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lunedì 25 luglio 2016

Rischio Vesuvio: qual'è l'eruzione attesa? ... di MalKo


Vesuvio: la pineta di Terzigno in fiamme

Per difendersi da un vulcano è innanzitutto necessario determinare l’area di ricaduta o di scorrimento dei prodotti vulcanici venuti alla luce dalle profondità del sottosuolo nel corso di tutte le eruzioni conosciute. La natura dei prodotti piroclastici che si rinvengono generalmente a strati, consente ai geologi di risalire oltre che alla data dell’eruzione, alla tipologia eruttiva e alle superfici territoriali su cui si sono abbattute le varie fenomenologie vulcaniche.

L’uomo dell’età dei metalli, se avesse avuto la conoscenza dei fenomeni naturali e dei principi fondamentali della prevenzione, si sarebbe dovuto insediare più o meno ai limiti dei prodotti piroclastici di un certo spessore. Avremmo così evitato la situazione attuale, dove l’ardente monte Vesuvio spicca tra una miriade di palazzi che gli pestano i piedi e lo sormontano e lo circondano. Il Vesuvio col tempo è stato assoggettato al titolo di vulcano metropolitano, come quello dei Campi Flegrei: quest’ultimo pur essendo strutturalmente diverso dal primo, presenta una vasta caldera alla stregua riempita immancabilmente e irrimediabilmente di case. Con l’urbanizzazione attuale, anche l’incendio che ha interessata in questi giorni la vegetazione vesuviana, ha creato non pochi disagi per il fumo che soprattutto di notte calava e stagnava sulle case.

I due vulcani dicevamo, ricadono così sotto la giurisdizione amministrativa metropolitana del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che da ex magistrato prima o poi dovrà chiedersi, ovvero chiedere al Dipartimento della Protezione Civile e ai comuni, come mai mancano ancora i piani di evacuazione a tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo. Un pericolo quello vulcanico forse remoto, ma indubbiamente particolarmente devastante e soprattutto con dei tempi di crisi pre e post eruzione che possono essere anche molto lunghi, come ci suggerisce lo schema sottostante prodotto dall’USGS.

Tavola USGS
Il Vesuvio come sapete, è un vulcano che ha espresso per il passato varie tipologie eruttive molto dissimili tra loro, che vanno dall’eruzione dal taglio turistico con le patate cotte sotto la cenere, agli sconvolgimenti areali di grosso calibro (Avellino; Pompei), con interi villaggi e città devastate dai flussi piroclastici e seppellite dagli ammassi di cenere e lapilli. Fra i due poli estremi, ci sono poi le eruzioni intermedie (472;1631;1906...) che pure hanno sconquassato il litorale e l’entroterra del Golfo partenopeo…

Da quale eruzione dobbiamo allora difenderci? La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico (CGR-SRV), prendendo in esame il lavoro della commissione incaricata di prefigurare gli scenari eruttivi quale premessa ai piani d’emergenza, ha sancito che le risultanze scientifiche raggiunte possono considerarsi in linea con l’attualità anche statistica e con il parterre scientifico precedente (1995), e che l’eruzione VEI 4 (sub pliniana), può quindi essere assunta come massima prefigurabile da qui ai prossimi 130 anni di quiescenza del Vesuvio (vedi tabella).
Tipologia eruttiva
VEI corrispondente
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 anni in su…
Probabilità condizionata di accadimento: quiescenza da 60 a 200 anni…
STROMBOLIANA VIOLENTA
VEI 3
65%
72%
SUB PLINIANA
VEI 4
24%
27%
PLINIANA
VEI 5
11%
1%
La linea nera Gurioli, novità introdotta dalla CGR-SRV, è stata ritenuta coerente come limite d’invasione delle colate piroclastiche insite nelle eruzioni VEI 4, e, quindi, il segmento nero circoscrive la zona ad alta pericolosità vulcanica
 
Vesuvio e area vesuviana: linea nera Gurioli

Non tutto è lineare però. In figura la zona “rosata” corrisponde alla vecchia classificazione della zona rossa. La linea nera invece, come detto circoscrive il perimetro scientifico dell’attuale zona rossa. La prima cosa che si nota è che tale zona di fatto è più stretta della precedente. Una notizia di questo genere sarebbe stata un tantino destabilizzante, soprattutto per i vecchi comuni costretti per anni all’astinenza cementizia.

