Translate

Visualizzazione post con etichetta giuseppe mastrolorenzo INGV. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta giuseppe mastrolorenzo INGV. Mostra tutti i post

lunedì 11 maggio 2015

Rischio Vesuvio: con il Prof. G. Mastrolorenzo, eruzioni e archeologia... di MalKo

Scavi archeologici Ercolano

Un interessante filmato che ci rimanda il web, mostra una concentrazione di resti fossili di dinosauri rinvenuti ammassati l’uno sull’altro in una sorta di fossa ubicata nel deserto del Gobi in Cina. Qualcuno di questi predatori presentava il collo spezzato probabilmente in seguito a un combattimento. Il mistero protrattosi per oltre cento milioni di anni è stato spiegato analizzando i sedimenti che ricoprivano le carcasse di questi carnivori. Tutti preda di una sorta di fango oltremodo vischioso che li ha bloccati e poi inglobati. Oggi, grazie ai processi erosivi naturali, sono ritornati alla luce del giorno sotto forma di fossili ben conservati …
I formidabili dominatori del Pianeta si ritrovarono a caccia di cibo in una rigogliosa palude, quando incominciò a piovere copiosamente cenere sottilissima frutto di una eruzione vulcanica. I finissimi prodotti piroclastici precipitati nell’acquitrino innescarono la trappola del fango. Il primo predatore in difficoltà divenne vittima per gli altri che a loro volta divennero prigionieri di una fatale poltiglia incollante…  Gli autori del documentario o forse gli stessi paleontologi hanno intitolato il filmato: la Pompei dei dinosauri…Intendendo un’istantanea tridimensionale di esseri viventi bloccata per migliaia e migliaia di anni sulla “lastra fotografica” offerta dai prodotti di un vulcano in eruzione…

Professore Mastrolorenzo, l’eruzione del Vesuvio di circa 3800 anni fa, meglio nota come delle pomici di Avellino, ha conservato e restituito nel nolano un villaggio preistorico dell’età del bronzo a distanza di migliaia di anni dal furioso evento che sconvolse la plaga vesuviana. Una caratteristica dei prodotti vulcanici questa propensione alla conservazione?

La deposizione di ceneri vulcaniche a seguito di eventi esplosivi, in molti casi ha consentito la perfetta conservazione di siti di interesse paleontologico, archeologico e storico, grazie al rapido e progressivo accumulo di strati  in grado di preservare ogni dettaglio della superficie terrestre interessata; dal suolo, alle impronte, ai resti di fauna, flora e insediamenti umani. 
Pompei è l'esempio più noto al mondo di come un'eruzione possa restituire alla stregua di un fermo immagine scene di vita quotidiana datate centinaia di anni. Altri esempi analoghi riguardano l'intera storia del Pianeta con casi anche recenti come l'eruzione del monte Merapi, nel 2010, che ha drammaticamente riproposto scene di morte e distruzione molto verosimilmente analoghe a quelle di Pompei…
Oltre al tasso di accumulo dei depositi piroclastici, che può essere decine di migliaia di volte più elevato dei normali processi di sedimentazione e di formazione dei suoli, altri fattori che influenzano le modalità di conservazione dei siti sono i processi di modificazione chimico fisica e di fossilizzazione, quali le temperature di deposizione, a volte elevate e l'eventuale rilascio di fluidi  dai materiali vulcanici  durante e dopo la deposizione.  In ogni caso, il rapido seppellimento, sia da ceneri fredde che calde, di fatto isola il sito per un lungo periodo consentendone spesso una migliore conservazione.  In realtà, anche negli eventi più devastanti, caratterizzati da flussi piroclastici ad alta temperatura e velocità, spesso restano perfettamente conservati gli effetti della catastrofe anche per millenni.

Sempre nel villaggio preistorico sono state rinvenute negli strati di cenere le orme dei fuggitivi che tentarono di sfuggire all’ira del Vesuvio. Riuscirono a mettersi in salvo?

I miei studi sulle due eruzioni pliniane delle Pomici di Avellino e di Pompei, hanno rivelato per la prima volta gli effetti catastrofici che ha subito il territorio e gli insediamenti umani da nord a sud,  in seguito alle devastanti manifestazioni esplosive del Vesuvio.
G. Mastrolorenzo - Pnas 2006
Resti del villaggio preistorico (Bronzo Antico) - Nola
Nel caso dell'eruzione dell'età del Bronzo Antico, in uno scavo effettuato nel 1995 nelle campagne di S. Paolo Belsito, ritrovammo alla base di uno spesso strato di Pomici i primi e unici due scheletri di vittime di quell’eruzione. Tra il 2001 ed il 2004  poi, ci fu la sensazionale scoperta di un villaggio preistorico perfettamente conservato dal deposito piroclastico, ed ancora  migliaia di impronte umane, segno che la  comunità insediata in quei luoghi si diede alla fuga nel corso dell'eruzione. Dallo studio di tali evidenze con la collaborazione di archeologi e antropologi, ho potuto ricostruire le varie fasi delle eruzioni e i suoi effetti. Mentre le uniche vittime rinvenute nelle pomici indicano una morte riconducibile alla prima fase dell'evento a causa dell'intensa pioggia di lapilli, tutti gli indizi e le evidenze riscontrate nel  villaggio, testimoniano un  esodo di massa dall’inizio dell'eruzione. D’altra parte le orme nei primi strati della cenere non lasciano dubbi. E' probabile che molti individui riuscirono a mettersi in salvo, per poi tentare successivamente ma senza successo,  la ricostruzione dei villaggi in quello che oramai era diventato un deserto vulcanico, esteso migliaia di chilometri quadrati tutto intorno al vulcano.  

