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sabato 25 marzo 2017

Vesuvio e Campi Flegrei: quale livello di allerta vulcanica?... di MalKo



Vesuvio da Castellammare di Stabia


Chi segue i nostri articoli, conosce la tabella concepita dal mondo scientifico per illustrare i vari livelli di allerta vulcanica che caratterizzano sinteticamente lo stato geologico di un vulcano.

I passaggi da un livello all’altro non avvengono sulla scorta di valori geofisici e geochimici ben determinati, anche se possiamo dire che il primo livello di allerta, cioè lo stato di attenzione vulcanica, viene sancito senza particolari sofferenze. Non si può dire la stessa cosa per il preallarme e l’allarme, anche perché questa più che preoccupante condizione non è stata mai diramata ufficialmente, né per il Vesuvio e né per i Campi Flegrei. Sarebbe un’esperienza scientificamente e operativamente parlando totalmente nuova…


In linea generale possiamo dire che il livello base è quello che caratterizza un’attività di fondo definibile normale per un distretto vulcanico quiescente. Vale a dire che le possenti forze endogene che ci sono e comunque in una qualche misura si monitorano, riescono ad essere contenute con una certa disinvoltura dalle forze statiche che le sovrastano, in termini di peso e di consistenza della coltre crostale. Il livello base però, non significa automaticamente un livello di pericolosità zero, bensì solo basso… Il Vesuvio attualmente rientra in questa classificazione.

La fase di attenzione vulcanica indica che uno o più parametri che contraddistinguono la quiescenza sono cambiati, il che può sottintendere un processo di riequilibrio delle forze interne o diversamente che il magma grazie alla sua temperatura, densità e pressione, inizia a premere e a insinuarsi dal fondo sulle rocce sovrastanti comprensive di magma degassato, fratturandole, inducendo terremoti, riscaldando e rilasciando dei gas che trapelano in superficie, soprattutto se le masse crostali hanno una notevole fratturazione… Il distretto vulcanico e metropolitano dei Campi Flegrei,da quasi 5 anni è in una condizione geologica di attenzione vulcanica.

Se l’incedere del magma, a volte con andamento impulsivo, non perde vigore e i dati sismici, e di temperatura e di composizione dei gas fumarolici, così come la deformazione del suolo, lasciano registrare un incremento seppur minimo ma progressivo e al rialzo dei valori precedentemente registrati, si passa a un livello di allerta vulcanica di pre allarme.

Una ulteriore variazione dei parametri monitorati con deformazioni, e sismicità e tremori sempre più insistenti, possono dettare il passaggio alla drammatica fase di allarme vulcanico.
La tabella in alto a cui facevamo riferimento all’inizio, ci evidenzia che l’utilizzo del plurale a proposito dei parametri monitorati è una costante fissa, anche se riteniamo che l’argomento possa essere oggetto di qualche osservazione: ad esempio se dovesse cambiare solo la sismicità locale in termini di intensità e frequenza, dovrebbe essere difficile non ritenerlo un parametro che già da solo vale almeno un pre allarme… Qualsiasi passaggio di livello di allerta comporta certamente l'analisi di dati strumentali che devono comunque essere corroborati  da valutazioni da parte dei componenti della commissione grandi rischi - settore rischio vulcanico -  e dal rappresentante dell'Osservatorio vesuviano (Centro di Competenza) e probabilmente da altri esperti del settore. Non ci sono soglie strumentali ovvero automatismi per il passaggio da una fase all'altra dell'allerta.

I vulcani non hanno una ritualità pre eruttiva standard e riservano sorprese. Questo è il grande problema di fondo della previsione delle eruzioni. L’eruzione del vulcano Mount St Helens nel 1980, avvenne quando i terremoti si sedarono e il pericolo eruttivo sembrava oramai quasi scongiurato. Il vulcano Rabaul con la sua caldera simile ai Campi Flegrei, eruttò con un preavviso inferiore ai due giorni…

Nella vecchia pianificazione nazionale d’emergenza dell’area vesuviana, la componente scientifica costituita prevalentemente dall’Osservatorio Vesuviano, citava come dati di riferimento per la variazione dello stato di allerta vulcanica 7 livelli di rischio, affiancati dai rispettivi tempi di attesa eruzione (tavola in basso).


 

Il dato che si coglie in questa classificazione, è una razionalizzazione dell’incedere dei prodromi vulcanici ad andamento modicamente progressivo. Una condizione diciamo subito ideale da un punto di vista operativo, ma purtroppo e nella realtà, senza una sicura corrispondenza della progressività dei fenomeni che, pochi lo dicono, possono di fatto far passare il livello da un'allerta all'altra più velocemente dei tempi necessari per mettere in piedi un conclave scientifico.

