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sabato 30 dicembre 2017

Ischia - Il progetto geotermico di Serrara Fontana: sì o no? ... di MalKo


Ischia vista da Procida

La società Ischia GeoTermia srl è titolare di una richiesta di valutazione di impatto ambientale (VIA) indirizzata al Ministero dell’Ambiente, relativamente a un impianto geotermico pilota da realizzarsi nei tenimenti di Serrara Fontana sull’isola d’Ischia.

La Regione Campania con decreto dirigenziale del 16 giugno 2017, ha espresso parere negativo per la realizzazione di quest’impianto, perché tutte le argomentazioni ad oggetto la sismicità indotta, l’interscambio delle acque termali superficiali e profonde, ed ancora la pericolosità vulcanica insita nell’isola così come il rischio frane e più in generale un impatto ambientale non proprio minimo, in larga parte non sono mitigabili e non ci sono elementi deterministici che escludono fattori di rischio legati alle problematiche appena menzionate. Bisogna aggiungere alle contrarietà dei tecnici regionali anche il parere negativo espresso dall’autorità di bacino.

La Geo Termia srl con una nota indirizzata alla Regione Campania, chiarisce in anticipo che le controdeduzioni tratteranno solo alcuni punti del documento ostativo, perché a giudizio della società alcune argomentazioni esulano dagli aspetti squisitamente tecnici e scientifici relativi alla richiesta di sfruttamento geotermico. La dirigenza societaria con queste premesse impegna una strada che sembra voglia ridimensionare di molto le perplessità espresse dagli uffici regionali e da una certa platea di esperti e semplici cittadini che ritengono il progetto geotermico dannoso per le qualità ambientali e territoriali della rinomata isola.

D’altra parte la legge riferisce che il Ministero dell’Ambiente acquisisca l’intesa con la Regione interessata, quindi se la geotermia fosse solo un problema tecnico scientifico non si utilizzerebbe il termine intesa, ma più appropriatamente quello di pareri o dati o suggerimenti…

Indubbiamente c’è una legge che promuove la ricerca e lo sviluppo di nuove centrali geotermoelettriche, considerando di interesse nazionale i fluidi geotermici a media ed alta entalpia, classificando poi l'energia geotermica tra le fonti energetiche strategiche di competenza statale. Nulla da eccepire se non la generalizzazione di cotale impianto legislativo, che non tiene in debito conto la diversità e la complessità dei territori presi di mira dagli industriali del geotermico, che hanno bisogno di trivellare i terreni, carpire fluidi caldi dal sottosuolo per poi reiniettarli nel profondo onde garantire il ripascimento degli acquiferi senza per questo disperdere in superficie liquidi non proprio innocui. Questa legge avrebbe avuto una migliore applicazione se fosse stata di competenza prettamente regionale, perché non può prefissarsi come necessità pubblica quella di una certa liberalizzazione da accordare alle imprese in nome del rilancio dell’economia, facendo così sorgere magari dal niente forse una risorsa (geoelettrica) affossandone altre già esistenti o potenzialmente sfruttabili e di diversa natura e  meno invasive come può essere il termalismo e il turismo: ovviamente senza contare la sicurezza come bene imprescindibile dell’uomo…

Tra l’altro non è neanche vero che questi luoghi d’interesse geotermico purtroppo o per fortuna sono inevitabilmente vulcanici e attivi nel senso pericoloso del termine, perché in Toscana sull’Amiata le condizioni di fondo non rappresentano un pericolo segnatamente eruttivo per le popolazioni, ma di minaccia ambientale quello sì, soprattutto dove il candido vapore magari fuoriesce in atmosfera…

Vorremmo poi ricordare, quale equivalenza di metodo e non di argomento, che la legge 123 del 14 luglio del 2008 consentì la realizzazione di una megadiscarica di rifiuti in quel di Terzigno, in pieno parco nazionale del Vesuvio. Le proteste della popolazione furono superate attraverso la definizione del sito quale area di interesse strategico nazionale, e per tale motivo ancora oggi presidiato dall’esercito. Si promisero alle popolazioni locali sgravi sulla TARI che non ci sono stati e il risultato lampante è un ecomostro localizzato all’interno del parco in un luogo caro a Bacco e ben dentro la zona rossa Vesuvio. Non c’è poi, un piano di emergenza che stabilisca che cosa fare all’impianto nella fase di allarme vulcanico, che prevede l’abbandono dei luoghi, con il metano che non è da escludere fuoriuscirà imbruciato dall’ammasso…

L’adozione della dicitura - interesse strategico nazionale - sembra quindi che incominci a prospettarsi come un modello speditivo voluto dalla politica dei manovratori per superare in alcuni casi i vari ostacoli a procedere, comprensivi anche della volontà popolare, che non sempre ha ragione, ma non sempre ha torto…

Vorremmo ricordare che il Ministero dell’Ambiente qualche anno fa fu chiamato a valutare la necessità o meno di una VIA a proposito di un progetto geotermico ancora più ardito e affascinante consistente nella trivellazione della parte pedemontana del vulcano Marsili, quello ubicato nelle profondità del Tirreno meridionale. Il progetto, unico nel suo genere e nel mondo, prevedeva di carpire gli abbondanti fluidi ultra caldi che circolano nel vulcano sommerso, tramutandoli in energia elettrica direttamente sulla verticale del monte, attraverso un impianto galleggiante di trasformazione.

Gli apparati subacquei e di superficie si sarebbero trovati a circa un centinaio di chilometri dalla costa più vicina, e quindi a detta della società non necessitava una valutazione d’impatto ambientale (VIA). Il parere del ministero fu invece di segno opposto, perché non era scientificamente escludibile che i pendii del seamount franassero a seguito delle trivellazioni, generando così onde di maremoto che avrebbero potuto raggiungere la pur lontana fascia costiera continentale.

Anche in quel caso e nonostante l’assenza di esempi pregressi di maremoto e la consulenza scientifica assicurata dall’INGV, ed ancora con la dichiarazione preventiva di compensare i fattori di rischio legati alla trivellazione monitorando a permanenza la perforazione per interromperla al primo accenno di pericolo, il Ministero dell’Ambiente ebbe a sancire che anche in assenza di popolazione il pericolo di un maremoto era un rischio sì remoto ma sufficientemente alto nelle conseguenze, per chiedere che il progetto pur nella solitudine marina fosse assoggettato a una Valutazione di Impatto Ambientale. Tra l’altro nel documento ministeriale si precisava che l’eventuale ripresentazione del progetto avrebbe dovuto contenere con ricchezza di dati l’analisi dei rischi geologici legati proprio al vulcano e alla stabilità dei pendii.

La ditta GeoTermia srl sottolinea di essersi avvalsa dell’insostituibile consulenza scientifica da parte dell’Osservatorio Vesuviano. Siffatta autorevole collaborazione contrattuale con la sede INGV napoletana, porta a considerare e a cura della società proponente, ampiamente soddisfatta la domanda di analisi dei rischi e della rappresentazione puntuale e da tutti i punti di vista dei profili geologici sotterranei dell’isola, tanto per la tettonica che per la vulcanologia. La consulenza ha riguardato anche valutazioni sulla circolazione delle acque termali superficiali e profonde e i rischi derivanti dalla sismicità indotta da attività antropiche.

