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domenica 21 ottobre 2018

Rischio Vesuvio:la conventio ad excludendum...di MalKo



Vesuvio da Torre Annunziata

Il Vesuvio è un famosissimo vulcano che per il passato ha dato vita a eruzioni di diversa intensità, anche di tipo esplosivo (pliniana), come quella che nel 79 d.C. devastò e seppellì le città di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis: oggi siti archeologici d’importanza mondiale.

Quando un vulcano come il Vesuvio produce un’eruzione esplosiva, forma una colonna eruttiva che spara letteralmente in aria una gran quantità di prodotti piroclastici di varie misure, misti a gas e vapori, che possono raggiungere nelle tipologie pliniane anche i 30 Km. di altezza.


Da questa colonna scura e minacciosa che s’innalza nel cielo accompagnata da scariche elettriche, in genere e dopo poco, si staccano masse di prodotti che, ricadendo lungo i fianchi del vulcano, si trasformano in colate piroclastiche: una sorta di valanghe travolgenti, con ammassi che scorrono velocemente con temperature oscillanti tra i 300° e i 600° Celsius.
Alcune simulazioni hanno consentito di stimare in meno di dieci minuti il tempo occorrente a una colata piroclastica per raggiungere sul versante sud occidentale del Vesuvio il mare.

Pericolosissimi sono anche i lahar, cioè colate rapide, in questo caso di fango, che si sviluppano quando l’acqua espulsa dall’eruzione sotto forma di vapore, condensa e si mescola alla cenere vulcanica, scivolando impetuosamente lungo i valloni erosivi che segnano il monte, per poi dilagare a valle con impeto, dando così spazio agli alluvionamenti melmosi.

La terza e non meno pericolosa manifestazione vulcanica, è quella della pioggia di cenere e lapilli, che andrebbe a interessare soprattutto la zona posta sottovento al vulcano, con potenze di deposito inversamente proporzionali alla distanza dal cratere. La cenere, con la sua componente vetrosa, oltre a creare difficoltà alla respirazione e alla circolazione dei veicoli e velivoli, riduce anche la visibilità. Accumulandosi poi in gran quantità sui tetti non spioventi, potrebbe determinare lo sprofondamento dei solai di copertura e a seguire quelli di piano. Inoltre, gli accumuli di prodotti piroclastici nella parte più alta degli edifici, potrebbero rendere i fabbricati maggiormente vulnerabili alle oscillazioni indotte dai terremoti, a causa dell’anomalo sovrappeso in sommità.

Le lave si presentano raramente nelle eruzioni esplosive; in ogni caso non rappresenterebbero un problema per l’incolumità delle persone, ma solo per le case e altri manufatti che si trovano lungo il percorso. Tra l’altro i flussi lavici sono praticamente incontenibili e difficilmente deviabili.

La cartina che vi mostriamo in basso, evidenzia quelle zone vesuviane e provinciali a differente pericolosità, a iniziare da quella più problematica in assoluto: la zona Rossa 1 (R1). Trattasi della prima area concentrica all’apparato vulcanico, che può essere invasa dalle colate piroclastiche, dai surges piroclastici, dalle colate di fango, e inoltre il settore diventerebbe bersaglio di imponenti ricadute di blocchi, bombe e lapilli. 



La zona Rossa 2 (R2) invece, è quella parte del territorio vesuviano ubicata a est del cono vulcanico, dove, per effetto dei venti dominanti spiranti, secondo elementi statistici, prevalentemente in quella direzione, è maggiore il rischio di massiccia ricaduta di cenere e lapilli con tutti i problemi che ne concernerebbero per la sicurezza, la visibilità e la mobilità dei cittadini.

La zona gialla è quella parte piuttosto estesa del territorio esterno alla zona rossa nel suo complessivo, dove in caso di eruzione si concretizzerebbero problematiche da accumulo di cenere in una misura presumibilmente minore rispetto alla zona R2. In ogni caso le conseguenze per la popolazione sarebbero rapportate alla distanza dal centro eruttivo e dalla direzione e intensità del vento in quel momento. Eventuali provvedimenti cautelativi, secondo le strategie adottate dalle autorità competenti, andrebbero assunti durante l’eruzione, dopo che si sia avuta contezza del settore territoriale maggiormente coinvolto dalla pioggia di cenere e lapilli.

