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domenica 10 novembre 2013

Il Vulcano Stromboli...di Malko

Il vulcano Stromboli
“Il Vulcano Stromboli e l’arcipelago delle Eolie” di MalKo

Quando un po’ di anni fa raggiungemmo l’isola di Stromboli con una motobarca,apprezzammo immediatamente l’odore caratteristico di lava e fiori misti alla salsedine. Ci avvicinammo di poppa alla riva gettando l’ancora a poche decine di metri dai sassolini vulcanici arrotondati dall’onda. Dopo aver filato tutto il cavo a disposizione, l’ancora rimase comunque appennellata, cioè non toccava il fondo. Aggiungemmo altro cavo ma senza successo. Per avere un appiglio dovettimo quasi toccare riva. Alzammo allora il capo seguendo il profilo del monte, che altro non era che la parte più piccola dell’edificio vulcanico che si ergeva dagli abissi marini…
Lo Stromboli ancora oggi viene definito il faro del Mediterraneo. Quest’appellativo la dice già lunga sulla tipologia eruttiva che, pur non essendo particolarmente violenta, presenta una sequenza continua che dura da alcuni millenni, consentendo all’isola l’ingresso nella top 10 dei vulcani più eruttivi del mondo. Il faro naturale praticamente è sempre acceso e fornisce un punto di riferimento ben preciso ai naviganti, che lo cercano dalle plance dei bastimenti nelle notti buie…
Il cono dello Stromboli è uno dei sette apparati che svettano fuor d’acqua nel Tirreno meridionale, ma dobbiamo annoverare anche un bel po’ di fratelli vulcanici dell’arco eoliano, come il Palinuro e il possente Marsili che, pur dominando le profondità marine, non sono riusciti ad emergere mantenendo quindi un ruolo defilato di seamount.
Il Dott. Daniele Andronico, ricercatore dell’INGV di Catania,annovera tra le sue attività istituzionali anche lo studio di questa particolare e spettacolare e panoramica zona insulare, che comprende non solo i vulcani dell’arcipelago delle Eolie, ma anche il maestoso Etna che sarà oggetto di un prossimo articolo dedicato.

Dott. Andronico cos’è l’arco eoliano?
L’arco Eoliano è il risultato della collisione tra la placca Africana e quella Euroasiatica e si trova, in particolare, tra il bacino di retroarco del Mar Tirreno Meridionale e la catena orogenica dell’Arco Calabro. La sismicità registrata in quest’area ci indica che una porzione della placca Africana è in “subduzione” (s’immerge) sotto la placca Euroasiatica, dando origine al vulcanismo delle isole Eolie. Le rocce più antiche di questi apparati sono state datate intorno a 1.3 milioni di anni di età, che viene considerata anche la data di nascita dell’arcipelago, costituito com’è noto, da ben sette isole vulcaniche.

Quali sono le caratteristiche del vulcano Stromboli?
Stromboli è l’isola più settentrionale dell’arcipelago, e la sua porzione subaerea che si eleva fino a un massimo di 924 m in località Vancori, si è iniziata a formare circa 85000 anni fa. Oggi sappiamo, grazie ad accurati rilievi batimetrici, che il vulcano si estende fino a circa 1500-1800 m sotto il livello del mare, formando un cono quasi regolare, con fianchi ripidi e uniformi. La citatissima Sciara del Fuoco, la depressione che nella porzione subaerea dello Stromboli occupa il fianco nord-occidentale dell’isola, continua ancora per parecchie centinaia di metri sotto il livello del mare, fino a confluire in una zona di accumulo. La morfologia di questa porzione del vulcano attesta in qualche modo le cause della sua formazione, legate a ripetuti fenomeni di instabilità e di collasso del fianco vulcanico.
L’isolotto di Strombolicchio che si erge appena dal mare a quasi due chilometri  di distanza dallo Stromboli, rappresenta invece ciò che rimane di un edificio vulcanico più antico (oltre  200000 anni), smantellato nel tempo dagli inarrestabili fenomeni di erosione marina.

