Il Covid 19 da buon parassita non poteva che produrre una
catastrofe sanitaria, soprattutto in una società senza un’idea anti pandemica,
con non poche strutture di assistenza medica smobilitate negli ultimi decenni,
e con personaggi neanche capaci di mettere a posto le carte, figuriamoci la
salute.
L’odissea delle mascherine che si producevano ahinoi solo
fuori dai confini nazionali, ci hanno disorientato e appiattito nei primi
momenti, sull’unica opzione preventiva possibile che era quella di non uscire e
tenere materialmente la bocca chiusa. Per mesi ci hanno ammorbato con
disquisizioni assurde circa l’utilità o meno delle mascherine, che in ogni caso
non c’erano. La bocca anche molto aperta l’hanno tenuta e la tengono invece
epidemiologi, virologi e infettivologi e similari, che occupano il piccolo
schermo, molto spesso elargendo opinioni e indicazioni completamente diverse le
une dalle altre, anche se ultimamente stanno aggiustando il tiro evitando
esternazioni iperboliche più che imbarazzanti per tutti. Vi sembrerà strano, ma
riteniamo questa inflazione televisiva medico scientifica preferibile al
pensiero unico del soggetto istituzionale e governativo, al maschile o al
femminile che, con tono misurato, appare in pubblico per dire che è tutto sotto
controllo e che sui blog fanno solo allarmismo.
L’articolo pubblicato online dalla giornalista Selvaggia
Lucarelli sulla testata TPI.it. è molto interessante e inizia così:<< il
professor Antonello Ciccozzi insegna antropologia culturale all’Università
dell’Aquila. Dopo il devastante terremoto che colpì il capoluogo abruzzese nel
2009, coniò il termine “rassicurazionismo”, poi inserito nel dizionario
Treccani. L’occasione fu la sua consulenza tecnica al processo alla Commissione
Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, processo che
costò la condanna a due anni a Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo della
Protezione Civile>>.
Il rassicurazionismo è quella pratica che normalmente trova
ampio spazio applicativo nell’ambito governativo e delle istituzioni
pertinenti, che anche senza istruzioni mirate sanno e si adoperano acchè si
attenuino gli stati ansiosi delle popolazioni, soprattutto a ridosso di una
condizione di pericolo difficilmente affrontabile in via preventiva e operativa
che possa portare disordine pubblico. La gente infatti, vorrebbe vivere in un
contesto di permanente protezione, o almeno rassicurazione, avendo la
sensazione se non la certezza, che c’è un grande fratello statale che veglia
diuturnamente sul loro sonno e con le migliori risorse umane e tecnologiche
possibili.
L’Osservatorio Vesuviano è una struttura appunto statale che
ha compiti di ricerca e di sorveglianza vulcanica, che non disdegna di esercitare
anche la pratica del rassicurazionismo, soprattutto perché, contrariamente
all’affollata componente medica che ha sul collo la pandemia, praticamente
svolge indisturbato questo ruolo di front office in un clima di pace geologica,
appena disturbato da qualche brontolio, e più ancora da qualche sussulto
soprattutto nell’area flegrea. Con incalzanti crisi sismiche sarebbe tutto un altro discorso... Le diverse amministrazioni statali e regionali e
comunali, che dovrebbero vedersela coi vulcani sopiti, preferiscono contemplare
l’ipotesi eruttiva medio bassa sussurrata dall’INGV, che essendo dieci volte
inferiore al massimo evento conosciuto (eruzione Pompei), offre maggiori
chances di mediazioni tra economia, pericolo e tutela: della serie rischio
accettabile, ovvero analisi costi benefici. Con questo modus operandi, la scala
dei disastri allora potrebbe anche salire e coglierci totalmente impreparati,
vanificando qualsiasi organizzazione evacuativa che intanto non c’è e se c’è è
tarata sul medio evento. Non presentandosi il manifesto e percepibile rischio
eruttivo, le maestranze istituzionali lasciano correre qualsiasi affermazione
negativa proveniente dal basso su scenari e piani di emergenza, senza neanche
soppesarla.
In realtà ogni affermazione allarmista o rassicurazionista dovrebbe poggiare su una solida analisi scientifica del problema, e soprattutto sulle alternative possibili in risposta ad ogni incognita. Quindi il discorso sul rischio vulcanico dovrebbe avere un’inquadratura diversa dal solito target minimalista o allarmistico. Se il pericolo non è quantificabile energeticamente e neanche temporalmente, per migliorare la nostra posizione di grande fragilità zonale, la soluzione alla fine dovrebbe essere quella di andarsene dal territorio vulcanico: l’emigrazione a dirla chiara o lapalissianamente, sarebbe la formula bruta della sicurezza.