Nella foto sottostante, il campo d’aviazione americano di Terzigno durante l’eruzione del Vesuvio del 1944. La pioggia di piroclastiti rese impraticabile l’aeroporto e danneggiò seriamente gli aerei che non ebbero il tempo di decollare.

1944 - Terzigno - Campo di volo americano "bombardato" dal Vesuvio


La zona blu comprende quei territori in zona gialla a nord del Vesuvio, altimetricamente classificabili depressi (conca di Nola), che in seguito all’eruzione potrebbero essere allagati e sommersi da oltre 2 metri d’acqua e fango. Non c’è ancora una chiara strategia operativa a difesa delle popolazioni che dimorano in zona blu, tra Acerra e Nola. L’entità del fenomeno comunque, avrebbe uno stretto rapporto con i depositi di cenere sottili capaci di impermeabilizzare i suoli. Anche in questo caso quindi, la direzione dei venti e l’entità della pioggia di cenere e lapilli condizionerebbe la vulnerabilità di questo settore, purtroppo in scarsa evidenza nei piani d’emergenza.

Un ulteriore elemento di pericolo intrinseco alle eruzioni, è dettato dai terremoti. Infatti, le eruzioni di solito sono precedute da sussulti sismici di tutto rispetto, con scosse e tremori che si manifesterebbero sia nella fase prodromica ma anche in modo piuttosto acuto durante l’eruzione.

La previsione delle eruzioni

Occorre subito dire che non è possibile prevedere sul lungo termine quando ci sarà un’eruzione del Vesuvio. A detta degli esperti, auspicabilmente i segnali geofisici e geochimici che si manifesteranno e anticiperanno l’approssimarsi del fenomeno eruttivo, possono essere immediatamente colti, grazie a una sorveglianza vulcanica diuturna, e potrebbero consentire di formulare, in una chiave probabilistica che andrebbe a perfezionarsi con il passare delle ore, una previsione corta o cortissima del fenomeno, cioè sul breve e brevissimo tempo. Nella fattispecie del discorso, possiamo parlare di ore, giorni e forse settimane.

Il tempo intercorrente tra l’insorgere degli indicatori di variazione dello stato di quiete del vulcano e la ripresa eruttiva, rimane quindi una incognita di fondamentale importanza per la componente tecnico politica deputata alla diramazione dell’allarme, e quindi alla salvaguardia delle popolazioni.

È opportuno precisare che la previsione anche corta come innanzi dicevamo, avrà sempre un taglio probabilistico e mai deterministico, perché la certezza dell’eruzione ci sarà data solo dall’effettiva e tangibile ripresa del fenomeno in tutta la sua virulenza energetica.

In altre parole, il rischio del mancato allarme o del falso allarme sono fattori che non è possibile azzerare in quello che è un ambito disciplinare scientifico (geologia) zeppo di incognite derivanti da un ambiente senza un orizzonte di visibilità, purtuttavia dinamico e in ogni caso inesplorabile direttamente dall’uomo. Le perforazioni hanno raggiunto con grande difficoltà i dieci chilometri di profondità che sono ben poca cosa rispetto a un raggio medio terrestre di 6370 km.

Prima di lanciare l’allarme eruzione quindi, anche alla luce della grande quantità di persone da mobilitare, bisognerà attendere qualcosa di più concreto delle prime avvisaglie di irrequietezza vulcanica, perché talune variazioni potrebbero essere sintomi di ripristino degli equilibri interni dell’apparato vulcanico, magari dettati da semplici sommovimenti o modeste intrusioni magmatiche in profondità.

D’altra parte le filosofie della sicurezza inducono ovviamente a ritenere maggiormente accettabile un falso allarme, anche se il medesimo non è scevro da rischi, perché metterebbe in moto un gran numero di cittadini, in un contesto ambientale fatto di assetti stradali modesti e non congeniali alla movimentazione rapida della popolazione vesuviana. Da questo punto di vista la fascia litoranea che è anche quella ad alta densità abitativa, presenta le maggiori criticità perché la popolazione è stretta tra mare e monte.