Sarà proprio l’attività stromboliana che si manifesta prevalentemente all’interno del cratere, anche in termini di lava, che ha consentito al vulcano di “uscire” dall’acqua senza essere preda dell’erosione marina?
L’attività ordinaria dello Stromboli, osservata fin da epoca romana, consiste in esplosioni stromboliane persistenti, che si susseguono con una frequenza eruttiva oraria che può variare significativamente anche nello stesso giorno, con una media di 5 - 10 esplosioni l’ora, durante le quali vengono emessi ceneri, lapilli e bombe. I prodotti più grossolani possono raggiungere i 200 m di altezza e, ricadendo verso il basso, si accumulano sulla sommità e sui fianchi del vulcano, contribuendo alla sua graduale crescita. Attualmente l’attività eruttiva ordinaria avviene dentro la terrazza craterica (localizzata sulla sommità dell’apparato), dove convenzionalmente sono presenti 3 aree crateriche e alcune bocche eruttive attive contemporaneamente (in genere da 2 a 6). Durante l’attività ordinaria, si possono occasionalmente verificare emissioni di modeste colate laviche che restano confinate dentro la terrazza o al più fuoriescono per alcune decine di metri sull’orlo nord-occidentale del vulcano, riversandosi nella Sciara del Fuoco.
La struttura geologica dello Stromboli, così come la sua storia eruttiva, ci mostra che l’attività ordinaria può essere interrotta da eruzioni prevalentemente effusive, che producono colate laviche dalla sommità o dai fianchi del vulcano. Le lave, cioè i prodotti dell’attività effusiva, sono più resistenti all’azione del mare e riescono a proteggere meglio i versanti vulcanici dall’offesa erosiva. I vulcani costituiti da prodotti più incoerenti dell’attività esplosiva (ceneri, lapilli e bombe) invece, sono maggiormente soggetti all’azione dirompente del mare.
Non va dimenticato, comunque, che durante la sua storia eruttiva lo Stromboli ha prodotto anche eruzioni parossistiche, cioè eventi vulcanici d’intensità e durata maggiore rispetto alle esplosioni stromboliane, capaci di modificare parzialmente o significativamente la morfologia dell’edificio vulcanico.
Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito a due di questi eventi, avvenuti il 5 aprile 2003 e il 15 marzo 2007, in seguito ai quali la terrazza craterica è stata completamente distrutta a causa di collassi craterici. In entrambi i casi, sono stati necessari alcuni anni di attività stromboliana ordinaria affinché si potessero nuovamente formare e distinguere in sommità, dal punto di vista morfologico, aree crateriche, coni di scorie e bocche esplosive.

Al Palinuro sono mancati solo 84 metri per essere un vulcano subaereo…
È vero, ma se alla fine della sua attività eruttiva la parte emersa fosse stata formata solo da prodotti dell’attività esplosiva piuttosto che da colate di lava, probabilmente non avrebbe avuto vita lunga. Basti pensare all’isola Ferdinandea, il vulcano nato e cresciuto tra la fine di giugno e la fine di agosto 1831 nel canale di Sicilia in seguito a un’eruzione sottomarina. Sebbene l’intensa attività esplosiva avesse costruito un cono emerso di ben 60 m, in pochi mesi l’isola, inizialmente contesa tra inglesi, francesi e italiani, scomparve nuovamente sotto il livello del mare a causa dell’azione distruttrice delle correnti marine, tanto da meritarsi in seguito l‘appellativo di “isola che non c’è”. In quel caso, fu soprattutto la mancanza di lava a rendere inconsistente la compattezza dell’isola.

Dott. Andronico, il fatto che lo Stromboli sia permanentemente in eruzione salvaguarda la popolazione da eruzione a maggiori energie?
Non è esattamente vero. Quando si parla dei pericoli per l’esposizione a un vulcano, bisogna innanzitutto rifarsi alla sua storia eruttiva (anche recente) e allo studio dei depositi ad essa associati. Per quanto riguarda lo Stromboli, sappiamo benissimo, senza andare troppo indietro nel tempo, che nel secolo scorso l’attività eruttiva del vulcano è stata caratterizzata da un’eruzione particolarmente energetica. Nel 1930, infatti, lo Stromboli produsse una serie di fenomenologie eruttive devastanti per gli abitanti che in migliaia abbandonarono l’isola per sempre. Basti pensare che oggi, in pieno inverno, a Stromboli vivono circa 350 persone…
Anche negli ultimi anni, gli eventi parossistici più energetici hanno causato direttamente o indirettamente danni rilevanti. Ad esempio, la ricaduta di blocchi di dimensione metrica ha distrutto alcune abitazioni sulle pendici inferiori del vulcano. Eventi di frana lungo la Sciara del Fuoco poi, hanno generato in alcuni casi onde di tsunami che hanno impattato la fascia costiera dell’isola, mentre la caduta di prodotti sufficientemente caldi sui fianchi vegetati del vulcano, ha innescato incendi di una certa gravità che hanno talora minacciato da vicino gli insediamenti abitativi.

