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lunedì 25 luglio 2016

Rischio Vesuvio: qual'è l'eruzione attesa? ... di MalKo


Vesuvio: la pineta di Terzigno in fiamme

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola USGS
Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906...) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).
Tipologia eruttiva
VEI corrispondente
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 anni in su…
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 a 200 anni…
STROMBOLIANA VIOLENTA
VEI 3
65%
72%
SUB PLINIANA
VEI 4
24%
27%
PLINIANA
VEI 5
11%
1%
La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica
 
Vesuvio e area vesuviana: linea nera Gurioli

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l'imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:


Schematizzazione non in scala ad uso didattico
gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto innaturalmente una funzione di limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni... Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell'opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L'importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po' schiva a puntare il dito sull'assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l'impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo...  Con la nomina del nuovo direttore dell'Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.

martedì 28 giugno 2016

Rischio Vesuvio: il risiko dell'attesa... di MalKo


Il Vesuvio da Torre Annunziata


Le fasi di allerta vulcanica previste nel piano d’emergenza Vesuvio, partono dalla soglia base che rappresenta, come suggerisce il termine, lo stato di quiete vulcanica. C’è quindi un livello giallo di attenzione; a seguire un’allerta da preallarme e poi allarme. Questi passaggi indicano la variazione dei parametri geofisici e geochimici del vulcano, in una misura non prestabilita ma da interpretare a cura della Commissione Grandi Rischi, organo istituzionale privilegiato di consulenza del Dipartimento della Protezione Civile. L’Osservatorio Vesuviano (INGV) invece, è centro di monitoraggio, cioè la struttura statale incaricata della sorveglianza dei vulcani campani, fregiandosi anche del titolo di Centro di Competenza. Questo vuol dire che all’occorrenza il pregevole istituto napoletano è chiamato ad esprime un parere autorevole in ordine alla valutazione del pericolo vulcanico. L’organo apicale decisionale è il Presidente del Consiglio che, in seno al comitato operativo del DPC, stabilisce che cosa fare in rapporto ai dati ricevuti in tutta segretezza, per salvaguardare, attraverso l’applicazione dei piani di evacuazione, l’incolumità dei cittadini esposti al rischio Vesuvio o ad altro vulcano partenopeo (Campi Flegrei; Ischia).

In riscontro ai vari livelli di allerta vulcanica, le autorità di protezione civile a iniziare dal Dipartimento e dai sindaci, varano le corrispettive fasi operative che hanno lo stesso trend al rialzo di quelle scientifiche di allerta vulcanica.

Secondo una nostra visione pragmatica di quello che potrebbe succedere nella plaga vesuviana in caso di reale allarme vulcanico, riteniamo che presumibilmente le fasi operative si ridurrebbero a due invece che a tre, con l’esclusione appunto dell’ultima fase, quella rossa, quella di allarme.

Dal nostro punto di vista infatti, è lecito attendersi che la maggior parte della popolazione vesuviana dimorante in zona rossa, prenderà il largo dallo sterminator Vesevo, nel momento in cui verrà diramato lo stato di preallarme vulcanico. Riteniamo che i cittadini anche se a scopo precauzionale, molto probabilmente non attenderanno la proclamazione dell’allarme vero e proprio per andare via.

Questa teorica discrasia operativa è nella normalità delle cose. Pondererete infatti, che si tratterebbe di applicare un piano di sicurezza senza nessun rodaggio e dalle molteplici incognite. Neanche a livello mondiale si è mai vissuta un’esperienza del genere, soprattutto perché trattasi di un piano di protezione civile che riguarda un vulcano esplosivo ubicato in un contesto particolarmente urbanizzato in area metropolitana. In caso di necessità allora, s’inaugurerebbero procedure che francamente e a pelle molti cittadini guarderanno con sospetto.  Troppe incertezze scientifiche e tecniche hanno accompagnato un ventennio di strategie operative a gogò. Piani di emergenza senza piani di evacuazione, un po' machiavellici e soprattutto orfani della prevenzione, aspetti che certamente non hanno favorito un rapporto di grande fiducia tra cittadini e istituzioni.


