Per chi segue le
vicende del rischio Vesuvio, occorre dire che nell’attualità il dibattito
scientifico e giornalistico che ruota intorno al famoso vulcano è totalmente
assente, perché tutta l’attenzione dei media è concentrata sul Covid 19, la pandemia
che sta fustigando il mondo intero con le strutture sanitarie in ginocchio e la
popolazione mondiale allarmata e disorientata.
L’apparato vulcanico
del Vesuvio, come si evince dai tracciati sismici, di tanto in tanto subisce
scuotimenti dovuti a terremoti a bassa e bassissima magnitudo con il rilascio
di energia equivalente inferiore a una tonnellata di tritolo: valori,
generalizzando, che non cagionano danni. Di contro però, attestano
ineluttabilmente che il Vesuvio è ubicato su una vasta camera magmatica che
ricordiamo non è un bacino chiuso. Questo significa che i contenuti di magma
incassati nelle profondità chilometriche dell’apparato vulcanico,
presumibilmente dovrebbero variare con il tempo. Intanto nessuna ricerca fino
ad oggi è riuscita a dare un preciso rilievo tridimensionale alle sostanze
incandescenti presenti nelle viscere del monte, onde consentire con precisione di
valutare con quanti chilometri cubici di materiale magmatico potremmo avere a
che fare un domani. Questo significa che non è possibile pronunciarsi sulla
misura energetica della prossima eruzione, che non sappiamo se sarà esplosiva e
soprattutto quanto esplosiva; e poi non sappiamo se riusciremo a cogliere con
netto anticipo i prodromi pre eruttivi che non siano un falso allarme, e se il
traffico stradale ci consentirà di allontanarci velocemente dal pericolo. Ed
ancora non sappiamo se il piano di evacuazione quando sarà completato riuscirà
a soddisfare d’appieno le necessità di sicurezza dell’area vesuviana. Queste sono
solo alcune delle domande che un giorno cattureranno la nostra attenzione o
quella dei posteri, che si scontreranno, statene certi, contro un muro di dubbi
a fronte delle impellenti necessità del sopravvivere.
Riallacciandoci con
qualche analogia alle problematiche da Covid 19, sembra che nessun governo
nazionale e mondiale abbia mai stilato un piano per fronteggiare una pandemia
seria come questa. Il Covid 19, dopo una prima ondata di aggressività sugli
anziani, ha diviso gli scienziati che si sono espressi sulla letalità dell’epidemia.
Alle porte dell’estate, secondo alcuni luminari il virus era morto e sepolto;
altri lo definivano oramai cambiato e quindi innocuo come un raffreddore, ma
c’è stato pure chi ha avvertito di una recrudescenza dei contagi con modalità
particolarmente pervasive da attendersi in autunno. In effetti mentre il mondo
cinematografico aveva largamente previsto la drammaticità di una minaccia
pandemica, il mondo reale, quello fatto di politici e scienziati ed esperti e
opinion leader, neanche avevano lontanamente immaginato che potesse verificarsi
un incubo simile: da ciò ne è derivato una impreparazione pressochè
totale.
Un’esplosione pliniana
del Vesuvio, evento raro ma non escludibile dagli annali del possibile, è un
argomento in questo caso poco dibattuto fra gli scienziati, con prese di
posizione fatte di farfugliamenti a bassissima voce. La classe degli esperti istituzionali preferisce infatti parlare a voce alta per esprimersi sui sistemi di
monitoraggio sempre più tecnologici e da finanziare, e sui piani di emergenza e di evacuazione,
dando in pasto all’opinione pubblica indizi di certezze sulla previsione dell’evento,
offrendo poi esercitazioni di protezione civile che hanno la stessa utilità di
una lampada abbronzante ai tropici. I dati geologici ci provengono
dall’organo istituzionalmente competente che è senza ombra di dubbio l’Istituto
Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), mentre per la parte tecnica e
politica le indicazioni sono tutte del Dipartimento della Protezione Civile e
della Regione Campania. L’INGV, anche attraverso la sua diramazione scientifica
costituita dall’Osservatorio Vesuviano, ha concluso che la massima eruzione
attendibile al Vesuvio è tuttalpiù di taglia sub pliniana, mentre quella più
probabile è di tipo ultra stromboliana (VEI3). La pliniana è innominabile,
perché, sussurrano, ha un indice di probabilità di accadimento praticamente
zero. Stranamente un documento firmato da due ex direttori dell'Osservatorio
Vesuviano davano una probabilità eruttiva VEI 5 all'11%.
Per quanto riguarda la possibilità che con i decenni e
poi con le decine di decenni e poi secoli, il Vesuvio possa aumentare la sua
latente energia eruttiva e distruttiva, la direttrice dell’Osservatorio
Vesuviano (INGV) ebbe a precisare qualche anno fa, che non è il trascorrere del
tempo che rende più pericoloso un vulcano come il Vesuvio, bensì solo nuove
scoperte capaci di modificare quelle conoscenze scientifiche che hanno
consentito nell’odierno di classificare l’eruzione di tipo sub pliniana
(VEI4) come l’eruzione massima di riferimento per i piani di emergenza.
