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Visualizzazione post con etichetta Vesuvio zona blu. Mostra tutti i post
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sabato 19 dicembre 2020

Rischio Vesuvio e pericolosità: la zona rossa, la zona gialla e la zona blu...di MalKo

 

Vesuvio

Chi cerca notizie sul Vesuvio, il più delle volte lo fa perché è attratto dagli elementi storici e naturali e archeologici che affollano il comprensorio dell’arcinoto vulcano, così come un vivo interesse lo profondono pure i ricercatori interessati a quei fattori di taglio tecnico - scientifico che sono alla base della suddivisione in zone diversamente pericolose del perimetro vulcanico. Ebbene, questa classificazione è stata fatta in base ai fenomeni che possono interessare una vasta porzione della plaga vesuviana, tenendo in debito conto il principio che ogni eruzione presenta una fase espulsiva e poi di deposito dei materiali magmatici.

Analizzando i prodotti piroclastici ammassati al suolo tutt’intorno al vulcano e alle diverse profondità e distanze, è stato possibile determinare con una buona approssimazione l’intensità eruttiva delle passate eruzioni storiche e protostoriche, e i chilometri percorsi dai flussi piroclastici scivolati a valle e dalla cenere e lapilli dispersi in atmosfera e guidate dai venti.

L’analisi dei fenomeni passati è determinante, perché il presupposto che indirizza i tecnici della sicurezza nelle loro analisi protettive, è il concetto che ciò che è successo centinaia di anni fa può ripetersi nel futuro, anche se i tempi della ciclicità degli eventi eruttivi non sono costanti per le innumerevoli variabili che entrano in gioco nelle dinamiche profonde del magma.

I fenomeni attesi in seno a un’eruzione del Vesuvio, dipendono molto dall’indice energetico di esplosività vulcanica (VEI), che può avere un valore di 3, 4 o anche 5 che è quello massimo conosciuto, corrispondente in quest’ultimo caso a uno stile eruttivo pliniano simile a quello che nel 79 d.C. seppellì letteralmente la cittadina di Pompei.

Di che tipo sarà la prossima eruzione e quando si manifesterà, sono due domande a cui oggi non è possibile dare una risposta. Purtuttavia il magma per assurgere in superficie presumibilmente dovrà farsi strada tra vecchi e nuovi percorsi, con una velocità d’infiltrazione che produrrà una serie di prodromi che saranno probabilmente colti con un anticipo, speriamo utile, per lanciare allarmi. Nel novero delle possibilità purtroppo non si può escludere neanche il falso allarme o il mancato allarme, statisticamente meno probabile.

Per quanto riguarda l’indice di esplosività vulcanica (VEI), non è possibile predeterminarlo in anticipo, perché i volumi delle masse magmatiche in gioco e con esse la chimica e la fisica che le contraddistingue, sono fattori gelosamente racchiusi nelle irraggiungibili profondità terrestri. Lì dove è incassato il magma infatti, neanche le prospezioni più tecnologiche e innovative riescono ad oggi a sondare il chilometrico sottosuolo per dare un preciso valore tridimensionale e quindi volumetrico alle rocce semifuse. In assenza di dati di dettaglio quindi, le attività di previsione sull’intensità eruttiva rimangono una disciplina incompiuta.

Volendo analizzare solo i fenomeni a maggiore pericolosità, cioè le colate o flussi piroclastici e la pioggia di piroclastiti, bisogna tenere in debito conto la tabella sottostante, che dimostra come l’impossibilità di determinare in anticipo l’indice di esplosività vulcanica, determina un vulnus operativo delle strategie e delle tattiche protettive da adottare o già adottate.


