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Visualizzazione post con etichetta piano evacuazione vesuvio. Mostra tutti i post
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venerdì 16 giugno 2023

Rischio Vesuvio: la zona gialla... di Malko


 

Per parlare della zona gialla Vesuvio, occorre premettere che l’eruzione massima adottata per la stesura dei piani di emergenza è di media intensità (sub pliniana), e che i venti in quota soffiano prevalentemente verso est. Con questi presupposti, è stato preventivato la possibilità che oltre alle municipalità della zona rossa 1 (R1), i comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, che insieme formano la zona rossa 2 (R2), possano essere investiti da una massiccia pioggia di cenere e lapilli con accumuli sui tetti piani anche di notevoli spessori. Con questa prospettiva di carichi accidentali tutt’altro che irrisori, non si può escludere, soprattutto se la pioggia imbibisce il materiale accumulatosi appesantendolo, che si verifichi lo sprofondamento dei solai di copertura, soprattutto in danno dei fabbricati più datati, che potrebbero cedere rovinosamente su quelli sottostanti che a loro volta e per somma dei carichi, sprofonderebbero ulteriormente e fino al piano terra.

La zona rossa 2 (R2), pur avendo come pericolo la pioggia di cenere e lapilli e presumibilmente non le micidiali colate piroclastiche associate invece alla R1, ha una colorazione rossa e non gialla, perché è soggetta alla stregua della zona rossa 1, all’evacuazione preventiva e totale degli abitanti, qualora dovesse palesarsi la minaccia eruttiva. 

Zona rossa 1, zona rossa 2, zona gialla



Il fall out di materiale piroclastico sciolto che andrebbe a ricadere come dicevamo, molto probabilmente e per ampio angolo a est del Vesuvio, avrebbe una intensità fenomenologica rapportata alla distanza dal centro eruttivo, alla velocità del vento che assottiglierebbe la scia dispersiva, oltre naturalmente alla quantità di materiale piroclastico eruttato. Quindi, oltre al pericolo di crollo dei tetti, nella rossa 2, occorre tener presente che potrebbe verificarsi oscurità, perdita di orientamento, probabile spegnimento dei motori, difficoltà di transito su gomme e a piedi, e il possibile blocco delle porte che aggettano sul piano stradale. Inoltre, la cenere aspersa in atmosfera, creerebbe fastidio alla respirazione con irritazione alla gola e agli occhi soprattutto in danno di vecchi e bambini, per la componente vetrosa e acida contenuta nelle polveri vulcaniche: Plinio il vecchio morì per questo motivo sulle spiagge di Stabia nel 79 d.C.  In siffatte condizioni sarebbe proibitivo qualsiasi intervento aereo di soccorso a mezzo elicotteri, perché in un ambiente pervaso dalla cenere, i motori (turbine) cesserebbero di funzionare, così come il forte potere abrasivo del prodotto siliceo strierebbe pure il plexiglas o anche altre trasparenze della cabina di pilotaggio dei velivoli, portando la visibilità a una condizione critica per la sicurezza del volo. Anche gli autoveicoli potrebbero subire il blocco dei motori per intasamento dei filtri, e in tutti i casi la circolazione su alcune diecine di centimetri di cenere e lapilli sarebbe ugualmente problematica soprattutto per i veicoli a dure ruote e per le auto e mezzi pesanti, ancor di  più in una condizione di traffico caotico e di insofferenza all'attesa.



Nella zona gialla, quella oltre zone rosse con estensione asimmetrica, così come si evidenzia facilmente dalla cartina, non è prevista all’occorrenza e in prima battuta una evacuazione preventiva, ma è una opzione quest'ultima che gli esperti intendono attuare dopo aver valutato con eruzione in corso i settori maggiormente vulnerabili su cui precipita la maggior parte dei lapilli e della cenere scagliati in aria dal vulcano e veicolata dal vento.  Le valutazioni che dovrebbero essere velocissime, perchè veloce è la velocità di deposito dei piroclasti,  verrebbero assicurate dal dipartimento della protezione civile, che si avvarrebbe della consulenza della commissione grandi rischi, e di una direzione di comando e controllo operativo (DiComac) per l'attuazione delle direttive. 

Tecnicamente parlando però, l’opzione di valutare con eruzione in corso i settori della zona gialla da evacuare, dovrebbe presupporre come condizione indispensabile che le popolazioni ubicate in zona rossa siano già state evacuate. Diversamente, l’organizzazione emergenziale potrebbe imballarsi immediatamente, per le diverse condizioni di urgenza e di strategia che caratterizzano i territori rossi e gialli della plaga vesuviana. Anche nel flegreo sussiste la stessa condizione strategica basata sulla certezza della previsione di eruzione, che scientificamente invece, rimane perlopiù incerta...

La zona gialla, composta da 63 comuni, è evincibile dalla mappa contenuta in questo articolo, che riporta i limiti territoriali delle varie comunità interessate. Nella stessa cartina è riportata pure la curva di isocarico, una curva chiusa che circoscrive l’area dove è possibile che sui tetti possa accumularsi un deposito di cenere e lapilli anche superiore ai 30 centimetri, e quindi prossimo o superiore al peso di 300 chilogrammi al metro quadrato. In caso di eruzione, il vulcano proietterebbe in alto i prodotti piroclastici per alcune decine di chilometri, con quelli meno pesanti che diverrebbero preda dei venti e trasportati per distanze anche di migliaia di chilometri. Le ceneri micrometriche infatti, permanendo in aria per lungo tempo, potrebbero provocare nei casi di massima diffusione del prodotto, transitorie variazioni climatiche.

Nella zona rossa 1, quella che circonda e racchiude il cratere sommitale del Vesuvio, tutte le manifestazioni vulcaniche possono concentrarsi a iniziare dalle micidiali nubi ardenti; ma anche lahar, lave e poi le intense precipitazioni di cenere e lapilli e altri tipi di scorie più o meno pesanti, tra le quali pure le bombe vulcaniche. Nella zona rossa 1 non è possibile portare soccorso con eruzione in corso.

Vesuvio: bomba vulcanica ricoperta dal lichene Stereocaulon vesuvianum

                                                               di Vincenzo Savarese
                                                             





lunedì 18 ottobre 2021

Rischio Vesuvio: un pericolo dimenticato... di MalKo

 


Foto aerea dell'interno del cono del Vesuvio

Il pericolo eruttivo dettato dal Vesuvio fu “scoperto” sul finire degli anni ’80 con interlocuzioni sull’argomento intercorse tra le principali istituzioni competenti in auge in quel periodo: la presidenza del consiglio col ministro delegato, la prefettura di Napoli, l’osservatorio vesuviano, i vigili del fuoco e la provincia di Napoli.