L’INGV di Napoli ha a che fare con vulcani più silenti ma molto più pericolosi. La struttura di Catania ha compiti più facili in termini di sorveglianza vulcanica rispetto ai colleghi napoletani?
L’Osservatorio Etneo, Sezione di Catania, ha come compiti istituzionali il monitoraggio sismico e vulcanico di tutta la Sicilia orientale. Ciò vuol dire la sorveglianza di vulcani tanto affascinanti quanto “attivi” come Etna, Stromboli 
L'Etna

e Vulcano, attraverso l’acquisizione di tutta una serie di parametri vulcanologici, geofisici e geochimici, trasmessi da decine di stazioni di monitoraggio. Prendiamo l’Etna, uno dei vulcani più attivi del mondo: negli ultimi 20 anni ha prodotto molto frequentemente eruzioni esplosive di tipo parossistico. Queste eruzioni, per lo più sotto forma di fontane di lava, sono caratterizzate dalla formazione di colonne eruttive la cui porzione sommitale viene poi sospinta dai venti dominanti in quota, causando ricaduta al suolo di ceneri, lapilli e scorie fino a decine di km di distanza dal vulcano. Prima ancora di cadere a terra, tuttavia, queste nubi eruttive possono essere una fonte di grande pericolo per il traffico aereo, perché il materiale vulcanico può danneggiare in maniera irreversibile carlinghe e motori degli aerei, e quindi ridurre la sicurezza dei voli. L’aeroporto di Catania è uno dei più importanti d’Italia in termini di numero di passeggeri e voli; uno dei nostri compiti più critici è proprio quello di avvisare gli enti aeroportuali della possibile presenza di particelle vulcaniche in sospensione nello spazio aereo regionale, oltre che della possibile ricaduta di materiale piroclastico direttamente sulle piste di atterraggio. Le analisi dei segnali acquisiti ci permettono di dare con sufficiente anticipo un’allerta sull’imminenza di un evento parossistico e, attraverso sofisticati modelli numerici che simulano la propagazione delle ceneri vulcaniche, anche lo spazio aereo eventualmente coinvolto e la probabile area di ricaduta al suolo dei materiali trasportati dal vento.
Se si pensa che dal 1998 ad oggi ci sono state oltre 150 fontane di lava, fenomeni all’origine del problema, possiamo ben comprendere quanto sia decisiva l’attività scientifica di sorveglianza e monitoraggio svolta dal nostro personale. L’ultimo episodio di fontana di lava è avvenuto pochi giorni fa, esattamente il 26 ottobre 2013.
Ringraziamo il Dott. Daniele Andronico per averci illustrato in modo semplice ed efficace i processi di formazione delle isole Eolie e dello Stromboli con alcune caratteristiche che differenziano i vari apparati ed altre ancora che lasciano intuire il complicato lavoro di sorveglianza vulcanica effettuato dalla struttura scientifica etnea. I ringraziamenti sono ancora più sentiti, perché la collaborazione giornalistica è avvenuta in un momento di notevoli impegni lavorativi dettati appunto dall’ennesima e attualissima eruzione dell’Etna.
Il Dott. D. Andronico ci ha ricordato inoltre e a proposito dell’Etna, quanto sia importante per la sicurezza del traffico aereo  l’informativa sulla dispersione delle ceneri vulcaniche in quota e al suolo. E’ interessante notare, da questo punto di vista, che il servizio geologico americano (USGS) nella diramazione dei livelli di allerta vulcanica segnala in contemporanea anche il livello di rischio per l’aviazione dettato dalla cenere e dalla polvere dispersa nell’atmosfera. Le due pericolosità infatti, possono non andare di pari passo.

-    Foto di copertina -  Il Cratere Sud di Stromboli in eruzione al tramonto: attività stromboliana dalla bocca centrale, e intensa emissione di gas caldi da una bocca laterale. Immagine scattata a maggio 2013 da D. Andronico

-     Foto pag.4  - Etna 2012 - MalKo

venerdì 5 luglio 2013

Rischio Vesuvio e prevenzione della catastrofe: ... di Malko

Vigili del Fuoco (SAF) in esercitazione

“Il Dipartimento della Protezione Civile, i Piani d’emergenza Vesuvio e le attività di monitoraggio nel cratere” di MalKo