ll ragionamento che prenderà piega e forma nella mente del comune cittadino vesuviano nel momento del reale pericolo vulcanico annunciato dalle istituzioni, sarà incentrato sulla necessità di muoversi prima degli altri. Si muoverà per primo chi avrà una residenza alternativa in zona sicura. Si muoverà per primo chi rinuncerà a mettere su bagagli. Si muoverà per primo chi annuserà l’incombenza del pericolo senza attendere i proclami ufficiali. Si muoveranno per primi i dipendenti comunali che afferreranno alla fonte la notizia del passaggio da una fase all’altra, cimentandosi in frenetiche comunicazioni telefoniche. Saranno invece penalizzati i comuni mediani stretti fra mare e monte, che nel loro percorso evacuativo dovranno accodarsi ad altri che si sposteranno in maniera massiva. Sarà zavorra operativa la titubanza ad evacuare dei comuni ubicati in zona rossa 2, particolarmente confusi. Sarà imprevisto il movimento evacuativo di municipalità non inserite nella zona rossa ma incastrata ad essa, come ad esempio Striano. Ci sarà poi l’incognita circa le garanzie di presidio della polizia municipale deputata alla viabilità, sperando nel frattempo che le forze dell’ordine accorse in massa, abbiano i nervi saldi per attendere con self control di chiudere il corteo degli evacuati e con esso il cancello d’uscita dalla zona rossa, forse a tempo già scaduto…

La teoria statistica adottata dal dipartimento della protezione civile di assumere come eruzione di riferimento un’eruzione di bassa – media  intensità (VEI 4) in luogo di quella massima conosciuta (pliniana), incomincia ad essere un fattore noto, quindi  non si possono escludere allontanamenti spontanei di cittadini residente oltre la zona rossa.  Infatti,  con l’incalzare dell'informazione, molti vesuviani non accetteranno passivamente l'incognita eruttiva finchè avranno la possibilità di fare un passo indietro e mettersi al sicuro. Parliamo di comuni come Volla, Striano, la parte meridionale di Cicciano e Saviano… lì, ai margini della linea nera Gurioli.

Le eruzioni non sono una pedissequa ripetizione di un copione conosciuto. Le eruzioni non seguono i principi di clonazione stile pecora Dolly. Non sono fotocopie l’una dell’altra. Le eruzioni sono fenomeni di alta vitalità del Pianeta, ma sono anche energie che, come gli incendi, non sono mai uguali. L’eruzione massima che i maghi statistici dell’INGV hanno ritenuto probabile nel medio termine, se il Vesuvio sfortunatamente dovesse porre fine al suo stato di gradita quiete, come dicevamo è stata qualificata con un'intensità VEI 4. Ma una VEI 4 potrebbe essere pure un’eruzione VEI 3.9 oppure 4.1 oppure 4.2… Le energie  dissipate in atmosfera generalmente non sono quantificabili con precisione micrometrica e la scala dei valori avrà senz'altro una linearità al rialzo o al ribasso… L'interpolazione numerica della VEI magari non è prevista dal mondo della vulcanologia, ma rende maledettamente bene l’idea di quello che si vuole dimostrare. Ricordiamoci poi, che i flussi piroclastici non sanno leggere i confini amministrativi…  

Questa nostra idea della linearità energetica serve a dimostrare l’assurdo governo amministrativo della zona rossa 2, terra di cementificazione residenziale con licenza edilizia, ai margini risicati di una VEI 4.0...  In altri punti ancora invece, capeggia l’assenza di una fascia di rispetto a ridosso della linea nera Gurioli.

L’immagine sottostante evidenzia la nostra proposta di riperimetrazione della zona rossa che, così come presentata, resisterebbe nel senso della prevenzione, a un’eruzione VEI 4 diciamo…“rinforzata”.
I limiti della zona rossa proposta da MalKo

E’ di difficile attuazione una tale reimpostazione sic et simpliciter della zona rossa dilavata da sigle e numeri, nonostante si offra al vantaggio di non disorientare il cittadino. La difficoltà esecutiva è tutta racchiusa unicamente nel fatto che in questa zona ad ampio respiro, troverebbe poi applicazione la legge regionale 21 del 2003 che vieta ulteriori insediamenti residenziali nella zona rossa ad elevato pericolo vulcanico. Oramai e come sapete, appena si tocca l’oro cemento, qualsiasi proposta è messa subito a dura prova anche perché la criminalità e la politica di basso livello  formerebbero subito comitati V - day contro la zona rossa: l’affaire vesuviano è un cane che si morde la coda…

Siffatta proposta sarebbe comunque un primo passo in avanti, insieme all’informazione corretta e puntuale, onde consentire nell’arco di oltre un secolo di mettere mano al riordino del territorio vesuviano e non solo di quello, secondo la linea verde che racchiude in giallo l’invasione dei flussi piroclastici di due pliniane, così come evidenziato dalla mappa sottostante, allegata al lavoro della ricercatrice Lucia Gurioli a proposito dei depositi da colate piroclastiche.