Ovviamente questa strategia di uscita (exit strategy)
piuttosto tranchant, avrebbe una sua percorribilità, in assenza di prodromi
percepibili dai sensi, solo se il nucleo familiare per più motivi abbia in
serbo di andarsene fuori dalla zona rossa. Diversamente la pratica del
trasferimento familiare potrebbe essere una opzione sofferta ma molto utile per
chi non ha remore per i cambiamenti, ed ha una forma mentis molto lucida su
quella che dovrà essere l’organizzazione familiare del proprio futuro. Per la
stragrande maggioranza delle famiglie invece, che ha relazioni e lavoro stabile
in zona rossa, decidere di andare via è molto più difficile perché alla
quantità della vita potrebbe non corrispondere una congrua qualità della vita
stessa.
Per mitigare il rischio vulcanico senza per questo uscire
dalla zona rossa, l’alternativa per garantirsi un minimo di protezione in più,
dovrebbe essere quella di non risiedere nelle zone mediane di pericolo del
perimetro a rischio, preferibilmente occupando un posto in periferia e ad
occidente, possibilmente lontano dagli addensamenti abitativi che sono una
variabile assolutamente negativa a fronte di qualsiasi elemento di pericolo
geologico, climatico o di natura antropica.
Proprio stamani sulla rivista online Open, a proposito della
pandemia si legge che non c’è mai stato un piano operativo. E ancora si legge
che le scartoffie esistenti contenevano unicamente «linee guida generiche molto
distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico». Come nel caso
dell’organizzazione anti covid, anche nel vesuviano e nel flegreo non c’è un
utile piano di protezione civile a fronte del pericolo eruttivo. In caso di
allarme, la nostra impreparazione potrebbe essere platealmente e drammaticamente
e catastroficamente evidente, e tutta la questione e la gestione dell’emergenza
vulcanica, andrebbe ad offrire ampi spunti all’interno della trasmissione di
Sigfrido Ranucci (Report), o in quella di Non è l’Arena con l’inviato Lupo che
si si sposterebbe su paesaggi lunari. Come la pandemia però, le inchieste
arriverebbero sempre a posteriori, ed esperti mai visti prima o mai prima
espostisi con le loro teorie, darebbero lezioni di prevenzione e di
vulcanologia, con un’attenta analisi della catena degli eventi che ha portato
al disastro, bacchettando ed assolvendo con quelle famose e collaudate tecniche
di dietrologia, frutto del senno del poi, quegli attori istituzionali muti e
inattivi spettatori della sicurezza pubblica. Verrebbero tutti assolti come
successe alla commissione grandi rischi, dove i giornalisti più accreditati
tirarono in ballo la bufala che si stava svolgendo un processo alla scienza
degno dell’inquisizione, un'artata campagna a favore della protervia
istituzionale...
Che un’eruzione ci colga improvvisamente è improbabile. Che
ci colga prima del previsto, cioè con un margine temporale inferiore alle 72
ore è ancora improbabile. Che diffondano un allarme eruttivo molto in anticipo
sui tempi eruttivi è piuttosto probabile. Che lancino un allarme evacuativo
seguito dall’eruzione dopo qualche giorno dalla desertificazione della zona
rossa è un miracolo. Per gli esperti la previsione dell’evento vulcanico è più
difficile nei Campi Flegrei che non al Vesuvio. Neanche le più innovative
tecniche di monitoraggio delle plaghe vulcaniche hanno la capacità di
accrescere la diagnosi predittiva dell’eruzione, perché storicamente non si ha
una congrua sequela di dati archiviati nel corso dei millenni: i vulcani li
conosciamo da ieri...
Il piano di emergenza e di evacuazione a fronte del rischio vulcanico campano, è un assemblato di carte dal taglio teorico ma per niente operativo. La risposta reclamizzata dalla protezione civile nazionale e regionale e comunale sembra di pura facciata senza certezze sull'efficacia delle misure generiche che si intenderebbero prendere in caso di necessità. La totale disorganizzazione del modello anti pandemico, alla stregua può suggerirci cosa succederebbe in caso di allarme vulcanico, dove la salvezza può solo provenire dai falsi allarmi che salverebbero ma alla lunga stancherebbero. Il recovery fund porterà miliardi che cadranno su un terreno sterile pieno di ortiche che ci porterà a consumare concime, acqua e Sole senza che fiorisca alcunché. Richiamando un pensiero affine all'ideologia mazziniana, la felicità in terra è tutta racchiusa nel buon funzionamento delle istituzioni: si vanghino questi poderi allora...
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