La prefettura in quegli anni aveva competenze notevoli sulla gestione delle emergenze, innanzitutto perché il pericolo vulcanico rientrava territorialmente nel piano provinciale d’intervento. Il problema della prefettura ieri come oggi, è che non ha una grande memoria storica se non generalista sui rischi naturali che tratta, perché cambiano i componenti che ruotano tra uffici e sedi, e ogni volta con le nuove nomine bisogna ricominciare tutto daccapo, in un contesto in cui le tematiche vulcaniche vengono troppo spesso sopraffatte da molte e più cogenti necessità quotidiane. La prima regola delle prefetture intanto è quella di non allarmare…

In quegli anni e su input del compianto ispettore regionale dei vigili del fuoco, ing. Alberto d’Errico, cercammo di capire che cosa avremmo potuto trovarci di fronte in caso di eruzione. Intanto c’erano alcuni punti fermi da cui partire per procedere a una disanima della situazione qui riassumibile:

  • non è possibile prevedere deterministicamente il momento delle dirompenze vulcaniche;
  • non è possibile valutare in anticipo la tipologia eruttiva della prossima eruzione al Vesuvio        che può avere carattere ultra stromboliano (VEI3), sub pliniano (VEI4) o pliniano (VEI5);
  • non c’è ombrello o barriera capace di proteggere le popolazioni ubicate in zona rossa dagli   effetti deleteri di un’eruzione esplosiva;
  • non è possibile garantire interventi delle squadre di soccorso con eruzione in corso.

Le chance, oggi come allora, in assenza di pratiche di prevenzione strutturali, sono tutte racchiuse in procedure meramente emergenziali: cioè, in caso di allarme vulcanico, occorrerà spostare in tempo rapidi e a una distanza di sicurezza (d), tutti i cittadini della zona rossa, onde sottrarli dal possibile dilagare delle micidiali colate piroclastiche.


by Malko

Nell’odierno la situazione è quella suggerita dalla prima immagine a sinistra (Fig. A): si noti la totale promiscuità della vita umana col pericolo vulcanico. La figura B illustra invece la tattica di salvaguardia vigente, consistente nell’interporre una distanza di sicurezza (d) tra popolazione e fenomeni eruttivi, ma solo nel momento in cui dovesse palesarsi l’approssimarsi di un’eruzione.

La commissione grandi rischi (CGR), sentito l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e valutata la relazione redatta da un consesso di esperti nominati, è stata chiamata un po’ di anni fa a indicare da quale tipologia eruttiva occorrerà difendersi in futuro: notizia indispensabile per definire i limiti della zona rossa e quindi il numero di cittadini da evacuare che dovranno essere spostati dal centro eruttivo alla distanza (d).

Ebbene, la CGR accettò l’indicazione probabilistica sponsorizzato da alcuni ricercatori dell’INGV, tra cui il Dott. Marzocchi, adottando un’eruzione di taglia VEI 4 come evento massimo alla base dei piani di emergenza. Occorre anche dire che i previsori hanno indicato come eruzione probabile un evento VEI3 (ultra stromboliano) mentre una pliniana VEI5 è stata completamente esclusa dal ventaglio delle possibilità. La Commissione Grandi Rischi con motu proprio ebbe ad assumere la linea nera della ricercatrice Lucia Gurioli, come limite scientifico d’invasione dei flussi piroclastici con energie VEI4. Il segmento curvilineo in questione, fu ricavato da rilievi campali.

Rispetto alla vecchia zona rossa formata da 18 comuni, sono state inserite nel perimetro a rischio piccole porzioni di territorio non prima contemplate, come ad esempio quelle orientali delle municipalità napoletane di Ponticelli, San Giovanni a Teduccio e Barra. Di contro ci sono vaste aree comunali che debordano oltre la linea nera Gurioli (mappa in basso) e che andavano liberate da vincoli di alta pericolosità come suggerì lo stesso consesso di esperti a proposito di Torre Annunziata.

Linea nera Gurioli: limite scientifico di scorrimento dei flussi piroclastici al Vesuvio

L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, Ing. Cosenza, in tutti i casi decise di mantenere i confini amministrativi precedenti della vecchia zona rossa (18 comuni) integrati da tutti i territori ricadenti nel perimetro Gurioli con estensione per le new entry fissata dai consigli comunali. L’innovazione che fu introdotta, fu l’instaurazione della zona rossa 2 da evacuare all’occorrenza con la stessa urgenza prevista per la zona rossa 1. La pubblicità battente fu quella che la regione aveva ampliato di molto la zona rossa da evacuare per motivi precauzionali. Pubblicità progresso diremmo…Nella realtà l’ampliamento è stato solo di taglio operativo (evacuazione), ma non preventivo atteso che i comuni di Poggiomarino e Scafati pur aggettandosi verso l’apparato vulcanico ben oltre i limiti orientali della cittadina di Boscoreale, non hanno controindicazioni all’edilizia residenziale, perché sono classificati a pericolosità vulcanica e non ad alta pericolosità vulcanica (legge regionale 21 del 2003).

In termini operativi occorre tener presente che non sono possibili interventi di soccorso con eruzione in corso: ne consegue, che tutto ciò che è possibile fare per salvaguardare i vesuviani, occorre farlo col supporto delle istituzioni competenti ma ben prima dell’evento eruttivo. Con eruzione in corso, qualora non sia stata completata l'evacuazione, eventuali necessità di soccorso dovrebbero confidare soprattutto nell’organizzazione comunale, che non deve essere passiva in un contesto emergenziale di questa portata. Inoltre, non è possibile durante l’eruzione l’impiego di elicotteri per evitare il blocco delle turbine e la ridotta visibilità dovuta alle abrasioni sui plexiglass della cabina di pilotaggio, causate dal silicio (cenere) in sospensione.

Sulla previsione dell’evento vulcanico in tempi più che utili per l’evacuazione, la direttrice dell’osservatorio vesuviano ha espresso il suo totale ottimismo confidando sul fatto che le attrezzature di monitoraggio di cui dispone, sono in grado di cogliere l’eventuale ascesa del magma verso la camera magmatica superficiale con largo anticipo. Il riempimento di questo serbatoio ubicato ad alcuni chilometri di profondità, è ritenuto dalla dirigente il vero indicatore di pericolosità vulcanica. Alla domanda circa la tipologia eruttiva correlabile ai tempi di quiescenza, la Dott.ssa Bianco ha affermato che il perdurare della pace vulcanica, finanche secolare, non incide sulla futura intensità eruttiva. Solo nuovi studi e ricerche possono modificare l’eruzione di riferimento (VEI4), tant'è che se la ricerca non farà passi in avanti, il parametro VEI 4 quale intensità eruttiva massima attesa è immutabile nei secoli…

La mappa sottostante offre una chiara visione della situazione attuale. Come si vede la zona rossa 1 è quella dove è possibile il dilagare di flussi piroclastici. La zona rossa 2 invece è particolarmente soggetta alla pioggia di piroclastiti che potrebbe far crollare i solai piatti e meno resistenti e rendere impossibile la permanenza in zona a causa della sospensione in aria delle ceneri vulcaniche. La zona rossa 1 e rossa 2 sono un unicum da evacuare prima dell’eruzione. La zona a nord del Vesuvio (zona Blu) invece, è quella allagabile dalle acque meteoriche che accompagnano l’eruzione, con ristagni che possono superare anche i due metri di altezza soprattutto nella conca di Nola.


