Il rischio vulcanico nell’area napoletana per numeri ed
energie in gioco è un problema veramente notevole e per molti versi
sottostimato: a fronte di una cotale minaccia, le uniche armi che disponiamo sono
tutte concentrate nella conoscenza non univoca dei processi che innescano
un’eruzione e la possibilità di individuarli e prevederli.
La previsione a lungo termine di un’eruzione non è
possibile. La previsione corta e cortissima invece, potrebbe essere un
traguardo maggiormente abbordabile ma ricco di incognite che potrebbero fare la
differenza tra la corretta predizione e la catastrofe.
Per avere il successo evacuativo occorrerebbe che l’istituto
di vigilanza geologica ubicato in piena area calderica, emanasse all’occorrenza
una segnalazione di pericolo al dipartimento della protezione civile, che
riunirebbe la commissione grandi rischi deputata a valutare la portata delle informazioni
ricevute. Le conclusioni di questo comitato ristretto di esperti ai massimi
livelli scientifici, sarebbero poste all’attenzione del presidente del
consiglio dei ministri, a cui spetta la decisione ultima sull’emanazione o meno
dell’ordine di abbandonare la zona rossa flegrea, con tutto ciò che una tale scelta
comporterebbe.
Il provvedimento di allarme e quindi la successiva
evacuazione dovrebbe concludersi in un tempo limite di 72 ore (tre giorni).
Trattasi di un tempo netto però, che non comprende quello lordo
necessario per consentire all’equipe scientifica e poi politica di addivenire a
una conclusione sul livello di rischio incombente nell’area vulcanica. L’Osservatorio
Vesuviano per contratto non è titolato a diffondere direttamente allarmi.
Nel nostro sistema nazionale, il Sindaco è certamente
l’autorità locale di immediato riferimento dei cittadini, quello su cui
ricadono in prima battuta la maggior parte dei problemi di protezione civile; a
seguire il presidente della Regione e poi il dipartimento della protezione civile quale organo connesso alla presidenza del consiglio dei ministri. A
dirla in breve, il presidente Draghi è il vertice del nostro sistema nazionale
di salvaguardia dai pericoli naturali e indotti dall’uomo, quando per
vastità dell’evento si richiede un intervento coordinato di livello nazionale.
Il Vesuvio e i Campi Flegrei sono un problema nazionale. Ischia non lo sappiamo
ancora perché l’isola non è stata vagliata geologicamente in una misura ufficiale e sufficientemente
approfondita da poter teorizzare e prospettare scenari eruttivi futuri.
Quando si utilizza il termine protezione civile, il
cittadino in genere immagina prevalentemente operatori volontari dalle divise
sgargianti che aiutano ai gazebi; altre volte che spalano fango o gestiscono
tendopoli e cucine da campo. In realtà quando diciamo protezione civile e a
prescindere dal livello chiamato in causa, intendiamo innanzitutto tutte le
attività che afferiscono alla previsione delle catastrofi, alla prevenzione
delle catastrofi, e poi alle misure per fronteggiare la catastrofe. In un secondo
momento si attivano tutte le iniziative necessarie per il ritorno alla
normalità.
Mentre il Vesuvio maestosamente e solo apparentemente sembra immoto e privo di fuoco vulcanico alla stregua dell’isola d’Ischia, i Campi Flegrei hanno sbalzi di umore geologico ben rappresentato dal bradisismo, dai microsismi e dai fenomeni di degassazione che in superficie disperdono molte tonnellate di anidride carbonica e altri gas pestilenziali, al punto che è risultato necessario inibire l’accesso nella zona di Pisciarelli, che sembra essere diventata la canna fumaria del sottosuolo ribollente.
Recentemente in una riunione tenutasi a Pozzuoli sul rischio
eruttivo ai Campi Flegrei, il consesso ha visto la partecipazione delle massime
autorità amministrative, scientifiche e del dipartimento della protezione civile. Durante l’assise sono circolati messaggi di grandi rassicurazioni, come
quello che si riuscirà a monitorare il cammino del magma verso la superficie
attraverso la strumentazione multi parametrica dislocata nell’area calderica
dall’Osservatorio Vesuviano. Anche il responsabile dell’Ufficio emergenze del
dipartimento della protezione civile ha dissipato i dubbi sull’argomento della
salvaguardia, affermando che le popolazioni flegree esposte al rischio eruttivo
saranno evacuate all’occorrenza molto prima delle dirompenze. L’immagine di una
evacuazione con eruzione alle spalle, ha affermato il dirigente dipartimentale,
è assolutamente da rigettare.