La comunità scientifica certificò nel 1995 che un’eruzione del Vesuvio era preventivabile con un anticipo di 20 giorni: il dato desta sicuramente qualche perplessità. Bisognava riflettere poi, che una cotale previsione ottimistica del fenomeno vulcanico vertente non si sa su quali soglie di riferimento, poteva funzionare pure nel senso opposto, cioè che era possibile escludere un’eruzione nei successivi venti giorni a venire.

Successivamente a questa prima relazione scientifica, nelle elaborazioni strategiche delle pratiche di difesa della popolazione vesuviana dal rischio vulcanico, si è cominciato a sancire in 14 giorni il tempo intercorrente tra la previsione dell’eruzione e l’eruzione stessa. Questi 14 giorni si pensò poi di dividerli tra preallarme e allarme e, quindi, si ritenne in 7 giorni il tempo utile intercorrente tra l’allarme e l’eruzione.

Un piccolo aneddoto: al livello di rischio 4 III fase (allarme), l’Osservatorio Vesuviano nell’anteprima dei livelli di allerta a proposito dei tempi di attesa eruzione scrisse: da alcuni giorni a settimane. Dalla città di Portici segnalammo all’Osservatorio Vesuviano che, con tempi d’attesa eruzione misurati in un minimo di alcuni giorni, misura che può anche equivalere a due giorni, c’erano seri problemi di fondo nella strategia di allontanamento, perché il piano di evacuazione contemplava un minimo di 7 giorni per spostare le popolazioni dall’area vesuviana. Arrivò subito la correzione che stabiliva un tempo minimo di attesa eruzione al rischio 4 III fase, misurato in una settimana…

L’attualità invece, con grande meraviglia è addirittura più stringente sui tempi e più efficiente nelle pratiche evacuative (Vesuvio). La previsione del fenomeno vulcanico infatti, potrà contare oggi su un anticipo predittivo di solo 72 ore.  Perché per l’applicazione dei piani di allontanamento della popolazione hanno ritenuto sufficiente 48 ore. Tutto calcolato allora! 12 ore per organizzarsi; 48 ore per traghettare altrove le 800.000 anime vesuviane e le rimanenti 12 ore sono considerate grasso che cola, una sorta di surplus a disposizione per recuperare qualche ritardo accumulato…

I Campi Flegrei oggi sono stati fagocitati urbanisticamente e territorialmente dall’area occidentale metropolitana napoletana. Nel vascone calderico flegreo dimorano circa 550.000 abitanti. Le recenti sintomatologie di instabilità geologica hanno creato apprensione nella comunità che solo oggi scopre di vivere in un vulcano.

Già negli anni 70’ e 80’ i Campi Flegrei balzarono alla ribalta con il famoso bradisismo, che all’epoca non si collegava tantissimo con l’ascesa del magma, col rischio eruttivo per intenderci, tant’è che spostarono alcune migliaia di abitanti dai vecchi caseggiati del Rione Terra ai nuovi insediamenti di  Monteruscello, località ubicata sempre all’interno del comune di Pozzuoli. Cioè da zona rossa a zona rossa…

Ai Campi Flegrei esistono alcune tesi per giustificare il sollevamento dei suoli. Sinteticamente: vapore soprassaturo che gonfia gli strati mediamente superficiali; intrusioni magmatiche che si spingono verso la superficie; oppure una miscellanea di entrambi i fattori con la prevalenza a volte di uno a volte dell’altro.

Il vulcano Popocatepetl (Messico), è alto 5452 metri e in cima ha una corona di ghiacci perenni. Dal 1538 si contano 18 eruzioni.

Il Cenapred e il Sinaproc, cioè il Centro Nazionale per la Prevenzione delle Catastrofi e il servizio nazionale della protezione civile messicana, hanno messo a punto da tempo e per la tutela dei cittadini, una sorta di semaforo di allerta vulcanica.

Troviamo in questo caso molto interessante quello che capeggia sulla parte gialla che riguarda la fase di Alert, corrispondente alla nostra attenzione: remain aware and get ready for a possible evacuation (Bisogna essere consapevoli e preparati per una possibile evacuazione).