I piani di emergenza ancora in corso di elaborazione per la plaga vesuviana, hanno visto fin qui all’opera pianificatori che hanno congegnato tra l’altro un sistema di comando e controllo in verità già nelle premesse macchinoso e pachidermico.
Purtroppo anche il piano d’emergenza Vesuvio, che non è il piano d’evacuazione, è stato figlio di un’epoca in cui la protezione civile non disdegnava le operazioni mediatiche. Tra l’altro il leader indiscusso del dipartimento era particolarmente intollerante verso i non allineati o i cretini seminatori di panico, e su tutti gravava la spocchiosa minaccia di denuncia per procurato allarme…
Gli scienziati inviati all’Aquila dal mitico Guido Bertolaso, una settimana prima del luttuoso terremoto del 6 aprile 2009, pare che avessero il compito di annichilire il povero Giampaolo Giuliani e ridicolizzare il suo poco accademico e profetico allarmismo.
Chi fosse Bertolaso e quale fosse il suo livello di serietà, lo si evince non dalle cronache del salaria sport village, ma dal gala di commiato dalla protezione civile, dove nel consesso conviviale con i suoi adepti ridacchianti, si lasciò andare alla famosa battuta che …un’eruzione del Vesuvio, da buon leghista, non bisognava considerarla come una gran disgrazia

La sconcia ironia si presterebbe facilmente a ogni tipo di commento nefando. A ben rifletterci però, suona più fastidioso il ridacchiare dei dipendenti che si sbellicavano con risate a crepapelle per compiacere il gran capo.  Se avessero fatto il loro dovere da buoni impiegati dello Stato, o da buoni leghisti se vogliamo, avremmo avuto un piano d’evacuazione e non la certezza della disgrazia in caso di eruzione del Vesuvio, come con ilarità si alludeva. Bertolaso non ricordava con piacere le falde vesuviane, perché in uno dei comuni della zona rossa, Terzigno, il suo lavoro di commissario straordinario ai rifiuti fu ostacolato malamente dai cittadini locali che si opposero fino allo stremo alla discarica che alla fine purtroppo e con una organizzazione militare fu realizzata nel Parco Nazionale del Vesuvio, proprio sulle colline care a Bacco...
Al Dipartimento della Protezione Civile toccava, in ragione di un rischio definito d’importanza nazionale, pungolare le amministrazioni comunali affinché preparassero uno straccio di piano di tutela per gli oltre seicentomila abitanti del vesuviano.
Certe storie che riguardano le emergenze o la prevenzione sono piene di aneddoti che vanno dalle rassicurazioni fittizie, alle risate post terremoto come all’Aquila; e poi ancora risatine beffarde parlando dello sterminator Vesevo (Vesuvio); poi si spararono grosse sciocchezze come il colpo in canna all’isola d’Ischia, intendendo un’eruzione bell’è pronta, o come la storia del meteorite al centro di Roma, forzando un’analogia impossibile tra rischio vulcanico e cosmico.  Che dire…
Siamo sicuri che il processo a L’Aquila contro l’ex  commissione grandi rischi si arricchirà di nuovi capitoli soprattutto se gli imputati avranno il coraggio del riscatto dicendo la verità. Le aule giudiziarie ci riserveranno ancora cronaca, né nera né rosa, probabilmente solo umanamente indecente… con qualche medaglia che intanto andrebbe rimossa da un petto spaccone e irridente.
Il Dipartimento della Protezione Civile qualche anno fa fu oggetto di una proposta di privatizzazione (Protezione Civile servizi s.p.a.). I protettori in quel periodo curavano le emergenze, ma anche i grandi eventi sportivi, e poi le discariche campane con qualche defaillance raccapricciante, e poi il G8 e ancora le beatificazioni e ancora funerali solenni e poi ci siamo chiesti come mai avessero in forza una flotta operativa di Canadair, quando in realtà gli uffici dipartimentali dovevano essere solo una struttura di coordinamento operativo. Le miriadi di attività oggi ridimensionate anche a suon di scandali, hanno fatto si che il personale del dipartimento negli anni sia cresciuto numericamente. Forse anche troppo e, quindi, venendo meno gli innaturali compiti, qualche procedura di mobilità per i dipendenti in esubero dovrebbe essere nella naturalità delle cose in un momento difficile per i revisori dei conti e per le altre istituzioni acutamente sotto organico.
Alla Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco di Napoli, braccio operativo del Ministero dell’Interno per il soccorso tecnico urgente, è affidato il compito di trovare una soluzione d’emergenza al piano d’emergenza deficitario. Un particolare utilizzo delle autostrade e una rimodulazione del traffico sono l’unica scelta possibile a un’evacuazione a piedi. Per i paesi ricadenti totalmente nell’area nera, cioè quelli posti in una posizione mediana tra mare e monte, bisogna dare spazio alla mobilità marittima stilando piani che consentano di sfruttare il naviglio leggero in servizio giornaliero nel Golfo di Napoli per il collegamento con le isole.
Nella poco pubblicizzata esercitazione Vesuvio 2001, che si tenne a Portici dodici anni fa, si testarono tutti i mezzi di locomozione: i traghetti veloci, esclusi dal piano d’emergenza, guarda caso furono quelli più funzionali per rapidità di manovra e spostamento.
Qualcosa comunque non funziona negli apparati di prevenzione. Non ci siamo.  L’Osservatorio Vesuviano ha diramato una nota nel bollettino mensile (marzo 2013) di sorveglianza vulcanica campana con questa postilla:<<… Le operazioni di monitoraggio nel fondo del cratere del Vesuvio sono state sospese, in quanto richiedono il supporto di una guida specializzata in grado di effettuare misure e campionamenti in un sito non raggiungibile da personale non specializzato in tecniche di alpinismo, non presente all'Osservatorio Vesuviano. Tale supporto, assicurato nel passato con un contratto esterno di tipo professionale, non è stato più rinnovato nel 2013 a causa del taglio dei fondi assegnati. >>.
Avendo a cuore la prevenzione del rischio vulcanico nell’area vesuviana e quella dei seicentomila esposti al pericolo di colate piroclastiche, vogliamo appena ricordare al Direttore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV), Marcello Martini che, alla stregua di quanto succede all’Etna dove la sede di vulcanologia dell’INGV  si avvale della Guardia di Finanza e del Corpo Forestale dello Stato per andare in cima, a Napoli è possibile scendere nel cratere del Vesuvio anche con l’appoggio di personale specializzato del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Bastava farne richiesta, magari già a ridosso degli eventi sismici che destarono meno di un mese fa preoccupazione tra gli abitanti per ricevere il prezioso supporto dal personale VVF (SAF), preposto appunto agli interventi in ambiente ostile...  