Tra l’altro nei documenti si affronta pure tecnicamente il problema della stabilità dei pendii del Monte Epomeo, dove sussiste il pericolo delle frane che, conveniamo, sono associate innanzitutto a fenomeni esogeni capaci di modificare i vincoli statici delle rocce e dei terreni. Occorre tener presente che abbiamo a che fare col tufo quale prodotto litoide già naturalmente soggetto a fratturazioni. Ovviamente una eventuale sismicità per quanto piccola potrebbe indurre franamenti del pietrame appoggiato e senza presa. Tale problema però sussiste con o senza la centrale geotermica, e fu già segnalato nel 2008 al termine di una ricognizione aerea in zona. In quel caso accertammo anche che il fortissimo boato avvertito e proveniente dai contrafforti pedemontani e occidentali del Monte Epomeo, riconducevano a un largo foro di “fresca” evidenziazione, evidentemente quale frutto di una probabile e repentina degassazione favorita da un evento sismico di bassa intensità (2,3) che aveva liberato gas dal sottosuolo.
Il dato che politicamente lascia perplessi, è che l’Osservatorio Vesuviano ha prestato la propria consulenza scientifica e la propria strumentazione a un progetto industriale offrendo quei profili geologici che mancano invece alle autorità amministrative e tecniche del territorio, sotto forma di scenari di rischio quale ricetta propedeutica per la redazione dei piani d’emergenza a protezione degli isolani.

Isola d'Ischia . I Maronti

D’altra parte se è vero che i sindaci dell’isola non hanno colpevolmente prodotto alcun piano d’emergenza, è altresì vero che ai medesimi non sono mai stati offerti appunto gli scenari di rischio su cui elaborare una pianificazione emergenziale anche evacuativa. Una rappresentazione chiara di che cosa è Ischia geologicamente parlando, poteva stimolare pure una progettazione di tipo ingegneristico e infrastrutturale, come ad esempio un potenziamento degli scali marittimi ad attracco rapido e una diffusa rete di elisuperfici e di aree sicure strutturate per l’accoglienza.  La condizione di isola, tra l’altro e vogliamo ricordarlo, ha di base una notevole vulnerabilità dettata proprio dall’isolamento e dalle ridotte dimensioni di quella che è sostanzialmente una enclave marina…

L’isola d’Ischia per una certa qualità dei suoli rappresenta un’estensione geografica dei limitrofi Campi Flegrei. In un recente convegno il ricercatore Roberto Isaia dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), ha segnalato per l’area flegrea il pericolo di eruzioni freatiche innescabili nel caso pure da un’onda sismica. Visto che lo studio è recentissimo, sarebbe opportuno che il Ministero dell’Ambiente analizzasse se anche per Ischia quale contiguità territoriale flegrea, questo pericolo è latente e se può essere innescato dalle trivellazioni o anche dalle reiniezioni che potrebbero favorire una sismicità di fondo. Non pensiamo che le sovrappressioni possano destarsi solo all’interno del tubo chilometrico…


Si chiede inoltre al Ministero dell’Ambiente, quale logica sottintendano le controdeduzione della GeoTermia srl quando riferisce che tutti gli studi possibili e immaginabili sono stati eseguiti e ciò nonostante l’ultima parola spetterà alla trivellazione e ai dati sismici e microsismici che emergeranno dal pozzo, grazie al monitoraggio continuo offerto da una linea di sensori che, accoppiati a quelli già presenti dell’Osservatorio Vesuviano, riusciranno a monitorare con una precisione senza precedenti i parametri fisici dei suoli profondi  squilibrati dalle trivellazioni e dalla pratica di reiniezione. Quest’ultima attività vorremmo ricordare che non è un procedimento invasivo temporaneo ma la normalità nella messa a regime in quel tipo di impianto binario. Vorremmo pure sottolineare che, il sistema chiuso opera in una condizione di isolamento di acqua e vapori verso l’esterno, ma il sottosuolo non è camiciato, ovvero non è un radiatore sigillato come quello presente sulle automobili.

Ad ogni buon conto, vi proponiamo integralmente un estratto sotto forma di relazione prodotto appena qualche anno fa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile - a proposito del rischio vulcanico in Campania:
<<Ischia è un’isola ampia circa 46 km2 che raggiunge un’altezza massima sul livello del mare di 787 m e si erge per circa 900 m dal fondo del mare, nella parte nord-occidentale del Golfo di Napoli. L’isola è amministrativamente suddivisa in 5 comuni (Ischia, Lacco Ameno, Casamicciola Terme, Barano d’Ischia, Forio) e ha una popolazione residente di oltre 50.000 persone, che raggiungono numeri sensibilmente più elevati nei periodi di maggior afflusso turistico. L’economia, infatti, si basa essenzialmente sul turismo, legato anche alla presenza di numerose sorgenti idrotermali.

La maggior parte dell’isola è costituita da depositi di eruzioni sia effusive sia esplosive (lave e tufi), prodotti da bocche eruttive, alcune delle quali ancora ben visibili nel settore sud-orientale dell’isola. Molto diffusi sono anche i depositi di frane derivanti dall’accumulo di materiale vulcanico preesistente.

Viste le caratteristiche di pericolosità vulcanica, l’eventuale ripresa dell’attività eruttiva avrebbe delle conseguenze rilevanti sull’intero territorio e sulla popolazione.

L’evento che ha segnato la storia geologica dell’isola è l’eruzione del Tufo Verde dell’Epomeo. L’eruzione fortemente esplosiva, verificatasi circa 55.000 anni fa, è responsabile della formazione di una caldera sommersa che occupava la zona in cui oggi si trova la parte centrale dell’isola. Dopo l’eruzione del Tufo Verde, l’attività vulcanica è proseguita con una serie di eruzioni esplosive, fino a circa 33.000 anni fa. Circa 10.000 anni fa, dopo un periodo di stasi relativamente lungo, l’attività è proseguita anche in epoca storica con una serie di eruzioni, di cui l’ultima avvenuta nel 1302 d.C.. L’inizio dell’eruzione fu improvviso e violentemente esplosivo, seguito da emissione di grandi volumi di pomice e cenere che oscurarono il cielo e ricaddero su tutta la parte orientale dell’isola. Successivamente, l’emissione di una colata da un cratere, apertosi in zona Fiaiano, raggiunse la spiaggia tra il Porto d’Ischia e Ischia Ponte con un fronte largo circa 1 km e distrusse l’antico centro urbano della Geronda devastando l’intero versante nord-orientale dell’isola. L’eruzione seminò panico e costrinse molta gente a fuggire verso le isole vicine e la terraferma. Le cause di molte vittime furono apparentemente asfissia e forti emissioni di gas.

Il fenomeno più rilevante di Ischia consiste in un continuo sollevamento, 800 metri negli ultimi 30.000 anni, quasi certamente dovuto all’azione di spinta esercitata dalla risalita di magma e dalla presenza di un serbatoio magmatico situato sotto il Monte Epomeo a 4-6 chilometri di profondità. La maggior parte dell’attività vulcanica recente di Ischia è stata prodotta da bocche eruttive che si sono aperte ai margini del blocco sollevato del Monte Epomeo. Le ricerche effettuate inducono a ritenere che una ripresa dell’attività vulcanica potrebbe avvenire qualora una nuova fase di sollevamento del monte riattivasse le faglie attraverso le quali il magma può giungere in superficie.