I Campi Flegrei sottoposti a un livello di allerta gialla, cioè di attenzione, di recente hanno destato preoccupazioni soprattutto a cavallo di alcuni sciami sismici. In questi giorni la stasi geologica sembra mantenere: Il suolo non ascende e non cala; la temperatura alle fumarole di Pisciarelli segna stabilmente 112° C. e l’emissione di anidride carbonica si mantiene costante senza alcuna accelerazioni. Ma non ci si può illudere che il respiro del vulcano si sia nel breve esaurito. C’è chi afferma che l’eruzione del Monte Nuovo del 1538 sia stato l’evento foriero della ripresa eruttiva dei Campi Flegrei, e non il rantolo finale dell’attività vulcanica.

Ci si chiede allora se qualche mese fa eravamo nei Campi Flegrei ai limiti dello stato di preallarme. Da un punto di vista tecnico possiamo affermare che lo stato di preallarme è già insito potenzialmente nello stato di attenzione vulcanica che  comunque ha un suo range oscillativo.
Valga allora e alla stregua, il concetto espresso dal manifesto per il Popocatepetl: si tenga presente la possibilità che dallo stato di attenzione vulcanica si possa passare a una fase di allarme vulcanico nel volgere di pochissimo tempo. Già nella fase gialla allora, bisogna essere preparati per un’evacuazione, e francamente noi non lo siamo mentalmente, scientificamente, tecnicamente, politicamente e operativamente.

C'è anche qualche stranezza, come ad esempio l'accordo che  l'Osservatorio Vesuviano ha stipulato con il Dipartimento della Protezione Civile a proposito dei dati di monitoraggio vulcanico su cui pesa in modo antidemocratico una clausola di segretezza (censura?). Come del resto è inspiegabile e insopportabile che i dati sismici che potrebbero essere diffusi online in tempo reale, subiscano invece un ritardo di pubblicazione di dieci minuti: la sismicità è il principale elemento di previsione del pericolo eruttivo...
Che poi non ci sia nessuna organizzazione di protezione civile per fronteggiare con metodo e disciplina un allarme vulcanico anche nella zona flegrea è un fattore di una gravità assoluta. Ma è anche un dato che non riesce ad emergere in assenza di pericolo...





venerdì 2 settembre 2016

Rischio Vesuvio: la situazione è tutta sotto controllo…di MalKo

Vesuvio in fiamme - agosto 2016

Le trasmissioni televisive e radiofoniche ma anche la maggioranza dei giornali e delle riviste pure scientifiche, prevedono un uso politicamente strategico e allineato del linguaggio mediatico, mettendo al primo posto il principio non scritto che la notizia innanzitutto non deve allarmare. Teoria molto cara ai prefetti…

Con queste premesse, difficilmente tali testate giornalistiche riusciranno a trattare nel senso più ampio del termine, argomenti particolarmente rilevanti come il rischio Vesuvio, perché nella nostra Penisola non è diffuso il giornalismo d’inchiesta che rimane una nicchia da terza serata. D’altra parte noi siamo il popolo dei tengo famiglia… Ne consegue che assistiamo sovente alla rappresentazione mediatica dei rischi esattamente come ce li propongono e ripropongono personaggi e strutture in posizione di potere o di comando, che utilizzano i media compiacenti come cassa di risonanza per minimizzare il pericolo e propagandare come il meglio del meglio le loro scelte tutte vertenti sul principio strategico bene occultato dei costi benefici, sfoderando ampio ottimismo a spese degli altri. Alla stampa e alla televisione allora, viene demandato il compito di propinare la messaggistica del “tutto a posto!”, palesando il pieno controllo della situazione da parte delle istituzioni tecniche e scientifiche del nostro Paese.

Questo modo arrendevole di fare giornalismo, aiuta solo a nascondere la verità, che invece dovrebbe essere buttata nuda e cruda al di là dello schermo televisivo, come pane quotidiano della democrazia partecipativa. Il giornalismo investigativo ha un ruolo contributivo cruciale per il sostentamento della democrazia e della libertà di espressione e di denuncia e di controllo della classe politica e dei boiardi istituzionali; certamente prevede lo scotto di qualche rinuncia in termini di simpatia e perdita di favori, a tutto vantaggio però, dei valori umani che, certo e capiamo, non fanno cassa.