Mappa Gurioli: la linea nera circoscrive l'attuale zona rossa. In giallo i territori
invasi dalle colate  piroclastiche di 2 famose eruzioni pliniane.

Se la prima applicazione reale del piano nazionale d’emergenza rischio Vesuvio andrà buca, cioè fallirà la previsione dell'evento vulcanico e verrà lanciato un allarme senza seguito eruttivo, una seconda edizione probabilmente vedrebbe la popolazione maggiormente propensa all'attesa e sarebbe meno tempestiva nell’allontanarsi, perché avrà sperimentato sulla sua pelle che il preallarme può anche rientrare o durare mesi e anni. Ecco: il problema principale si avrà allora col primo allarme vulcanico… Per concludere le nostre disquisizioni, secondo principi di emulazione che caratterizzano le masse, è difficile pensare davvero che la popolazione del vesuviano vedrà molti concittadini andare via nella fase di preallarme perché hanno la seconda casa altrove, e loro resteranno impavidamente  ad aspettare  il risiko delle 72 ore in un contesto di segretezza dei dati vulcanologici di monitoraggio.
Le grandi incognite di questo piano d'emergenza sono racchiuse nei tempi e nella percezione da parte dei sensi del pericolo vulcanico. Il panico infatti, potrebbe essere il nemico numero uno...


domenica 17 gennaio 2016

Rischio Vesuvio : nel vesuviano volano molti angeli tranne uno... di Malko







Vesuvio e orlo calderico Monte Somma

Il consigliere per gli affari della protezione civile Nello Di Nardo, da poco insediato in questa posizione dal presidente regionale Vincenzo De Luca, ha diffuso attraverso gli organi di stampa la notizia che in primavera riprenderanno le esercitazioni di evacuazione nei paesi vesuviani e flegrei.
Il fiduciario ha chiarito che in caso di un’improvvisa emergenza i vuoti da colmare sono ancora tanti nella complessa macchina della sicurezza a tutela di queste zone nevralgiche, precisando che il lavoro da fare è tanto, ma bisogna evitare di entrare in polemica con le precedenti amministrazioni…

Secondo il nostro punto di vista, se i cittadini del vesuviano e dell’area flegrea non sono ancora tutelati a fronte del pericolo eruttivo, lo si deve innanzitutto al nostro vantatissimo sistema nazionale della protezione civile, basato sostanzialmente sull’interventistica, e quindi sulla creduloneria che basta avere un folto esercito di volontari per risolvere le emergenze italiane.
Un concetto discutibile che viene da lontano e che è diventato bandiera del fare per tutte le componenti amministrative della protezione civile, con uffici dipartimentali e centrali e periferici che ripongono e ripropongono molto spesso per impedenze procedurali, per ignoranza o per calcolo, sulla sola operatività le politiche di tutela dei cittadini.
Porte aperte al volontariato allora e ai mezzi di supporto operativo e logistico che non mancano. Spazio alle colonne regionali e cucine e ospedali da campo, e radioamatori di tutte le sigle e tende e roulotte e sale operative automontate, e moto e jeep di ultima generazione che si arrampicano dovunque. E poi gommoni e navi e sommozzatori e soccorso alpino e marino e collinare e speleologico e droni e mongolfiere. E ancora cani da valanga, molecolari, da soccorso acquatico e posti avanzati di comando, di primo soccorso e…a farla breve, tutto quello che vi viene in mente e che riteniate possa servire su un qualsiasi scenario emergenziale o catastrofico: c’è!