Per ovviare a questo deliquio d’immagine garantista, la Regione Campania in accordo con il Dipartimento della Protezione Civile, ha deciso comunque di classificare con atto amministrativo, zona rossa (R1) anche le parti di territorio rosato che si trovano al di là della linea nera. Con questa trovata tutta politica, si è consentito alla precedente nomenclatura regionale e dipartimentale, di fregiarsi del titolo di più realisti del re, aumentando artificiosamente la zona ad alta pericolosità vulcanica, soprassedendo al conseguenziale vulnus giuridico, perché il principio di precauzione che poteva giustificare l'imposizione amministrativa, non ha trovato equa applicazione…

Infatti, il Comune di Boscoreale in ragione di queste discrepanze di trattamento, non accettò l’artificioso ingrandimento del perimetro ad alta pericolosità vulcanica (R1) che gli bloccava il cemento a uso residenziale, ricorrendo quindi al tribunale amministrativo regionale (TAR) che inevitabilmente, e non poteva fare altro, gli diede ragione. Il Consiglio di Stato invocato dalla soccombente e allarmatissima Regione Campania, bloccò ad horas la favorevole sentenza TAR sulla scorta del principio di pericolo in mora, ribaltandola poi e completamente dopo alcuni mesi, con citazioni di prudenza a sostegno dell’allargamento non in linea con le risultanze scientifiche….

L’iniquità di questa sentenza è data dalla piccola discrepanza offerta dal comune di Scafati, la cui parte territoriale di nord ovest, pur incuneandosi tra i territori di Boscoreale e Pompei sovrapponendosi alla linea nera, si è chiamato completamente fuori dalla prima fascia ad altissimo rischio vulcanico (R1). Nella zona R2 scafatese e poggiomarinese, si sfornano quindi palazzi e villette e case e fabbricati con regolare licenza edilizia. Un principio di cautela allora applicato per Boscoreale e Pompei ma disatteso per Scafati e Poggiomarino… La figura sottostante è sufficientemente e graficamente indicativa ed esplicativa.

Per tentare di uscire da questo pantano amministrativo che potrebbe essere arricchito da alcune disquisizioni sull’abusivismo edilizio, piaga apertissima e infetta, ritorniamo al discorso principale per capire da quale eruzione dobbiamo difenderci.

Per avere un metro di paragone, la nostra attenzione si è concentrata sul vulcano Mount St. Helens, nello stato di Washington, negli USA, per alcune caratteristiche simili al Vesuvio. Abbiamo chiesto all’U.S. Geological Survey quale statistica eruttiva è stata applicata al vulcano St. Helens per stabilire l’eruzione di riferimento circa la stesura dei piani d’emergenza. L’USGS ha risposto che <<non pubblicano statistiche e non usano le statistiche per l’elaborazione dei piani d’emergenza>>. Le nostre mappe di pericolo, hanno precisato, si basano sul mapping geologico delle precedenti eruzioni… Come dire: vanno sul concreto, sul tangibile…  Guardate lo schema sottostante:


Schematizzazione non in scala ad uso didattico
gli esperti dell’INGV hanno dichiarato con una probabilità condizionata di accadimento, che la prossima eruzione del Vesuvio, almeno per i prossimi 130 anni, sarà al massimo un evento dall’indice di esplosività VEI 4. I passi successivi però, hanno trasformato una probabilità in valore deterministico, tant’è che la linea nera Gurioli da limite di deposito ha assunto innaturalmente una funzione di limite di pericolo.

Fra 130 anni l’ottimistica scelta eruttiva operata dall’INGV e dal dipartimento della protezione civile, circa la zonazione R1 di altissimo rischio vulcanico, girerà l’angolo dei 200 anni... Una soglia indiscutibile che segnerà inevitabilmente la necessità di prendere giocoforza e seriamente in esame, anche statisticamente parlando (11%), la possibilità che una eruzione del Vesuvio possa avere uno stile pliniano (VEI 5).