Mappa della pericolosità vulcanica al Vesuvio con le tre zone

In termini di prevenzione siamo lontani dalle esigenze che dovrebbero accompagnare il rischio vulcanico, perché nella zona rossa ma anche nei comuni di Volla e Striano viciniori alla perimetrazione di alta pericolosità, è ancora possibile l’incremento abitativo con normale licenza edilizia. Chi compra casa nelle zone ad est del Vesuvio, deve tener presente che qualsiasi tipologia eruttiva comporterebbe statisticamente la necessità di salvaguardarsi dalla pioggia di cenere e lapilli.  

La cartina sottostante mostra la linea nera Gurioli e in giallo il dilagare dei flussi piroclastici in seno alle eruzioni pliniane (VEI5) di circa 4000 anni fa (Pomici di Avellino) e di circa 2000 anni fa (Pompei). Dalle superfici coinvolti s’intuisce la necessità che non vengano sottovalutate le pratiche di prevenzione delle catastrofi in favore delle generazioni future che popoleranno la plaga vesuviana. Nelle zone VEI 5 non c’è alcuna regola edilizia (non diciamo vincoli ma almeno regole). Di fatto, escludendo una maggiore intensità eruttiva dettata dallo scorrere del tempo, si sta offrendo sponda alla conurbazione nella zona rossa pliniana.


Mappa tratta dalla pubblicazione: Pyroclastic flow hazard assessment at
Somma-Vesuvius based on the geological record di Lucia Gurioli

Nei Campi Flegrei la situazione non è migliore: anzi. Innanzitutto perché vige uno stato di attenzione; poi non c’è un vincolo vulcanico capace di tenere a freno l’edilizia residenziale, e quindi il tempo giuoca doppiamente a sfavore. Di contro non è possibile stabilire in anticipo il centro o i centri eruttivi della futura eruzione. Un’altra nota che crea apprensione, è che bisogna fare i conti con un indice di pericolosità vulcanica che al momento possiamo dire che varia in ragione dell’incremento bradisismico; dato altalenante e vivace, ma soprattutto potrebbe repentinamente cambiare. Anche in questa zona i soccorsi con eruzione in corso non sono possibili.

                                                                 


malkohydepark@gmail.com

domenica 12 settembre 2021

Rischio Vesuvio: in fila per due.

 



Il Vesuvio non esiste più. Ovvero non esiste più il rischio eruttivo che è proprio di questo monte, perché lo scuro ammasso roccioso sorto a strati, è sempre lì con la sua forma conica che svetta e si palesa dalla asimmetrica caldera del possente Somma.  Nelle viscere c’è sempre fuoco magmatico, ma sul vulcano e sul pericolo a cui dovrebbe rimandare, è sceso l’oblio, dovuto innanzitutto all’emergenza pandemica che cattura la totale attenzione dei media e delle popolazioni. La paura dominante in questo periodo, e di finire a pancia sotto nelle terapie intensive. Essendo che la natura umana a fronte della minaccia alla sopravvivenza parte dalle priorità temporali e dalla tangibilità dei fenomeni deleteri, sia nella zona rossa Vesuvio che in quella ancora più enigmatica dei Campi Flegrei, i discorsi dei cittadini e delle autorità cosiddette competenti, scivolano prioritariamente sul virus, sulle vaccinazioni e sul green pass. A dirla tutta, non è che in tempi pre pandemici l’attenzione sull’argomento Vesuvio fosse stata molto più alta…

Molte volte il popolo vulcanico viene spinto a manifestare tutto il suo ottimismo contro i cosiddetti profeti di sventura, alla stregua dei nostalgici emigranti che si ritirano nei loro luoghi natii cantando prose di conforto come quelle:<< basta che ci sta o cielo, basta che ci sta il mare…(Simm'e Napule Paisà)>>. Questo modus pensandi  ben rappresentato nel film pane e cioccolato, non genera alcuna sicurezza dal rischio vulcanico: anzi, lo aggrava.

Certamente un aiuto all’ottimismo lo hanno offerto varie istituzioni come quella universitaria (Federico II) e l’Osservatorio Vesuviano: la prima ha prodotto di recente una video conferenza in cui si annunciava che il pericolo vulcanico è in decrescita, mentre la struttura periferica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia  (INGV) ha sancito addirittura che non c’è un nesso tra tempi di quiescenza e l’intensità eruttiva, aggiungendo  che la strumentazione disseminata nel flegreo e sul Vesuvio consentirà agli esperti di monitorare all’occorrenza e in tempi utili la risalita del magma in superficie. Queste novità assolute nel panorama vulcanologico, hanno consentito alla dirigente dell’Osservatorio Vesuviano di sottintendere marcatamente che una eruzione nei Campi Flegrei o nel vesuviano non potrà mai cogliere alla sprovvista la popolazione: la previsione quindi, è cosa fatta. Bisognerebbe dirlo pure al presidente della regione Campania, che affermò molto pragmaticamente, che i tempi a disposizione per evacuare potrebbero esserci e potrebbero non esserci...

Uno dei problemi di comunicazione che riguardano questi argomenti nell’odierno declassati all’ultima pagina, e la correlazione tra azione amministrativa e affermazioni scientifiche. Infatti, sancire come ha fatto la responsabile dell’Osservatorio Vesuviano, che il trascorrere dei decenni e dei secoli e fino a quando la ricerca scientifica non sia di diverso avviso, non influisce sulla determinazione energetica dell’eruzione massima attesa, produce accidia nell'azione di governo del territorio. Affermazione quindi non da poco, che consente, generalizzando, agli amministratori pubblici, il cui mandato elettorale generalmente è misurabile in anni e sulle dita di una mano, di tenere manica largo sull'uso espansionistico del territorio da urbanizzare anche in area storicamente vulcanica, declinando così ogni azione utile alla prevenzione del disastro vulcanico, soprattutto in favore dei posteri. Pare che si prediligano invece gli aspetti economici legati al riciclo delle cose che spostano capitali... le case si ricostruiscono. Per comprare una casa in questi settori vulcanici, occorrerebbe avere rassicurazioni per almeno 30 anni di pace geologica: un tempo veramente minimo per recuperare il capitale iniziale investito nell'acquisto di un alloggio, soprattutto se le risorse economiche sono misurate