In seguito a questo folto e senza fraintendimenti indiscutibile ed encomiabile esercito di volontari che s’affaccenda nelle emergenze, i giornali colgono il generoso operato classificando i volenterosi quali angeli del fango, della neve, delle macerie o gli angeli del mare della montagna e di ogni altro ambiente conosciuto... Sui cieli italici però, c’è un angelo che non vola mai, perché troppo pesante anche se è il più saggio e il più povero di tutti: l’angelo della prevenzione. E’ pesante perché impone rinunce; è saggio perché conosce tutto sulla previsione e sull’operatività; è povero, perché nessuno gli dà molto spazio, a causa del fatto che tutto ciò che fa per sua natura è invisibile… In una società dell’immagine, del mediatico e dell’apparire, non c’è posto per l’angelo della prevenzione che a farlo volare rende poco in termini di consensi…

I problemi di tutela legati al rischio Vesuvio, stringendo stringendo vertono su due argomenti principali: la necessità di pronosticare il momento eruttivo, e la necessità di evacuare totalmente i distretti vulcanici nei tempi d’anticipo che ci servono e che siamo prefissati di cogliere prima dell’eruzione. Le due cose sono strettamente connesse ma lontane miglia in termini di competenze.

La previsione dell’evento è una grande incognita che ancora non è possibile agguantare, neanche con strumenti satellitari o ad altissima tecnologia, perché questi hanno la indubbia capacità di anticipare la crisi vulcanica, ma non di prevedere con certezza se poi ci sarà l’eruzione. Tant’è che noi non abbiamo soglie strumentali di riferimento per il passaggio ai vari livelli di allerta vulcanica; infatti, per stabilire il raggiungimento dei parametri di preallarme e allarme vulcanico, all’occorrenza dovrà ricorrersi a un consesso di esperti comprendenti in primis la Commissione Grandi Rischi (CGR-SVR) insieme ai rappresentanti dei centri di competenza, tra i quali l’Osservatorio Vesuviano, che si riuniranno in camera caritatis con i dirigenti del dipartimento. Al riguardo è abbastanza chiaro che se il problema fosse solo strumentale, con le nuove tecnologie avremmo già degli avvisatori automatici di allarme… In sintesi, i dati che ci provengono dalla fitta rete di monitoraggio sono fondamentali, ma la conferma se sussiste o meno l'allarme evacuativo è riposta ancora in una procedura manuale ragionata che si avvale di conoscenze nazionali e internazionali e soprattutto sulle impressioni e sul confronto e sull'istinto degli scienziati chiamati a pronunciarsi e non già a decidere che è una prerogativa del primo ministro.

Il secondo elemento che serve a capire le ragioni dell’evacuazione preventiva improcrastinabile come necessità, sono i fenomeni attesi e da cui bisognerà difendersi. L’avvenimento più pericoloso in assoluto sono le colate piroclastiche dette anche nubi ardenti. Parliamo di un evento dinamico distruttivo, che consta in una sorta di valanga infuocata formata da materiale piroclastico incoerente di varia misura mischiato a gas e vapore acqueo che precipita lungo i fianchi del vulcano da cui trae origine staccandosi il più delle volte dalla colonna eruttiva. Le elevate temperature di diverse centinaia di gradi Celsius e le notevoli capacità di percorrenza di questa micidiale e roboante miscela rovente, rendono questo fenomeno particolarmente temuto quanto misconosciuto da diverse generazioni del vesuviano e del flegreo.

Gli effetti sugli uomini delle colate piroclastiche consistono in una rapidissima vaporizzazione dei liquidi corporei con effetti pressori nella calotta cranica e shock termico sulle ossa del corpo che a volte si spaccano: la morte è fulminea.

A fronte di una tale possibilità, si capisce quindi l’esigenza di allontanare tutti gli abitanti dall’area invadibile dai flussi piroclastici. Non c’è un sistema di difesa dalle nubi ardenti: durante l’eruzione del Monte Pelée in Martinica, un politico locale per non far scappare la popolazione in un momento in cui c’erano le elezioni, fece pubblicare su un giornale del posto un rassicurante articolo in cui si dichiarava: "Il Monte Pelée non rappresenta pericolo per gli abitanti di Saint-Pierre, non più di quanto lo sia il Vesuvio per i napoletani".  Dopo qualche giorno di avvisaglie di ogni genere, compreso invasioni di insetti e serpenti, dal vulcano venne sparata una nube ardente che carbonizzò all’istante i 30.000 abitanti dell’isola, che peccarono, ahiloro, di sottovalutazione del problema.