L’intensa attività idrotermale (acque calde ed emissioni di gas) e la storia eruttiva indicano che l’isola di Ischia è un’area vulcanica ancora attiva. È opportuno ricordare, inoltre, che l’isola è caratterizzata anche dalla presenza di altri importanti rischi naturali (sismico e idrogeologico).

Negli ultimi 300 anni, infatti, si sono verificati ben 9 terremoti distruttivi con Magnitudo maggiore di 5. Fra questi, il più devastante è stato quello di Casamicciola del 28 luglio 1883, con Intensità MCS del X grado, che ha causato oltre 2.300 vittime e 750 feriti. Nella sola Casamicciola, su 672 case ne crollarono 537 e 135 furono danneggiate. La sismicità dell’isola di Ischia risulta altamente distruttiva, in quanto prodotta da eventi con ipocentri estremamente superficiali.

La natura dei terremoti di Ischia non è del tutto chiara anche se è plausibile che essa si ricolleghi a fenomeni in qualche modo legati ai processi vulcanici.
Oltre alle eruzioni e ai terremoti, l’isola è contrassegnata da una diffusa franosità che risulta spesso innescata non solo da eventi meteorici, ma anche dall’attività sismica. In conseguenza del terremoto del 1228 si staccò dal versante settentrionale del Monte Epomeo una frana di gradi proporzioni che investì le aree abitate della costa causando distruzione e circa 700 morti. La propensione alla frana dei versanti settentrionali del Monte si deve a fattori eminentemente vulcanici (forte acclività dovuta alla dinamica di sollevamento e forte degrado chimico-meccanico delle rocce dovuto alla risalita di grandi masse di fluidi idrotermali).

Studi recenti evidenziano, inoltre, una pericolosità connessa a frane che possono originarsi nella porzione sommersa dell’isola, anche indotte da attività sismica, e innescare onde di maremoto.
La diffusa franosità che caratterizza i versanti crea periodicamente problemi ai centri abitati per i quali, durante le recenti fasi emergenziali, sono state intraprese attività di pianificazione comunale speditiva per la salvaguardia della popolazione.

L’insieme delle conoscenze scientifiche in materia consente di affermare che Ischia mostra un livello di pericolosità vulcanica assolutamente non trascurabile, anche in confronto agli altri due vulcani campani (Vesuvio e Campi Flegrei) meglio conosciuti a livello mediatico. Nonostante questi ultimi rappresentino il problema maggiore da un punto di vista di protezione civile (anche a causa dell’elevata urbanizzazione del territorio circostante), l’isola d’Ischia ha tuttavia l’aggravante dell’ancor minore percezione che turisti e residenti hanno del rischio vulcanico, nonché l’ulteriore difficoltà nella gestione di una eventuale emergenza rappresentata dall’isola in quanto tale>>.

I contenuti di questa relazione dipartimentale forse non sono noti al grande pubblico, soprattutto per la parte dove si evidenziano studi recenti che hanno messo in luce la pericolosità di possibili frane derivanti dalla parte sommersa dell’isola e che potrebbero dare origine a onde di maremoto.

La relazione proviene dalla più autorevole delle fonti, la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, per la parte scientifica, ha contato inevitabilmente sulla Commissione Grandi Rischi, sull’INGV e con molta probabilità anche sull’Osservatorio Vesuviano definito centro di competenza per la vulcanologia campana.
Se siano sostenibili o meno gli apporti di rischio pur minimi dettati dalla centrale geotermica in progetto a Serrara Fontana, sarà da accertare. Purtuttavia il principio di precauzione snobbato dalla società proponente dell’impianto, sostanzialmente si basa sulla filosofia di fondo che il danno alla persona non è rimediabile in alcun modo. Questa semplice constatazione induce e nel dubbio a ritenere la cautela il principio dominante da seguire, almeno per i nostri valori occidentali…
 
Isola d'Ischia
D’altra parte sarebbe altresì necessario che si vagliasse ai massimi livelli l’operato dell’Osservatorio Vesuviano, che dovrebbe concentrarsi come funzione istituzionale sugli eventi naturali onde evitare che si trasformino in catastrofi, e non tanto nel campo dell’industria geotermica, fornendo accalorati messaggi e consulenze magari per vie terze o anche dirette come in questo caso, esulando dalla necessità non di facciata di neutralità dell'ente. Vogliamo ricordare che non esistono ancora scenari di rischio sismico ed eruttivo per l’isola d’Ischia, e se questi sono già stati elaborati per il Vesuvio e i Campi Flegrei, il motivo è da ricercarsi unicamente nel numero degli abitanti esposti al pericolo e non nella pericolosità vulcanica di fondo del distretto in esame, che primeggia alla pari con le altre due zone vulcaniche napoletane superandole probabilmente per complessità e associazione dei fattori di rischio.

Purtroppo il business mondiale che domina le attività di molte nazioni, si muove spesso secondo le logiche dei costi benefici e non dei diritti imprescindibili. A chi giova l’impianto geotermico? Sicuramente alla società di business che investe in quel luogo e in quella risorsa qui più appetibile che altrove, ma gli eventuali rischi provenienti dal territorio manomesso, e difficilmente discernibili dagli eventi naturali, rimangono solo in capo alla popolazione che non parteciperà in ogni caso all’utile industriale.

Come abbiamo avuto modo di dire in altre note, il rischio non è un valore costante e cambia moltissimo in ragione delle alternative possibili. Il gas metano rappresenta oggi sicuramente un discreto compromesso energetico e ambientale fino a quando non si troveranno tecnologie non solo realmente rinnovabili, ma anche energeticamente convenienti fermo restante i requisiti fondamentali di rispetto della salubrità dell’aria, dell’acqua e dei suoli. La risorsa geotermica può essere "lasciata" potenzialmente in loco, in quanto e come rinnovabile (fermo restante l’inesauribilità degli acquiferi), possiamo tirarla fuori dal “cappello” nel momento in cui ce ne sarà bisogno. Molto probabilmente quando il quadro mondiale renderà il rischio sismico antropologicamente indotto sicuramente accettabile, rispetto a una condizione generalizzata di fame energetica. Per quanto ci riguarda, il progetto oggi ed ora è da rigettare. 

martedì 12 dicembre 2017

Vesuvio: il piano d'emergenza... di MalKo


Il Vesuvio visto dal centro storico di Napoli

Il piano d’emergenza Vesuvio è un documento contenente tutte le istruzioni necessarie per consentire ai vesuviani, in caso di pericolo, di mettersi in salvo qualora l’arcinoto vulcano dovesse manifestare sintomi pre eruttivi. Trattandosi di un piano che prevede una sola tipologia di pericolo (eruzione), e un solo modo per difendersi (la fuga), possiamo ben donde dire che il piano di evacuazione è esso stesso il piano d’emergenza Vesuvio.