lunedì 27 maggio 2013

Campi Flegrei: Deep Drilling Project e Marsili Project




"Deep Drilling Project ai Campi Flegrei e Marsili project nel Tirreno" di MalKo
I composti fermenti popolari che stanno accompagnando il famoso Deep Drilling Project nei Campi Flegrei, devono portarci a riflettere sui motivi per cui si è creato questo fronte del No alla trivellazione. Eppure la proposta scientifica riguarda nel concreto la possibilità di applicare strumenti di precisione nel sottosuolo calderico, capaci di cogliere ogni minima variazione dei parametri fisici e chimici del vulcano. Dovrebbe essere un vantaggio per le popolazioni, ovviamente in assenza di rischi provenienti dalla trivellazione e dal profondo. I pericoli in questo caso non sono palesi, ma più semplicemente prospettati da emeriti studiosi dei fenomeni vulcanici.
Quelli dell’INGV, con qualche eccezione, hanno un po’ taciuto sui risvolti che hanno caratterizzato alcune famose trivellazioni nel mondo. Altri invece, hanno parlato e illustrato quegli elementi di rischio insiti nelle perforazioni soprattutto in area vulcanica.
I fautori del deep drilling hanno argomentato la scelta dei Campi Flegrei come necessità legata alla mitigazione del rischio vulcanico; bisogna dire però, che inizialmente la grancassa era battuta prevalentemente sullo sfruttamento dell’energia geotermica.
La necessità di spingere la ricerca nell’individuazione di energie rinnovabili con il raggiungimento d’importanti traguardi entro il 2020, ha forse spinto l’INGV a entrare in azione sul terreno della geotermia industriale, assicurando un impegno scientifico alla società Eurobuilding S.p.a. che già nel 2005 avviò indagini e studi sul vulcano sottomarino Marsili, qualche anno fa assurto alle cronache prevalentemente per un’ipotesi catastrofica senza fondamento scientifico.
Importanti sinergie abbiamo detto, furono stabilite dalla società marchigiana oltre che con l’INGV con Enzo Boschi inserito nel comitato scientifico, anche con il CNR ISMAR di Bologna, e l’Università di Chieti e Bari.
Nel 2006 una crociera oceanografica sul vulcano sottomarino evidenziò la presenza all’interno dell’apparato del Marsili di flussi geotermici ad alto contenuto energetico. I vertici dell’Eurobuilding spa, quindi, hanno progettato con i partner istituzionali il primo pozzo geotermico al mondo da realizzare in ambiente sottomarino: si dovrà trivellare il fianco roccioso del monte vulcanico da una piattaforma semisommergibile.   Il Marsili Project prevede l’acquisizione di dati, la perforazione e quindi l’estrazione di energia dal fondo. Sarà il primo impianto geotermico offshore nell’area tirrenica o forse del mondo .
Il Ministero per lo Sviluppo Economico ha rilasciato all’Eurobuillding nel Novembre del 2009, un permesso di ricerca esclusivo per fluidi geotermici nel tirreno meridionale .
Il progetto Deep Drilling Project ai Campi Flegrei invece, fu presentato dall’INGV a Poznan nel 2008, nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici.  Enzo Boschi profferì: “… oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata…”.
Nel 2010 sempre Enzo Boschi e a proposito del Marsili, precisò che il cedimento delle fragili pareti del vulcano subacqueo potrebbero muovere milioni di metri cubi di materiali che potrebbe generare un’onda anomala devastante.  Nell’occasione affermò:<< Il Marsili non solo è sommerso ma è privo di sonde pronte ad ascoltare le sue eventuali cattive intenzioni. Bisognerebbe installare una rete di sismometri attorno all’edificio vulcanico collegati a terra a un centro di sorveglianza. Ma tutto ciò è al di fuori di qualsiasi bilancio di spesa… Quello che serve – concluse Boschi – è un sistema continuo di monitoraggio per garantire attendibilità. Ma è costoso e complicato da realizzare. Di sicuro c’è, che in qualunque momento potrebbe accadere l’irreparabile e noi non lo possiamo stabilire>>.