I sopravvissuti della catastrofe vulcanica poi chiamata dalla stampa internazionale la Pompei d’America furono solo due: un carcerato e un calzolaio, che se la cavarono comunque con ustioni profonde.

Martinica: Saint Pierre dopo il passaggio della nube ardente prodotta dall'eruzione del vulcano Pelèe (1902)
Ritornando al nostro discorso iniziale, l’ambito delle competenze in tema di sicurezza civile, è talmente vasto che risulta generalmente davvero difficile puntare il dito su di un responsabile o su di una struttura inadempiente, se non nel caso del rischio Vesuvio, perché trattandosi di una situazione che richiede una pianificazione nazionale, tra l’altro unica nel suo genere, la coda di paglia del Dipartimento della Protezione Civile in questo caso è di netta evidenza. 
Al noto dicastero competono indirizzo e coordinamento e gestione del piano Vesuvio che è centralizzato, addirittura anche per la parte scientifica e di monitoraggio vulcanico, atteso che l’Osservatorio Vesuviano per contratto deve riferire segretamente i dati geochimici e geofisici. Che i comuni siano inadempienti nella stesura del piano di emergenza locale comprensivo di piano di evacuazione, imporrebbe alla struttura dipartimentale un intervento in surroga e non una poca avveduta e inconcludente attesa messianica.

Di recente si è riscontrato un maggiore coinvolgimento della Regione Campania, soprattutto per la parte inerente le esigenze di limitazione della zona rossa Vesuvio. Infatti, il Dipartimento ha stabilito un limite minimo di pericolo utilizzando seppur impropriamente la linea nera Gurioli che in realtà è un limite di deposito. Dopodiché e purtuttavia, ha lasciato alla Regione Campania la possibilità di trovare un accordo con i comuni vesuviani, dando loro la possibilità di ampliare per prudenza il settore a rischio vulcanico, modificando e solo al rialzo l’estensione del perimetro Gurioli.  

Una filosofia di tutela che non ha avuto grande presa nelle amministrazioni locali interpellate, preoccupate più che altro da eventuali limitazioni alla loro prerogativa di rilasciare licenze edilizie piuttosto che di salvaguardarsi dai flussi piroclastici. Tant’è che il comune di Poggiomarino e quello di Scafati, attraverso un’alchimia tutta insita nella politica regionale di governo del territorio, possono allegramente dedicarsi ancora all’urbanizzazione, anche in ragione di un’accresciuta domanda di alloggi provenienti dai comuni limitrofi ingessati dai disposti anti cemento della legge regionale 21 del 2003. 

Eppure i territori scafatesi e poggiomarinesi già oggi potrebbero essere malamente spolverati dai flussi piroclastici di una pliniana o di una sub pliniana ignorante che non riconosce nella linea nera Gurioli un limite invalicabile…Nella migliore delle ipotesi, anche questi territori salvificati dalla scienza statistica e dalla politica regionale, comunque dovranno all'occorrenza affrontare il problema della massiccia caduta di cenere e lapillo, con istruzioni evacuative al momento alquanto contraddittorie, e da attuarsi dicono con eruzione in corso. 

Vesuvio: in rosso quella che poteva essere un'adeguata fascia di rispetto.

Nella figura sopra riportata abbiamo accennato (cerchio rosso) a quella che poteva essere una fascia di rispetto che doveva essere indicata dalla scienza, che in realtà ha preferito un atteggiamento da Ponzio Pilato, lavandosi le mani da ogni indicazione di perimetrazione precauzionale. Quella sotto invece, indica la mancata prevenzione dettata dalla possibilità di continuare a edificare nei territori a ridosso del vulcano, senza tener conto che gli anni passano e la possibilità anche statistica di una pliniana aumenta. Il Consiglio di Stato poi, con una  sentenza poco nota, ha deciso che per Boscoreale anche per la parte eccedente la linea nera vale la legge regionale 21/2003 sull'inedificabilità, mentre implicitamente per Scafati e Poggiomarino il concetto di equivalenza non vale. Quale logica?