Va ricordato inoltre, che la diramazione dell’allarme eruzione non è a cura dell’autorità scientifica ma di quella politica ai massimi livelli (Presidenza del Consiglio).

La zona rossa sancita da un apposito decreto, è rappresentata dall’insieme delle zone R1 e R2 (vedi immagine sottostante): trattasi dell’area di totale evacuazione della popolazione, ma anche dei soccorritori in caso di allarme vulcanico. La differenza sostanziale tra le due zone non sono le modalità di allontanamento preventivo, ma la disomogeneità delle attività di prevenzione delle catastrofi...



 Le strumentazioni di monitoraggio vulcanico

Le strumentazioni ipertecnologiche e super sofisticate di monitoraggio del Vesuvio, gestite dall’Osservatorio Vesuviano (INGV), aiutano nella decifrazione dello stato del vulcano, ma non sono la soluzione dell’incognita previsionale. La tecnologia da terrestre a satellitare, serve ad anticipare la cattura dei sintomi di irrequietezza vulcanica, ma nessun strumento è in grado di dire a che cosa porteranno quelle variazione dei parametri vulcanici così precocemente captati dagli strumenti.

Una strumentazione di alto o altissimo livello infatti, può solo anticipare lo stato di attenzione vulcanica, ma non aiuta ad anticipare la valutazione sulla dichiarazione dello stato di allarme, che sarà un’azione decisionale complessa ma necessariamente tutta umana, presumibilmente frutto di pareri interdisciplinari e di analisi del rischio nella sua complessità.
 
Campi Flegrei - Solfatara - Strumentazioni di monitoraggio


A corredo del discorso, occorre segnalare pure un’ulteriore incognita di non poco conto che ha sparigliato i teoremi della prevenzione delle catastrofi collegate al Vesuvio. Nonostante riteniamo che sia auspicabilmente abbordabile la previsione corta del fenomeno eruttivo, in realtà nessuno è in grado di stabilire dai sintomi captati o anche percepiti direttamente dall’uomo, quale sarà la taglia eruttiva (VEI) dell’eruzione che verrà! Cioè quante energie diromperanno dal sottosuolo vesuviano... Nel caso del Vesuvio, che nella sua storia eruttiva annovera range di manifestazioni energetiche molto diverse fra loro (VEI3, VEI4 e VEI5), definire la portata dell’eruzione prima dell’eruzione è puro azzardo, soprattutto se teniamo presente che la differenza tra i vari indici di esplosività vulcanica è a progressione logaritmica.

La pianificazione d’emergenza ruota prima ancora che sull’eruzione di riferimento sulla poco citata previsione ad excludendum dell’eruzione massima conosciuta, che è una VEI5 (pliniana). Una teoria, quella dell’esclusione, non supportata da premesse deterministiche ma solo probabilistiche su un’analisi molto ridotta di dati disponibili.





domenica 26 maggio 2013

Rischio Vesuvio parte settima: i livelli di allerta vulcanica.