I futuri territori invadibili dai flussi piroclastici di una pliniana (VEI5), sono quelli oltre la linea nera Gurioli per circa 10 chilometri. Una bella fetta di terreno dove continuano alacremente a erigere case e palazzi. In questo caso, lo Stato paradossalmente si ritrova in una condizione di produttore di rischio, magari proiettato nel futuro, ma pur sempre rischio con il quale bisognerà prima o poi misurarsi…

Il rischio vulcanico mediato su una VEI4, dovrebbe essere innanzitutto oggetto di informazione dettagliata per i cittadini. Il nostro parere è che in tal modo si consentirebbe in tempo di pace geologica a chiunque di esercitare il libero arbitrio circa l’accettazione o meno della residenza in area vulcanica. Intanto la classe politica dovrebbe elaborare piani di riordino territoriale e di costruzione di grandi assi viari a scorrimento veloce che consentano alla popolazione di allontanarsi in caso di pericolo vulcanico. Progetti che interessino e impegnino i prossimi 130 anni. Solo con queste premesse e promesse di opere mitiganti a vantaggio dei nostri figli, e nipoti e pronipoti, è moralmente proponibile l’accettazione del rischio pliniano.

La funzione principale della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, è quella di fornire pareri  di carattere tecnico scientifico al Capo Dipartimento della Protezione Civile, come quello sull’eruzione di riferimento. Questa commissione però, molti non lo sanno, dovrebbe parimenti indicare anche come migliorare la prevenzione del rischio vulcanico, senza badare al consenso della politica. Compito arduo, che risulterebbe maggiormente agevole se  si affiancasse nell'opera divulgativa e propositiva, anche qualche autorevole alleato come il pregevole Osservatorio Vesuviano (INGV). L'importante struttura di ricerca e sorveglianza dei vulcani, sembra un po' schiva a puntare il dito sull'assenza delle politiche di prevenzione areali, dando l'impressione invece, che preferisce  cimentarsi  sulle più neutre politiche energetiche e di sfruttamento del sottosuolo...  Con la nomina del nuovo direttore dell'Osservatorio Vesuviano, la sismologa Francesca Bianco, si spera in un cambiamento di passo che sia innanzitutto utile per la prevenzione delle catastrofi.