Limitazione della zona rossa e possibilità di edilizia residenziale (vedi legenda)

La protezione civile è una materia di facciata che viene cavalcata dalla politica a seconda delle necessità di propaganda, con uffici che generalmente vengono relegati all’ultimo posto nell’interesse dell’ente di volta in volta chiamato in causa. Le strutture tranne poche eccezioni  assorbono spesso defatigati, altre volte scomodi pensatori o freschi assunti o gente sulla soglia della pensione o anche brillanti figure che con l’andar del tempo e in un clima di accidia diffusa e abbandonati dal contesto generale in cui operano, tirano alfine i remi in barca, limitando tutte le attività  alla sterile compilazione di stressanti e periodici quanto inutili questionari, o gestendo al massimo un manipolo di volontari non sempre motivati dal ruolo di partecipata funzione pubblica…

La politica, mai come in questo caso, dovrebbe essere fondamentale per dettare i giusti indirizzi ai dirigenti, soprattutto comunali, col fine di dare corso e impulso a tutte le tematiche insite nel concetto stesso di protezione civile, che comprende innanzitutto la previsione e poi la prevenzione che ingloba l'informazione e in ultimo l’interventistica. Vi sembrerà strano, ma la parte più agognata e su cui si concentrano risorse umane e materiali è proprio l'interventistica a mezzo volontari, che dovrebbe essere di primo intervento in attesa dei Vigili del Fuoco quali titolari del soccorso tecnico urgente, o di supporto operativo nelle calamità che andrebbero innanzitutto scongiurate...

La popolazione in genere non è competente del rischio vulcanico: non fatevi ingannare quindi dalle interviste televisive realizzate nel vesuviano, dove molta gente paventa fatalità a fronte del pericolo eruttivo, oppure cristiana rassegnazione al volere di Dio o facile filosofare sulla morte come destino ineluttabile…Non è così, perchè si può accettare con virile fatalismo la propria di morte ma non quella dei cari che ci circondano. Parlano con nonchalance alcuni intervistati, perché non c’è il pericolo evidente ovvero quello percepibile dai sensi; non odono boati, non vibrano e tremano le finestre; non cade cenere intorno, l’oscurità non avvolge un mezzodì soleggiato, e allora in assenza di queste fenomenologie tutt’altro che rassicuranti, siamo tutti eroi. E questo spiega perché nella pace geologica il Vesuvio è una mite montagna e i Campi Flegrei una piana intervallata da feconde collinette dai bordi stranamente rotondeggianti e circolari, che a volte emanano fetido odore di zolfo. Quale prevenzione applicare in questo contesto di sottovalutazione? In uno dei comuni più popolosi del vesuviano, un ingegnere capo (ufficio tecnico), ebbe a dire ai suoi dipendenti: ragazzi, se volete dedicarvi alla protezione civile lo dovete fare fuori dall'orario di lavoro e magari dall'ufficio... 
Vedremo dalla redazione dei piani di protezione civile comunale se è cambiato qualcosa. Ne abbiamo visionato uno, e il dato francamente non è confortante.

In Italia abbiamo tutti gli elementi e le risorse operative per intervenire quando la frana o la nube ardente si è abbattuta sui paesi, ma non riusciamo ad adoperarci adeguatamente quando l’ammasso di pietre è ancora attaccato alla parete o il vulcano ancora trattiene nel suo ventre le dirompenze che ha in serbo. Il Vesuvio è lì quieto e in bella mostra, ma ovviamente e nei fatti, sono pochi quelli che danno peso  al suo curriculum tridimensionale visibile anche sotto forma di calchi da Ercolano a Pompei...



mercoledì 2 dicembre 2015

Rischio Vesuvio e crisi vulcanica... di Malko



Il Vesuvio visto dal Torre del Greco


Non pochi navigatori inseriscono nella finestra di ricerca di Google, i termini Vesuvio e previsione... Migliaia di titoli escono così dal fondo della rete. Dalle varie pagine visualizzate emergono titoli classici dell’informazione giornalistica, istituzionale, governativa e scientifica, e poi tanti blog con le più svariate analisi del rischio vulcanico, che vanno dalla congiura del silenzio alle profezie di Nostradamus.
Purtroppo da nessun sito si riesce a estrapolare quando il vulcano più famoso del mondo metterà fine alla sua quiescenza e con quanta energia. Gli equilibri che regolano i moti del magma astenosferico infatti, giostrano su differenti valori come temperature e densità e viscosità in un contesto di interazioni continue e di mescola e metamorfosi dei prodotti incandescenti all’interno del grande e inarrestabile giroscopio terrestre: in siffatte condizioni, si riesce ben poco a prevedere.   