Nel 2012 alcuni articoli scientifici paventavano il successo
di una previsione che era riuscita a prevedere il momento esatto di un’eruzione
un’ora prima che si presentasse: un cotale anticipo che noi considereremmo
inutile, gli scienziati lo classificarono in quel periodo un grande successo.
C’è poi un lavoro prodotto da alcuni famosissimi esperti
della vulcanologia nazionale, report classificato molto confidenziale (nell’attualità
forse rimosso dalla rete), che hanno scritto a proposito del sottosuolo flegreo
che:<<… la visione d’insieme mostra un reservoir di grandi dimensioni
a circa 7-9 km di profondità, che corrisponde assai bene a quello messo in
evidenza dalla tomografia sismica dove risiedono magmi a composizione variabile
da shoshonite a trachite, e numerosi reservoirs di più piccole dimensioni
messisi in posto a profondità variabili fino a meno di 2 km, dove magmi più
profondi periodicamente giungono mescolandosi col magma residente e in via di
differenziazione. I dati suggeriscono che processi di mixing tra magmi composizionalmente
diversi siano continuamente avvenuti a varie profondità nel corso della storia
magmatica dei Campi Flegrei, e che in numerose occasioni l’arrivo di magma
profondo in una camera magmatica abbia preceduto anche di pochi giorni il verificarsi
di una eruzione. In tale visione, la magnitudo dell’eruzione non
necessariamente riflette il volume della camera magmatica più superficiale, in
quanto più reservoirs a diversa profondità possono essere interessati. Questo
sembra essere avvenuto, ad esempio, per l’eruzione di Agnano Monte Spina, la
maggiore dell’ultima epoca di attività per intensità e magnitudo. Nel caso di
tale eruzione le ricostruzioni petrologiche mostrano una camera magmatica
superficiale (2-3 km di profondità), di piccole dimensioni e ospitante magma di
composizione fonolitica, invasa probabilmente 1-2 giorni prima dell’eruzione da
magma di composizione trachitica e di provenienza più profonda…>>.
Di contro una recentissima conferenza online proposta da
esperti della Università Federico II di Napoli ad oggetto sempre il rischio
vulcanico flegreo, ha dato spazio a una tesi forse la più tranquillizzante
degli ultimi anni, che è quella che la probabilità che si verifichi un’eruzione
è la più bassa in assoluta da 500 anni a questa parte e dovrebbe ulteriormente
diminuire col tempo. Lo scenario può cambiare prosegue la ricercatrice che ha
curato questa edizione online, se arriva magma dal profondo nella camera di
alimentazione dei Campi Flegrei. In questo caso si presuppone che il modello di
deformazione del suolo cambierebbe notevolmente.
Questa tesi come altre ha la sua dignità propositiva, anche
se bisogna notare che nel 2012 è stato dichiarato lo stato di attenzione
vulcanica che perdura tutt’ora e che in pratica poco si attaglierebbe a una
condizione di pacatezza geologica.
Al Professore Giuseppe Mastrolorenzo, noto
vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) e importante voce scientifica che
spesso dai media ci illustra l’attualità dei distretti vulcanici napoletani, ci
sembra naturale chiedere a fronte di numerose teorie, catastrofiste o rassicuranti,
quali ipotesi devono essere ispiratrici per l’azione del mondo istituzionale,
deputato ad affrontare il complesso nodo della sicurezza nei distretti
vulcanici napoletani. Di seguito la risposta…
Il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo col cane Zeus |
La quantificazione della pericolosità per eventi naturali, quindi della probabilità che un dato evento disastroso si verifichi in un dato intervallo di tempo, presenta sempre gravi criticità per carenze di conoscenze spesso incolmabili. Nel caso specifico del rischio vulcanico nell’area napoletana, comprendente Vesuvio, Campi Flegrei e isola di Ischia, benché siano state riconosciute per ognuno dei distretti vulcanici menzionati numerose decine di eruzioni nelle ultime decine di migliaia di anni, le conoscenze acquisite rimangono assolutamente insufficienti per valutazioni probabilistiche capaci di fornirci la quantificazione della pericolosità per ogni singola classe di eruzione.
Di fatto, le decine di eventi riconosciuti, sono dispersi in
un estesissimo intervallo di classi di eruzioni che, per i Campi Flegrei ad
esempio, spaziano da piccole eruzioni stromboliane a super eruzioni con
differenze di volume di magma eruttato tra i due estremi di oltre diecimila
volte.
Un’ulteriore criticità deriva dalla distribuzione
estremamente disomogenea nel tempo degli eventi che tendono a concentrarsi in
alcuni periodi e a diradarsi in altri. Di conseguenza, qualsiasi valutazione
statistica avrebbe l’effetto di mediare sui volumi eruttivi e sui tempi di
ritorno in modo inaccettabile ai fini previsionistici. Per tali motivi, il valore
del rischio resta arbitrario per le troppe incognite che inficiano un’adeguata
valutazione della pericolosità vulcanica. Tuttavia, su tali approcci statistici
sono basati i piani di emergenza nazionali, ed in particolare la definizione
degli scenari di riferimento e il valore di pericolosità relativo a tale scenario.
