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domenica 4 aprile 2021

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: la teoria delle teorie… di Malko


Il rischio vulcanico nell’area napoletana per numeri ed energie in gioco è un problema veramente notevole e per molti versi sottostimato: a fronte di una cotale minaccia, le uniche armi che disponiamo sono tutte concentrate nella conoscenza non univoca dei processi che innescano un’eruzione e la possibilità di individuarli e prevederli.

La previsione a lungo termine di un’eruzione non è possibile. La previsione corta e cortissima invece, potrebbe essere un traguardo maggiormente abbordabile ma ricco di incognite che potrebbero fare la differenza tra la corretta predizione e la catastrofe.

Per avere il successo evacuativo occorrerebbe che l’istituto di vigilanza geologica ubicato in piena area calderica, emanasse all’occorrenza una segnalazione di pericolo al dipartimento della protezione civile, che riunirebbe la commissione grandi rischi deputata a valutare la portata delle informazioni ricevute. Le conclusioni di questo comitato ristretto di esperti ai massimi livelli scientifici, sarebbero poste all’attenzione del presidente del consiglio dei ministri, a cui spetta la decisione ultima sull’emanazione o meno dell’ordine di abbandonare la zona rossa flegrea, con tutto ciò che una tale scelta comporterebbe.

Il provvedimento di allarme e quindi la successiva evacuazione dovrebbe concludersi in un tempo limite di 72 ore (tre giorni). Trattasi di un tempo netto però, che non comprende quello lordo necessario per consentire all’equipe scientifica e poi politica di addivenire a una conclusione sul livello di rischio incombente nell’area vulcanica. L’Osservatorio Vesuviano per contratto non è titolato a diffondere direttamente allarmi.

Nel nostro sistema nazionale, il Sindaco è certamente l’autorità locale di immediato riferimento dei cittadini, quello su cui ricadono in prima battuta la maggior parte dei problemi di protezione civile; a seguire il presidente della Regione e poi il dipartimento della protezione civile quale organo connesso alla presidenza del consiglio dei ministri. A dirla in breve, il presidente Draghi è il vertice del nostro sistema nazionale di salvaguardia dai pericoli naturali e indotti dall’uomo, quando per vastità dell’evento si richiede un intervento coordinato di livello nazionale. Il Vesuvio e i Campi Flegrei sono un problema nazionale. Ischia non lo sappiamo ancora perché l’isola non è stata vagliata geologicamente in una misura ufficiale e sufficientemente approfondita da poter teorizzare e prospettare scenari eruttivi futuri.

Quando si utilizza il termine protezione civile, il cittadino in genere immagina prevalentemente operatori volontari dalle divise sgargianti che aiutano ai gazebi; altre volte che spalano fango o gestiscono tendopoli e cucine da campo. In realtà quando diciamo protezione civile e a prescindere dal livello chiamato in causa, intendiamo innanzitutto tutte le attività che afferiscono alla previsione delle catastrofi, alla prevenzione delle catastrofi, e poi alle misure per fronteggiare la catastrofe. In un secondo momento si attivano tutte le iniziative necessarie per il ritorno alla normalità.

Mentre il Vesuvio maestosamente e solo apparentemente sembra immoto e privo di fuoco vulcanico alla stregua dell’isola d’Ischia, i Campi Flegrei hanno sbalzi di umore geologico ben rappresentato dal bradisismo, dai microsismi e dai fenomeni di degassazione che in superficie disperdono molte tonnellate di anidride carbonica e altri gas pestilenziali, al punto che è risultato necessario inibire l’accesso nella zona di Pisciarelli, che sembra essere diventata la canna fumaria del sottosuolo ribollente.

Recentemente in una riunione tenutasi a Pozzuoli sul rischio eruttivo ai Campi Flegrei, il consesso ha visto la partecipazione delle massime autorità amministrative, scientifiche e del dipartimento della protezione civile. Durante l’assise sono circolati messaggi di grandi rassicurazioni, come quello che si riuscirà a monitorare il cammino del magma verso la superficie attraverso la strumentazione multi parametrica dislocata nell’area calderica dall’Osservatorio Vesuviano. Anche il responsabile dell’Ufficio emergenze del dipartimento della protezione civile ha dissipato i dubbi sull’argomento della salvaguardia, affermando che le popolazioni flegree esposte al rischio eruttivo saranno evacuate all’occorrenza molto prima delle dirompenze. L’immagine di una evacuazione con eruzione alle spalle, ha affermato il dirigente dipartimentale, è assolutamente da rigettare.