Non sono pochi quelli che preferiscono essere il punto di riferimento degli addetti stampa delle varie segreterie dei vari enti e istituzioni e amministrazioni, pubblicando spesso solo veline compiacenti che il fax o le mail gli depositano direttamente sulla scrivania, poco ingombra e prevalentemente utilizzata a mo’ di poggiapiedi, in un contesto odoroso di caffè con l’aria condizionata che marcia a pompa…

Generalmente nel nostro Paese i pochi giornalisti che si danno al giornalismo d’inchiesta, non sempre riescono a centrare l’obiettivo principale che si propongono, cioè la divulgazione della verità, perché questa possono rivelartela solo fonti confidenziali o un grande lavoro investigativo, ma anche in questo caso è richiesta un’affannosa attività di ricerca delle prove documentali o testimoniali. La verità quindi è una primizia che giunge sulla scorta di conoscenze personali e poi particolari, ma soprattutto è il risultato ultimo dello studio e della comparazione di una moltitudine di documenti che vengono intrecciati e poi sovrapposti e poi verificati e poi incolonnati secondo schemi e metodi oggettivi e soggettivi, per essere poi offerti ai lettori sotto forma di new sui loro sofisticatissimi super computer tascabili, da cui non alzano lo sguardo perché oramai attaccati e ipnotizzati alla rete globale, che macina milioni di notizie al minuto sugli affari privati dei nostri pseudo amici. Ciò che scorre è già obsoleto...

Il giornalista di punta dicevamo, opera confrontando e incrociando dati scientifici e politici e amministrativi, scovando gli evasori della verità uno per uno. Il risoluto uomo della stampa o anche dei blog o dei programmi televisivi di denuncia sociale, alla fine riesce a individuare gli angoli più oscuri del sistema che ci governa e ci amministra e ci protegge in nome di una realpolitik non dichiarata, che non sempre coincide con i principi di libertà e di democrazia dei popoli…

Molti degli aspetti che regolano i processi legati ai rischi e alle emergenze e alla protezione civile e alla prevenzione e all’operatività e al terremoto e al pericolo vulcanico li conosciamo bene, e tentiamo ogni strada per divulgare questi argomenti che partono dalla scienza geologica e arrivano poi alla politica e alla tecnica operativa e alla sociologia e all’antropologia e alle istituzioni e alle università e agli enti pubblici e di volontariato, ecc.

Il rischio vulcanico deve fare i conti con una massa enorme di persone che cercano, generalizzando, la panacea della rassicurazione anche minimamente convincenti, e mal digeriscono una verità sbattuta in faccia che gli pone la necessità innanzitutto di pensare prima ancora che agire. La verità è uno strumento democratico di prevenzione dei rischi...

Un po’ di giorni fa guardavamo un filmato prodotto e mandato in onda da Rai New 24: “seduti sul vulcano”, a cura di Gerardo D’Amico. Dopo una decina di minuti sui generis, vediamo per la prima volta la Dott.ssa Francesca Bianco, la nuova direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, che illustra ciò che rimandano gli schermi della sala di monitoraggio della sede INGV napoletana.

Il documentarista D’Amico passa poi alla domanda clou indicando in una gigantografia aerea l’urbanizzazione inusitata che circonda il Vesuvio: ma in caso di eruzione tutta questa popolazione che fa? La direttrice Bianco risponde senza un attimo di esitazione: c’è un piano d’emergenza e c’è un piano di evacuazione… La rapidità della mendace risposta, induce a ritenere possibile che esista un prontuario dell’informazione televisiva sul rischio vulcanico a cui tutte le istituzioni devono attenersi, secondo una scaletta scritta e riscritta da tempo, votata al concetto mediatico che insieme si con-vince…

Appena oltre e nello stesso filmato, il cauto ingegnere Italo Giulivo dirigente della protezione civile regionale Campania, afferma in contro tendenza, che si è in attesa che i comuni vesuviani e flegrei provvedano alla redazione e alla consegna dei piani comunali di protezione civile e nella fattispecie che i comuni “vulcanici” individuino a livello comunale la viabilità evacuativa. Un discorso quindi tutto al futuro…

Il 30 agosto 2016 invece, è la volta della trasmissione della La7 a proporci nell’ambito del programma “L’aria d’estate”, un superbo consigliere della Regione Campania per gli affari della protezione civile, dott. Aniello Di Nardo, che alla domanda del conduttore ad oggetto il Vesuvio: << zona rossa 672.000 persone: in quanto tempo riuscite ad evacuarle?>> Risponde così :<<in 72 ore! >>. Incalza allora l’intervistatore: << in coscienza lei ci crede?>> Risposta: << Il piano è fatto benissimo e ci credo>>. Nello stesso filmato e dopo qualche minuto, viene interpellato sempre l’Ing. Italo Giulivo con quest’altra domanda: << Quanto tempo ci vuole per testare il piano? Risposta:<< Sicuramente dei tempi lunghi…>>.