La classe politica preferisce circuire e rimuginare sui limiti della iniziale e vecchia zona rossa Vesuvio, artefattamente dichiarata allargata, preferendo adoperarsi per rodere i limiti di questo settore dal 2003 inibito all’edilizia residenziale. Una zona questa, permanentemente sotto attacco ad opera degli speculatori dell’edilizia e dei cacciatori di condono. Nei Campi Flegrei poi, non si riesce a varare uno straccio di norma che, alla stregua dell’area vesuviana, vieti le costruzioni finalizzate ad insediare nuove famiglie nella caldera vulcanica, con la conseguenza che lievita  il rischio già oggi insopportabile. Alcuni politici premono per le piste ciclabili, ma molto meno per istituire un vincolo di salvaguardia dal fuoco astenosferico... Nell'imminenza delle elezioni, i candidati a sindaco di Napoli, dovrebbero dichiarare in anteprima nei loro comizi elettorali, quali iniziative intendono porre in campo per affrontare il rischio vulcanico nel vesuviano e nel flegreo e alla stregua nell'ischitano. Magari la stampa potrebbe concorrere con domande appropriate, in quella che potrebbe essere un'opera di chiarezza per favorire l'informazione come strumento assolutamente necessario per l'esercizio della democrazia. 

Stando a quanto si legge è in produzione il film -  in fila per due -, del regista Bruno De Paola, che per un mese si girerà all’ombra del Vesuvio. La trama del film riguarda un paesino alle falde del Vesuvio dove, in seguito a una scossa di terremoto di origine vulcanica, viene attivato il piano di evacuazione col trasferimento degli abitanti del paese verso un altro Comune gemellato. Il protagonista vede l’evacuazione come un’ottima opportunità per allontanarsi dalla gelosissima fidanzata che lo perseguita. Sarà interessante vedere come il mondo cinematografico rappresenterà l’evacuazione dalla zona rossa.

I problemi legati al rischio vulcanico nell’area metropolitana di Napoli sono incentrati innanzitutto sulla impossibilità di determinare il momento eruttivo e l’intensità eruttiva. In quest'ultimo caso capirete che anche se si riesce a prevedere il momento dell'eruzione, il dubbio sulle distanze coperte dagli effetti deleteri delle dirompenze geologiche può essere il principio della catastrofe o della salvezza. D’altra parte molte incongruenze che riguardano i piani di evacuazione, potrebbero prestare il fianco al caos comportamentale dei cittadini che, generalizzando, a volte  sottovalutano interesse e partecipazione, salvo inveire inutilmente a posteriori contro il governo inadempiente... 

domenica 13 dicembre 2020

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la protezione che non c'è... di MalKo



Il Covid 19 da buon parassita non poteva che produrre una catastrofe sanitaria, soprattutto in una società senza un’idea anti pandemica, con non poche strutture di assistenza medica smobilitate negli ultimi decenni, e con personaggi neanche capaci di mettere a posto le carte, figuriamoci la salute.

L’odissea delle mascherine che si producevano ahinoi solo fuori dai confini nazionali, ci hanno disorientato e appiattito nei primi momenti, sull’unica opzione preventiva possibile che era quella di non uscire e tenere materialmente la bocca chiusa. Per mesi ci hanno ammorbato con disquisizioni assurde circa l’utilità o meno delle mascherine, che in ogni caso non c’erano. La bocca anche molto aperta l’hanno tenuta e la tengono invece epidemiologi, virologi e infettivologi e similari, che occupano il piccolo schermo, molto spesso elargendo opinioni e indicazioni completamente diverse le une dalle altre, anche se ultimamente stanno aggiustando il tiro evitando esternazioni iperboliche più che imbarazzanti per tutti. Vi sembrerà strano, ma riteniamo questa inflazione televisiva medico scientifica preferibile al pensiero unico del soggetto istituzionale e governativo, al maschile o al femminile che, con tono misurato, appare in pubblico per dire che è tutto sotto controllo e che sui blog fanno solo allarmismo.

L’articolo pubblicato online dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sulla testata TPI.it. è molto interessante e inizia così:<< il professor Antonello Ciccozzi insegna antropologia culturale all’Università dell’Aquila. Dopo il devastante terremoto che colpì il capoluogo abruzzese nel 2009, coniò il termine “rassicurazionismo”, poi inserito nel dizionario Treccani. L’occasione fu la sua consulenza tecnica al processo alla Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, processo che costò la condanna a due anni a Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo della Protezione Civile>>.

Il rassicurazionismo è quella pratica che normalmente trova ampio spazio applicativo nell’ambito governativo e delle istituzioni pertinenti, che anche senza istruzioni mirate sanno e si adoperano acchè si attenuino gli stati ansiosi delle popolazioni, soprattutto a ridosso di una condizione di pericolo difficilmente affrontabile in via preventiva e operativa che possa portare disordine pubblico. La gente infatti, vorrebbe vivere in un contesto di permanente protezione, o almeno rassicurazione, avendo la sensazione se non la certezza, che c’è un grande fratello statale che veglia diuturnamente sul loro sonno e con le migliori risorse umane e tecnologiche possibili.

L’Osservatorio Vesuviano è una struttura appunto statale che ha compiti di ricerca e di sorveglianza vulcanica, che non disdegna di esercitare anche la pratica del rassicurazionismo, soprattutto perché, contrariamente all’affollata componente medica che ha sul collo la pandemia, praticamente svolge indisturbato questo ruolo di front office in un clima di pace geologica, appena disturbato da qualche brontolio, e più ancora da qualche sussulto soprattutto nell’area flegrea. Con incalzanti crisi sismiche sarebbe tutto un altro discorso... Le diverse amministrazioni statali e regionali e comunali, che dovrebbero vedersela coi vulcani sopiti, preferiscono contemplare l’ipotesi eruttiva medio bassa sussurrata dall’INGV, che essendo dieci volte inferiore al massimo evento conosciuto (eruzione Pompei), offre maggiori chances di mediazioni tra economia, pericolo e tutela: della serie rischio accettabile, ovvero analisi costi benefici. Con questo modus operandi, la scala dei disastri allora potrebbe anche salire e coglierci totalmente impreparati, vanificando qualsiasi organizzazione evacuativa che intanto non c’è e se c’è è tarata sul medio evento. Non presentandosi il manifesto e percepibile rischio eruttivo, le maestranze istituzionali lasciano correre qualsiasi affermazione negativa proveniente dal basso su scenari e piani di emergenza, senza neanche soppesarla.

In realtà ogni affermazione allarmista o rassicurazionista dovrebbe poggiare su una solida analisi scientifica del problema, e soprattutto sulle alternative possibili in risposta ad ogni incognita. Quindi il discorso sul rischio vulcanico dovrebbe avere un’inquadratura diversa dal solito target minimalista o allarmistico. Se il pericolo non è quantificabile energeticamente e neanche temporalmente, per migliorare la nostra posizione di grande fragilità zonale, la soluzione alla fine dovrebbe essere quella di andarsene dal territorio vulcanico: l’emigrazione a dirla chiara o lapalissianamente, sarebbe la formula bruta della sicurezza.