Il gigantesco vulcano sommerso misconosciuto fino a qualche anno fa, improvvisamente diventa il braccio distruttivo della profezia Maya e contemporaneamente il più importante sito di energia rinnovabile del Pianeta…Da più parti si levarono voci un po’ critiche circa la necessità di pensare un po’ meno al Marsili e molto di più al Vesuvio a proposito di catastrofi e di eruzioni.
Il Deep Drilling Project ai Campi Flegrei, è stato approvato dal comitato internazionale nel 2009,  con dibattiti prevalentemente tra esperti del settore anche d’oltralpe . Non c’è dato di sapere se in quei consessi si siano sollevate voci dubitative a proposito degli indici di sicurezza per la popolazione.
Il Prof. Benedetto De Vivo dell’Università Federico II di Napoli ha espresso tutte le sue contrarietà sul progetto di perforazione profonda. Il sindaco Rosa Russo Iervolino, sentite le discordanze sui rischi, operò una sintesi decisionale molto ferma dettata forse anche dalla sua precedente esperienza di Ministro dell’Interno. Infatti sentenziò: <<la perforazione deve attendere il parere vincolante del Dipartimento della protezione civile. >>.
Su richiesta municipale al Dipartimento fu indetta una riunione nell’ottobre del 2010, per esaminare nei dettagli il progetto di perforazione profonda coordinato dal Prof. G. De Natale. La risposta finale fu abbastanza chiara e così riassumibile: Il progetto che prevede l’attività di trivellazione ai Campi Flegrei, <<…non è tra quelli che vede coinvolto il Dipartimento della Protezione Civile, e la società Bagnoli Futura,il cui Comune di Napoli detiene la maggioranza, ha già sottoscritto un accordo che autorizza le attività relative al progetto.>>.
Ovviamente nel momento in cui il dipartimento della protezione civile se ne lavò le mani, la palla ripassò tutta al sindaco Iervolino che, nella sua veste di autorità locale in tema di sicurezza pubblica, pronunciò un secco No alle trivelle.
Con le elezioni del 2011 e il passaggio di mano tra primi cittadini a favore di Luigi De Magistris, ex magistrato, i termini della questione si sono rovesciati. I promotori del deep drilling project sono tornati alla carica. La perforazione ha preso quindi corpo e vigore e oggi ha raggiunto i duecento  metri di profondità.  Il responsabile del progetto CFDDP, Prof. De Natale, ha chiarito che entro il mese di ottobre 2012 si porrà fine alla trivellazione dei primi cinquecento metri cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche del pozzo che deve essere debitamente e diversamente autorizzato.
Il quartiere di Bagnoli così come quelli vicini con l’aggiunta di alcuni comuni limitrofi, ricade territorialmente direttamente nella caldera flegrea,  delimitata verso sud dalla collina di Posillipo.  Trattandosi di uno dei dieci vulcani più pericolosi del mondo non c’è da stare allegri.  Esattamente alla stregua di chi vive all’ombra del Vesuvio o negli alvei fluviali o sui pendii franosi.
I promotori del deep drilling parlano molto spesso di mitigazione del rischio vulcanico attraverso sensori capaci di allertare un sistema di protezione civile che nei Campi Flegrei come al Vesuvio e come ormai sanno tutti non c’è.
La mitigazione del rischio vulcanico non può essere racchiusa solo nei sensori ubicati in profondità, di cui ancora non palesiamo durata ed efficacia,  ma in tanti altri aspetti della sicurezza, come ad esempio la stesura dei piani d’emergenza e di evacuazione, identificabili  come strumenti di difesa attiva, che diventerebbero operativi allo scattare dell’allarme e su decisione politica non locale.
