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venerdì 2 gennaio 2015

Rischio Vesuvio:oggi più di ieri e meno di domani...di Malko



Il Vesuvio

“Rischio Vesuvio: oggi più di ieri e meno di domani…” di MalKo

Nel resoconto di fine anno 2014 dobbiamo annotare che non è stata un’annata totalmente negativa per la prevenzione del rischio vulcanico in Campania, anche se nessuna soluzione di tutela è ancora vigente per mettere in salvo all’occorrenza e in pochissimo tempo migliaia e migliaia di cittadini. Una moltitudine di gente oggi più di ieri e meno di domani esposta al rischio di essere investita dai fen0meni esplosivi che potrebbero scaturire dai due principali vulcani napoletani: il Vesuvio e i Campi Flegrei. Due apparati che serbano nel grembo sotterraneo capacità distruttive di prim’ordine e difficili da prevedere…
Non è stata un’annata negativa perché almeno molta parte della popolazione napoletana ha ricevuto direttamente o indirettamente e comunque ufficialmente la notizia di essere esposta a un rischio tutt’altro che secondario e contenibile come quello vulcanico. Soprattutto ai Campi Flegrei dove i residenti per l’assenza di spiccati rilievi dal caratteristico aspetto a cono rovescio e città sepolte come Pompei, non hanno mai riflettuto abbastanza sul termine Campi Flegrei (campi ardenti) e su una vasta caldera che corona il circondario, smembrata e ridotta a brandelli da fenomeni evidentemente tutt’altro che effusivi… Questa scarsa perspicacia ha dato corso qualche tempo fa a un tentativo di cordata da parte di alcuni imprenditori e intellettuali napoletani, circa una proposta di cementificazione del litorale di Bagnoli, in nome del “risorgimento napoletano e del riscatto della città…” L’idea di costruire alloggi nella spianata di Bagnoli, sede del deep drilling project a pochi passi dal vulcano Solfatara,  non è nuovissima, ed è frutto della filosofia che assegna importanza a quello che si costruisce piuttosto che al dove lo si costruisce…

I comuni o quartieri della zona rossa flegrea
L’informazione veicolata a sufficienza grazie alla pubblicazione sui media dei perimetri delle zone rosse con tutto quello che ciò comporta, cozza comunque contro l’indifferenza della maggior parte delle amministrazioni locali che non si sono spese abbastanza in tema di informazione e prevenzione delle catastrofi. Viceversa, si sono adoperate non poco nel pretendere a tutti i costi i condoni edilizi anche nelle zone a rischio tabula rasa, chiamando in causa il principio popolare di quel che è fatto è fatto! Il Comune di Terzigno da questo punto di vista gioca all’attacco con tremila pratiche di condono edilizio pronte alla firma…Ovviamente quando le cifre incominciano ad essere a tre zeri, è indubbio che il problema risieda nell’omissione dei controlli. Il governo centrale avrebbe dovuto insediare una commissione d’inchiesta per chiarire i retroscena della faccenda, perché l’abuso edilizio commesso in zona rossa Vesuvio non è solo un’operazione fraudolenta, ma anche un rischio vitale per chi s’insedia e un’aggravante in termini di affollamento per chi nell’area dimora da tempo.
Il comune di Terzigno è anche il municipio che ha emesso un bando pubblico per affidare a tecnici esterni la redazione dei piani di emergenza comunali, compreso quello a fronte del rischio Vesuvio, nonostante abbia tecnici formati in tal senso da appositi corsi, e non certo a costo zero, varati dalla Regione Campania qualche anno fa in sinergia con il Dipartimento della Protezione Civile e l’Osservatorio Vesuviano, in un clima di grande celebrazione.