Nel 2012 alcuni articoli scientifici paventavano il successo di una previsione che era riuscita a prevedere il momento esatto di un’eruzione un’ora prima che si presentasse: un cotale anticipo che noi considereremmo inutile, gli scienziati lo classificarono in quel periodo un grande successo.

C’è poi un lavoro prodotto da alcuni famosissimi esperti della vulcanologia nazionale, report classificato molto confidenziale (nell’attualità forse rimosso dalla rete), che hanno scritto a proposito del sottosuolo flegreo che:<<… la visione d’insieme mostra un reservoir di grandi dimensioni a circa 7-9 km di profondità, che corrisponde assai bene a quello messo in evidenza dalla tomografia sismica dove risiedono magmi a composizione variabile da shoshonite a trachite, e numerosi reservoirs di più piccole dimensioni messisi in posto a profondità variabili fino a meno di 2 km, dove magmi più profondi periodicamente giungono mescolandosi col magma residente e in via di differenziazione. I dati suggeriscono che processi di mixing tra magmi composizionalmente diversi siano continuamente avvenuti a varie profondità nel corso della storia magmatica dei Campi Flegrei, e che in numerose occasioni l’arrivo di magma profondo in una camera magmatica abbia preceduto anche di pochi giorni il verificarsi di una eruzione. In tale visione, la magnitudo dell’eruzione non necessariamente riflette il volume della camera magmatica più superficiale, in quanto più reservoirs a diversa profondità possono essere interessati. Questo sembra essere avvenuto, ad esempio, per l’eruzione di Agnano Monte Spina, la maggiore dell’ultima epoca di attività per intensità e magnitudo. Nel caso di tale eruzione le ricostruzioni petrologiche mostrano una camera magmatica superficiale (2-3 km di profondità), di piccole dimensioni e ospitante magma di composizione fonolitica, invasa probabilmente 1-2 giorni prima dell’eruzione da magma di composizione trachitica e di provenienza più profonda…>>.

Di contro una recentissima conferenza online proposta da esperti della Università Federico II di Napoli ad oggetto sempre il rischio vulcanico flegreo, ha dato spazio a una tesi forse la più tranquillizzante degli ultimi anni, che è quella che la probabilità che si verifichi un’eruzione è la più bassa in assoluta da 500 anni a questa parte e dovrebbe ulteriormente diminuire col tempo. Lo scenario può cambiare prosegue la ricercatrice che ha curato questa edizione online, se arriva magma dal profondo nella camera di alimentazione dei Campi Flegrei. In questo caso si presuppone che il modello di deformazione del suolo cambierebbe notevolmente.

Questa tesi come altre ha la sua dignità propositiva, anche se bisogna notare che nel 2012 è stato dichiarato lo stato di attenzione vulcanica che perdura tutt’ora e che in pratica poco si attaglierebbe a una condizione di pacatezza geologica.

Al Professore Giuseppe Mastrolorenzo, noto vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) e importante voce scientifica che spesso dai media ci illustra l’attualità dei distretti vulcanici napoletani, ci sembra naturale chiedere a fronte di numerose teorie, catastrofiste o rassicuranti, quali ipotesi devono essere ispiratrici per l’azione del mondo istituzionale, deputato ad affrontare il complesso nodo della sicurezza nei distretti vulcanici napoletani. Di seguito la risposta…

Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo col cane Zeus

La quantificazione della pericolosità per eventi naturali, quindi della probabilità che un dato evento disastroso si verifichi in un dato intervallo di tempo, presenta sempre gravi criticità per carenze di conoscenze spesso incolmabili. Nel caso specifico del rischio vulcanico nell’area napoletana, comprendente Vesuvio, Campi Flegrei e isola di Ischia, benché siano state riconosciute per ognuno dei distretti vulcanici menzionati numerose decine di eruzioni nelle ultime decine di migliaia di anni, le conoscenze acquisite rimangono assolutamente insufficienti per valutazioni probabilistiche capaci di fornirci la quantificazione della pericolosità per ogni singola classe di eruzione.

Di fatto, le decine di eventi riconosciuti, sono dispersi in un estesissimo intervallo di classi di eruzioni che, per i Campi Flegrei ad esempio, spaziano da piccole eruzioni stromboliane a super eruzioni con differenze di volume di magma eruttato tra i due estremi di oltre diecimila volte.