Ovviamente questa strategia di uscita (exit strategy) piuttosto tranchant, avrebbe una sua percorribilità, in assenza di prodromi percepibili dai sensi, solo se il nucleo familiare per più motivi abbia in serbo di andarsene fuori dalla zona rossa. Diversamente la pratica del trasferimento familiare potrebbe essere una opzione sofferta ma molto utile per chi non ha remore per i cambiamenti, ed ha una forma mentis molto lucida su quella che dovrà essere l’organizzazione familiare del proprio futuro. Per la stragrande maggioranza delle famiglie invece, che ha relazioni e lavoro stabile in zona rossa, decidere di andare via è molto più difficile perché alla quantità della vita potrebbe non corrispondere una congrua qualità della vita stessa.

Per mitigare il rischio vulcanico senza per questo uscire dalla zona rossa, l’alternativa per garantirsi un minimo di protezione in più, dovrebbe essere quella di non risiedere nelle zone mediane di pericolo del perimetro a rischio, preferibilmente occupando un posto in periferia e ad occidente, possibilmente lontano dagli addensamenti abitativi che sono una variabile assolutamente negativa a fronte di qualsiasi elemento di pericolo geologico, climatico o di natura antropica.

Proprio stamani sulla rivista online Open, a proposito della pandemia si legge che non c’è mai stato un piano operativo. E ancora si legge che le scartoffie esistenti contenevano unicamente «linee guida generiche molto distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico». Come nel caso dell’organizzazione anti covid, anche nel vesuviano e nel flegreo non c’è un utile piano di protezione civile a fronte del pericolo eruttivo. In caso di allarme, la nostra impreparazione potrebbe essere platealmente e drammaticamente e catastroficamente evidente, e tutta la questione e la gestione dell’emergenza vulcanica, andrebbe ad offrire ampi spunti all’interno della trasmissione di Sigfrido Ranucci (Report), o in quella di Non è l’Arena con l’inviato Lupo che si si sposterebbe su paesaggi lunari. Come la pandemia però, le inchieste arriverebbero sempre a posteriori, ed esperti mai visti prima o mai prima espostisi con le loro teorie, darebbero lezioni di prevenzione e di vulcanologia, con un’attenta analisi della catena degli eventi che ha portato al disastro, bacchettando ed assolvendo con quelle famose e collaudate tecniche di dietrologia, frutto del senno del poi, quegli attori istituzionali muti e inattivi spettatori della sicurezza pubblica. Verrebbero tutti assolti come successe alla commissione grandi rischi, dove i giornalisti più accreditati tirarono in ballo la bufala che si stava svolgendo un processo alla scienza degno dell’inquisizione, un'artata campagna a favore della protervia istituzionale...

Che un’eruzione ci colga improvvisamente è improbabile. Che ci colga prima del previsto, cioè con un margine temporale inferiore alle 72 ore è ancora improbabile. Che diffondano un allarme eruttivo molto in anticipo sui tempi eruttivi è piuttosto probabile. Che lancino un allarme evacuativo seguito dall’eruzione dopo qualche giorno dalla desertificazione della zona rossa è un miracolo. Per gli esperti la previsione dell’evento vulcanico è più difficile nei Campi Flegrei che non al Vesuvio. Neanche le più innovative tecniche di monitoraggio delle plaghe vulcaniche hanno la capacità di accrescere la diagnosi predittiva dell’eruzione, perché storicamente non si ha una congrua sequela di dati archiviati nel corso dei millenni: i vulcani li conosciamo da ieri...

Il piano di emergenza e di evacuazione a fronte del rischio vulcanico campano, è un assemblato di carte dal taglio teorico ma per niente operativo. La risposta reclamizzata dalla protezione civile nazionale e regionale e comunale sembra di pura facciata senza certezze sull'efficacia delle misure generiche che si intenderebbero prendere in caso di necessità. La totale disorganizzazione del modello anti pandemico, alla stregua può suggerirci cosa succederebbe in caso di allarme vulcanico, dove la salvezza può solo provenire dai falsi allarmi che salverebbero ma alla lunga stancherebbero.  Il recovery fund porterà miliardi che cadranno su un terreno sterile pieno di ortiche che ci porterà a consumare concime, acqua e Sole senza che fiorisca alcunché. Richiamando un pensiero affine all'ideologia mazziniana, la felicità in terra è tutta racchiusa nel buon funzionamento delle istituzioni: si vanghino questi poderi allora... 













venerdì 23 ottobre 2020

Rischio Vesuvio: la zona rossa è di garanzia?

 


Per chi segue le vicende del rischio Vesuvio, occorre dire che nell’attualità il dibattito scientifico e giornalistico che ruota intorno al famoso vulcano è totalmente assente, perché tutta l’attenzione dei media è concentrata sul Covid 19, la pandemia che sta fustigando il mondo intero con le strutture sanitarie in ginocchio e la popolazione mondiale allarmata e disorientata.

L’apparato vulcanico del Vesuvio, come si evince dai tracciati sismici, di tanto in tanto subisce scuotimenti dovuti a terremoti a bassa e bassissima magnitudo con il rilascio di energia equivalente inferiore a una tonnellata di tritolo: valori, generalizzando, che non cagionano danni. Di contro però, attestano ineluttabilmente che il Vesuvio è ubicato su una vasta camera magmatica che ricordiamo non è un bacino chiuso. Questo significa che i contenuti di magma incassati nelle profondità chilometriche dell’apparato vulcanico, presumibilmente dovrebbero variare con il tempo. Intanto nessuna ricerca fino ad oggi è riuscita a dare un preciso rilievo tridimensionale alle sostanze incandescenti presenti nelle viscere del monte, onde consentire con precisione di valutare con quanti chilometri cubici di materiale magmatico potremmo avere a che fare un domani. Questo significa che non è possibile pronunciarsi sulla misura energetica della prossima eruzione, che non sappiamo se sarà esplosiva e soprattutto quanto esplosiva; e poi non sappiamo se riusciremo a cogliere con netto anticipo i prodromi pre eruttivi che non siano un falso allarme, e se il traffico stradale ci consentirà di allontanarci velocemente dal pericolo. Ed ancora non sappiamo se il piano di evacuazione quando sarà completato riuscirà a soddisfare d’appieno le necessità di sicurezza dell’area vesuviana. Queste sono solo alcune delle domande che un giorno cattureranno la nostra attenzione o quella dei posteri, che si scontreranno, statene certi, contro un muro di dubbi a fronte delle impellenti necessità del sopravvivere.