All’effervescente governatore della Campania Vincenzo De Luca gli saranno fischiate le orecchie, tant’è che dalle pagine dei giornali con sicumera ha affermato che tra settembre e ottobre dovranno chiudersi i piani di evacuazione per il rischio Vesuvio e Campi Flegrei (Corriere del mezzogiorno 30/08/2016). Che cosa evacua allora il consigliere Di Nardo in 72 ore?

A fine agosto hanno scoperto che il comune di Pompei non ha un piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio (corriere del mezzogiorno 29/08/2016). Verità agghiacciante ma per chi? Il piano di evacuazione non ce l’ha nemmeno Torre del Greco, il paese mediano da 100.000 abitanti, ma neanche Boscoreale…  La cronaca dice che sono circa 135 i comuni campani che non hanno provveduto a stilare il piano di protezione civile comunale, e tra quelli che lo hanno prodotto bisognerà ancora verificare la bontà e la qualità del documento cartaceo di salvaguardia.

Campi Flegrei. Il sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia, nell’articolo riportato dalla testata giornalistica online ReportWeb.tV dichiara:<< Mai fino ad oggi era stato redatto un piano comunale di emergenza così dettagliato, né Pozzuoli aveva avuto un Centro Operativo Comunale come quello che abbiamo realizzato a Monterusciello: una struttura all’avanguardia, capace di servire anche di altri comuni…>>. Senza rendersi evidentemente conto di quello che dice aggiunge:<< Riguardo al Piano di allontanamento della popolazione-Rischio Vulcanico, o piano di esodo, come da direttive del Dipartimento della Protezione Civile, analogamente al Piano Vesuvio, l’aggiornamento di tale pianificazione è e resta di competenza della Regione Campania, su indicazioni e d’intesa col Dipartimento stesso…>>.  L’affermazione sembra sottintendere che Pozzuoli sta aspettando che il piano di evacuazione comunale glielo faccia la Regione…

Nelle storie che si inseguono e che stupiscono, annoveriamo pure quella narrata dal noto settimanale l’Espresso, che riferisce che all’interno del comitato operativo della Protezione Civile riunitosi per vagliare il da farsi in seguito al terremoto del 24 agosto, sieda Bernardo De Bernardinis, ex braccio destro di Bertolaso, che proprio a seguito di alcune inopportune rassicurazioni sul terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009 venne condannato dalla corte aquilana. 

Nello stesso articolo ad oggetto il terremoto che ha devastato il centro Italia, viene riportato con una certa enfasi che:<<nel caos delle prime ore, si è rivelato fondamentale l'intervento dal cielo degli elicotteri dei pompieri>> che, trasportando squadre specializzate, hanno reso possibile il salvataggio di 215 persone estratte dai cumuli di macerie.

Quest’ultima notizia è in controtendenza con quella che proviene dal napoletano, dove è stato siglato un accordo, cioè un protocollo d’intesa tra il Parco Nazionale del Vesuvio e il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). In caso di esigenze di soccorso e salvataggio nell’ambiente montano, forestale e pedemontano e impervio dell’arcinoto Vesuvio, bisogna formulare richiesta di aiuto digitando i numeri 331 4597777 a cui corrisponde l’utenza telefonica della organizzazione CNSAS campana. In assenza di risposta, bisogna procedere chiamando il primo dei soccorritori reperibili…

Il soccorso tecnico urgente in Italia fino a questo accordo doveva essere istituzionalmente assicurato su tutto il territorio nazionale, ad eccezione del mare, dai Vigili del Fuoco componendo il numero telefonico 115. La Regione Campania invece, con propria delibera n° 247 del 07/06/2016, riconosce nei volontari del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), i reali soggetti di riferimento da utilizzare per le azioni di salvataggio e recupero nel soccorso in montagna. Quindi un’operatività che va ben oltre il prestigioso circuito vesuviano.

Vigili  del Fuoco - Addestramento in montagna

Il Soccorso Alpino (CNSAS) riceve non solo finanziamenti di base, ma gli accordi prevedono un rapido rimborso delle spese a cura della Regione Campania per ogni intervento effettuato. I Vigili del Fuoco hanno in forza ai nuclei elicotteri personale specializzato per il soccorso in montagna e zone impervie (SAF), e tra l’altro intervengono entro pochi minuti dalla chiamata (115) e in ogni angolo dell’Italia Campania compresa.  C'è in gioco una extra territorialità? Qualcosa in termini economici e organizzativi e di garanzie per i cittadini non torna vero? La nostra impressione è che si confonda il ruolo istituzionale di un Corpo dello Stato con una organizzazione di volontariato che discende da un famoso Club Alpino.  