A titolo di puro esempio, una ipotetica valutazione del
rischio fatta immediatamente prima della super eruzione dell’ignimbrite
campana, dopo un lungo periodo di attività rara e modesta, sarebbe stata
estremamente tranquillizzante. Di contro, l’evento che stava per verificarsi,
si sarebbe rivelato invece il più devastante dell’intera storia geologica
dell’area mediterranea.
D’altro canto, verso la metà di settembre del 1538, una
ipotetica valutazione del rischio vulcanico, avrebbe suggerito un prossimo
evento di portata sub pliniana, analogo a quello previsto dallo scenario
attualmente adottato nel piano di emergenza per i Campi Flegrei. Ma tra la fine
di settembre e gli inizi di ottobre, si verificò l’eruzione del Monte Nuovo, classificabile
tra i minori eventi eruttivi nella storia dei Campi Flegrei, con un volume di
magma eruttato, di almeno dieci volte inferiore ad un evento subplinano.
Oltre gli approcci probabilistici, fondamentalmente
inattendibili, negli ultimi decenni, abbiamo sviluppato diversi modelli
concettuali sui sistemi vulcanici dell’area napoletana e sui processi che
potenzialmente potrebbero portare ad una eruzione.
In particolare, per i Campi Flegrei, che al momento destano
la maggiore preoccupazione a causa degli eventi bradisismici in atto, quasi
ogni mese vengono pubblicati nuovi articoli scientifici sulle maggiori riviste
mondiali.
I dati geofisici e geochimici sul sistema vulcanico dei
Campi Flegrei, si arricchiscono continuamente, grazie al monitoraggio H24 e
alle numerose campagne di indagine di dettaglio. Gli elementi così raccolti
sono di pubblico dominio, e lo scambio di dati, informazioni, ipotesi e modelli
tra ricercatori e gruppi di ricerca, è sempre più efficace, grazie alle sempre
maggiori potenzialità della rete.
La coesistenza di modelli interpretativi sullo stato del
vulcano con diverse formulazioni e conclusioni, in merito alla possibile
evoluzione a medio e a lungo termine, rivela un quadro di estrema complessità
del sistema vulcanico.
Tale complessità comune a gran parte dei sistemi naturali,
ha come conseguenza la non prevedibilità dell’evoluzione dei processi, per il
coinvolgimento di un elevato numero di variabili, tra loro interconnesse, con
relazioni note al più in termini generali. Infatti, le conoscenze del
sottosuolo ed in particolare della natura e dello stato del sistema magmatico,
e delle sue interazioni con le formazioni geologiche profonde e superficiali,
non sono indagabili con dettaglio adeguato alla definizione univoca dei
processi fisici e chimico-fisici in atto...
D’altra parte, per la intrinseca imprevedibilità dei sistemi
complessi, anche nell’eventualità del tutto ipotetica di poter indagare e
monitorare direttamente il sistema vulcanico in tutta la sua estensione, dalla
camera e fino alla superficie, resterebbe comunque imprevedibile l’evoluzione
del sistema nel breve, medio e lungo termine.
Questo proprio per la natura dei sistemi complessi, la cui
evoluzione può differire drasticamente anche per minime variazioni di uno solo
degli svariati parametri che influenzano il sistema.
Per tali ragioni, i diversi modelli proposti su quella che potrebbe
essere l’evoluzione e la pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei, spesso
divergono nelle conclusioni, talora più allarmistiche, talora relativamente più
tranquillizzanti. I modelli concettuali e fenomenologici pur fornendo un
fondamentale supporto alla conoscenza, non possono costituire uno strumento
certamente affidabile per i fini di Protezione Civile, e quindi con diretta
implicazione sulla sicurezza di milioni di persone.
Di fatto, mentre le posizioni scientifiche di un singolo
ricercatore o gruppo di ricerca, restano un semplice contributo alla
conoscenza, quelle espresse ufficialmente da istituzioni o commissioni
incaricate di fornire scenari agli organi di protezione civile, seppure basate
su analoghe conoscenze, ancorché condizionate dai medesimi quanto insuperabili
limiti scientifici, costituiscono pareri ufficiali. Tali pareri, con finalità
operative e decisionali, pertanto implicano una assunzione di responsabilità
per le eventuali conseguenze.