  
                            "Rischio Vesuvio parte settima "  di MalKo 
Nel famoso vademecum che dovrebbe essere consegnato a ogni famiglia del vesuviano (quando sarà), a fronte del rischio Vesuvio, probabilmente dovremmo trovare nelle prime pagine una tabella contenente i 4 livelli di allerta vulcanica con le dovute spiegazioni. 
Per meglio comprendere questi livelli, dobbiamo partire dal principio che il Vesuvio è permanentemente tenuto sotto osservazione dall’Osservatorio Vesuviano. L’osservazione ovviamente non è solo diretta e a vista, ma anche e soprattutto attuata attraverso sensori che registrano in modo continuo e in tempo reale i valori chimici e fisici che caratterizzano la vita del vulcano. 
Gli indici che rappresentano la normalità, da noi intesa di quiete del Vesuvio, non implicano un granché in termini di azioni, ma l’allerta non potrà mai essere annullata. Questo significa che 24 ore su 24 e attraverso gli organismi scientifici che operano a mo’ di “sentinelle”, dovrà essere mantenuto il controllo dei parametri strumentali del vulcano. Si parlerà quindi e in questo caso, di primo livello (base) caratterizzato dal colore verde… Un modo per far sapere che il vulcano dorme e lo si osserva. 
Se uno o alcuni valori di monitoraggio del Vesuvio dovesse presentare variazioni significative, si passerebbe al secondo livello, ovvero di attenzione nell’allerta, contraddistinto dal colore giallo… il vulcano dormiente si è girato sul fianco diremmo immaginariamente, cioè non sappiamo cosa farà poi… 
Se questi indici numerici dovessero incrementarsi secondo una scala presumibilmente al rialzo, si passerebbe al terzo livello (preallarme), evidenziato dal colore arancione. Il monte ardente prima sopito ora si rigira e produce qualche sbadiglio… 
Una successiva progressione nella variazione dei parametri chimici e fisici del vulcano, farebbe scattare il livello massimo di allerta che è quello di allarme. Il colore rosso contraddistinguerebbe con certezza il grado di pre-pericolo. Lo “sterminator Vesevo” si stropiccia gli occhi…probabilmente si desterà dal sonno… 
La tabella illustrativa sotto riportata che potete ingrandire cliccandoci sopra, è sufficientemente chiara  in termini riassuntivi di quanto  finora detto. 
Appare abbastanza intuitivo che la variazione dei parametri sarebbe sicuramente valutata secondo un indice numerico, tenendo in debito conto anche la progressione temporale dei fenomeni, cioè l’incalzare degli stessi. Va da se che i dati strumentali dovranno essere interpretati dagli esperti cui spetta decifrare tutte le informazioni raccolte in modo presumibilmente oggettivo, sulla scorta, pensiamo, delle conoscenze “anamnestiche” che si hanno del Vesuvio con  riferimenti comparativi internazionali. Un compito indubbiamente arduo che verrebbe probabilmente gestito già nelle prime battute dalla commissione grandi rischi (CGR) del Dipartimento della Protezione Civile. 
E’ utile ricordare che il passaggio da un livello a un altro non è mono direzionale e tassativamente al rialzo. In qualsiasi momento, infatti, potremmo registrare una diminuzione dei valori con un logico ridimensionamento del livello d’allerta fino a quel momento raggiunto.
Due cose bisogna intuire da questo quadro riassuntivo. Se avessimo certezze matematiche incontrovertibili, dovremmo avere nel livello base una probabilità di eruzione nulla e nel livello di allarme una probabilità eruttiva certa. Non è così. Questo cosa significa? Che alla fine forse spetterà alla politica stabilire il da farsi soprattutto al raggiungimento del terzo livello (allarme), sulla scorta delle notizie che perverranno tanto dal mondo scientifico quanto da quello tecnico istituzionale. Ancora una volta notiamo, che gli elementi fin qui raccolti sono tutti convergenti sulla necessità di favorire in ogni ambito le attività di prevenzione… I segnali però, da questo punto di vista  non sono incoraggianti. Il sindaco di Napoli ha già fatto sapere che la sua città si dichiara fuori dall’area rossa, in controtendenza con il recente pensiero di Guido Bertolaso, intenzionato a inserire parte della metropoli partenopea nel perimetro a maggior rischio vulcanico. L’affermazione ha fatto sollevare una marea di scudi. Siamo sicuri o forse lo speriamo, per bagarre scientifica e non perché sulla zona orientale della città, gravano importanti progetti…
A proposito di Napoli e progetti, è altrettanto importante rilevare che l’ex area industriale di Bagnoli (colmata) dovrebbe, seconda una sensata politica di prevenzione, rimanere un grosso piazzale senza opere di urbanizzazione, ad eccezione di quelle concernenti impianti tecnologici (acqua; luce; fogne). Questo perché rappresenta una strategica area di protezione civile. La risorsa infrastrutturale aiuterebbe la pianificazione relativa al rischio vulcanico che caratterizza i Campi Flegrei e il  Vesuvio ; ma anche l’isola d’Ischia che annovera dalla sua pure un significativo rischio sismico. 
Nella prossima puntata faremo una comparazione tra i livelli di allerta e quelle che dovrebbero essere le fasi operative del piano nazionale rischio Vesuvio, facendo notare alcune differenze strategiche e i “campi” tabellari che ancora saranno vuoti. Ovviamente sono e saranno dei semplici pareri o punti di vista. Il sito ufficiale del Dipartimento della Protezione Civile, lo ricordiamo, è quello che fa testo...