Vigili del Fuoco (SAF) - addestramento in montagna
I dirigenti dei Vigili del Fuoco avrebbero dovuto sobbalzare e tracciare un confine netto tra prerogative e competenze di un Corpo istituzionale dello Stato rispetto alle associazioni di volontariato. I Vigili del Fuoco danno a volte l'impressione che all'interno del Ministero dell'interno contino quanto Fantozzi davanti al mega direttore...ovviamente quando non ci sono emergenze.  Allora parliamo di rappresentatività altalenante...

martedì 23 agosto 2016

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: nel super vulcano il progetto geotermico Scarfoglio? ... di MalKo



Il vulcano Solfatara - Campi Flegrei - Pozzuoli

Nei Campi Flegrei a ridosso del vulcano Solfatara, dovrebbe sorgere una stazione geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il progetto denominato Scarfoglio, è al vaglio del Ministero dell’Ambiente e prevede l’utilizzo di fluidi a media entalpia emunti dal sottosuolo del super vulcano flegreo.

Il progetto pilota prevede l’installazione degli impianti nella contrada denominata appunto Scarfoglio, limitrofa alla zona di Pisciarelli. Quest’ultima è sede di importanti fenomenologie di vulcanesimo ancorché di massiccia degassificazione di anidride carbonica che ascende in superficie dal ribollente sottosuolo vulcanico.

La società Geoelectric S.r.l. ha scelto questo sito proprio per la presenza di fluidi termali molto caldi rinvenibili già dopo alcune centinaia di metri di profondità. Propositrice del progetto in esame, la Geoelectric ha riproposto al Ministero dell’Ambiente e della Tutale del Territorio e del Mare, quale istituzione competete per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), alcuni aggiornamenti progettuali volontari, evidentemente per contrastare le note ostative provenienti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Quest’ultimo dicastero lamenta difformità circa l’utilizzo delle aree vincolate e una carenza di progettualità di ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, quale dato di una certa importanza, ai Beni Culturali sembra abbiano a temere la micro sismicità indotta dalle attività di perforazione e da quelle di reiniezione in profondità delle acque termali. Una micro sismicità che potrebbe minare, dicono, il patrimonio archeologico dell’area…

I Campi Flegrei si connotano all’interno di una grande caldera afferente all’omonimo super vulcano. A tutt’oggi si caratterizza per alcune fenomenologie di rilievo, tra le quali il bradisismo ascendente e la rilevazione di picchi di magma fino a tre chilometri dalla superficie, oltre naturalmente una certa attività sismica anche a sciami. Questi ed altri elementi, hanno contribuito a dichiarare lo stato di attenzione vulcanica per l’area calderica flegrea, perché i parametri geofisici e geochimici rilevati presentano delle discordanze rispetto a quelli base di riferimento.
Stazione sismica Osservatorio Vesuviano - Campi Flegrei (Pozzuoli)
La società Geoelectric S.r.l. avvalendosi anche di esperti istituzionali dell’INGV e della società AMRA, ebbe a presentare nel mese di maggio 2015 questo progetto che prevede la realizzazione di un impianto pilota a ciclo binario per la produzione di energia elettrica. Le modalità di funzionamento dell’impianto prevedono il prelievo dei fluidi geotermici a circa 180° C. emungendoli dal sottosuolo a mille metri di profondità. Il fluido bollente viene quindi indirizzato in uno scambiatore di calore dove cede energia termica. In questo processo di scambio, i fluidi bollenti perdono parte della loro temperatura iniziale, e vengono quindi reiniettati nel serbatoio geologico profondo, dove riacquisteranno la loro temperatura iniziale, magari un po’ più in là del punto di prelievo. Questo circolo virtuoso non prevede interscambi con l’ambiente esterno o emissione di vapore nell’atmosfera. Da un punto di vista impiantistico e dell’inquinamento quindi, appare buono…

Il problema della nostra contrarietà al progetto, è il luogo dove quest’impianto pilota vuole collocarsi: cioè in una caldera dove vige un primo livello di allerta vulcanica e addirittura in un punto territoriale particolarmente stressato dalle forze endogene che operano incessanti nel sottosuolo flegreo, a prescindere se sono da ascrivere a intrusioni magmatiche o a fattori idro termali o più verosimilmente un connubio fra le due componenti che rendono il suolo puteolano per niente immobile.