Zona Rossa Vesuvio (R1 e R2)

In due recenti articoli a firma del geofisico Enzo Boschi e del Prof. Benedetto De Vivo pubblicati sul foglietto della ricerca, è stato messo in evidenza un ruolo eccessivamente esaltato della statistica come elemento su cui basare le politiche di prevenzione delle catastrofi. Ci chiediamo spesso come uscire da questa disciplina numerica esasperante, veicolata come valore deterministico ancorché mercanteggiato dalla politica e anche inflazionato nell’odierno dall’assessore regionale alla protezione civile, Ing. Edoardo Cosenza, che ad ogni dibattito e convegno sforna calcoli mischiando il sismico col vulcanico anche se in realtà sono due tipologie di rischio sovrapponibili ma che richiedono diverse strategie difensive.
Il rischio sismico all’arrivo delle onde trasversali ha nella resistenza dello stabile in cui si staziona il vero elemento di difesa passiva. Quindi parliamo di un fattore assolutamente mutevole in ragione dei luoghi che frequentiamo (casa, ufficio, negozi, chiese, palestra, cinema, ecc.), perché non hanno tutti lo stesso criterio costruttivo antisismico o un’efficace manutenzione. Il massimo della difesa consisterebbe allora nel vivere in un punto della sfera terrestre asismico, diversamente in un agglomerato urbano caratterizzato totalmente da una similitudine strutturale particolarmente resistenze alle scosse telluriche.
Nel caso del pericolo vulcanico invece, per difendersi da una colata piroclastica bisogna portarsi inevitabilmente e fisicamente fuori dalla portata di scorrimento della medesima. Questo significa che non c’è fattore costruttivo che tenga, e l’unica difesa efficace consiste nel frapporre una notevole distanza tra noi e i flussi roventi.
Al riguardo molto spesso viene richiamata la bontà costruttiva e antisismica dell’ospedale del mare costruito incredibilmente in zona rossa Vesuvio. Ebbene, nel caso di evento sismico particolarmente robusto dettato da prodromi pre eruttivi, il più grande nosocomio del sud Italia resterebbe di certo in piedi nonostante le possenti scosse litosferiche, ma sarebbe comunque da evacuare. Ora, se l’ospedale del mare è un bunker, non si può dire lo stesso dell’edificato che lo circonda. Questo vuol dire che la vulnerabilità del piano di evacuazione ospedaliero dovrà scontrarsi comunque con le incognite stradali causate dalle macerie altrui che ingombrerebbero o incomberebbero sulla viabilità ordinaria da impegnare.
Ospedale del mare (Ponticelli - Napoli)
Quindi, la scelta del sito dove costruire il nosocomio tra l’altro oggetto di accese polemiche, probabilmente è stata dettata da molte ragioni ma non da quelle di una impellente necessità sanitaria da soddisfare in quel preciso luogo, atteso che, c’è un ospedale a Torre del Greco, Boscotrecase, Scafati, Sarno, Pollena Trocchia, Castellammare di Stabia così come molte cliniche private nel circondario vesuviano garantiscono in surroga molti servizi di tipo ospedaliero, day Hospital e pronto soccorso. Nulla si toglie alla eccellenza delle prestazioni che verranno erogate dall'ospedale  del mare appena aprirà, ma non è che oggi per farsi curare bisogna affrontare i viaggi della speranza.

Certamente gli eventi sismici possono essere i precursori inovviabili di un’eruzione e, quindi, bisogna che le case, tutte, siano costruite per resistere a siffatte sollecitazioni. Anzi, la vulnerabilità sismica del costruito può incidere pesantemente sull’efficacia dei piani di evacuazione del vesuviano. Quello che abbiamo appena detto e che vale per l’ospedale del mare infatti, vale logicamente anche per tutta l’area vesuviana…
Hanno sicuramente un senso allora, le politiche di ristrutturazione antisismica dei fabbricati esistenti e abitati all’ombra del Vesuvio. Molto meno condivisibile è la possibilità di consentire il recupero statico di spiccati o ruderi diroccati e inabitati perchè aggiungerebbero abitanti ai troppi già dimoranti nel vesuviano…
Per quanto riguarda i condoni continuiamo a ritenere che non è possibile che lo Stato possa sanare i manufatti abusivi in zone dallo stesso Stato dichiarate ad altissimo rischio per la vita umana, anche se comprendiamo che le migliaia di costruzioni abusive che costellano il vesuviano rappresentano indubbiamente un problema di difficile soluzione.