Riallacciandoci con qualche analogia alle problematiche da Covid 19, sembra che nessun governo nazionale e mondiale abbia mai stilato un piano per fronteggiare una pandemia seria come questa. Il Covid 19, dopo una prima ondata di aggressività sugli anziani, ha diviso gli scienziati che si sono espressi sulla letalità dell’epidemia. Alle porte dell’estate, secondo alcuni luminari il virus era morto e sepolto; altri lo definivano oramai cambiato e quindi innocuo come un raffreddore, ma c’è stato pure chi ha avvertito di una recrudescenza dei contagi con modalità particolarmente pervasive da attendersi in autunno. In effetti mentre il mondo cinematografico aveva largamente previsto la drammaticità di una minaccia pandemica, il mondo reale, quello fatto di politici e scienziati ed esperti e opinion leader, neanche avevano lontanamente immaginato che potesse verificarsi un incubo simile: da ciò ne è derivato una impreparazione pressochè totale. 

Un’esplosione pliniana del Vesuvio, evento raro ma non escludibile dagli annali del possibile, è un argomento in questo caso poco dibattuto fra gli scienziati, con prese di posizione fatte di farfugliamenti a bassissima voce. La classe degli esperti istituzionali preferisce infatti parlare a voce alta per esprimersi sui sistemi di monitoraggio sempre più tecnologici e da finanziare, e sui piani di emergenza e di evacuazione, dando in pasto all’opinione pubblica indizi di certezze sulla previsione dell’evento, offrendo poi esercitazioni di protezione civile che hanno la stessa utilità di una lampada abbronzante ai tropici.  I dati geologici ci provengono dall’organo istituzionalmente competente che è senza ombra di dubbio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), mentre per la parte tecnica e politica le indicazioni sono tutte del Dipartimento della Protezione Civile e della Regione Campania. L’INGV, anche attraverso la sua diramazione scientifica costituita dall’Osservatorio Vesuviano, ha concluso che la massima eruzione attendibile al Vesuvio è tuttalpiù di taglia sub pliniana, mentre quella più probabile è di tipo ultra stromboliana (VEI3). La pliniana è innominabile, perché, sussurrano, ha un indice di probabilità di accadimento praticamente zero. Stranamente un documento firmato da due ex direttori dell'Osservatorio Vesuviano davano una probabilità eruttiva VEI 5 all'11%.


Per quanto riguarda la possibilità che con i decenni e poi con le decine di decenni e poi secoli, il Vesuvio possa aumentare la sua latente energia eruttiva e distruttiva, la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) ebbe a precisare qualche anno fa, che non è il trascorrere del tempo che rende più pericoloso un vulcano come il Vesuvio, bensì solo nuove scoperte capaci di modificare quelle conoscenze scientifiche che hanno consentito nell’odierno di classificare l’eruzione  di tipo sub pliniana (VEI4) come l’eruzione massima di riferimento per i piani di emergenza.  Se per nuove scoperte s'intende la precisa calibrazione della massa magmatica in aspettativa nell'omonima camera, come già anticipato prima, non c'è una tale inappuntabile quantificazione, ma di certo l'eruzione pliniana del 79 d.C. pescò magma dalla camera superficiale (4-5 Km.), ma soprattutto da quella profonda (8-10 Km.) poco perscrutabile... Il dibattito scientifico dovrebbe incominciare a chiarire l’importanza di queste due camere nelle dinamiche magmatiche esplosive, che forse hanno ruoli diversi nelle diverse tipologie eruttive.

È nella normalità delle cose che se il mondo scientifico certifica addirittura come deterministica una previsione di eruzione massima attesa non superiore a un indice di esplosività vulcanica VEI 4, i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania hanno impostato le bozze dei piani di emergenza, tenendo in debito conto questa discutibile classificazione per circoscrivere la zona rossa da evacuare. Per meglio inquadrare il problema, si tenga presente che l’estensione della zona rossa ha un raggio correlato all’indice di esplosività vulcanica. Quindi: circa 10 chilometri per una VEI 4, e quasi 20 per una eruzione pliniana VEI5. Occorre anche comprendere che, come i termometri, anche le energie eruttive possono manifestarsi con valori intermedi che nel nostro caso creerebbero problemi, soprattutto se la zona rossa non ha un contorno maggiorato di sicurezza. Da questo punto di vista il caso di Volla è emblematico.


Assumendo per il Vesuvio una zona rossa VEI 4, in pratica si è tenuto fuori dai piani di evacuazione buona parte della città di Napoli ad eccezione dei quartieri orientali (Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio). Questa storia di Napoli centro storico invulnerabile alle dinamiche eruttive vesuviane e flegree ci lascia perplessi. Infatti, la zona rossa del super vulcano non comprende come è stato fatto col Vesuvio una zona rossa 2 (R2).  La zona rossa 2 ricordiamolo, è quella parte di territorio che per lontananza sarebbe risparmiata dalle colate piroclastiche sub pliniane ma non dalla massiccia pioggia di cenere e lapilli. La caduta di materiale piroclastico renderebbe impossibile la permanenza in loco per l’immediatezza dell’insorgere dei problemi alla respirazione. E poi ci sarebbero dopo qualche ora criticità alla circolazione dei veicoli, e poi serie complicanze statiche alle coperture dei fabbricati per il sovrappeso di cenere e pomici e lapilli. Questo significa che la zona rossa 2 ha le stesse regole e tempi di evacuazione della zona rossa ordinaria, e che intanto non è stata indicata per la zona rossa flegrea.

Considerato che i venti predominanti soffiano prevalentemente verso est, pur comprendendo che non c’è l’indicazione di un preciso centro eruttivo nella caldera dei Campi Flegrei, riteniamo che una media mediata non possa non comprendere la necessità, all’occorrenza, di un allontanamento preventivo di tutti gli abitanti che affollano il centro storico di Napoli. 

I rischi che si corrono col Vesuvio è quello che anche una riuscitissima previsione dell’evento vulcanico con una efficace evacuazione della zona rossa, possa comportare una catastrofe se l’intensità eruttiva che non è possibile cogliere in anticipo, vada ad assumere i caratteri di una pliniana o similmente pliniana, con le colate piroclastiche che andrebbero ad espandersi ben oltre i limiti attuali della zona rossa cogliendo non pochi spettatori immoti. Anche nel flegreo persiste un problema, e anche qui in caso di allarme, pur se si dovesse raggiungere l’auspicato successo evacuativo, il centro storico di Napoli rischierebbe di essere bombardato dai prodotti piroclastici di caduta che renderebbero dopo qualche ora inutilizzabile la stazione centrale, mentre i marittimi dovrebbero spalare cenere dai ponti dei traghetti e gli snodi stradali e autostradali rischierebbero dopo qualche ora il blocco totale della circolazione.

