ma ci sentiamo di escluderlo), sarebbe una vera rivoluzione e uno smacco epocale per le più prestigiose accademie scientifiche nazionali e internazionali. Temiamo che non sia così. Temiamo che la previsione dei terremoti sia ancora una scienza imperfetta, anche se alcune tecniche come quelle introdotte dal ricercatore Giuliani, meritino ampia considerazione sperimentale.
Purtroppo, non è ancora una realtà neanche la previsione a medio o lungo termine delle eruzioni vulcaniche. Sul breve e brevissimo periodo le percentuali di attendibilità della stima sui tempi eruttivi raggiungono cifre interessanti, ma non di matematica certezza. Ancora peggio è la previsione del distacco di una frana da un’altura, soprattutto se sottomarina come nel caso del Marsili.
Tutti questi fenomeni che abbiamo citato possono verificarsi oggi, domani o dopodomani o anche tra un millennio o due: non è dato saperlo… ci si muove sulle ipotesi rispetto a un sistema dinamico (la Terra) in cerca di equilibrio.
Sul vulcano Marsili è bene che si pronuncino coloro che lo studiano più che i parascienziati. D’altra parte il vulcano non erutta da un bel po’ di tempo. Questo significa che i segni delle famigerate frane, come produttrici di tsunami, li possiamo rinvenire tutti sul fondo marino. Avremo in tal modo un’idea non solo della quantità dei materiali che si distaccano dal monte, ma anche la quantità numerica degli eventi franosi fin qui avvenuti. Sarebbe una buona base di partenza per intuire i rischi derivanti dal Marsili, ma anche dai suoi “compagni” quiescenti. Tutti vulcani che devono essere oggetto di studi, sempre più mirati, per mettere insieme dati utili a quantificare i livelli di rischio per le popolazioni esposte.
D’altra parte ogni tanto giunge la notizia che qualche nuovo vulcano viene individuato nel Tirreno. Sarebbe quindi auspicabile che si privilegi innanzitutto un piano di scandaglio dei fondali marini con elaborazione di carte tematiche. In seconda battuta si definiscano gli apparati vulcanici da controllare e il sistema migliore per farlo. Spendere un patrimonio per monitorare un solo vulcano senza sapere se ce ne sono altri e se quelli conosciuti possono assurgere a problema, potrebbe non essere la soluzione migliore.
Bisogna poi fare una riflessione nella discussione generale: quale affidabilità può dare un sistema tecnico – politico come il nostro, dove si lanciano allarmismi su di un vulcano sottomarino (Marsili) ubicato a 150 chilometri dalle coste campane e ancora da studiare e, quindi, ancora da valutare nella sua interezza in termini di rischio, e nulla si fa per il Vesuvio sul cui ventre sonnecchiano seicentomila “addormentati” abitanti a distanza zero? Eppure sulla pericolosità del Vesuvio concordano tutti: parascienziati e scienziati, e statistiche e perfino il buon senso…
Chi semina allora allarmismi con la storia del Marsili? Non quelli che lo studiano di certo. I latini per individuare un colpevole partivano da un concetto bellissimo: cui prodest? (a chi giova?)
articolo pubblicato su hyde park il 4 maggio 2011.
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