Gli scienziati ripetono continuamente che le eruzioni diversamente dai terremoti generalmente presentano una serie di fenomeni pre eruttivi che consentono un margine utile di previsione dell’eruzione: nel caso del Vesuvio questo margine è stato certificato in tre giorni. Questo non è un dato buttato lì tanto per dire qualcosa: è il preavviso ufficiale di 72 ore su cui dovranno ruotare e concludersi le operazioni di evacuazione dell’area vesuviana in caso di necessità. Circa 10.000 persone da evacuare diuturnamente ogni ora…

D’altra parte gli esperti affermano che il problema che potrebbe presentarsi è inverso, cioè le fenomenologie vulcaniche che indicherebbero un cambiamento dello stato di quiete del Vesuvio, comparirebbero molto tempo prima dell’eruzione. In tal caso avremmo una crisi vulcanica dalla durata imponderabile e aperta a tutte le forme di risoluzione.

Una crisi vulcanica può essere lunghissima e snervante, comportando col passare del tempo una condizione di stallo, di rilassamento dei servizi di soccorso e dell’attenzione della popolazione, ma anche un nervosismo crescente dei cittadini vesuviani che rimarrebbero ingessati in una situazione di incertezza che si ripercuoterebbe negativamente e in modo crescente sulla vita quotidiana sociale e lavorativa.
Viceversa, la crisi potrebbe essere talmente corta nella sua escalation, da rendere problematiche le operazioni di evacuazione, soprattutto col crescere della percezione fisica del fenomeno che condurrebbe molto rapidamente a una condizione pericolosissima di panico diffuso. Sarebbe il caos…
Un’altra possibilità ancora,è che una crisi vulcanica anche acuta si ridimensioni presto o tardi per poi riposizionarsi su valori strumentali di assoluta quiete vulcanica. In questo caso, il ritorno a un livello base di allerta non sarebbe automatico ma richiederebbe comunque un bel po’ di tempo di permanenza nella fase di attenzione, che è una sorta di quarantena scientifica…

Livelli di allerta vulcanica e l'autorità che lo dichiara.

Con questo excursus vogliamo dire che pure con le più importanti e sofisticate tecnologie atte a carpire con un anticipo straordinario tutti i micro segnali che inducono a ritenere che ci sia una variazione di uno o più parametri controllati del Vesuvio, bisognerà necessariamente attendere un certo  tempo per avere ragionevoli evidenze scientifiche circa il fatto che le variazione geofisiche e geochimiche osservate e registrate siano avvisaglie pre eruttive, piuttosto che segnali innocui di riequilibrio del sistema vulcanico.

Quindi, in un certo qual senso l’eccezionale sensibilità delle strumentazioni di monitoraggio vulcanico, potranno solo anticipare i tempi della crisi vulcanica ma non potranno offrire la previsione dell’evento vulcanico che richiede i suoi imprevedibili tempi. Per arrivare a una diagnosi di previsione dell’evento vulcanico, ovvero che siamo prossimi all’eruzione, bisognerà attendere il trend al rialzo dei valori, così come le riflessioni e i confronti scientifici degli scienziati che affolleranno le camere del dipartimento, il cui referente dovrà aggiornare e avvertire il presidente del consiglio a cui spetta l’onere politico di dichiarare lo stato di allarme vulcanico e il via alle operazioni di evacuazione della popolazione.

In realtà la certezza eruttiva la può dare solo l’eruzione che ovviamente non possiamo aspettare come segnale incontrovertibile per evacuare il vesuviano. Ecco perché bisogna comprendere che esiste la possibilità che si dia corso a un’evacuazione senza eruzione…e anche su questa eventualità che sembra innocua bisogna andarci coi piedi di piombo, perché sarebbe un evento tutt’altro che privo di conseguenze.

La cautela sull’evacuazione è data dall’eccessivo numero di abitanti della zona rossa, specialmente della fascia costiera che conta i due terzi del totale con densità abitative di tipo asiatico, tra l’altro in una condizione di costipazione tra mare e vulcano con un’unica via di esodo a disposizione.
Un’evacuazione non seguita da un’eruzione allora, potrebbe comportare danni anche fisici agli evacuati non giustificati dall’imminenza di un pericolo, e quindi, l’operazione sarebbe fortemente criticata dalle masse e dai media con ripercussioni future sull’obbedienza civile.