Le colate piroclastiche sono incontenibili e si caratterizzano per un notevole dinamismo distruttivo di ammassi roventi similmente valanghivi, che calerebbero dal monte per effetto del collasso della colonna eruttiva, che più in alto si spingerà e tanta più energia potenziale dovrà smaltire. Il calore insito in questa valanga surriscaldata, riuscirebbe a vaporizzare repentinamente qualsiasi essere umano per effetto delle elevate temperature del particolato dilagante. Questa caratteristica dell’eccessivo calore, rende improponibili in zona rossa difese individuali a mezzo maschere antigas che si fonderebbero insieme al corpo da proteggere, o anche misure collettive di protezione all’interno di edifici o ricoveri non progettati e collaudati per un siffatto utilizzo in condizioni estreme. A tal proposito valga la considerazione che, pur se l'Ospedale del Mare ubicato in zona rossa (Napoli – Ponticelli) è di possente fattura antisismica, alla stregua di tutte le altre strutture esistenti nella zona rossa, non offre protezione ai flussi piroclastici, e quindi la sua collocazione in quel luogo è progettualmente sbagliata.

Le zone dove il pericolo è massimo e quindi la sopravvivenza non è garantita in caso di eruzione, vengono chiamate zone rosse. Il Vesuvio ne ha due di zone rosse: la zona rossa 1 (R1) e la zona rossa 2 (R2). La zona rossa 1 è quella invadibile dalle micidiali colate piroclastiche. Nella zona rossa 2 invece, quella che per calcoli statistici si protende verso est, c’è da aspettarsi una sostenuta pioggia di cenere e lapilli che renderebbe la respirazione più che problematica, la circolazione impossibile, e la visibilità risulterebbe ridotta a qualche metro. I tetti piani a causa dei sovraccarichi sulle coperture dovuti agli accumuli di cenere e lapilli potrebbero crollare, così come i solai sottostanti.

Per la pioggia di piroclastiti occorre dire due cose: la prima è che il fenomeno è insito in qualsiasi tipologia eruttiva al Vesuvio. Il secondo elemento che dovrà avere il giusto risalto operativo è legato ai tempi di concretizzazione dei fenomeni letali. Ebbene la pioggia di cenere e lapilli è coincidente con l’inizio dell’evento eruttivo, mentre i flussi piroclastici sono appena più tardivi ma molto più distruttivi. Questo spiega perché sia nella zona rossa 1 che nella zona rossa 2, in caso di allarme eruttivo l’evacuazione preventiva è assolutamente necessaria.

Al di fuori della zona rossa c’è la zona gialla che si estende prevalentemente e statisticamente verso est, dove sono previsti medi e forti disagi, soprattutto in danno di quei territori ubicati sottovento al Vesuvio e che si trovano in linea con i venti predominanti: nella zona gialla non si possono escludere eventuali e mirate evacuazioni. Trattandosi di materiale di ricaduta trasportato e orientato dal vento però, qualsiasi valutazione di pericolosità o disagi estremi, dovrà essere fatta con eruzione in corso.

In seno alla zona gialla, a nord del Vesuvio, c’è anche la zona blu di sovrapposizione, dove sono possibili, in caso di eruzione, intensi allagamenti con fiumane di fanghiglia che scorrerebbero dal Vesuvio nelle normali linee d’impluvio verso la conca nolana. Per il forte ruscellamento dovuto alle acque espulse dal vulcano, salterebbero le coperture degli alvei e si formerebbero accumuli acquiferi nelle aree di confluenza dei rii, fino a raggiungere altezze di circa tre metri.

I problemi di sicurezza che gravano sull’area vesuviana, sono innanzitutto legati all’incertezza predittiva dell’eruzione vulcanica e a quella sull’intensità eruttiva. La previsione infatti, dovrebbe formularsi almeno tre giorni prima dell’insorgere delle dirompenze eruttive, con una tempistica che eviti possibilmente falsi allarmi o mancati allarmi. Per quanto riguarda la previsione dello stile eruttivo, le autorità di Protezione civile hanno deciso di assumere su basi statistiche, come eruzione di riferimento per i piani di emergenza, un evento medio sub pliniano VEI 4 e non quello massimo conosciuto VEI 5. Questa decisione che ha l’avallo della commissione grandi rischi è molto responsabilizzante, ancora di più se la dirigenza dell’Osservatorio Vesuviano ribadisce che il passare dei decenni e dei secoli non portano a rivalutare l'intensità eruttiva che rimarrebbe immutata (VEI4) nel tempo, almeno fino a quando nuove scoperte scientifiche non ribaltino questa prospettiva ottimistica. Se queste dichiarazioni non dovessero poggiare su presupposti scientifici molto solidi che in ogni caso contrastano con la letteratura a tema vigente, potrebbe verificarsi, in caso di allarme, la possibilità  statistica di un successo evacuativo con annessa catastrofe vulcanica.