C’è quindi bisogno di  pianificare uno sviluppo sostenibile anche su lungo termine, che tenga in debito conto le realtà territoriali comprensive sì di risorse, ma anche di rischi naturali. Così come c’è bisogno di istituzioni sane e competenti capaci di suggerire con fermezza alla politica in tutte le sue diramazioni nazionali regionali e locali, le scelte possibili che possono essere anche,udite udite,  di inevitabile rinuncia.
Scrive Le Science, che è più facile carpire segnali eruttivi da uno strato vulcano ma non da una caldera come quella flegrea che risiede in buona parte sott’acqua. Con le caldere, si legge, siamo fortunati se abbiamo un preavviso eruttivo di qualche giorno o ore.
L’autorità che ha presentato il progetto di perforazione profondo presso il Comune di Napoli, oltre a richiedere il permesso per il deep drilling avrebbe dovuto mettere nero su bianco e con la stessa veemenza, che è una vera ipocrisia continuare a costruire in senso residenziale all’interno di un vulcano.
Quelli del deep drilling per fronteggiare le polemiche hanno indossato recentemente la stella di sceriffo del dipartimento della protezione civile per gli aspetti vulcanici e sismici in Campania. C’è da presumere quindi, che avranno bacchettato duramente il presidente della Regione, Caldoro, che ha appena firmato un decreto (Taglialatela) per attenuare i disposti e gli effetti della legge regionale 21/2003 sull’inedificabilità assoluta in zona rossa.
Avranno pure rappresentato ai sindaci del vesuviano e dell’area flegrea l’assurdità di ammonticchiare ulteriormente attraverso condoni e piani casa , genti alle genti sui vulcani dormienti che racchiudono in sé una pericolosità  notoriamente esplosiva.
Sicuramente poi, avranno fatto notare, che anche la più stupida delle eruzioni distruggerà un bel po’ di case sul Vesuvio, perché il vulcano campano non ha le dimensioni e le distanze dell’Etna. Avranno detto pure che non ci sono neanche le condizioni per deviare la lava, laddove fosse possibile, perché la corona di base del Vesuvio è interamente urbanizzata e non si può salvare, legge alla mano, un abitato a scapito di un altro. Avranno pure fatto notare che nei Campi Flegrei la situazione è ancora più complessa e il pericolo può essere ancora più subdolo: può venire dagli abissi marini, ed è imponderabile nella sua intensità…
I politici, generalizzando, sono contentissimi quando la scienza propone di mettere sensori di allarme, così possono continuare a urbanizzare le zone a rischio perché c’è la sirena… Se la situazione dovesse precipitare, la colpa poi è della scienza, incapace di prevedere e non della politica che ha affollato le aree a rischio vulcanico.
Si ha la sensazione che la perforazione dei Campi Flegrei sia stata presentata come operazione di mitigazione, ma in realtà abbia scopi ben più precisi e pratici legati all’approccio tecnologico e scientifico ai fluidi critici ad alta temperatura e pressione posti nel profondo della Terra.
Nessuna industria geotermica dovrebbe sorgere su di un vulcano esplosivo ubicato in una metropoli affollata come quella partenopea, col bradisismo che potrebbe minare gli impianti, l’acqua salata le turbine, i terremoti la tranquillità della zona, e le eruzione l’intero panorama.
Ci rendiamo conto dell’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti per accedere alle energie rinnovabili, e l’INGV fa bene a scendere in campo in un settore strategico per la Nazione. Bisogna individuare però, situazioni geologicamente parlando un po’ più tranquille di una caldera sede di un possibile supervulcano, con fluidi e magma che tra l’altro deformano la superficie già in tempo di pace… Occorrerebbe qualcosa di simile a Larderello in Toscana: soffioni caldissimi  in un paesino  in parte di proprietà dell’ENEL, che conta  850 abitanti .
In una Terra di terremoti e sollevamenti misurabili a metri, il problema non è captare la microscossa sismica o il micromillimetro, bensì se le scosse sono prodromi e se il sollevamento è inarrestabile…