Per questo motivo la capacità della scienza dovrà essere particolarmente equilibrata in modo da diffondere un pre allarme nel momento in cui i parametri controllati del vulcano lasceranno ritenere un’eruzione probabile magari prossima al 25%. L’allarme invece, secondo le nostre congetture, dovrebbe essere diramato non oltre una percentuale di probabilità eruttiva vicina o uguale al 50%. Attendere oltre sarebbe un vero azzardo… Ovviamente queste percentuali possono oscillare in modo inversamente proporzionale ai tempi di evacuazione. Le nostre però, sono solo congetture argomentative e analitiche che servono per far notare che oggi sussiste sia l’incognita percentuale sulla probabilità eruttiva (incognita naturale), sia l’incognita sui tempi di evacuazione (incognita antropica), perché non ci sono piani specifici. In queste condizioni il rischio è tecnicamente inaccettabile…

Il piano di emergenza messo a punto dalle autorità competenti (Dipartimento Protezione Civile; Regione Campania) sulla scorta di scenari offerti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) con il placet della Commissione Grandi Rischi (CGR-RV), contiene tutti gli elementi per gestire la crisi vulcanica, come ad esempio l’organizzazione da mettere in campo, la catena di comando, gli enti coinvolti nelle varie fasi operative e le strutture di coordinamento e controllo di quello che potrebbe essere il più grande piano di evacuazione del mondo in tempo di pace. Un piano di evacuazione che oggi ancora non c'è, nonostante siano passati dall'instaurazione di apposite commissioni e gruppi di lavoro, un numero di anni superiori a quelli che caratterizzarono il mito omerico della tela di Penelope…

L’unico modo per mitigare un po’ la situazione è quello di favorire l’allontanamento spontaneo del maggior numero possibile di persone nella fase di preallarme: prevalentemente di chi ha seconde case a disposizione. In tal caso le famiglie che si trasferirebbero altrove riceverebbero il contributo di autonoma sistemazione (C.A.S). Occorre quindi che questa possibilità sia assicurata attraverso atti governativi anche ai cittadini dei Campi Flegrei e di Ischia.

Le disquisizioni  fatte in questo articolo circa la difficile interpretazione da dare a una possibile crisi vulcanica che non racchiude con certezza l’ineluttabilità di un’eruzione, serve a mettere in evidenza quanto siano importanti le politiche di prevenzione e i piani di evacuazione e tutte le opere capaci di favorire il flusso veicolare degli sfollati che sarebbe particolarmente utile sfoltire come numero all’origine, attraverso politiche serie di delocalizzazione e di vincoli di inedificabilità residenziale in tutti quei territori che una legge dello Stato, e non noi, ha classificato zona rossa da evacuare.

Anche sulla zona rossa la politica comunque è stata capace di incredibili interpretazioni: nella figura sottostante si vede appunto la red zone nella sua interezza. In alcuni di questi comuni (a est) ricadenti nel perimetro a rischio, si può ancora costruire con licenza edilizia sulla scorta di una logica offerta dalla Regione: è vero che devono scappare anche loro in caso di eruzione, ma per fenomenologie gravi e non gravissime…

La zona rossa da evacuare in caso di allarme vulcanico.


Al dirigente della protezione civile regionale campana, ing. Italo Giulivo, era stato chiesto quanti comuni hanno utilizzato i fondi europei per appaltare a professionisti esterni la redazione del piano comunale di protezione civile, notoriamente da consegnare entro il 31 dicembre 2015: nessuna risposta. 
Secondo il nostro punto di vista, se la Regione Campania insieme al Dipartimento della Protezione Civile e all’Osservatorio Vesuviano ha varato qualche anno fa corsi ad hoc per la formazione del personale comunale anche dell'area flegrea e vesuviana da impiegare nella redazione dei piani di protezione civile, sarebbe intollerabile che alcune di queste municipalità destinasse soldi a privati o a società o a Enti terzi, per ottenere  la compilazione  di piani per i quali hanno ricevuto fondi europei e sapere nazionale...


Tabella dei comuni ricadenti in zone rosse vulcaniche che hanno ricevuto i finanziamenti
rispetto ad altri maggiorati del 25% per la stesura dei piani comunali di protezione civile . Tutti i comuni campani sono stati comunque finanziati per un importo complessivo di 14.milioni e 624 mila euro.