Vesuvio: evidenza delle zone a diversa pericolosità













domenica 21 ottobre 2018

Rischio Vesuvio:la conventio ad excludendum...di MalKo



Vesuvio da Torre Annunziata

Il Vesuvio è un famosissimo vulcano che per il passato ha dato vita a eruzioni di diversa intensità, anche di tipo esplosivo (pliniana), come quella che nel 79 d.C. devastò e seppellì le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis: oggi siti archeologici d’importanza mondiale.

Quando un vulcano come il Vesuvio produce un’eruzione esplosiva, forma una colonna eruttiva che spara letteralmente in aria una gran quantità di prodotti piroclastici di varie misure, misti a gas e vapori, che possono raggiungere nelle tipologie pliniane anche i 30 Km. di altezza.


Da questa colonna scura e minacciosa che s’innalza nel cielo accompagnata da scariche elettriche, in genere e dopo poco, si staccano masse di prodotti che, ricadendo lungo i fianchi del vulcano, si trasformano in colate piroclastiche: una sorta di valanghe travolgenti, con ammassi che scorrono velocemente con temperature oscillanti tra i 300° e i 600° Celsius.
Alcune simulazioni hanno consentito di stimare in meno di dieci minuti il tempo occorrente a una colata piroclastica per raggiungere sul versante sud occidentale del Vesuvio il mare.

Pericolosissimi sono anche i lahar, cioè colate rapide, in questo caso di fango, che si sviluppano quando l’acqua espulsa dall’eruzione sotto forma di vapore, condensa e si mescola alla cenere vulcanica, scivolando impetuosamente lungo i valloni erosivi che segnano il monte, per poi dilagare a valle con impeto, dando così spazio agli alluvionamenti melmosi.

La terza e non meno pericolosa manifestazione vulcanica, è quella della pioggia di cenere e lapilli, che andrebbe a interessare soprattutto la zona posta sottovento al vulcano, con potenze di deposito inversamente proporzionali alla distanza dal cratere. La cenere, con la sua componente vetrosa, oltre a creare difficoltà alla respirazione e alla circolazione dei veicoli e velivoli, riduce anche la visibilità. Accumulandosi poi in gran quantità sui tetti non spioventi, potrebbe determinare lo sprofondamento dei solai di copertura e a seguire quelli di piano. Inoltre, gli accumuli di prodotti piroclastici nella parte più alta degli edifici, potrebbero rendere i fabbricati maggiormente vulnerabili alle oscillazioni indotte dai terremoti, a causa dell’anomalo sovrappeso in sommità.

Le lave si presentano raramente nelle eruzioni esplosive; in ogni caso non rappresenterebbero un problema per l’incolumità delle persone, ma solo per le case e altri manufatti che si trovano lungo il percorso. Tra l’altro i flussi lavici sono praticamente incontenibili e difficilmente deviabili.

La cartina che vi mostriamo in basso, evidenzia quelle zone vesuviane e provinciali a differente pericolosità, a iniziare da quella più problematica in assoluto: la zona Rossa 1 (R1). Trattasi della prima area concentrica all’apparato vulcanico, che può essere invasa dalle colate piroclastiche, dai surges piroclastici, dalle colate di fango, e inoltre il settore diventerebbe bersaglio di imponenti ricadute di blocchi, bombe e lapilli. 