martedì 3 settembre 2013

Rischio vulcanico Campi Flegrei: il Deep Drilling Project (CFDDP)...di Malko

La spianata di Bagnoli (Campi Flegrei) sede del CFDDP

“Campi Flegrei: quale futuro per il Deep Drilling Project?”
di MalKo

ll famoso Deep Drilling Project dei Campi Flegrei (CFDDP), cioè il progetto di perforazione profonda avviato nel sottosuolo di Bagnoli (NA), è passato un po’ nella sordina mediatica probabilmente perché la trivella ha cessato di ruotare da dicembre 2012, dopo aver raggiunto come da programma quota meno cinquecentodue metri.
Lo scalpello litosferico con tutte le polemiche che hanno accompagnato la prima fase di perforazione del pozzo pilota, dovrà essere latore di ben altre autorizzazioni prima di continuare la sua corsa nelle profondità calderiche del supervulcano flegreo, per raggiungere i circa quattromila metri di profondità.
Il piano di scavo inizialmente pubblicizzava un tornaconto geotermico che sarebbe scaturito dal foro di Bagnoli e dall’acqua calda sottostante. L’insistente propaganda iniziale sull’energia pulita e a basso costo, scemò a seguito delle proteste di alcuni comitati cittadini che vedevano nella geotermia in loco profitti tuttalpiù per le industrie del ramo, ma non per la popolazione a cui toccavano solo i rischi dell’operazione.
La pubblicità allora dirottò sulla previsione delle catastrofi. Il Deep Drilling Project divenne quindi un’opera fondamentale per monitorare con tecniche di previsione l’area vulcanica flegrea, con strumentazioni ad alta tecnologia ubicate sul fondo del pozzo pilota, pronte a cogliere sul nascere qualsiasi indizio foriero di eruzioni, come i sollevamenti, che in verità lì si contano a metri.
La trivella di Bagnoli dovrebbe ripartire al termine della valutazione dei dati fin qui raccolti, per inoltrarsi poi chilometricamente nel cuore calderico del supervulcano, con il fine di scandagliare scientificamente le coltri di materiali e investigare sulla genesi del bradisismo. L’interesse della cittadinanza non è stato catturato da quest’argomentazione, perché gli abitanti non reputano necessario indagare il sottosuolo se questo comporta un pur piccolo rischio ancorché se tali dati già esistono grazie alle numerose prospezioni profonde che si fecero negli anni ’80. L’Agip, infatti, scandagliò il sottosuolo puteolano e quello dei laghi d’Averno e di Licola e le contrade di Mofete e Cigliano, con pozzi come quello di S. Vito, che si spinse fino a 3.038 metri di profondità. Fu anche tentata una sortita nella parte pedemontana del Vesuvio, a Trecase, con una trivellazione da 2.064 metri senza alcun esito produttivo.
L’Osservatorio Vesuviano (INGV) in simbiosi con il comitato CFDDP e il Comune di Napoli, si sono spesi moltissimo nell’ambito di convegni e interviste su quest’iniziativa internazionale, dichiarando in tutte le sedi che il progetto è assolutamente innocuo, soprattutto per il sistema di perforazione provvisto di congegni innovativi che lo rendono  più sicuro di altri.
Il ruolo dell’Osservatorio Vesuviano nell’intera vicenda del Deep Drilling Project ai Campi Flegrei però ci sembra un tantino di parte. Se le operazioni di perforazione profonda in area calderica sono o non sono pericolose, non lo dovrebbe dire chi ha correlazioni con la proposta e il coordinamento e lo sviluppo dell’opera. Altrimenti si corre il rischio, secondo la metafora tutta napoletana, che lo storico ente faccia la parte dell’acquaiolo e l’opinione pubblica quella del cliente a proposito dell’acqua fresca come la neve…>>.
Intanto Il 21 luglio 2013 il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dal titolo: “La perforazione geotermica scatena il terremoto: stop al progetto”. Nel pezzo si racconta di un sisma di 3,6 della scala Richter verificatosi a San Gallo, nella zona del Lago di Costanza in Svizzera. La scossa è stata provocata dai lavori di perforazione per la realizzazione di una centrale geotermica.
Il direttore del cantiere, ha spiegato che era stata scoperta una fuga di gas ad alta pressione nel foro di trivellazione. Per arginare il pericolo era stata pompata acqua e fango nel condotto. L’operazione di pompaggio si era resa necessaria, spiega il dirigente, per evitare guai peggiori. A Basilea un progetto simile era già stato abbandonato nel 2006 sempre per l’innescarsi di scosse sismiche. Il caso svizzero destò apprensioni pure nel governo americano che bloccò per precauzione i progetti di perforazione geotermica della AltaRock Energia sulle colline a nord di San Francisco, per timore che si innescassero terremoti.