La nota dolente è che questo piano di evacuazione è ancora in una fase eufemisticamente parlando diciamo di studio da parte dei comuni e della Regione, e quindi non è ultimato, con buona pace del diritto alla sicurezza di centinaia di migliaia di vesuviani che neanche si sono accorti di questa gravissima omissione. Si tira a campare, e le orecchie si drizzano solo alla parola condono edilizio sussurrata dal possibilismo politico…

La calma geologica dura da settantatré anni, ma potrebbe interrompersi in qualsiasi momento. Le istituzioni ostentano sicurezza sull’argomento, puntando tutto sulla possibilità espressa dall’Osservatorio Vesuviano di cogliere con largo anticipo i segnali di una possibile eruzione del Vesuvio. Potrebbe essere auspicabilmente così, anzi probabilmente sarà così, purtuttavia dobbiamo segnalare per correttezza informativa, che non c’è un dogma sull’argomento e le dinamiche che riguardano il movimento del magma nella camera magmatica del Vesuvio o nelle profondità calderiche dei Campi Flegrei sono sostanzialmente sconosciute; quindi, non si sa con certezza quanto preavviso ci sarà dal momento in cui si coglieranno i sintomi dell’imminenza di un’eruzione e l’eruzione stessa, la cui intensità (VEI) rimarrà in ogni caso un dato impossibile da quantificare preventivamente ma solo al termine del fenomeno eruttivo.  

Come abbiano avuto modo di dire altre volte, il fatto che i distretti vulcanici del vesuviano e del Flegreo siano zone super monitorate, non aggiungono niente in termini di previsione dell’evento eruttivo. La moderna tecnologia messa in campo per misurare la chimica e la fisica di questi vulcani con una precisione mai raggiunta prima, offre dati in tempo reale ma nemmeno uno sul futuro imminente. L’esempio più lampante lo possiamo cogliere col bradisismo. Ammettiamo che il suolo s’innalzi ancora: grazie ai sofisticati e precisi sistemi di monitoraggio registriamo che lo spostamento verso l'alto è stato di un milionesimo di metro. Che importanza bisognerà dare a questa misura super precisa ancorché colta immediatamente, in questa parte del Pianeta dove sollevamenti e abbassamenti e degassamenti si contano a decine di centimetri e a tonnellate?

Il comunicato stampa diramato dal Dipartimento della Protezione Civile che l’8 dicembre 2017 ha innalzato il livello di allerta vulcanica dello Stromboli da base ad attenzione (lo stesso vigente ai Campi Flegrei) è molto istruttivo. Cogliendo il vento della prudenza, la nota dipartimentale di tutta saggezza rimbalzata sui media recita esattamente così:<< Occorre tener presente che alcune fenomenologie dello Stromboli sono del tutto imprevedibili e improvvise, pertanto anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Livelli di allerta e responsabilità di emeanazione
L’imprevedibilità dei sistemi vulcanici dovrebbe quindi essere alla base della necessità di agire con la prevenzione per sottrarsi alla pericolosa incognita geologica: inedificabilità e delocalizzazione... Quando la parola prevenzione pur declamandola in tutte le lingue non viene compresa o semplicemente ignorata, ed è il nostro caso, bisogna allora puntare tutto su un sistema capace di svuotare  e molto rapidamente i luoghi che circondano il Vesuvio o quelli che affondano nella depressione calderica flegrea in modo che nessun abitante permani in loco facendosi cogliere dall'eruzione.
Secondo i calcoli degli strateghi della protezione civile nazionale e regionale, i circa 700.000 abitanti della zona rossa Vesuvio o i 550.000 della zona rossa flegrea, verrebbero evacuati all'occorrenza nel giro di 48 ore su 72 ore disponibili.
Una grossa sfida che a livello mondiale non ha eguali. Questa metodologia di salvaguardia però, deve fare i conti con alcune incognite molto importanti superate nell’ambito della pianificazione solo dalla verve ottimistica dei pianificatori che, in qualche passaggio, a leggere bene sono  di vero azzardo.  Le vulnerabilità del piano d’emergenza Vesuvio si evidenziano già in prima battuta con la scelta dell’eruzione di riferimento. Senza un’intensità eruttiva campione infatti, non sarebbe stato possibile tracciare i limiti della zona rossa da evacuare.

La commissione grandi rischi ha quindi individuato un’eruzione VEI4 similmente subpliniana quale evento di riferimento per il piano Vesuvio. La linea nera Gurioli è un segmento curvilineo che definisce intorno al Vesuvio i limiti di massimo scorrimento delle colate piroclastiche nell’ambito delle passate eruzioni di tipo VEI 4. Tale linea è utilizzata nell'attualità per rimarcare la zona ad alta pericolosità vulcanica. 
C'è anche la "linea" Cosenza però, tutta politica, che ha preferito mantenere i contorni precedenti per evitare polemiche coi comuni a proposito dell’inedificabilità.  Apparentemente un allargamento quindi; peccato che ad ovest si sia stati minimi e ad est addirittura teneri con le cittadine di Scafati e Poggiomarino che ancora edificano  allegramente con tanto di licenza edilizia, pur avendo l'obbligo della fuga in caso di allarme vulcanico...

Pianta del Vesuvio e linea nera Gurioli.

Il grosso problema di fondo è che nessun scienziato al mondo può escludere che la prossima eruzione del Vesuvio possa essere di una dirompenza VEI 5, cioè simile a quella che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C. Trattandosi di una eruzione energeticamente parlando ben 10 volte superiore a una VEI 4, i territori su cui dilagherebbero i flussi piroclastici sarebbero molto più estesi in danno di una gran fetta di popolazione provinciale non titolare di misure preventive di allontanamento. Ogni eruzione poi, non è mai simile alle precedenti, caratterizzandosi per fenomenologie e territori investiti, tant’è che le eruzioni più importanti assumono un nome prima ancora che un’intensità. Una maggiore prudenza, era quindi d’obbligo…

Il secondo elemento di vulnerabilità del piano di evacuazione sono i tempi di preallarme eruttivo. La struttura di monitoraggio affidata all’Osservatorio Vesuviano riuscirà a cogliere tutti i segnali prodromi dell’eruzione e ad emettere un bollettino di massima allerta nei tempi giusti per non ingenerare un falso allarme ma neanche un mancato allarme? Obtorto collo bisogna fidarsi di questa organizzazione periferica dell’INGV, nonostante abbia dato prova di modesta precisione nella localizzazione epicentrale e nella profondità del fuoco del terremoto verificatosi a Casamicciola Terme il 21 agosto del 2017. Sono occorsi alcuni giorni all’ente vulcanologico per correggere i dati errati diramati a ridosso dell’evento ischitano… Giorni a disposizione potrebbero non esserci in caso di una crisi vulcanica, e una siffatta disorganizzazione in un momento topico per la salvezza dei cittadini, sarebbe una vera catastrofe.

Il terzo elemento di vulnerabilità è il piano di mobilità previsto per l’evacuazione dei vesuviani nella fase operativa di allarme vulcanico. L’organizzazione proclamata che si metterebbe in campo con autobus navette e treni e navi, ci sembra che sia tarata sul taglio dei grandi eventi piuttosto che sui grandi pericoli. La differenza consiste che nel primo caso la popolazione seguirebbe le indicazioni degli esperti in modo più o meno partecipativo, con ansie e angosce misurabili per le sole cose materiali che si lasciano in loco. Di fronte al pericolo manifesto invece, il panico si diffonderebbe sovrano, e tutti gli schemi fin qui elucubrati salterebbero miseramente in quella che potrebbe delinearsi come una grande corsa verso la salvezza.