Se per nuove scoperte s'intende la precisa calibrazione della massa magmatica
in aspettativa nell'omonima camera, come già
anticipato prima, non c'è una tale inappuntabile quantificazione,
ma di certo l'eruzione pliniana del 79 d.C. pescò magma dalla camera
superficiale (4-5 Km.), ma soprattutto da quella profonda (8-10 Km.) poco
perscrutabile... Il dibattito scientifico dovrebbe incominciare a chiarire l’importanza
di queste due camere nelle dinamiche magmatiche esplosive, che forse hanno
ruoli diversi nelle diverse tipologie eruttive.
È nella normalità
delle cose che se il mondo scientifico certifica addirittura come
deterministica una previsione di eruzione massima attesa non superiore a un
indice di esplosività vulcanica VEI 4, i tecnici del dipartimento della
protezione civile e della Regione Campania hanno impostato le bozze dei piani
di emergenza, tenendo in debito conto questa discutibile classificazione per
circoscrivere la zona rossa da evacuare. Per meglio inquadrare il problema, si
tenga presente che l’estensione della zona rossa ha un raggio correlato
all’indice di esplosività vulcanica. Quindi: circa 10 chilometri per una VEI 4,
e quasi 20 per una eruzione pliniana VEI5. Occorre anche comprendere che, come i
termometri, anche le energie eruttive possono manifestarsi con valori intermedi
che nel nostro caso creerebbero problemi, soprattutto se la zona rossa non ha
un contorno maggiorato di sicurezza. Da questo punto di vista il caso di Volla
è emblematico.
Assumendo per il
Vesuvio una zona rossa VEI 4, in pratica si è tenuto fuori dai piani di
evacuazione buona parte della città di Napoli ad eccezione dei quartieri
orientali (Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio). Questa storia di Napoli
centro storico invulnerabile alle dinamiche eruttive vesuviane e flegree ci
lascia perplessi. Infatti, la zona rossa del super vulcano non comprende come è
stato fatto col Vesuvio una zona rossa 2 (R2). La zona rossa 2
ricordiamolo, è quella parte di territorio che per lontananza sarebbe
risparmiata dalle colate piroclastiche sub pliniane ma non dalla massiccia
pioggia di cenere e lapilli. La caduta di materiale piroclastico renderebbe
impossibile la permanenza in loco per l’immediatezza dell’insorgere dei
problemi alla respirazione. E poi ci sarebbero dopo qualche ora criticità alla circolazione
dei veicoli, e poi serie complicanze statiche alle coperture dei fabbricati per il
sovrappeso di cenere e pomici e lapilli. Questo
significa che la zona rossa 2 ha le stesse regole e tempi di evacuazione della zona
rossa ordinaria, e che intanto non è stata indicata per la zona rossa flegrea.
Considerato che i venti predominanti
soffiano prevalentemente verso est, pur comprendendo che non c’è l’indicazione
di un preciso centro eruttivo nella caldera dei Campi Flegrei, riteniamo che
una media mediata non possa non comprendere la necessità, all’occorrenza, di un
allontanamento preventivo di tutti gli abitanti che affollano il centro storico
di Napoli.
I rischi che si corrono col Vesuvio è quello che anche una riuscitissima previsione dell’evento vulcanico con una efficace evacuazione della zona rossa, possa comportare una catastrofe se l’intensità eruttiva che non è possibile cogliere in anticipo, vada ad assumere i caratteri di una pliniana o similmente pliniana, con le colate piroclastiche che andrebbero ad espandersi ben oltre i limiti attuali della zona rossa cogliendo non pochi spettatori immoti. Anche nel flegreo persiste un problema, e anche qui in caso di allarme, pur se si dovesse raggiungere l’auspicato successo evacuativo, il centro storico di Napoli rischierebbe di essere bombardato dai prodotti piroclastici di caduta che renderebbero dopo qualche ora inutilizzabile la stazione centrale, mentre i marittimi dovrebbero spalare cenere dai ponti dei traghetti e gli snodi stradali e autostradali rischierebbero dopo qualche ora il blocco totale della circolazione.
Alcune diatribe interne all’Osservatorio Vesuviano, così come la querelle sull’epicentro del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, la cui localizzazione venne fatta a distanza di giorni; ed ancora il gioco del sapevo e non sapevo sulla trivellazione operata nella zona di Agnano nel giugno 2020, portano a ritenere che la richiesta di alcuni senatori sull’opportunità di commissariare l’INGV per riorganizzare i vertici, sia un'assoluta necessità per riportare il ruolo della scienza lontano dai bisogni non confessati della politica. Le istituzioni non sono meno responsabili però, soprattutto quando si arrogano il diritto di nascondere la verità per non allarmare, mentre in realtà la cautela serve esclusivamente per non rispondere...
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