Il Vulcano Marsili


" Il vulcano Marsili sarà di scena il 21 maggio 2011? 
Nota del Professor Mastrolorenzo " di MalKo

Alcuni lettori ci scrivono con una certa inquietudine perché circola in rete e sui media, la profezia enunciata dai parascienziati, così li chiamano, che il 21 maggio 2011 il vulcano Marsili debba produrre un’eruzione accompagnata da onde di tsunami che spazzerebbero la parte meridionale della nostra Penisola che si affaccia sul tirreno. Gli scenari così prospettati, va da se che sono un tantino surreali.

La lettrice Monica, nello spazio riservato ai commenti, ha posto alcune domande a proposito del Marsili e della sua pericolosità intrinseca.
Andiamo alle risposte. L’Etna per storia e tradizione è un vulcano di superficie, di notevole importanza ed è più che monitorato. Il Marsili per ubicazione e storia recente, dubitiamo che possa essere controllato in termini fisici e chimici alla stregua di quanto già si fa per l’Etna. Bisogna anche dire che da poco, anche sulla scorta di allarmismi ingiustificati, l’attenzione sul vulcano più grande d’Europa sia  nettamente in crescita.

La lettrice Monica ovviamente, attraverso le sue domande intendeva capire se siamo in condizioni di prevedere un’eruzione vulcanica con netto anticipo. Le eruzioni vulcaniche non sono matematicamente prevedibili, sia nel lungo sia nel medio termine. Nel breve e brevissimo invece, forse è possibile azzardare ipotesi che potrebbero rivelarsi comunque e alla fine fallaci.

Anche se eruttasse il Marsili, una distanza di oltre cento chilometri dalla costa con una colonna d’acqua sovrastante di quattrocentocinquanta metri, dovrebbe rappresentare un limite di sicurezza cospicuo per ritenere le popolazioni peninsulari al sicuro dai fenomeni vulcanici più violenti e distruttivi.
Del Marsili quindi, più che l’eruzione, è stato sottolineato il rischio tsunami come elemento concreto di preoccupazione, generabile, dicono gli esperti,  da frane da crollo che potrebbero staccarsi dai declivi subacquei del monte sommerso.
Tali crolli potrebbero originarsi in seno a un’eruzione, un sisma o anche per processi naturalmente legati alla gravità e ai suoi equilibri.

Per capire il problema in termini concettuali, basti pensare a quello che succede in una piscina: il nostro voluminoso amico che si getterà in acqua a tuffo, genererà onde. Se lo stesso scende lentamente dalla scaletta, l’acqua rimarrà sostanzialmente immota. La frana quindi, nel caso di eventi legati a questo tipo di fenomeno e remotamente ipotizzati per il Marsili, per produrre onde anomale, dovrebbe essere volumetricamente (metri cubi) molto grande, con velocità di distacco e impatto sostenuta, per  smuovere masse d’acqua dai fondali che si muoverebbero poi sotto forma di onde. Predire un’eruzione è un azzardo. Prevedere una frana lo è ancora di più. Indicare una data di una calamità è fuori da ogni logica scientifica.

Al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, esperto di vulcani, chiediamo una nota che valga come risposta alla nostra lettrice Monica, ma anche a tutti i nostri lettori che vivono con ansia una profezia, quella della fine del mondo ad opera del Marsili, il 21 maggio 2011, che, pur non avendo fondamento in termini di previsioni, si è rivelata a torto notizia a  grande  impatto giornalistico.
Il parere del Professor Mastrolorenzo è il seguente:

<< le conoscenze vulcanologiche sul Marsili sono ancora limitate, e da poco è stata ipotizzata la realizzazione di una rete di monitoraggio confrontabile con quelle di altri vulcani attivi italiani. 
Allo stato attuale non esistono elementi per ritenere che siano state o siano in atto modificazione di parametri vulcanologici, geochimici o geofisici che riguardano il Marsili. In termini rigorosamente scientifici quindi, non c’è alcuna novità! Suggerisco a questo proposito un criterio molto semplice e universalmente valido per capire se una data notizia riguardante il rischio di terremoti, eruzioni vulcaniche, frane o tsunami, possa avere fondamento scientifico. Si adotti la regola che, qualsiasi notizia riguardante uno di tali eventi, che riporti anche il giorno in cui si verificherà, deve essere del tutto ignorata.  Questo perché con le attuali conoscenze scientifiche è assolutamente impossibile la previsione di un’eruzione, un terremoto o di altri eventi a questi correlati, che riportino addirittura l’indicazione della data. Si parla, infatti, sempre di generiche probabilità che l’evento possa verificarsi in un intervallo più o meno lungo, ma mai di certezza>>.