Il panico è una diretta conseguenza della percezione fisica del pericolo. Alla fase di allarme, quando sarà, noi come ci arriveremo ed è una domanda: in una condizione di stress dettato da sintomi pre eruttivi percepibili direttamente dalla popolazione o l'allarme evacuativo coinciderà con fenomeni microscopici non avvertibili dagli abitanti? La riuscita del pacioccone piano di evacuazione così  stabilito nelle linee guida dalle autorità regionali e dipartimentali, avrà una possibilità di successo solo se il pericolo è dichiarato ma non percepito direttamente dalla popolazione magari attraverso i sussulti sismici.

In questa enormità stagnante fatta di approssimazione e ipocrisia, bisognerà pure che qualcuno faccia notare che non serve un piano Vesuvio di facciata per zittire quei pochissimi whistleblower del mondo scientifico e tecnico che puntano il dito contro le politiche di sicurezza fin qui adottate, e che tra l'altro sono ancora senza un risultato concreto nonostante siano trascorsi oltre venti anni dai buoni propositi.
Il piano di evacuazione Vesuvio ma lo stesso vale per quello dei Campi Flegrei, deve essere uno strumento non basato sull’ottimismo circa le condizioni geologiche e ambientali pre eruttive, così come non può essere utile immaginare una collettività consenziente e pronta ad eseguire alla lettera le istruzioni dettate da uno Stato, generalizzando, criticato e francamente poco efficace  su tutti i fronti istituzionali. Il piano Vesuvio deve essere spartano e convincente...

Come esperti di soccorso possiamo solo dire che se l’allarme dovesse cadere in un momento di diretta percezione del pericolo eruttivo, i 500 e passa autobus previsti da e per la zona rossa rappresenteranno un vero disastro strategico operativo.
Secondo la pianificazione in itinere, la metà della popolazione di Torre del Greco, paese sfavorito per posizione geografica mediana,  dovrebbe lasciare la cittadina attraverso un servizio navetta da 1074 corse: più o meno 22 autobus ogni ora. Gli sfollati attenderebbero il trasporto nelle aree di attesa… Aree di attesa ci sembra una terminologia che, in un quadro di allarme vulcanico, suona leggermente comica…

venerdì 10 novembre 2017

Pericolo Vesuvio: chi ci salverà? di MalKo

Il Vesuvio

Le peggiori fenomenologie vulcaniche che hanno caratterizzato le dinamiche eruttive del Vesuvio nell’arco di alcune decine di secoli, certamente non sono state contemplate direttamente dalla nostra generazione smartfonica. Il Vesuvio nell’immaginario collettivo sembra consolidarsi come quel vulcano buono che un po’ di tempo fa consentiva di cuocere le patate nella cenere. Un tubero fumante da offrire ai forestieri che si avventuravano in quota fino ai margini della lava incandescente, che offriva un senso di avventura ai turisti che affollavano la metropoli partenopea.

Nel 1787 anche Goethe, nel gran tour italico, rimase affascinato tanto dalla città di Napoli quanto dal Vesuvio, lanciandosi per tre volte lungo i pendii per arrivare sulla sommità dello Sterminator Vesevo, onde ammirare direttamente la lava pulsante che caratterizzava con grosse volute di vapore alcuni anfratti della famosa montagna.

Le immagini o i filmati che ci offrono una testimonianza abbastanza ampia dei fenomeni eruttivi del 1944, cioè dell'ultima eruzione, ci presentano scene di palazzi abbattuti dalle inesorabili colate laviche e i carri stracolmi di masserizie che si allontanano mogi dal fronte del fuoco. Intanto gli aerei americani allineati sul campo d’aviazione ubicato tra Terzigno e Poggiomarino, vennero anch’essi martoriati dalla pioggia di cenere e lapilli probabilmente perché non fecero in tempo a decollare quando il vento cambiò direzione irrorandoli di pietrisco...
Aeroporto Terzigno - 1944 -
Nelle vecchie pellicole si notano quasi sempre spettatori che osservano il movimento lentissimo e strisciante della lava, che avveniva alla stregua delle salvifiche processioni con San Gennaro in testa.

La straordinaria eruzione pliniana del 79 d.C. invece, cataclisma che seminò lutti e sventura in una plaga letteralmente sconquassata dalla potente eruzione, è fuori dalla portata percettiva dei vesuviani e degli interessi della politica e delle istituzioni che non allarmano. Un evento quello pliniano, che tutti conoscono indirettamente grazie all’area archeologica di Pompei, ma che ritengono sostanzialmente irripetibile perché appartenente al passato millenario che non torna, e quindi alla leggenda come il mito di Atlantide.

Che non ci si dovesse preoccupare per un'eruzione pliniana lo diceva spesso l’ex assessore regionale alla protezione civile della regione Campania, che non riteneva utile nelle pratiche di prevenzione delle catastrofi dare spazio ad eventi con tempi di ritorno troppo lunghi. Sovente tirava in ballo e con una battuta il diluvio universale, da cui, diceva, non ci possiamo difendere soprattutto se non ci si chiama Noè… Quindi perché evocarlo?

Questa filosofia ad excludendum non ha aiutato moltissimo il principio di precauzione consentendo all’organizzazione dipartimentale sostenuta dalla commissione grandi rischi e alla stessa Regione Campania di condividere la scelta dello scenario eruttivo di riferimento tarato sul medio evento, cioè su un indice di esplosività VEI 4 (sub pliniano). Il primo risultato è stato quello di consentire ai cittadini di Scafati e di Poggiomarino ubicati in zona rossa 2 (quella dell’aeroporto appena citato), di continuare a edificare palazzi con regolare licenza edilizia.

L’eruzione di taglia pliniana (VEI 5), nei documenti scientifici ufficiali è stata ritenuta poco probabile ma mai obliabile come invece ha fatto la politica. Non c’è una sola nota redatta dagli esperti che la cancelli. Tant’è che i relatori hanno scritto nel documento plenario ad oggetto gli scenari di rischio, che nel breve e medio termine il Vesuvio potrebbe produrre un’eruzione di tipo stromboliano o al massimo di taglia sub pliniana, ma non possiamo escludere, aggiungono congelando il precedente assunto, che il livello energetico possa essere di taglia superiore a quelli fin qui ipotizzato.  Mani avanti insomma...
Statistica eruttiva Vesuvio su due archi di tempo.
Incredibili sono i silenzi del mondo scientifico in generale e dell’INGV in particolare, che nulla hanno fatto e detto circa la magica sparizione dell’eruzione di taglia pliniana dalle carte della politica. Lapidario fu la sintesi espressa da un recente direttore dell’Osservatorio Vesuviano, che ebbe a dire che loro non si occupano di sicurezza e di allarmi ma solo di ricerca e monitoraggio, e quindi non entrano in dibattiti che competono al Dipartimento della Protezione Civile. Ergo, le uniche denunce sull’argomento a tutela di una distratta popolazione, provengono da uno sparuto gruppo di esperti che a contarli si utilizzano poche dita di una sola mano.