Sarà proprio nel tufo a strati che le trivelle dovrebbero perforare cinque pozzi in totale, di cui tre di prelievo dei fluidi caldi che sono il motore del sistema geotermico e due di reiniezione nel serbatoio geologico d’origine. Al di là degli aspetti amministrativi sollevati dal ministero dei beni culturali, rimane l’incognita della micro sismicità indotta che anche se derivante da modeste fratturazioni,queste potrebbero favorire un disequilibrio nei dinamismi che pregnano il sottosuolo. Secondo lo studio dell’AMRA, il problema dei micro sismi dovrebbe essere alquanto contenuto e limitato a una distanza orizzontale di qualche chilometro dalla testa dei pozzi. L’AMRA si spinge oltre rendendo noto che il sottosuolo flegreo nei primi due chilometri a causa dell’elevata fratturazione è da ritenersi praticamente asismico.

Il problema principale è che certe conclusioni scientifiche comprendono anche dei pareri opposti provenienti dalle apprensioni di alcuni scienziati e tecnici che sollevano dubbi sulla innocuità della pratica di trivellazione e di reiniezione dei fluidi.

Le perplessità tutte scientifiche non si sono avvalse di una consulenza o di un vaglio da parte dell’Osservatorio Vesuviano che si fregia del titolo di Centro di Competenza circa i vulcani campani, perché tale struttura oggi non può definirsi terza sull’argomento in quanto ha contribuito in una certa misura a supportare le relazioni scientifiche a favore della società Geoelectric, corroborate nel merito da apposite conferenze a tema.

Tutti i pozzi che servono all’impianto pilota dovrebbero raggiungere la profondità di mille metri cadauno… Le domande che quindi galleggiano ancora nell’aria sono queste: cosa significa in termini di rischio perforare i contrafforti di base del vulcano Solfatara? Quali equilibri potrebbero compromettere le perforazioni a ridosso della località Pisciarelli? Le perforazioni accentuerebbero e in che misura il degassamento da anidride carbonica già massiccio in quella zona? Quali effetti avrebbe il fenomeno di sollevamento o abbassamento del suolo sull’impianto industriale una volta realizzato?  

E’ di questi giorni la notizia apparsa sul sito Meteo Vesuvio di Giuseppe D’Aniello, che l’Osservatorio Vesuviano sta stanziando fondi urgenti per mettere in sicurezza la perforazione effettuata a Bagnoli (Campi Flegrei Deep Drilling Project), attraverso una super perizia affidata a un ingegnere esperto del ramo trivellazioni.

Nella perforazione del CFDDP ferma a 500 metri di profondità, pare siano ascesi dei fanghi che potrebbero innescare problematiche di sicurezza del sito. Bisogna allora capire cosa stia succedendo in quel condotto con una urgenza tale da costringere il commissario Martini, altro fautore del geotermico nei Campi Flegrei, a distrarre fondi dal progetto Monica (monitoraggio marino) per dirottarli in quel pertugio profondo da cui bisognava trarre auspici di monitoraggio supertecnologico nei Campi Flegrei. Una trivellazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità “baciando” il magma, ed invece si è fermata a 500 metri e con qualche problema a fronte di un rischio giurato iniziale pari a zero…

Secondo uno studio dell’AMRA, la problematica della micro sismicità legata alle perforazioni e reiniezione è minima, a causa degli strati crostali che nei primi due chilometri della zona vulcanica flegrea possono considerarsi asismici. Mentre le perforazioni non supererebbero i mille metri… Le note scientifiche stimano in una magnitudo non superiore a 3,2 l’energia massima che potrebbe scaturire eventualmente dai microsismi e comunque a breve distanza dalla testa dei pozzi. Se il Ministero della Cultura si preoccupa della micro sismicità in ordine alla tutela dei beni archeologici locali, occorrerebbe pure che qualcuno valuti il rischio complessivo che corre la popolazione puteolana e napoletana…
Pozzuoli - Macellum
Il sindaco di Pozzuoli quale autorità locale di protezione civile e il Sindaco di Napoli titolare amministrativo della città metropolitana, Luigi De Magistris, potrebbero, in ragione del loro ruolo istituzionale, chiedere un illustre parere alla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico, che è un organo consultivo in termini di previsione e anche di prevenzione del rischio vulcanico, ed è presieduta dal Prof. Vincenzo Morra. 