Qualche scordatura ci sembra emergere in questo campo pure tra il direttore del parco nazionale del Vesuvio, Luca Capasso, particolarmente favorevole ai condoni edilizi in zona rossa, e il commissario straordinario del medesimo parco, Ugo Leone, che non ha avuto dubbi sul definire connivente con il rischio chi non si oppone alla cementificazione nella zona rossa Vesuvio, sia in senso colposo dovuto presumibilmente all’ignoranza, sia in senso doloso dovuto magari a un mero calcolo elettorale. Affermazioni sicuramente condivisibili...

Tra Campi Flegrei e Vesuvio ad essere chiamata in gioco è la metropoli vulcanica napoletana. Un’area di 1171 kmq.  con oltre tre milioni di abitanti.  Una metropoli che deve essere oggetto di dibattiti interdisciplinari anche internazionali che traccino le linee guide o elaborino idee sul come coniugare abitabilità e sicurezza nei distretti vulcanici. L'unico urbanista che abbiamo sentito affrontare il problema è Aldo Loris Rossi e non molti altri, probabilmente perchè la professione di architetto è decisamente in conflitto con quella di mitigatore del valore esposto, non sempre proteso ai valori dell'urbanizzazione... 
Per il bene della collettività servono urgentemente indicazioni sullo sviluppo sostenibile, e la scienza, che non può essere solo quella istituzionale e politicizzata, deve esprimersi sui livelli di pericolosità vulcanica, nel breve,medio e lungo termine, in modo che non si lascino pesanti eredità alle generazioni che ci succederanno.  

Per remare nella direzione indicata dall’assessore Cosenza, abbiamo pubblicato le istruzioni che il dirigente aveva chiesto ad ogni comune della plaga vesuviana di diffondere. Le indicazioni da fornire alla cittadinanza riguardano le linee strategiche del piano che verrà. L’assessore comprenderà che dire di recarsi a una determinata area in caso di necessità e che questa sarà indicata solo successivamente quando saranno pronti i piani di emergenza comunali, non è il massimo della sicurezza da aspergere a favore di una popolazione che al momento crede solo nella bontà della perdurante quiescenza geologica.
La sicurezza dell’area vesuviana è un processo lungo che richiede moltissimi anni e personaggi autorevoli e lungimiranti che traccino le linee guida della rivoluzione urbanistica tanto necessaria per una vivibilità futura all'insegna della sicurezza. Ridurre il numero di abitanti è fondamentale come lo stop all’edilizia che doveva essere imposto in tutta la zona rossa Vesuvio, a prescindere se di prima (R1) o di seconda fascia (R2). I giochini delle zone rosse purtroppo hanno procurato e procurano danni enormi. Infatti, la prima classificazione di zona rossa (18 comuni) escludeva Scafati e Poggiomarino. La conseguenza è stata una domanda abitativa notevolmente incisiva specialmente nel comune salernitano (Scafati), che ha registrato un trend costantemente al rialzo circa la crescita del numero di abitanti che oggi superano le cinquantamila unità. Con la classificazione attuale (25 comuni) il giochino continua risultando semplicemente allargato  il cerchio del pericolo, e i vesuviani cercheranno allora casa ai limiti, tra Angri e Nocera. Poi, tra un po’ di anni la zona rossa Vesuvio verrà rielaborata di nuovo perché l’eruzione di riferimento sarà sicuramente pliniana, da notare che il Prof. Giuseppe Mastrolorenzo lo chiede già oggi, e i confini della zona rossa Vesuvio coincideranno allora con i limiti estremi della piana dell’agro nocerino -  sarnese fino ai contrafforti montuosi dei Monti Lattari e dei Monti Sarnesi. A nord  fino ai limiti della zona rossa flegrea...  Ovviamente il settore a rischio si amplificherà all’ennesima potenza. Nelle more degli ampliamenti delle zone rosse e prima che la cementificazione divori il territorio, è necessario che si costruiscano quelle famose bretelle di collegamento che in senso radiale dovranno collegare la sp 268 del Vesuvio con l’autostrada Caserta – Salerno (A30).  
Nell'attualità si può sperare solo nell'elaborazione di un piano d'emergenza... d'emergenza. Tra molti virtuosi anni avremo invece un piano d'emergenza strutturale che impone al territorio lo sviluppo sostenibile e non viceversa, cioè un piano che dovrà adeguarsi alle storture imposte dal cementificatore di turno.
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lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…