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’INGV, è l’indice di questa mano, tra l’altro oggetto qualche anno fa, di attenzioni amministrative disarmanti, per aver avallato tesi che non escludono il pericolo pliniano e la città di Napoli dalle conseguenze di una possibile per quanto remota eruzione VEI 5. Teorie che comportarono minacce per procurato allarme per mano di Guido Bertolaso, all’epoca deus ex machina del dipartimento della protezione civile.

Qualche anno fa ci fu pure chi ebbe a ridire in risposta a una critica circa l’assenza di un piano di emergenza per fronteggiare un’eruzione pliniana, che sarebbe stato utile anche una pianificazione per fronteggiare un meteorite che piomba nel centro di Roma: ma non c’è un tale piano!   L’esempio naturalmente voleva essere un paradosso sarcastico...  Intanto diciamo subito che ci sono studi anche su quest’argomento ma non certo da parte del Dipartimento della Protezione Civile italiana che non ha razzi e missili e testate esplosive per deviare o disintegrare fuori dall’orbita terrestre i macigni in arrivo che sbucano dallo spazio.  Diversamente, il primo passo per difendersi dai massi che piombano dal cielo è quello di individuare con il maggior anticipo possibile un meteoroide in rotta di collisione con la Terra. Poi, occorrerebbe affidarsi ai calcoli matematici per scappare dal punto stimato d’impatto, con la speranza che le conseguenze fisiche del tremendo botto non colpiscano le popolazioni presumibilmente in fuga magari da regione a regione.

Le incognite che regolano questo rischio proveniente dallo spazio, non consentono di produrre in anticipo un piano di emergenza per i meteoriti perché non siamo in condizione di dare al pericolo (P) una quantizzazione energetica che è assolutamente variabile per composizione e massa e velocità dei bolidi. Elementi di assoluta indeterminatezza che non ci consentono di assegnare una magnitudo al fenomeno che potrebbe anche comprendere un mega asteroide che spazzerebbe totalmente la vita dal Pianeta. Il meteorite quindi, non c'entra niente col Vesuvio di cui si conoscono invece le coordinate geografiche (40° 29’ N – 14° 26’ E) e la massima magnitudo (VEI5) espressa nell’arco di una millenaria esistenza, così come i limiti di territorio (zona rossa) su cui s’infrangerebbero le fenomenologie vulcaniche più deleterie per la vita umana… Come si evince, la differenza c’è…

Per cercare qualche determinatezza nel discorso del rischio vulcanico, alla direttrice dell’Osservatorio Vesuviano inviammo una lettera certificata con richiamo al freedom of Information Act (FOIA), dove chiedevamo se corrispondesse a verità che una eruzione pliniana fosse da escludere nel prossimo futuro perché manca magma a sufficienza nella camera superficiale del Vesuvio. Affermazione quest'ultima di grande importanza strategica, riportata tra l’altro nel documento scientifico redatto dal gruppo di lavoroA”. Un’equipe di esperti nominata dal Dipartimento della Protezione Civile per offrire ai tecnici dipartimentali e regionali lo scenario di riferimento su cui attagliare la relativa pianificazione d’emergenza carente a tutt'oggi e come sapete del piano di evacuazione.

La dirigente dell'INGV - OV direttrice Bianco, non ha trovato tempo per rispondere come non lo trovò parimenti l’ex direttore Martini, nonostante sia stato tra i firmatari del documento in questione.

Intanto le eruzioni del Vesuvio, secondo le analisi petrografiche effettuate sui minerali espulsi durante l’evento del 79 d.C., sono avvenute con materiale magmatico asceso direttamente dalla camera magmatica ubicata allora come nell’attualità, a circa 10 chilometri di profondità.  In assenza di risposte chiarificatrici, si potrebbe pensare che la nota sulla camera superficiale sia un assist alla famosa politica ad excludendum.

L’Osservatorio Vesuviano è anche quella istituzione scientifica che in occasione del terremoto di Ischia del 21 agosto 2017 ebbe bisogno di alcuni giorni per indicare la posizione esatta dell'epicentro del sisma, inizialmente dato a nord, in mare e lontano dalla costa. Si scoprì poi che la localizzazione esatta era sotto i piedi degli abitanti di Casamicciola Terme, così come segnalarono alcuni esperti in diretta televisiva analizzando semplicemente i danni che si riscontrarono sull’isola. Se l’errore epicentrale fosse stato sbilanciato verso est, si sarebbe dovuta attivare la commissione grandi rischi perché l’evento si collocava al di sotto dei Campi Flegrei che già gode di un livello di allerta gialla: con un sussulto da 4.0 si sarebbe dovuto seriamente valutare il passaggio a una fase operativa di pre allarme…

Alcuni accademici hanno rumoreggiato su questo svarione che segue e anticipa una serie di perplessità sull’organizzazione interna dell’istituto napoletano dell’INGV. Tra l’altro incomincia ad essere noto a una platea sempre più ampia che i dati di monitoraggio dei vulcani napoletani ricavati dall’Osservatorio Vesuviano non possono essere forniti in tempo reale alle popolazioni. Infatti, c’è un’esclusiva contrattuale che prevede l’invio dei valori strumentali corredati da note ad oggetto Vesuvio e Campi Flegrei e Ischia, in prima battuta al dipartimento della protezione civile. E solo successivamente pare che possano essere immessi sul mercato dell’informazione libera in favore dei sudditi…

In questi giorni il corriere del mezzogiorno ha pubblicato la notizia che un certo numero di costose attrezzature di monitoraggio giacciono inutilizzate in un deposito dell’Osservatorio Vesuviano. Altri media recitano il contrario. In un altro articolo ancora viene pubblicato un pourparler telefonico tra due tecnici della sede dell’Osservatorio Vesuviano (INGV): non si capisce bene se trattasi di una intercettazione, ma la discorsiva abbraccia temi delicati come l'efficienza del sistema di vigilanza e i dati di monitoraggio che a loro dire e a proposito dei Campi Flegrei, non vengono commentati nella loro reale gravità...  C’è anche una preoccupante allusione al discusso progetto geotermico di Serrara Fontana.  Un progetto tra l’altro ancora al vaglio del Ministero dell’Ambiente che intanto ha archiviato con buona pace di tutti l‘ipotesi di un impianto pilota geotermico a Scarfoglio (Pozzuoli). L’idea proposta prevedeva di perforare il ventre della Solfatara e carpire calore dai fluidi caldi che poi sarebbero stati reiniettati in profondità… la provvida archiviazione e non bocciatura ha salvato i promoters anche istituzionali che si sono spesi moltissimo per la geotermia nel flegreo e più in generale sulle trivellazioni.