Il fatto che i pareri istituzionali, in genere,
rappresentino una mediazione tra le diverse opinioni e i diversi modelli
disponibili, non conferisce maggiore attendibilità alle argomentazioni. Pertanto, la percezione, spesso indotta dalle
comunicazioni istituzionali e dai mass-media, che i pareri ufficiali siano
frutto di “ipotetiche conoscenze superiori “non opinabili, è priva di
fondamento. È vero invece, che i soggetti responsabili, possono rispondere
anche giuridicamente per le tesi sostenute.
Per quanto detto, è evidente come, a fronte di ogni
valutazione di natura statistica o derivante da pur raffinati modelli
scientifici, la gestione del rischio vulcanico debba essere basata
fondamentalmente sulla prevenzione, che è garantita esclusivamente da piani di
emergenza basati su scenari adeguati, e di tempestiva attuazione anche a
rischio di incorrere in falsi allarmi. L’alternativa a un falso allarme è il
mancato allarme, che può comportare la perdita di milioni di vite umane. Va da
sé, che una scelta di massima tutela della sicurezza implica una assunzione di
responsabilità da parte delle autorità governative nell’adozione di decisioni
in base alla massima precauzione e non semplicemente sulla base di pur
complessi modelli probabilistici o fenomenologici, che per quanto detto,
conservano una rilevante arbitrarietà.
A tal fine, sarebbe doveroso da parte dei ricercatori e
delle istituzioni preposte, evidenziare sempre, agli organi di protezione civile e alla popolazione, attraverso i mass-media, i limiti sostanziali e
attualmente non superabili delle conoscenze scientifiche e della capacità di
previsione dei sistemi vulcanici.
Per tali motivazioni, pur avendo svolto personalmente, già
da decenni ricerche sulla pericolosità vulcanica al Vesuvio e ai Campi Flegrei,
nonché sui processi di risalita del magma, ho ritenuto più opportuno in queste
brevi considerazioni, soffermarmi sulle criticità e sulle carenze del
trasferimento delle conoscenze scientifiche in strategie di protezione civile.
Questo anche in considerazione di quanto abbiamo sperimentato a livello
nazionale e mondiale in merito ai piani pandemici.
Di fatto, a fronte delle migliaia di ricerche scientifiche
disponibili in ambito di virologia e pandemie, si è sperimentata una pressoché
totale impreparazione nell’affrontare almeno le prime fasi decisive della
pandemia. In prima battuta infatti, non era probabilmente cruciale una
ulteriore conoscenza virologica, ma l’attuazione tempestiva, accurata e diffusa
delle comuni procedure di protezione dal contagio, e quindi di un piano pandemico
adeguato, efficace e di rapida applicazione, indipendentemente dalla natura del
virus e dalla sua effettiva diffusione.
Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per
la disponibilità e la chiarezza esplicativa che ci ha consentito di avere le
idee più chiare sul grande tema del rischio vulcanico.
A voler tracciare delle conclusioni possiamo così riassumerle:
la condizione geochimica e geofisica del vulcano flegreo nelle profondità
chilometriche non sono note con una precisione che possa consentire agli
esperti di determinare in anticipo l'intensità eruttiva o i tempi di accadimento del fenomeno con precisione. D’altra parte la previsione
corta del fenomeno vulcanico non può spingersi a pronosticare l’ora e i minuti e
i secondi che mancano alle dirompenze: quindi è il peso antropico che grava
sull’area a dettare limiti di incompatibilità visto che il calcolo evacuativo
si basa su 72 ore a disposizione. Per l’autorità scientifica una previsione
oscillante su più o meno dieci giorni è comunque una previsione azzeccatissima,
ma per il piano di evacuazione potrebbe non esserlo…
A fronte delle incognite geologiche, i centri di competenza
e la commissione grandi rischi si sono assunti la responsabilità di una
proiezione di quelli che potrebbero essere gli scenari eruttivi futuri, congiuntamente
a una previsione utile dell’insorgere del fenomeno. In ogni caso resta salva la
responsabilità ultima del presidente del consiglio dei ministri nel decidere in
quale momento bisognerà premere il pulsante dell’allarme evacuativo.
Non resta che suggerire alle popolazioni dei Campi Flegrei e
del Vesuvio, che è forse un errore limitare il loro interesse ai soli aspetti geo
vulcanologici, perché lì non ci sono grosse mancanze a fronte delle numerose
incertezze racchiuse in questa disciplina scientifica costretta ad operare su
orizzonti non visibili. Non può dirsi lo stesso per le tattiche e le strategie
evacuative però, che rimangono l’unica strada per mitigare le incertezze sul diritto
alla sicurezza, che deve essere corroborato e perfezionato con interventi mirati
di prevenzione attiva, spesso riconducibili al riordino territoriale che
cammina di pari passo con le prospettive antropiche future.
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