Studiando i resti umani restituitici dal Vesuvio nell’eruzione di Avellino e in quella famosa di Pompei del 79 d. C. ci sono analogie tra le cause di morte?

L'assenza di vittime nell'area interessata dai flussi piroclastici, impediva una valutazione diretta degli effetti dell'eruzione sulle persone.  D'altra parte le mie ricerche sulle vittime dell'eruzione di Pompei, sconfessando definitivamente una vecchia ipotesi di morte per asfissia, hanno dimostrato che la maggior parte dei pompeiani che si erano  attardati nella fuga morirono all'istante per esposizione alle nubi piroclastiche con temperature anche superiori ai 300 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo  et al Plos One 2010
Calco di donna con bambino e bambino dormiente, così come ce li ha restituiti la cenere vulcanica (Pompei).
La postura è quella  immediatamente precedente al passaggio di un micidiale flusso  piroclastico.

Solo una parte degli abitanti dell’epoca  morì nella prima fase dell'eruzione  a seguito del crollo dei tetti.  Le evidenze di esposizione ad altissima temperatura riscontrabili nelle ossa delle vittime e documentate dalle loro posture (classificate come da cadaveric spasm), testimoniano inconfutabilmente la morte istantanea e senza  agonia, analoga a quella causata dalle esplosioni nucleari o da altri eventi estremi. Non è da escludere che gli stessi fenomeni interessarono le probabili vittime dell'eruzione di Avellino che ancora non sono state rinvenute. Dopo l'eruzione del Bronzo Antico si è avuto un arresto totale della facies culturale di almeno due secoli, per poi avere una ripresa lenta ascrivibile al periodo del Bronzo Medio.

La qualità e la quantità dei prodotti eruttati dalle due eruzioni citate avevano notevole differenze?
In  termini vulcanologici, le due eruzioni pliniane  citate non sono molto differenti tra loro, sia dal punto di vista dei volumi che dei meccanismi eruttivi; cambia solo la direzione di propagazione dei flussi piroclastici, che nell'eruzione del Bronzo Antico  si diffusero anche nell'area successivamente occupata dalla città di Napoli, evidenziando l'estrema pericolosità di un possibile e analogo evento futuro.

Diversi fuggitivi lì ad Ercolano nel 79 d.C., si ripararono sotto dei fornici in prossimità del mare: morirono tutti…
Una mia prima ricerca sugli effetti dell'eruzione del 79 A.D. sugli ercolanesi, pubblicata nel 2001 sulla rivista scientifica Nature e poi ripresa dai mass media, ha dimostrato come i circa 300 rifugiati nei 12 fornici lungo l'antica spiaggia di Ercolano, morirono all'istante in seguito al passaggio del primo flusso piroclastico, il surge S1, ad una temperatura superiore ai 500 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo - Nel 79 d. C. alcune centinaia di ercolanesi si rifugiarono all'interno di fornici
ubicati sul litorale. Furono vaporizzati da un flusso piroclastico e i loro resti sono stati custoditi per circa
duemila anni dalla finissima cenere vulcanica...

Posture naturali, connessioni anatomiche, modificazioni nella microstruttura delle ossa, estese fratturazioni da contrazione termica ed esplosioni dei crani, indicano come le vittime raggiunte dalla nube ardente, persero la vita in una frazione di secondo. Pur senza soffrire, subirono la vaporizzazione delle parti molli sostituite dalla cenere vulcanica che è valsa a preservarli per due millenni. La posizione posturale di centinaia di donne, uomini e bambini, che erano sopravvissuti alla prima fase della catastrofe vulcanica, è quella dell'ultimo istante di vita ed è giunta fino a noi.
Le vaste conoscenze delle quali disponiamo sui fenomeni vulcanici e sui loro micidiali effetti, dovrebbero imporre senza indugi la necessità di tutela della popolazione esposta al pericolo vulcanico. La mancanza di un piano di evacuazione nell’area a maggior rischio del mondo, è veramente un fatto di assoluta gravità...