Cosa bolla realmente nel sottosuolo della caldera flegrea non è dato saperlo con certezza. I segnali colti dalle strumentazioni sono certamente preoccupanti e da tenere sotto stretto controllo. Occorre pure dire che gli strumenti per quanto sofisticati registrano i dati in tempo reale ma non come questi evolveranno un minuto dopo. Le apparecchiature quindi non prevedono le eruzioni, che è una pratica complicata e sovente imperfetta e che resta tutta nelle mani degli scienziati e a seguire in quelle del premier…

Secondo alcune teorie recenti, la coltre rocciosa e tufacea che ricopre la camera magmatica flegrea è stata intaccata dal calore, dalla chimica termale e dalle sollecitazioni fisiche dettate dal bradisismo. Questo significa che se gli strati litoidi che coprono il magma agissero come una sorta di porta tagliafuoco, ebbene la struttura di contenimento così provata potrebbe cedere in qualsiasi momento alle "fiamme" astenosferiche e più velocemente rispetto a una copertura monolitica indenne. Questa bassa resistenza potrebbe allora innescare più facilmente eruzioni ma di piccola taglia in ragione della cedevolezza? Impossibile prevederlo… il mondo della vulcanologia è ancora oggi costellato di forse.
Statistica eruttiva Campi Felgrei
Chi ci salverà dai vulcani non lo sappiamo… Il quadro generale è disarmante e non c’è una reale opinione pubblica che lamenti efficienza e chiarezza su questi grandi argomenti tra l’altro relegati erroneamente a un ambito regionale. La classe politica locale è tutta protesa ad accaparrarsi la proposta contenuta nel decreto Falanga che non è altro che un disposto di tolleranza dell’abusivismo edilizio anche in zona rossa.

I brontolii del pubblico si sono avuti con gli incendi boschivi al Vesuvio perché il fuoco era ben visibile come i fumi e le vampe nella boscaglia che in alcuni casi hanno lambito le case. Il fuoco vulcanico non si vede perché interrato come gli incubi, e quindi non si coglie la pericolosità che è un fattore assegnato alla percezione dei sensi o a una grande cultura della prevenzione che latita...

I piani di evacuazione del Vesuvio, paciocconamente e realisticamente appellati di allontanamento, così come quello dei Campi Flegrei sono ancora in itinere, mentre Ischia non compare neanche nel computo degli inadempienti perché manca ancora uno scenario di rischio. Terme e turismo intanto, diciamola tutta, non si conciliano con gli allarmi sismici e vulcanici…

In conclusione, per superare la china dell’indifferenza e della sfiducia e della inefficienza, occorre che l’Osservatorio Vesuviano, quale struttura di riferimento per il rischio vulcanico, intanto riprenda la sua autonomia e il suo ruolo di attenta sentinella vulcanica.  Occorre poi che si riporti ordine nell'organizzazione e che si valuti una sede diversa da quella ubicata all'interno del super vulcano flegreo.
La nomina del direttore deve essere sicuramente corroborata da alte competenze scientifiche, ma anche da un credo istituzionale volto a garantire ai cittadini l'imprescindibile diritto alla sicurezza, attraverso un operato che non lasci niente di intentato per evitare che un evento naturale, come un'eruzione vulcanica, possa trasformarsi in catastrofe.
A volte per raggiungere questo obiettivo, risulta necessaria mantenere una certa distanza dal mondo politico e  da quei poteri forti che fanno business...

lunedì 9 ottobre 2017

Rischio Vesuvio: zona rossa,abusi edilizi e il ddl Falanga... di MalKo





Napoli e il Vesuvio

Il fenomeno dell’abusivismo edilizio è sufficientemente esteso al punto da dare ad ogni cittadino che si propone di leggere minimamente il paesaggio che lo circonda, contezza diretta del fenomeno di fagocitazione del territorio da cemento residenziale.

In Campania il dato complessivo è numericamente impressionante, al punto da far profferire al governatore De Luca che non esistono cave a sufficienza per ospitare eventualmente i calcinacci delle demolizioni. Questa dismisura introduce alla riflessione che non ci sono stati neanche occhi a sufficienza per vedere e bloccare sul nascere la costruzione di migliaia di palazzi fuorilegge…

Nel vesuviano il fenomeno è talmente dilagante che in qualche paese la quantità di fabbricati abusivi sembra equivalere per numero i palazzi edificati con licenza edilizia. D’altro canto nella zona rossa Vesuvio classificata R1, vige la legge regionale 21/2003 che vieta la realizzazione di qualsiasi manufatto cementizio ad uso residenziale: misura assolutamente necessaria (come vedremo), per non aumentare il numero di abitanti nella plaga classificata a rischio eruttivo. Una sentenza del tribunale di Ottaviano non accordò a un ricorrente il diritto a edificare nonostante questi avesse una regolare licenza edilizia rilasciata antecedentemente al 2003. La motivazione fu chiara: in presenza di un rischio acclarato dalla scienza e dallo Stato non si può vantare alcun diritto retroattivo. Figuriamoci post 2003...

Il problema dei problemi in questo campo consiste proprio nell’ingente numero di abusi edilizi che costellano anche l’area vesuviana, con il dato tutt’altro marginale che le famiglie che si correlano ad ogni costruzione abusiva, alla fine costituiscono voti in abbondanza per garantire un grande risultato elettorale ai politici che reclamano una sanatoria premendo sulle direzioni partitiche e sui colleghi recalcitranti da indottrinare e convertire alla realpolitik: voto non olet!

Nessun sindaco oggi è nella condizione di abbattere “impunemente” un fabbricato abusivo a meno che l’immobile non appartenga a famiglie imbelli o l'opera cementizia fuorilegge è talmente appariscente o realizzata in un luogo veramente inaccettabile, che a lasciarla lì sarebbe controproducente per l'immagine di molti con sindaco in testa. Invero lo schiaffo è anche alla legalità che viene obliata sotto gli occhi delle letargiche autorità di polizia che non vedono neanche che sul Monte Somma incomincia a intravedersi a chilometri di distanza, qua e là qualche sbuffo di cemento che traspare tra la vegetazione in quota…

Sull’argomento abusivismo si registrano non pochi malumori, perché il decreto proposto dal senatore avv. Ciro Falanga, parlamentare che affonda il suo bacino di preferenze presumibilmente nel comprensorio torrese ubicato totalmente in zona rossa Vesuvio, prevede un certo indice di priorità degli abbattimenti delle costruzioni abusive, secondo logiche giuridiche  inveroconde che risparmierebbero alla fine i cosiddetti abusi di necessità.

In questo disegno di legge fortemente rimaneggiato dalle varie commissioni parlamentari perché improponibile nella sua stesura originale, è prevista la movimentazione delle poche ruspe che si riusciranno a finanziare, innanzitutto contro gli immobili di rilevante impatto ambientale o comunque costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico o a vincolo sismico o a vincolo idrogeologico o a vincolo archeologico o storico-artistico.

L’attenzione dei cingolati passerebbe poi agli immobili che per qualunque motivo costituiscono un pericolo per la pubblica e privata incolumità, con scelte prioritarie da concordare con le autorità amministrative preposte.

Il testo del disegno di legge si concentrerebbe alfine sugli immobili che sono nella disponibilità di soggetti condannati per i reati di associazione mafiosa o associazione criminale o di soggetti ai quali sono state applicate misure gravi di prevenzione personali, patrimoniali e amministrative.

Nell'ambito di ciascuna tipologia, pur tenendo conto delle caratteristiche territoriali dove sorge l’abuso, alcuni criteri decisionali dovranno privilegiare gli abbattimenti di immobili in corso di costruzione o comunque non ultimati alla data della sentenza di condanna di primo grado e agli immobili non stabilmente abitati. In altre parole, se l’abuso edilizio riguarda una magione ordinariamente occupata bisogna andarci coi piedi di piombo…

La notizia che rimbalza nelle cronache, è che la discussione alla camera del decreto Falanga è rimandata di due settimane. Il testo infatti, che si prefigurava inizialmente come un cinico e furbo e mascherato condono edilizio, ancora non trova grandissima sponda parlamentare, perché lo Stato con questa proposta preannuncia bandiera bianca.