Alcune diatribe interne all’Osservatorio Vesuviano, così come la querelle sull’epicentro del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, la cui localizzazione venne fatta a distanza di giorni; ed ancora il gioco del sapevo e non sapevo sulla trivellazione operata nella zona di Agnano nel giugno 2020, portano a ritenere che la richiesta di alcuni senatori sull’opportunità di commissariare l’INGV per riorganizzare i vertici, sia un'assoluta necessità per riportare il ruolo della scienza lontano dai bisogni non confessati della politica. Le istituzioni non sono meno responsabili però, soprattutto quando si arrogano il diritto di nascondere la verità per non allarmare, mentre in realtà la cautela serve esclusivamente per non rispondere...














sabato 12 ottobre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: rischio accettabile?... di MalKo

Il Vesuvio visto dal treno

Quando si affronta  discorsivamente un pericolo come quello vulcanico, imponderabile nei tempi e  nell’intensità  energetica  e  quindi nella prospettiva di danno, occorre inquadrare l’argomento e le differenze che lo caratterizzano nei suoi aspetti principali:
  1. Non tutti i vulcani sono uguali e quindi le caratteristiche geologiche di uno non valgono per l’altro;
  2. Ogni eruzione anche se scaturisce dallo stesso apparato è sempre diversa da qualsiasi altra eruzione precedente;
  3. I prodromi pre eruttivi si differenziano in ogni eruzione tanto per la diversificazione dei fenomeni, quanto per i tempi di insorgenza, intensità e durata;
  4.  I vulcani a condotto chiuso hanno generalmente caratteristiche diverse da quelli a condotto aperto;
  5. Le caldere vulcaniche hanno notevoli differenze rispetto ai distretti vulcanici caratterizzati da un rilievo montuoso quale centro eruttivo;
  6. I vulcani sottomarini hanno incidenze di pericolo diverse da quelli subaerei, perché di solito sott’acqua scema la pericolosità eruttiva ma può innescarsi quella delle frane che potrebbero scatenare  maremoti;
  7. I vulcani che coi loro prodotti eruttivi formano isole, hanno un potenziale di pericolo diverso da quelli basati sulla terraferma;
  8. In Campania ci sono tutte le tipologie di vulcani appena indicate compresi quelli sottomarini che caratterizzano i fondali al largo del Cilento.
   Come abbiamo scritto in altre occasioni, riusciamo a convivere con i vulcani perché le eruzioni,soprattutto quelle di un certo livello energetico sono un fatto piuttosto raro. Chi è nato nel vesuviano nel 1944, data dell’ultima eruzione, oggi ha 75 anni e quindi non dovrebbe essere testimone ricordevole di un’eruzione, tranne rari casi riferibili a soggetti con un’età prossima o superiore ai 90 anni. Chi abita il flegreo non può essere stato matematicamente spettatore di un evento eruttivo perché l’area dei Campi Flegrei vive il suo 481 esimo anno di quiete vulcanica. A Ischia la pace geologica è ancora più acclarata, visto che non si segnalano eruzioni da 781 anni.  

   In Italia ma anche in tante altre parti del mondo, quando si registrano condizioni di disequilibrio, di agitazione (unrest) nelle viscere o nell'apparato vulcanico, si utilizzano colori o termini per marcare il livello di criticità,cioè di allerta vulcanica. La scheda sottostante per quanto riduttiva è forse quella più chiara sull’argomento.
I livelli di allerta vulcanica
La variazione dei parametri controllati comporta un passaggio da un livello all’altro in tempi non quantificabili, perché la progressione al rialzo e talora al ribasso dell’allerta, che non ha un procedere temporale da moto uniforme o uniformemente accelerato, dipende da elementi fisici e chimici in contesti dinamici, poco conosciuti e non quantificabili in termini di energie e resistenze e accumuli.

D’altra parte lo stesso Dipartimento della Protezione Civile per il vulcano Stromboli ha precisato che bisogna tener presente:<<… anche quando il livello di allerta è “verde” il rischio non è mai assente e che, come per ogni vulcano, il passaggio di livello di allerta può non avvenire necessariamente in modo sequenziale o graduale, essendo sempre possibili variazioni repentine o improvvise dell’attività, anche del tutto impreviste>>.

Con queste premesse appare alquanto strano che nell’attualità il Dipartimento della Protezione Civile abbia mantenuto nelle sue pagine web e per il Vesuvio, i livelli di allerta vulcanica indicati nella bozza di piano del 2001, che riportano anche un ulteriore dato offerto in chiave deterministica: i tempi di attesa eruzione. 
Questi sono da considerarsi una vera previsione scientifica ad excludendum dell’evento vulcanico. Evidentemente il terremoto dell’Aquila e il susseguente processo alla commissione grandi rischi, sono un ricordo troppo lontano per avere una funzione pedagogica attuale. La tabella è quella sotto riportata:


Secondo queste indicazioni, un’eruzione può manifestarsi dopo un tempo di quiescenza indefinito e comunque non meno di diversi mesi dalla variazione dei parametri controllati. La proclamazione dello stato di allarme, secondo gli esperti del dicastero, verrebbe diffusa con un margine di settimane prima del verificarsi dell’evento eruttivo.
In realtà siamo di tutt’altro avviso. I tempi di eruzione sono indefiniti e indefinibili con le conoscenze attuali. I tempi di attesa eruzione indicati nella tabella soprastante non corrispondono all’attualità scientifica, e il Dipartimento si assume una grave responsabilità a declamarli, perché in realtà non ci sono parametri neanche per definire la soglia di inizio dello stato di allarme, cioè il punto da dove incominciare a contare le due settimane di attesa eruzione.

Possiamo solo dire che la sensibilità della strumentazione di monitoraggio, potrà anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma un’eventuale escalation dei parametri controllati non prevede una soglia minima di sicurezza o una soglia massima per introdurre il successivo livello di allerta vulcanica propedeutico alle fasi operative. Infatti, dalla condizione di attenzione in poi, tutte le decisioni di proclamazione dello stato di pre allarme e allarme, saranno in capo al potere politico.

Le nostre misure di salvaguardia sono racchiuse allora nei prodromi pre eruttivi: questi segnali che cambiano da eruzione a eruzione e da vulcano a vulcano, sono gli elementi su cui si basa la previsione corta di quelle che potrebbero essere delle dirompenze magmatiche in arrivo e che magari si arrestano a pochi chilometri dalla superficie (mancata eruzione). La capacità tecnologica di cogliere i micro segnali fisici e chimici che registrano sul nascere una variazione dei parametri di monitoraggio vulcanico, sono elementi che devono essere soppesati e valutati soprattutto dalla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico che, ponderando le notizie pervenute dai centri di competenza (Osservatorio Vesuviano), offrirà all’autorità politica un parere di pericolosità vulcanica, ma non la decisione ultima che spetta, almeno fino alle prossime elezioni, al premier Prof. Giuseppe Conte che detiene i poteri di ordinanza e una serie di funzioni vitali supportate dal Comitato Operativo della Protezione Civile e presumibilmente dai ministri competenti.  

