Vesuvio |
Chi cerca notizie sul Vesuvio, il più delle volte lo fa
perché è attratto dagli elementi storici e naturali e archeologici che
affollano il comprensorio dell’arcinoto vulcano, così come un vivo interesse lo
profondono pure i ricercatori interessati a quei fattori di taglio tecnico -
scientifico che sono alla base della suddivisione in zone diversamente
pericolose del perimetro vulcanico. Ebbene, questa classificazione è stata
fatta in base ai fenomeni che possono interessare una vasta porzione della
plaga vesuviana, tenendo in debito conto il principio che ogni eruzione
presenta una fase espulsiva e poi di deposito dei materiali magmatici.
Analizzando i prodotti piroclastici ammassati al suolo tutt’intorno
al vulcano e alle diverse profondità e distanze, è stato possibile determinare
con una buona approssimazione l’intensità eruttiva delle passate eruzioni
storiche e protostoriche, e i chilometri percorsi dai flussi piroclastici scivolati
a valle e dalla cenere e lapilli dispersi in atmosfera e guidate dai venti.
L’analisi dei fenomeni passati è determinante, perché il
presupposto che indirizza i tecnici della sicurezza nelle loro analisi
protettive, è il concetto che ciò che è successo centinaia di anni fa può
ripetersi nel futuro, anche se i tempi della ciclicità degli eventi eruttivi non
sono costanti per le innumerevoli variabili che entrano in gioco nelle
dinamiche profonde del magma.
I fenomeni attesi in seno a un’eruzione del Vesuvio,
dipendono molto dall’indice energetico di esplosività vulcanica (VEI), che può
avere un valore di 3, 4 o anche 5 che è quello massimo conosciuto,
corrispondente in quest’ultimo caso a uno stile eruttivo pliniano simile a
quello che nel 79 d.C. seppellì letteralmente la cittadina di Pompei.
Di che tipo sarà la prossima eruzione e quando si
manifesterà, sono due domande a cui oggi non è possibile dare una risposta.
Purtuttavia il magma per assurgere in superficie presumibilmente dovrà farsi
strada tra vecchi e nuovi percorsi, con una velocità d’infiltrazione che
produrrà una serie di prodromi che saranno probabilmente colti con un anticipo,
speriamo utile, per lanciare allarmi. Nel novero delle possibilità purtroppo
non si può escludere neanche il falso allarme o il mancato allarme,
statisticamente meno probabile.
Per quanto riguarda l’indice di esplosività vulcanica (VEI),
non è possibile predeterminarlo in anticipo, perché i volumi delle masse
magmatiche in gioco e con esse la chimica e la fisica che le contraddistingue,
sono fattori gelosamente racchiusi nelle irraggiungibili profondità terrestri.
Lì dove è incassato il magma infatti, neanche le prospezioni più tecnologiche e
innovative riescono ad oggi a sondare il chilometrico sottosuolo per dare un
preciso valore tridimensionale e quindi volumetrico alle rocce semifuse. In
assenza di dati di dettaglio quindi, le attività di previsione sull’intensità
eruttiva rimangono una disciplina incompiuta.
Volendo analizzare solo i fenomeni a maggiore pericolosità,
cioè le colate o flussi piroclastici e la pioggia di piroclastiti, bisogna
tenere in debito conto la tabella sottostante, che dimostra come l’impossibilità
di determinare in anticipo l’indice di esplosività vulcanica, determina un
vulnus operativo delle strategie e delle tattiche protettive da adottare o già
adottate.
Le colate piroclastiche sono incontenibili e si
caratterizzano per un notevole dinamismo distruttivo di ammassi roventi
similmente valanghivi, che calerebbero dal monte per effetto del collasso della
colonna eruttiva, che più in alto si spingerà e tanta più energia potenziale dovrà
smaltire. Il calore insito in questa valanga surriscaldata, riuscirebbe a
vaporizzare repentinamente qualsiasi essere umano per effetto delle elevate
temperature del particolato dilagante. Questa caratteristica dell’eccessivo
calore, rende improponibili in zona rossa difese individuali a mezzo maschere
antigas che si fonderebbero insieme al corpo da proteggere, o anche misure
collettive di protezione all’interno di edifici o ricoveri non progettati e
collaudati per un siffatto utilizzo in condizioni estreme. A tal proposito
valga la considerazione che, pur se l'Ospedale del Mare ubicato in zona rossa (Napoli
– Ponticelli) è di possente fattura antisismica, alla stregua di tutte le altre
strutture esistenti nella zona rossa, non offre protezione ai flussi
piroclastici, e quindi la sua collocazione in quel luogo è progettualmente
sbagliata.