Sul giornale online Avvenire invece, nell’articolo datato 12 agosto 2013 si legge: <<All’indomani del terremoto di Modena, l’assessore alle attività produttive dell’Emilia-Romagna ha sospeso l’iter di ogni nuova concessione nei comuni del cratere. «…Non so se le attività di perforazione – ha spiegato Gian Carlo Muzzarelli – possano essere messe in relazione con la sismicità di un’area, saranno gli scienziati a dirmelo, ma fino ad allora si aspetta».. 
<< …Si delibererà solo quando si sarà fatta chiarezza: è un atto di responsabilità verso il territorio e le popolazioni». <<… Usiamo il principio di precauzione e il buon senso: il sottosuolo non è un limone da spremere».
Sono interessanti anche gli articoli pubblicati a proposito del vulcano Lusi in Indonesia, da sette anni in attività. Ubicato a Sidoarjo nella parte orientale dell’isola di Giava, è il più grande vulcano di fango al mondo. Le sue origini sono da ascriversi con tutta probabilità a una trivellazione esplorativa petrolifera.
Uno studio dell’Università di Bonn pubblicato su Nature Geoscience, sostiene la stessa tesi della società responsabile della perforazione, la Lapindo Brantas, cioè che fu il terremoto che occorse a Yogyakarta qualche giorno prima del 29 maggio 2006 a causare l’eruzione.Di tutt’altro avviso la relazione scientifica dell'Università di Durham (Inghilterra), pubblicata sulla rivista Geological Society of America, dove le responsabilità dell’innaturale eruzione si accollano unicamente alla società petrolifera e alle sue pratiche perforative poco accorte.
Sul piano internazionale si è un po’ scettici sulla possibilità che una scossa di terremoto con ipocentro a 280 km. di distanza da Sidoarjopossa aver movimentato il fango in superficie, perché in quella zona altri terremoti ben più forti hanno scosso la litosfera e mai si erano ravvisati indizi di squilibrio nel sottosuolo.
Intanto sono anni che dal profondo del Lusi sgorga fango caldo. Si contano decine di migliaia di sfollati, molti villaggi distrutti e un’economia praticamente in ginocchio.  A sette anni di distanza, l'eruzione di fango bollente è ancora pimpante e non si sa quando terminerà. La terra rigurgita melma fumante che a impulsi risale in superficie appesantendo suoli destinati a sprofondare.
In Italia si è aperta una vera corsa alle perforazioni a caccia dell’oro nero e del metano e dell’acqua calda. Le torri di scavo incominciano a essere malviste dai cittadini e, quindi, comitati locali stanno sorgendo un po’ dappertutto per contrastare questo incalzare di trivelle che potrebbero generare, seppur remotamente, sgradite sorprese sia in mare sia in terra.
In Trinacria una grandinata di autorizzazioni per la trivellazione dei fondali marini nel canale di Sicilia sta suscitando grandi preoccupazioni. Un incidente alla stregua di quello che occorse nel Golfo del Messico nel 2010 sarebbe sufficiente a stroncare per molti anni le risorse più importanti dell’isola, come la pesca e il turismo.
Anche i progetti di perforazione a uso geotermico del vulcano sottomarino Marsili affascinano ma inducono perplessità, perché la faccenda dovrà svilupparsi in alto mare, zona disabitata e, quindi, ritenuta per antonomasia sicura.
Posto nei fondali del Tirreno meridionale, il complesso vulcanico sommerso dista oltre cento chilometri dalla linea di costa più vicina. Un luminare di tutto rispetto avvertì alcuni anni fa del pericolo potenziale derivante dai fragili fianchi del vulcano. Una frana sottomarina, profferì lo scienziato, potrebbe essere all’origine della formazione di un’onda micidiale che si potrebbe infrangere con gravi danni sui litorali esposti. Fu allarmismo a tutto spiano, e si avanzarono costosissime proposte di monitoraggio del silente vulcano, mentre qualcuno vide addirittura nell’allarme scientifico un terribile presagio Maya da fine del mondo ...
La società privata EuroBuilding spa, dovrebbe perforare i fianchi “flaccidi” del vulcano Marsili per prelevare e utilizzare a uso geotermico i fluidi caldi che circolano a profondità utili nei contrafforti dell’edificio vulcanico. La trasformazione del calore in energia avverrebbe direttamente in superficie. Una gran bella cosa… bisognerebbe escludere però, che la trivellazione del monte e la penetrazione meccanica negli acquiferi bollenti, non inducano anche remotamente sollecitazioni indesiderate negli ammassi rocciosi che potrebbero staccarsi in quota con un effetto domino.