Non sono pochi quei parlamentari stimolati dai sindaci che auspicano l'approvazione del DL Falanga per accaparrarsi voti a sufficienza intanto nella prossima e vicina tornata elettorale, per fare il colpaccio alle spalle del prossimo futuro che perde “terreno sotto i piedi”.  Ci sarà poi tempo e modo per buttarla sul Trump di turno per garantirsi un’aureola di ambientalismo…

Con i pochi fondi a disposizione dicevamo, le ruspe dovrebbero puntare le costruzioni illegali ricadenti in zone salvaguardate da vincoli importanti. I legislatori però, forse come atto di gentilezza nei riguardi del primo firmatario della proposta di legge C.1994-B, hanno dimenticato di inserire nel disposto e tra i vincoli anche quello certificato di alta pericolosità vulcanica che grava interamente sulla zona rossa Vesuvio, composta da oltre venti comuni tra cui alcune municipalità napoletane.

zona rossa 1 e 2 - la zona ombrata intorno al cratere invece, corrisponde al territorio del parco nazionale Vesuvio.
Per chi non ha dimestichezza con la materia, la zona rossa Vesuvio ad alta pericolosità vulcanica è quella classificata R1: zona quest’ultima dove un documento dello Stato certifica che, in caso di ripresa dell’attività eruttiva, la zona potrebbe essere invasa dalle micidiali colate piroclastiche diversamente dette nubi ardenti. Le stesse valanghe fumanti che nel 79 d.C. calarono su Pompei ed Ercolano, vaporizzando con la loro elevatissima temperatura tutti gli ercolanesi che non riuscirono a fuggire dall’eruzione, mentre dei pompeiani ci restano solo i calchi.

Sotto la spinta di questa minaccia, la Regione Campania dicevamo, varò nel 2003 il DL regionale numero 21, che vieta qualsiasi costruzione capace di aumentare il numero di residenti nell’area vesuviana maggiormente a rischio: il rischio però, non è una costante immutabile con il tempo.

Esiste una formula che nella sua misura concettuale focalizza in che modo si crea una condizione di rischio esplicitando alcuni concetti che ci aiutano a inquadrare anche le problematiche di origine vulcanica, abusivismo compreso. R= P x Ve.

Per avere un fattore di rischio (R), è necessario che un pericolo (P), incomba su di un valore esposto (Ve) rappresentato nella sua forma più importante dalla vita umana.  Il rischio Vesuvio quindi, è dato dal pericolo eruttivo esplosivo quantificato oggi con una intensità eruttiva VEI 4 (sub pliniano), che grava almeno su 700.000 abitanti della plaga vesuviana.
E’ bene ricordare che tutti e due i fattori (P e Ve), non sono stabili nel tempo. Il pericolo (P) tende al rialzo con la quiescenza (t), tant’è che col passare degli anni il pronostico eruttivo si avvicina sempre di più a un’eruzione pliniana (VEI 5). In altre parole, per i residenti della zona rossa attuale, i decenni di pace geologica determinano un aumento del rischio non solo per l’intensità eruttiva pronosticabile, quanto per la distanza da percorrere per porsi fuori dalla portata delle colate piroclastiche.

Il numero di abitanti della plaga vesuviana può aumentare o diminuire a seconda delle politiche che si adottano anche sul fronte dell'abusivismo edilizio. Bisogna dare merito al presidente Bassolino che ebbe il coraggio di varare la legge regionale 21/2003 finalizzata a non aumentare il numero di abitanti grazie al blocco dell'edilizia. La lotta all'abusivismo era implicito nella norma, ovvero se non posso rilasciare licenze come posso assegnare condoni?...

Il numero di abitanti in zona rossa ha registrato qualche calo negli ultimi decenni nella parte super antropizzata di Portici e San Giorgio a Cremano, mentre in altre località il dato abitativo è piuttosto stabile o in aumento come ad esempio a San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania o Nola. In tutti i casi bisognerebbe accendere i riflettori anche sull’implementazione degli stranieri che risiedono nella plaga vesuviana e sovente sono affittuari delle magioni abusive.

Mediamente quindi, possiamo dire che il numero di residenti nella zona rossa 1 è stabile, ma la crescita del pericolo eruttivo che marcia come dicevamo verso una intensità eruttiva VEI 5, ingloberà anno dopo anno nuovo territorio che sarà pericolosamente compromesso sommandosi all’attuale zona rossa 1 (R1). Da questo dato incontrovertibile, se ne ricava che anche la zona rossa 2 (R2) doveva essere preservata attraverso politiche residenziali di prevenzione delle catastrofi. L’attualità invece, lascia registrare che nella zona rossa 2 non c’è alcun vincolo vulcanico e si costruisce ancora con regolare licenza edilizia: esattamente come succede all'interno del super vulcano flegreo.

Atteso il fallimento di qualsiasi politica di delocalizzazione della popolazione vesuviana dall’area a maggior pericolo (R1), e la impossibilità di disinnescare o proteggersi dal pericolo eruttivo, bisogna convenire che per rendere il rischio Vesuvio nullo occorre agire sull’unico fattore che la formula R= P x VE  ci consente di manipolare: il valore esposto. In questo caso bisogna ridurre questo elemento a zero attraverso l’applicazione di un piano di evacuazione capace di spostare l’intera popolazione vesuviana a un limite di almeno 15 Km. dal centro eruttivo, tra l'altro in un tempo utile per sottrarsi alla furia del vulcano e dei suoi flussi piroclastici, ovvero dal suo indice di esplosività valutato con non poche critiche in VEI 4 invece che VEI 5.

Purtroppo e nonostante un battage pubblicitario di tutto rispetto, il piano di evacuazione non è ancora una realtà operativa. La strategia messa in campo dal dipartimento della protezione civile e dalla regione Campania, con le aree d’attesa comunali e poi quelle d’incontro extra comunali, rispecchia per linearità il termine con il quale coerentemente è stato appellato: piano di allontanamento. 

Le incongruenze di questo piano sono messe in evidenza platealmente dal comune di Nocera Inferiore (SA), che vede la sua stazione ferroviaria classificata come punto d’incontro per tre comuni vesuviani: Boscoreale, Boscotrecase e Torre Annunziata. Come se il comune di Nocera non fosse inserito nella zona gialla e fossero certificate previsioni di eruzione con diecine di giorni di anticipo... In qualità di esperti riteniamo che le perplessità espresse dal comune di Nocera siano più che fondate.
L'argomento come si vede è vastissimo. Vogliamo semplicemente concludere segnalando che sarebbe opportuno che nel disegno di legge Falanga venga introdotto anche il vincolo vulcanico, perché i limiti del parco nazionale Vesuvio sono di gran lunga inferiori rispetto all' estensione della zona rossa Vesuvio. Quindi non si dia per scontato che un vincolo vale l'altro... Un vincolo che tutela le piante o lo scavo archeologico, tra l'altro e senza sminuirne l'importanza, è diverso da quello che tutela la salvaguardia fisica degli esseri umani...