Le zone dove il pericolo è massimo e quindi la sopravvivenza
non è garantita in caso di eruzione, vengono chiamate zone rosse. Il Vesuvio ne
ha due di zone rosse: la zona rossa 1 (R1) e la zona rossa 2 (R2). La zona
rossa 1 è quella invadibile dalle micidiali colate piroclastiche. Nella zona
rossa 2 invece, quella che per calcoli statistici si protende verso est, c’è da
aspettarsi una sostenuta pioggia di cenere e lapilli che renderebbe la
respirazione più che problematica, la circolazione impossibile, e la visibilità
risulterebbe ridotta a qualche metro. I tetti piani a causa dei sovraccarichi
sulle coperture dovuti agli accumuli di cenere e lapilli potrebbero crollare, così
come i solai sottostanti.
Per la pioggia di piroclastiti occorre dire due cose: la
prima è che il fenomeno è insito in qualsiasi tipologia eruttiva al Vesuvio. Il
secondo elemento che dovrà avere il giusto risalto operativo è legato ai tempi
di concretizzazione dei fenomeni letali. Ebbene la pioggia di cenere e lapilli
è coincidente con l’inizio dell’evento eruttivo, mentre i flussi piroclastici
sono appena più tardivi ma molto più distruttivi. Questo spiega perché sia
nella zona rossa 1 che nella zona rossa 2, in caso di allarme eruttivo
l’evacuazione preventiva è assolutamente necessaria.
Al di fuori della zona rossa c’è la zona gialla che si
estende prevalentemente e statisticamente verso est, dove sono previsti medi e forti
disagi, soprattutto in danno di quei territori ubicati sottovento al Vesuvio e
che si trovano in linea con i venti predominanti: nella zona gialla non si
possono escludere eventuali e mirate evacuazioni. Trattandosi di materiale di
ricaduta trasportato e orientato dal vento però, qualsiasi valutazione di
pericolosità o disagi estremi, dovrà essere fatta con eruzione in corso.
In seno alla zona gialla, a nord del Vesuvio, c’è anche la
zona blu di sovrapposizione, dove sono possibili, in caso di eruzione, intensi
allagamenti con fiumane di fanghiglia che scorrerebbero dal Vesuvio nelle
normali linee d’impluvio verso la conca nolana. Per il forte ruscellamento
dovuto alle acque espulse dal vulcano, salterebbero le coperture degli alvei e
si formerebbero accumuli acquiferi nelle aree di confluenza dei rii, fino a
raggiungere altezze di circa tre metri.
I problemi di sicurezza che gravano sull’area vesuviana,
sono innanzitutto legati all’incertezza predittiva dell’eruzione vulcanica e a
quella sull’intensità eruttiva. La previsione infatti, dovrebbe formularsi
almeno tre giorni prima dell’insorgere delle dirompenze eruttive, con una
tempistica che eviti possibilmente falsi allarmi o mancati allarmi. Per quanto
riguarda la previsione dello stile eruttivo, le autorità di Protezione civile
hanno deciso di assumere su basi statistiche, come eruzione di riferimento per
i piani di emergenza, un evento medio sub pliniano VEI 4 e non quello massimo
conosciuto VEI 5. Questa decisione che ha l’avallo della commissione grandi
rischi è molto responsabilizzante, ancora di più se la dirigenza dell’Osservatorio
Vesuviano ribadisce che il passare dei decenni e dei secoli non portano a rivalutare l'intensità eruttiva che rimarrebbe immutata (VEI4) nel tempo, almeno fino a quando nuove scoperte scientifiche non ribaltino questa prospettiva ottimistica. Se queste dichiarazioni non dovessero poggiare su presupposti scientifici molto solidi che in ogni caso contrastano con la letteratura a tema vigente, potrebbe verificarsi, in caso di allarme, la possibilità statistica di un successo evacuativo con annessa catastrofe
vulcanica.
Vesuvio: evidenza delle zone a diversa pericolosità |
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