Da un punto di vista tecnico occorre precisare e dire che il rischio è un fattore insito in tutte le attività umane: il rischio zero quindi non esiste. Ma il rischio è anche un fattore che deve contemplare un altro importantissimo e fondamentale elemento che ci aiuta e decidere sul da farsi, e che si chiama alternativa. Il rischio è quindi un elemento non statico, mai esaustivo e variabile nel tempo e a seconda delle necessità che si presentano nella società.

Per meglio comprendere questo ragionamento portiamo un esempio che proponemmo in una dispensa didattica (1992) scritta per gli insegnanti. In alcuni paesi poveri, alcuni bambini poveri in qualche caso mangiano prodotti di scarto prelevati dalle discariche o dai bidoni delle immondizie entrando in competizione coi topi. Il rischio sanitario susseguente a una tale condizione di stremo, per la nostra cultura occidentale è inaccettabile, ma per quei malnutriti e scheletrici bambini, il rischio era più che accettabile in ragione dell’alternativa che era la morte per fame.

Oggi l’alternativa al geotermico è il solare e l’eolico e si spera presto di trarre energia dal moto delle onde. L’Italia non ha notevoli risorse di combustibili fossili, ma il gas ci sembra un’alternativa valida e perdurevole, fino a quando non si miglioreranno le rese delle energie rinnovabili o si scopriranno altre fonti energetiche di rilievo non inquinanti.

Il rischio che comportano le attività di trivellazioni in una zona vulcanica metropolitana, che dovrebbe attuarsi in un punto critico e stressato della caldera flegrea, in una condizione areale di attenzione vulcanica, col suolo che s’innalza seppur di poco ma di continuo,  non è giustificabile in assenza di una condizione di fame energetica.

D’altra parte la costruzione di un impianto geotermico richiede ben poco tempo rispetto ad esempio a una centrale nucleare dove occorrono molti anni per realizzarla e metterla in esercizio. E l’energia geotermica è comunque lì ad aspettarci qualora dovessimo avere questa famosa fame di energia. Ecco, i rischi che oggi rappresentano un ostacolo al geotermico, magari cambieranno in termini di accettabilità quando l’oro nero diminuirà tanto da diventare materia di appannaggio per pochi.

Nei Campi Flegrei le acque che circolano nel sottosuolo sono particolarmente calde. Addirittura il pozzo di San Vito con i suoi 400° Celsius ha il record di temperatura per un sistema geotermico. Purtroppo bisogna fare i conti con una zona che non ha le caratteristiche territoriali di Larderello in Toscana…

Valga allora il concetto che bisogna sì individuare le aree che hanno punti caldi interessanti e che possono quindi essere destinate allo sfruttamento geotermico (carta nazionale?), ma ovviamente l’analisi non deve riguardare solo gli aspetti geotermici del sottosuolo e quindi legati al profitto, ma anche quelli non meno importanti che riguardano la superficie abitata e le necessarie tutele ambientali e strutturali che la zona presenta.

Infatti, i fluidi caldi prelevati dal sottosuolo per uso geotermico, possono essere particolarmente inquinanti al punto da non poter essere riversati sui suoli in superficie per non contaminare le falde freatiche, così come in alcuni casi neanche le volute di vapore possono ritenersi indenni dal contenere sostanze inquinanti come l'arsenico.

Il sistema a "circuito chiuso" presentato da questa società proponente tecnicamente sembra valido. Occorrerebbe allora che si individuasse un sito periferico al vulcano flegreo, in una zona non particolarmente abitata e senza particolari strutture a rischio nelle vicinanze. Certo, le società investitrici nel geotermico vorrebbero il loro sito ideale in testa al punto più caldo della caldera. Ma come sembra stia succedendo in Basilicata, il business non può sempre avere la meglio in nome di un non meglio specificato progresso...







lunedì 25 luglio 2016

Rischio Vesuvio: qual'è l'eruzione attesa? ... di MalKo


Vesuvio: la pineta di Terzigno in fiamme

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola USGS
Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906...) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).
Tipologia eruttiva
VEI corrispondente
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 anni in su…
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 a 200 anni…
STROMBOLIANA VIOLENTA
VEI 3
65%
72%
SUB PLINIANA
VEI 4
24%
27%
PLINIANA
VEI 5
11%
1%
La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica
 
Vesuvio e area vesuviana: linea nera Gurioli

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l'imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:


Schematizzazione non in scala ad uso didattico
gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto innaturalmente una funzione di limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni... Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell'opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L'importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po' schiva a puntare il dito sull'assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l'impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo...  Con la nomina del nuovo direttore dell'Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.