Un’ulteriore criticità deriva dalla distribuzione estremamente disomogenea nel tempo degli eventi che tendono a concentrarsi in alcuni periodi e a diradarsi in altri. Di conseguenza, qualsiasi valutazione statistica avrebbe l’effetto di mediare sui volumi eruttivi e sui tempi di ritorno in modo inaccettabile ai fini previsionistici. Per tali motivi, il valore del rischio resta arbitrario per le troppe incognite che inficiano un’adeguata valutazione della pericolosità vulcanica. Tuttavia, su tali approcci statistici sono basati i piani di emergenza nazionali, ed in particolare la definizione degli scenari di riferimento e il valore di pericolosità relativo a tale scenario.

A titolo di puro esempio, una ipotetica valutazione del rischio fatta immediatamente prima della super eruzione dell’ignimbrite campana, dopo un lungo periodo di attività rara e modesta, sarebbe stata estremamente tranquillizzante. Di contro, l’evento che stava per verificarsi, si sarebbe rivelato invece il più devastante dell’intera storia geologica dell’area mediterranea.

D’altro canto, verso la metà di settembre del 1538, una ipotetica valutazione del rischio vulcanico, avrebbe suggerito un prossimo evento di portata sub pliniana, analogo a quello previsto dallo scenario attualmente adottato nel piano di emergenza per i Campi Flegrei. Ma tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre, si verificò l’eruzione del Monte Nuovo, classificabile tra i minori eventi eruttivi nella storia dei Campi Flegrei, con un volume di magma eruttato, di almeno dieci volte inferiore ad un evento subplinano.

Oltre gli approcci probabilistici, fondamentalmente inattendibili, negli ultimi decenni, abbiamo sviluppato diversi modelli concettuali sui sistemi vulcanici dell’area napoletana e sui processi che potenzialmente potrebbero portare ad una eruzione.

In particolare, per i Campi Flegrei, che al momento destano la maggiore preoccupazione a causa degli eventi bradisismici in atto, quasi ogni mese vengono pubblicati nuovi articoli scientifici sulle maggiori riviste mondiali.

I dati geofisici e geochimici sul sistema vulcanico dei Campi Flegrei, si arricchiscono continuamente, grazie al monitoraggio H24 e alle numerose campagne di indagine di dettaglio. Gli elementi così raccolti sono di pubblico dominio, e lo scambio di dati, informazioni, ipotesi e modelli tra ricercatori e gruppi di ricerca, è sempre più efficace, grazie alle sempre maggiori potenzialità della rete.

La coesistenza di modelli interpretativi sullo stato del vulcano con diverse formulazioni e conclusioni, in merito alla possibile evoluzione a medio e a lungo termine, rivela un quadro di estrema complessità del sistema vulcanico.

Tale complessità comune a gran parte dei sistemi naturali, ha come conseguenza la non prevedibilità dell’evoluzione dei processi, per il coinvolgimento di un elevato numero di variabili, tra loro interconnesse, con relazioni note al più in termini generali. Infatti, le conoscenze del sottosuolo ed in particolare della natura e dello stato del sistema magmatico, e delle sue interazioni con le formazioni geologiche profonde e superficiali, non sono indagabili con dettaglio adeguato alla definizione univoca dei processi fisici e chimico-fisici in atto...

D’altra parte, per la intrinseca imprevedibilità dei sistemi complessi, anche nell’eventualità del tutto ipotetica di poter indagare e monitorare direttamente il sistema vulcanico in tutta la sua estensione, dalla camera e fino alla superficie, resterebbe comunque imprevedibile l’evoluzione del sistema nel breve, medio e lungo termine.

Questo proprio per la natura dei sistemi complessi, la cui evoluzione può differire drasticamente anche per minime variazioni di uno solo degli svariati parametri che influenzano il sistema.

Per tali ragioni, i diversi modelli proposti su quella che potrebbe essere l’evoluzione e la pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei, spesso divergono nelle conclusioni, talora più allarmistiche, talora relativamente più tranquillizzanti. I modelli concettuali e fenomenologici pur fornendo un fondamentale supporto alla conoscenza, non possono costituire uno strumento certamente affidabile per i fini di Protezione Civile, e quindi con diretta implicazione sulla sicurezza di milioni di persone.

Di fatto, mentre le posizioni scientifiche di un singolo ricercatore o gruppo di ricerca, restano un semplice contributo alla conoscenza, quelle espresse ufficialmente da istituzioni o commissioni incaricate di fornire scenari agli organi di protezione civile, seppure basate su analoghe conoscenze, ancorché condizionate dai medesimi quanto insuperabili limiti scientifici, costituiscono pareri ufficiali. Tali pareri, con finalità operative e decisionali, pertanto implicano una assunzione di responsabilità per le eventuali conseguenze.