Un'altra riflessione è che le proprietà immobiliari sono inamovibili, e quindi il danno economico non è scongiurabile neanche con la più infallibile delle previsioni eruttive: la collocazione geografica non perdona... Occorre dire che la perdita delle proprietà certamente ha ben poca importanza rispetto all’incolumità fisica, ma non si può non riflettere sul fatto che cambierebbe per ogni sfollato la qualità della vita. Ovviamente la regola vale soprattutto per chi non ha residenze alternative o mezzi economici consistenti. Calcolando 550.000 evacuati nel flegreo, ci sarebbe all’occorrenza la necessità di reperire oltre 180.000 case che non potrebbero essere ricollocate nelle zone attraversate dalle colate piroclastiche o reinsediabili magari ancora in area vulcanica inventandosi altrettanti rioni Toiano 2 e 3 e Monterusciello 2 e 3…

Ma c’è un altro aspetto della faccenda: quello degli abusi edilizi, perché oltre ad essere titolari di diritti, dovremmo essere anche titolari di doveri, come quello di non costruire abusivamente in barba a leggi e regolamenti, in modo da essere a pieno titolo contemplati e all’occorrenza, fra quelli che devono essere assegnatari di case erogate dal sistema di pubblica assistenza. Il nostro pensiero, a proposito delle case realizzate abusivamente nei settori a pericolosità vulcanica, è quella sì di sanare gli abusi per evitare un conflitto sociale, ma renderli senza valore commerciale, cioè invendibili per evitare la trasmissione del rischio vulcanico dall'autore dell'insediamento a terzi.

Il Dipartimento della Protezione Civile nella pagina dedicata all’aggiornamento del piano nazionale di protezione civile, per il Vesuvio riporta testualmente: <<La nuova zona rossa, a differenza di quella individuata nel Piano del 2001, comprende oltre a un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2). La ridefinizione di quest’area ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare>>.

In realtà la zona rossa 2, quella soggetta a elevato rischio di crollo delle coperture, in caso di allarme vulcanico deve essere totalmente evacuata senza alcun distinguo: lo dice la direttiva Vesuvio del 14 febbraio 2014 a firma del Presidente del Consiglio Enrico Letta. Non ci risulta infatti, per la ridefinizione di quest’area (rossa 2), che alcuni Comuni siano stati coinvolti per decidere unitamente alla Regione Campania, quale parte dei loro territori far ricadere nella zona rossa da evacuare. Il Dipartimento forse ha fatto confusione, perché alcuni Comuni inzialmente hanno tentato di differenziarsi, ma la chiamata in causa è stata per stabilire quale parte del loro territorio doveva includersi cautelativamente nel perimetro della zona rossa 1 e quindi nella morsa della legge regionale 21/2003 che vieta la realizzazione di nuove residenze nella zona ad alta pericolosità vulcanica. Qualche porzione di territorio l’hanno ceduta i Comuni di Nola, San Gennaro Vesuviano e più ancora Palma Campania. Il Comune di Napoli invece, Poggiomarino e soprattutto Scafati, sostanzialmente non hanno ceduto il resto di niente, per dirla alla Eleonora Pimentel Fonseca…  

Forse il Dipartimento dovrebbe incominciare ad interessarsi seriamente al rischio vulcanico, analizzando i propri scritti dopo aver visionato bene i rapporti e i pareri scientifici, e poi quelli amministrativi prodotti dalla Regione, e per finire analizzare le carte compilate dalle amministrazioni comunali, tentando alla fine un'operazione di armonizzazione dei vari testi, senza per questo ledere il diritto alla conoscenza e alla sicurezza dei cittadini esposti.

In chiusura vorremmo chiarire al Dipartimento, che nella zona rossa 1 vige il divieto di edificare palazzi; nella zona rossa 2 invece, si possono ancora costruire fabbricati e case e ville e mansarde con regolare licenza edilizia, in quanto questa zona è classificata solo a pericolosità vulcanica, mentre la rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica… fermo restante che sia i cittadini della zona rossa 1 che quelli della zona rossa 2, alla diramazione dell’allarme devono scappare gambe in spalle senza alcuna distinzione di sorta.
Zona rossa totale soggetta all'evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo

Una situazione che dal punto di vista della prevenzione è paradossale… ma è figlia della cultura politica ingegnerizzata in auge qualche anno fa, che declamava, che se volessimo prendere in esame il peggio di ogni elemento di pericolo, per le alluvioni occorrerebbe prendere in esame il diluvio universale, soprattutto da tutti coloro che non si chiamano Noè

Il nostro sospetto è che il libro Il Vesuvio Universale della scrittrice Maria Pace Ottieri, abbia preso spunto dall’affermazione appena riportata, nel senso analogico dell’evento massimo conosciuto nella storia del Vesuvio...

Ci sono fondati motivi per ritenere il dott. geologo Italo Giulivo, dell’Ufficio III attività tecnico scientifiche Previsione e Prevenzione dei Rischi del Dipartimento della Protezione Civile, come il più competente a spiegare nella campagna io non rischio, com’è possibile che nella zona rossa 2 si costruisca alacremente e nei Campi Flegrei non è stata varata ancora alcuna norma anti cemento, se non impegni che vanno nel senso opposto in quel di Bagnoli. Ed ancora l’alto dirigente spieghi ai cittadini e alle scolaresche che si presenteranno ai gazebi di Pozzuoli o di Napoli durante l'esercitazione EXE 2019, come mai i livelli di allerta del Vesuvio riportano un elemento deterministico come quello sui tempi di attesa eruzione, e perchè nelle pagine web ad oggetto dossier Vesuvio,  la zona rossa 2 non è definita correttamente; ed ancora perchè da oltre un ventennio non si riescono a mettere a punto i piani di evacuazione per le aree vulcaniche campane...  Pompei, la patria per antonomasia delle eruzioni esplosive, non ha ancora un piano di evacuazione.


E' intuibile che, per chi non ha mai approfondito il rebus rischio Vesuvio e Campi Flegrei, in tutte le sue complicazioni e contraddizioni e tortuosità, come sia veramente difficile riuscire a discernere e operare un distinguo tra realtà e propaganda, e tra il mediatico e il pragmatico. 

Le giovani leve che un giorno saranno vesuviani e flegrei, forse dovrebbero mettersi un cartello sotto al braccio alla stregua di Greta Thunberg, magari per chiedere sicurezza preventiva e operativa, atteso che la loro vita e quella dei loro figli si svolge e si svolgerà sul groppone di un enorme e incontrollabile bacino magmatico, in un contesto sociale  dove la vita umana è soggetta anch'essa a pratiche accademiche e istituzionali di rischio accettabile, appena mitigato da pillole di papaverina esercitativa.