La zona Rossa 2 (R2) invece, è quella parte del territorio vesuviano ubicata a est del cono vulcanico, dove, per effetto dei venti dominanti spiranti, secondo elementi statistici, prevalentemente in quella direzione, è maggiore il rischio di massiccia ricaduta di cenere e lapilli con tutti i problemi che ne concernerebbero per la sicurezza, la visibilità e la mobilità dei cittadini.

La zona gialla è quella parte piuttosto estesa del territorio esterno alla zona rossa nel suo complessivo, dove in caso di eruzione si concretizzerebbero problematiche da accumulo di cenere in una misura presumibilmente minore rispetto alla zona R2. In ogni caso le conseguenze per la popolazione sarebbero rapportate alla distanza dal centro eruttivo e dalla direzione e intensità del vento in quel momento. Eventuali provvedimenti cautelativi, secondo le strategie adottate dalle autorità competenti, andrebbero assunti durante l’eruzione, dopo che si sia avuta contezza del settore territoriale maggiormente coinvolto dalla pioggia di cenere e lapilli.

Nella foto sottostante, il campo d’aviazione americano di Terzigno durante l’eruzione del Vesuvio del 1944. La pioggia di piroclastiti rese impraticabile l’aeroporto e danneggiò seriamente gli aerei che non ebbero il tempo di decollare.

1944 - Terzigno - Campo di volo americano "bombardato" dal Vesuvio


La zona blu comprende quei territori in zona gialla a nord del Vesuvio, altimetricamente classificabili depressi (conca di Nola), che in seguito all’eruzione potrebbero essere allagati e sommersi da oltre 2 metri d’acqua e fango. Non c’è ancora una chiara strategia operativa a difesa delle popolazioni che dimorano in zona blu, tra Acerra e Nola. L’entità del fenomeno comunque, avrebbe uno stretto rapporto con i depositi di cenere sottili capaci di impermeabilizzare i suoli. Anche in questo caso quindi, la direzione dei venti e l’entità della pioggia di cenere e lapilli condizionerebbe la vulnerabilità di questo settore, purtroppo in scarsa evidenza nei piani d’emergenza.

Un ulteriore elemento di pericolo intrinseco alle eruzioni, è dettato dai terremoti. Infatti, le eruzioni di solito sono precedute da sussulti sismici di tutto rispetto, con scosse e tremori che si manifesterebbero sia nella fase prodromica ma anche in modo piuttosto acuto durante l’eruzione.

La previsione delle eruzioni

Occorre subito dire che non è possibile prevedere sul lungo termine quando ci sarà un’eruzione del Vesuvio. A detta degli esperti, auspicabilmente i segnali geofisici e geochimici che si manifesteranno e anticiperanno l’approssimarsi del fenomeno eruttivo, possono essere immediatamente colti, grazie a una sorveglianza vulcanica diuturna, e potrebbero consentire di formulare, in una chiave probabilistica che andrebbe a perfezionarsi con il passare delle ore, una previsione corta o cortissima del fenomeno, cioè sul breve e brevissimo tempo. Nella fattispecie del discorso, possiamo parlare di ore, giorni e forse settimane.

Il tempo intercorrente tra l’insorgere degli indicatori di variazione dello stato di quiete del vulcano e la ripresa eruttiva, rimane quindi una incognita di fondamentale importanza per la componente tecnico politica deputata alla diramazione dell’allarme, e quindi alla salvaguardia delle popolazioni.

È opportuno precisare che la previsione anche corta come innanzi dicevamo, avrà sempre un taglio probabilistico e mai deterministico, perché la certezza dell’eruzione ci sarà data solo dall’effettiva e tangibile ripresa del fenomeno in tutta la sua virulenza energetica.

In altre parole, il rischio del mancato allarme o del falso allarme sono fattori che non è possibile azzerare in quello che è un ambito disciplinare scientifico (geologia) zeppo di incognite derivanti da un ambiente senza un orizzonte di visibilità, purtuttavia dinamico e in ogni caso inesplorabile direttamente dall’uomo. Le perforazioni hanno raggiunto con grande difficoltà i dieci chilometri di profondità che sono ben poca cosa rispetto a un raggio medio terrestre di 6370 km.