Uno dei responsabili del Marsili project, Diego Paltrinieri, ha chiarito che la sicurezza è garantita da tutte le verifiche del caso fatte dai ricercatori dell’INGV. Per questo motivo abbiamo girato la domanda sull’interazione fra trivella e fianchi del vulcano direttamente all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che ci ha rimandato a una prossima risposta, che ancora non arriva, a cura del Prof. Giuseppe D’Anna. Aspettiamo…
La geotermia sostanzialmente è un’invenzione italiana e, quindi, si capisce una certa propensione a utilizzare il calore terrestre per produrre energia soprattutto in questa viscerale corsa alle risorse rinnovabili, per compensare quelle fossili che non dureranno in eterno. I Campi Flegrei poi, sono il luogo dove in rapporto alle profondità, le temperature dei fluidi sono molto elevate: il pozzo di S. Vito è quello che ha lasciato registrare valori di 400°C ..
Gli scavi passati, come detto, hanno consentito di cogliere dati sulla stratigrafia che caratterizza la caldera e sulla qualità dei fluidi caldi posti in profondità: quelli bollenti ubicati a tremila metri, si rivelarono ipersalini e antieconomici all’uso.  
Questo primo intoppo sulla natura del prodotto da utilizzare, fu seguito dalla constatazione un po’ tardiva che le superfici interessate al progetto geotermico erano eccessivamente e anche abusivamente antropizzate. I fenomeni sismici e bradisismici che caratterizzano l’area poi, furono ritenuti oggettivamente in contrasto con le esigenze di sicurezza che dovrebbe invece avere una struttura industriale collegata al sottosuolo.
L’energia geotermica bisogna pure sottolinearlo per dovere di cronaca, non è che sia totalmente esente da processi inquinanti, perché le acque calde circolanti nel sottosuolo e risucchiate in superficie, spesso contengono una significativa percentuale di sostanze molto aggressive e tossiche. Tant’è che in molti casi si ripompano dabbasso per non inquinare i terreni e le acque superficiali.  Anche le volute di vapore acqueo rilasciate dalle ciminiere, dovrebbero essere il prodotto finale di un’accurata filtrazione.
Il dirigente dell’ufficio sismico svizzero che ha seguito gli eventi di San Gallo accennati in precedenza, ha detto che non bisogna abbandonare la strada del geotermico, bensì semplicemente evitare attività a ridosso dei centri abitati. Una risposta lapalissiana ma di estrema efficacia. Per consentire il connubio tra urbanizzazione e geotermia, ci sembra di capire che la strada maestra sia per ora quella di accontentarsi di temperature minori a minore profondità, con impianti a basso impatto ambientale gestibili localmente.  
A proposito d’impatto ambientale, registriamo che Il Prof.Mario Dall’Aglio, esperto di geochimica e geotermia, affermò in seno a un convegno organizzato dalla società UGI (Unione Geotermica Italia), che in Italia a proposito degli impianti di produzione o uso delle energie rinnovabili non ci sono serie procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA). Ovviamente gli organizzatori si sono fatti in quattro per dissociarsi…
Che ci siano già state delle perforazioni profonde nell’area flegrea segnano un punto a favore dei sostenitori dell’esperimento internazionale. Qualche pozzo però, l’Agip sembra che lo dovette chiudere precipitosamente, ma potrebbe essere leggenda. I pro e i contro allora, devono essere vagliati molto seriamente dalla commissione grandi rischi (CGR) per un discorso di terzietà sull’argomento.  Quest’organo dovrà essere chiamato in causa da una delle autorità previste dal sistema nazionale della protezione civile. Ad esempio dal Capo Dipartimento Pref. Gabrielli, oppure dal Sindaco De Magistris quale autorità locale, o dal presidente della Regione Campania Stefano Caldoro che ha competenze sulle licenze di scavo, o anche dal Prefetto di Napoli Musolino, se ritiene che la perforazione sia portatrice di allarme sociale.
Il fatto che i promotori del deep drilling project ai Campi Flegrei siano rinomati scienziati internazionali non toglie la sensazione che si sia usata molta disinvoltura sulla scelta del sito tutto urbano da perforare. Lo stesso dicasi della proposta di una centrale geotermica posta nel bel mezzo dei palazzi e dei rioni del quartiere metropolitano napoletano di Bagnoli…

lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…

Campi Flegrei, il Deep Drilling Project è un problema?


"Campi Flegrei e Deep Drlling Project: un problema nazionale" di MalKo
Attraverso le problematiche attinenti il famoso progetto di perforazione profonda nei Campi Flegrei (Deep Drilling Project), un certo numero di cittadini ha memorizzato che nel nostro sistema nazionale di protezione civile il Sindaco (legge 225/92) assume il titolo di autorità.
Autorità, ricordiamo, è chi decide ed emana disposizioni vincolanti per i destinatari. L’articolo 12 della legge 03-08-1999 n° 265 poi, ha trasferito sempre al primo cittadino, anche le competenze che una volta erano del Prefetto a proposito dell’informazione da dare alla popolazione su situazioni di pericolo.
Il Sindaco quindi, non è un terminale passivo, ma è il fulcro di un sistema di tutela per molti versi complesso, perché rientrano nelle competenze della protezione civile non solo il soccorso e il ripristino della normalità post catastrofe, ma anche la previsione e la prevenzione delle calamità tanto naturali quanto antropiche.
Per previsione s’intendono tutte quelle attività capaci di prevedere l’insorgere di un pericolo, generalmente inquadrabile come calamità, e le zone su cui questo può abbattersi con violenza.
La prevenzione invece, si compone di più discipline capaci di valutare e adottare misure idonee a mitigare gli effetti e le conseguenze delle calamità preventivabili oppure non prevedibili come i terremoti. Queste misure comprendono tra l’altro la stesura dei piani d’emergenza e d’evacuazione ove occorra.
Nella legge di istituzione del sistema nazionale di protezione civile (225/92), all’art. 2 sono distinti gli eventi calamitosi in tre categorie:
a) eventi naturali o connessi con l’attività’ dell’uomo che
possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
b) eventi naturali o connessi con l’attività’ dell’uomo che per loro natura ed estensione comportano l’intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;
c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari.
Gli eventi di tipo (a) sono generalmente affrontati in ambito comunale, intercomunale e provinciale col supporto delle istituzioni competenti.
Quelli di tipo (b) afferiscono invece, a eventi calamitosi naturali o antropici di una certa importanza, che implicano e chiamano in causa più comuni e province con responsabilità di coordinamento e d’intervento su scala comunale e regionale.
Gli interventi di tipo (c) riguardano calamità naturali o catastrofi che, per intensità, estensione e importanza, diventano un problema nazionale.
Questo breve excursus serve per inquadrare alcuni aspetti e spunti alquanto interessanti emersi proprio dalle disquisizioni che stanno accompagnando il progetto di perforazione profonda (deep drilling project) da avviarsi, almeno così sembra e a breve, nel quartiere napoletano di Bagnoli.
Esperti e cittadini hanno chiamato in causa il Sindaco De Magistris che in realtà non appare e non commenta.
Le ipotesi di rischio fin qui formulate dai vari geologi e ricercatori ancorché emerse come dibattito su molte riviste nazionali e straniere, si dividono in contrari e favorevoli al deep drilling. Per capire il livello di responsabilità decisionale del sindaco su questo argomento, dobbiamo avere le idee più chiare circa le ipotesi di rischio che sono emerse nei vari dibattiti scientifici. In altre parole il pericolo insito nella perforazione profonda, se c’è deve essere quantificato.
Secondo le opinioni più allarmistiche, il progetto di trivellazione andrebbe a intaccare un sottosuolo che, per effetto delle sollecitazioni perforanti, potrebbe innescare terremoti, esplosioni ed eruzioni con implicazioni anche di carattere ambientale perché smuoverebbe terreni e fanghi particolarmente inquinati dalle precedenti attività siderurgiche.
Occorrerebbe quindi sapere con quale intensità e con quale estensione s’ipotizzano questi pericoli. I sismi che potrebbero generarsi avrebbero un’incidenza in un ambito territoriale particolarmente ristretto (quartieri)? E il rischio eruttivo che s’ipotizza, anche se come ipotesi remota,  sarebbe anch’esso limitato a un fatto locale? Dire che potrebbe innescarsi un’eruzione in piena regola è un’esagerazione della stampa per fare notizia? Domande tutt’altro che ingenue…