Il fatto che i pareri istituzionali, in genere, rappresentino una mediazione tra le diverse opinioni e i diversi modelli disponibili, non conferisce maggiore attendibilità alle argomentazioni.  Pertanto, la percezione, spesso indotta dalle comunicazioni istituzionali e dai mass-media, che i pareri ufficiali siano frutto di “ipotetiche conoscenze superiori “non opinabili, è priva di fondamento. È vero invece, che i soggetti responsabili, possono rispondere anche giuridicamente per le tesi sostenute.

Per quanto detto, è evidente come, a fronte di ogni valutazione di natura statistica o derivante da pur raffinati modelli scientifici, la gestione del rischio vulcanico debba essere basata fondamentalmente sulla prevenzione, che è garantita esclusivamente da piani di emergenza basati su scenari adeguati, e di tempestiva attuazione anche a rischio di incorrere in falsi allarmi. L’alternativa a un falso allarme è il mancato allarme, che può comportare la perdita di milioni di vite umane. Va da sé, che una scelta di massima tutela della sicurezza implica una assunzione di responsabilità da parte delle autorità governative nell’adozione di decisioni in base alla massima precauzione e non semplicemente sulla base di pur complessi modelli probabilistici o fenomenologici, che per quanto detto, conservano una rilevante arbitrarietà.

A tal fine, sarebbe doveroso da parte dei ricercatori e delle istituzioni preposte, evidenziare sempre, agli organi di protezione civile e alla popolazione, attraverso i mass-media, i limiti sostanziali e attualmente non superabili delle conoscenze scientifiche e della capacità di previsione dei sistemi vulcanici.

Per tali motivazioni, pur avendo svolto personalmente, già da decenni ricerche sulla pericolosità vulcanica al Vesuvio e ai Campi Flegrei, nonché sui processi di risalita del magma, ho ritenuto più opportuno in queste brevi considerazioni, soffermarmi sulle criticità e sulle carenze del trasferimento delle conoscenze scientifiche in strategie di protezione civile. Questo anche in considerazione di quanto abbiamo sperimentato a livello nazionale e mondiale in merito ai piani pandemici.

Di fatto, a fronte delle migliaia di ricerche scientifiche disponibili in ambito di virologia e pandemie, si è sperimentata una pressoché totale impreparazione nell’affrontare almeno le prime fasi decisive della pandemia. In prima battuta infatti, non era probabilmente cruciale una ulteriore conoscenza virologica, ma l’attuazione tempestiva, accurata e diffusa delle comuni procedure di protezione dal contagio, e quindi di un piano pandemico adeguato, efficace e di rapida applicazione, indipendentemente dalla natura del virus e dalla sua effettiva diffusione.

Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per la disponibilità e la chiarezza esplicativa che ci ha consentito di avere le idee più chiare sul grande tema del rischio vulcanico.

A voler tracciare delle conclusioni possiamo così riassumerle: la condizione geochimica e geofisica del vulcano flegreo nelle profondità chilometriche non sono note con una precisione che possa consentire agli esperti di determinare in anticipo l'intensità eruttiva o i tempi di accadimento del fenomeno con precisione. D’altra parte la previsione corta del fenomeno vulcanico non può spingersi a pronosticare l’ora e i minuti e i secondi che mancano alle dirompenze: quindi è il peso antropico che grava sull’area a dettare limiti di incompatibilità visto che il calcolo evacuativo si basa su 72 ore a disposizione. Per l’autorità scientifica una previsione oscillante su più o meno dieci giorni è comunque una previsione azzeccatissima, ma per il piano di evacuazione potrebbe non esserlo…

A fronte delle incognite geologiche, i centri di competenza e la commissione grandi rischi si sono assunti la responsabilità di una proiezione di quelli che potrebbero essere gli scenari eruttivi futuri, congiuntamente a una previsione utile dell’insorgere del fenomeno. In ogni caso resta salva la responsabilità ultima del presidente del consiglio dei ministri nel decidere in quale momento bisognerà premere il pulsante dell’allarme evacuativo.

Non resta che suggerire alle popolazioni dei Campi Flegrei e del Vesuvio, che è forse un errore limitare il loro interesse ai soli aspetti geo vulcanologici, perché lì non ci sono grosse mancanze a fronte delle numerose incertezze racchiuse in questa disciplina scientifica costretta ad operare su orizzonti non visibili. Non può dirsi lo stesso per le tattiche e le strategie evacuative però, che rimangono l’unica strada per mitigare le incertezze sul diritto alla sicurezza, che deve essere corroborato e perfezionato con interventi mirati di prevenzione attiva, spesso riconducibili al riordino territoriale che cammina di pari passo con le prospettive antropiche future.