Prima di lanciare l’allarme eruzione quindi, anche alla luce della grande quantità di persone da mobilitare, bisognerà attendere qualcosa di più concreto delle prime avvisaglie di irrequietezza vulcanica, perché talune variazioni potrebbero essere sintomi di ripristino degli equilibri interni dell’apparato vulcanico, magari dettati da semplici sommovimenti o modeste intrusioni magmatiche in profondità.

D’altra parte le filosofie della sicurezza inducono ovviamente a ritenere maggiormente accettabile un falso allarme, anche se il medesimo non è scevro da rischi, perché metterebbe in moto un gran numero di cittadini, in un contesto ambientale fatto di assetti stradali modesti e non congeniali alla movimentazione rapida della popolazione vesuviana. Da questo punto di vista la fascia litoranea che è anche quella ad alta densità abitativa, presenta le maggiori criticità perché la popolazione è stretta tra mare e monte.

Va ricordato inoltre, che la diramazione dell’allarme eruzione non è a cura dell’autorità scientifica ma di quella politica ai massimi livelli (Presidenza del Consiglio).

La zona rossa sancita da un apposito decreto, è rappresentata dall’insieme delle zone R1 e R2 (vedi immagine sottostante): trattasi dell’area di totale evacuazione della popolazione, ma anche dei soccorritori in caso di allarme vulcanico. La differenza sostanziale tra le due zone non sono le modalità di allontanamento preventivo, ma la disomogeneità delle attività di prevenzione delle catastrofi...



 Le strumentazioni di monitoraggio vulcanico

Le strumentazioni ipertecnologiche e super sofisticate di monitoraggio del Vesuvio, gestite dall’Osservatorio Vesuviano (INGV), aiutano nella decifrazione dello stato del vulcano, ma non sono la soluzione dell’incognita previsionale. La tecnologia da terrestre a satellitare, serve ad anticipare la cattura dei sintomi di irrequietezza vulcanica, ma nessun strumento è in grado di dire a che cosa porteranno quelle variazione dei parametri vulcanici così precocemente captati dagli strumenti.

Una strumentazione di alto o altissimo livello infatti, può solo anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma non aiuta ad anticipare la valutazione sulla dichiarazione dello stato di allarme, che sarà un’azione decisionale complessa ma necessariamente tutta umana, presumibilmente frutto di pareri interdisciplinari e di analisi del rischio nella sua complessità.
 
Campi Flegrei - Solfatara - Strumentazioni di monitoraggio


A corredo del discorso, occorre segnalare pure un’ulteriore incognita di non poco conto che ha sparigliato i teoremi della prevenzione delle catastrofi collegate al Vesuvio. Nonostante riteniamo che sia auspicabilmente abbordabile la previsione corta del fenomeno eruttivo, in realtà nessuno è in grado di stabilire dai sintomi captati o anche percepiti direttamente dall’uomo, quale sarà la taglia eruttiva (VEI) dell’eruzione che verrà! Cioè quante energie diromperanno dal sottosuolo vesuviano... Nel caso del Vesuvio, che nella sua storia eruttiva annovera range di manifestazioni energetiche molto diverse fra loro (VEI3, VEI4 e VEI5), definire la portata dell’eruzione prima dell’eruzione è puro azzardo, soprattutto se teniamo presente che la differenza tra i vari indici di esplosività vulcanica è a progressione logaritmica.

La pianificazione d’emergenza ruota prima ancora che sull’eruzione di riferimento sulla poco citata previsione ad excludendum dell’eruzione massima conosciuta, che è una VEI5 (pliniana). Una teoria, quella dell’esclusione, non supportata da premesse deterministiche ma solo probabilistiche su un’analisi molto ridotta di dati disponibili.