Dalle ipotesi di rischio che si ventilano, ovviamente ne discenderà una competenza in termini di responsabilità decisionale: se gli effetti dannosi della perforazione si stimano e s’ipotizzano che rimangano circoscritti a un livello locale, il Sindaco in questo caso rappresenterebbe la figura di riferimento.
Se il deep drilling racchiude in se uno o più rischi che potrebbero assurgere per intensità a problema regionale o nazionale, seppure in percentuali minime, allora il discorso cambia completamente. In questo caso dovrebbe esprimersi sulla fattibilità del progetto la commissione grandi rischi del dipartimento della protezione civile, organo scientifico per eccellenza e istituzionalmente competente. Ovviamente la commissione non potrebbe omettere di sentire comunque anche il parere del sindaco o dei sindaci interessati prima di assumere decisioni importanti.
In tema di piani d’emergenza si tenga presente che il dipartimento della protezione civile il 7 maggio 2003 varò un’altra commissione nazionale per l’aggiornamento dei piani d’emergenza dell’area vesuviana e dell’area flegrea per il rischio vulcanico. Una sorta di annosa continuità pianificatrice per quanto riguarda il Vesuvio, e una new entry che sancì l’ingresso dell’area flegrea nella classifica delle maggiori aree a rischio vulcanico. Presidente della commissione Guido Bertolaso. Per l’Osservatorio Vesuviano Giovanni Macedonio e per la regione Campania Franco Barberi.
La pianificazione nazionale d’emergenza per l’area vesuviana e flegrea per il rischio vulcanico, era ed è gestita dal dipartimento della protezione civile, perché un evento eruttivo del Vesuvio o dei Campi Flegrei, diventerebbe immediatamente un evento di tipo (c), cioè d’importanza nazionale.
Se così non fosse, a furor di logica la commissione nazionale per l’aggiornamento dei piani d’emergenza Vesuvio e Campi Flegrei, perderebbe l’altisonante titolo di nazionale per assumere quello più modesto di comunale o regionale.
Vorremmo chiarire ancora una volta il motivo per il quale dalle nostre pagine si ripete spesso che non esiste nessun piano d’emergenza, tanto per il Vesuvio quanto per i Campi Flegrei. In realtà i piani d’emergenzasono stati redatti anche se con molte incongruità e lacune gravi che ci piacerebbe discutere. Il problema principale però, consiste nella mancata pianificazione dei piani d’evacuazione che sono una cosa diversa dai piani d’emergenza e che invece tutti analogicamente accomunano. In sintesi, sostanzialmente sappiamo quali sono i vari livelli di pericolo, l’organizzazione da mettere in campo, le regioni di gemellaggio, ecc… non sappiamo però in che modo metterci in salvo. Ergo, manca lo strumento di reale tutela…il foglio dietro la porta!
Al Prefetto Gabrielli quindi, rinnoviamo la necessità che si realizzino i piani d’evacuazione, operando in surroga per i comuni inadempienti.
Ai cittadini che si stanno organizzando in comitati nel comprensorio di Bagnoli, suggeriamo di pretendere ovviamente chiarezza in tutti i sensi ma senza pregiudizi di partenza. L’ultima decisione spetta al sindacoDe Magistris, che dovrà comunque spiegare come si conciliano certi programmi di prevenzione “spinta”, con altri di rivalutazione nel senso della lottizzazione e urbanizzazione del settore a rischio ancorché sede dei sondaggi.
Il geologo Annibale Mottana dell’accademia dei lincei, il 22 giugno scorso in occasione della chiusura dell’anno accademico, alla presenza del Capo dello Stato Giorgio Napolitano, nella sua relazione finale ha mantenuto un taglio molto critico sulle amministrazioni che concedono troppe deroghe in tema di edificazioni e condoni anche in area vulcanica. Un problema, ha detto, non più tecnico o scientifico ma di coscienza, con amministratori che non prendono in considerazione i rischi naturali anche sulla scorta di una sorta di complicità semi-istituzionale forte di un credo assurdo che non lancia allarmi per non scatenare panico. Nel caso del Vesuvio poi, ha affermato che un eventuale eruzione sarebbe una catastrofe inaccettabile. Che dire: complimenti al cattedratico che ha riassunto molto bene i problemi irrisolti, anche se, queste parole, forse doveva pronunciarle qualche autorevole rappresentante che nell’area flegrea e sul Vesuvio ha importanti sedi istituzionali.