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per averci dedicato del tempo illustrandoci con chiarezza gli importanti fenomeni che hanno riguardato la storia umana e geologica dei nostri territori. Il protagonista centrale è il Vesuvio, che nonostante i millenni mantiene inalterato una buona dose di fascino e tante altre di pericolo.

martedì 28 maggio 2013

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: super camera magmatica? Intervista alla Dott. L. Pappalardo...di Malko

Il Vesuvio innevato visto da Boscotrecase
"Vesuvio e Campi Flegrei: vulcano, supervulcano e supercamera magmatica? Intervista alla Dott. Lucia Pappalardo" di MalKo
La camera magmatica di un vulcano potremmo assimilarla come idea a una sorta di avamposto del magma verso la superficie. Un magma che popola le profondità astenosferiche differenziandosi per caratteristiche chimiche e fisiche. Una differenza non da poco, poiché influenza le diverse tipologie eruttive, quando il materiale incandescente, stressato, balza fuori dal profondo.
I ricercatori affermano che i materiali eruttati da un vulcano sono nettamente inferiori alla capacità volumetrica complessiva della camera magmatica. Pensando all’eruzione delle pomici di Avellino che sconquassò l’area vesuviana circa 3800 anni fa, e a quella dell’ignimbrite campana nei Campi Flegrei, riconosciuta come la più potente in assoluto verificatasi nell’area regionale, c’è da rabbrividire elaborando calcoli sul materiale piroclastico asperso comparandolo poi e per proporzioni al contenitore sotterraneo…

Dott. Lucia Pappalardo - INGV Osservatorio Vesuviano
Di recente è balzata alla cronaca la notizia che Vesuvio e Campi Flegrei attingono da un’unica grande camera magmatica. La Dott.ssa Lucia Pappalardo ha lavorato a questa tesi che è stata ampiamente riportata dai media soprattutto per gli aspetti di pericolo che si colgono. Avendo già arricchito il nostro giornale con un’intervista ad oggetto proprio la camera magmatica del Vesuvio, abbiamo posto alla gentile ricercatrice alcune  domande:

Dott. Pappalardo, la camera magmatica di un vulcano è paragonabile a un pallone sgonfio che si riempie e poi scoppia?
Negli ultimi decenni le indagini geofisiche hanno rilevato al di sotto di vulcani quiescenti, come ad esempio la caldera di Yellowstone negli Stati Uniti d’America, oppure l’isola vulcanica di Santorini in Grecia, serbatoi magmatici più estesi del previsto, il che implicherebbe la possibilità in futuro di eruzioni catastrofiche.
I dati geofisici indicano che la forma di queste camere magmatiche è generalmente allungata, come una lamina estesa e sottile, e che nuovo magma profondo può “ricaricare” questi serbatoi in brevi periodi di tempo, come per impulsi. Ad esempio, tra il gennaio del 2011 e l’aprile del 2012, le immagini radar satellitari hanno rivelato che un flusso di magma ha “rigonfiato” la camera magmatica che si trova sotto il vulcano di Santorini, riempiendola di circa 10-20 milioni di metri cubi di materiale: approssimativamente 15 volte il volume dello stadio olimpico di Londra. Questo rigonfiamento ha causato un sollevamento dell’isola compreso tra gli 8 e i 14 centimetri. Tuttavia, anche paragonando il rigonfiamento osservato a qualcuno che soffia con forza in un palloncino (invisibile), non conoscendo quanto sia piccolo o grande il palloncino, non possiamo sapere quanti “soffi” saranno necessari per farlo scoppiare.
Articoli recenti datati autunno 2012, parlano di uno studio (Lucia Pappalardo & Giuseppe Mastrolorenzo, Rapid differentiation in a sill-like magma reservoir: a case study from the campi flegrei caldera. Nature’s Scientific Reports, 2 Article number: 712 (2012) doi:10.1038/srep00712), dove si accenna a un’unica grande camera magmatica, che alimenta sia il distretto del Vesuvio sia quello dei Campi Flegrei: è così?
Il nostro studio geochimico ed isotopico delle rocce delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio, ha messo in evidenza tra l’altro forti analogie tra le caratteristiche chimiche e fisiche (contenuto in gas, pressione, temperatura ecc…) delle camere magmatiche che hanno alimentato questi vulcani, tanto da farci ipotizzare che si trattasse di un unico esteso strato di magma. Questa teoria spiegherebbe anche la presenza di antichi crateri vulcanici all’interno della città di Napoli, identificati nell’area di Chiaia, che testimoniano la risalita di magma profondo nell’area napoletana localizzata proprio tra i due vulcani. Inoltre, il flusso di calore che oggi si misura in superficie, evidenzia un’unica anomalia positiva estesa al di sotto di tutta l’area napoletana, con il valore massimo in corrispondenza del supervulcano flegreo, dove probabilmente è localizzata la maggior parte del volume di magma.
La camera magmatica di un supervulcano quiescente (Campi flegrei) comprendente anche quella di un secondo vulcano capace di eruzioni del tipo pomici di Avellino, dovrebbe avere dimensioni sbalorditive…
Circa 40000 anni fa i Campi Flegrei eruttarono una quantità di magma considerevole (all’incirca 300 km3) durante la super-eruzione dell’Ignimbrite Campana, considerata la maggiore di tutta l’area mediterranea. L’eruzione fu talmente catastrofica che ricoprì tutta la regione campana di una spessa coltre di tufo grigio, mentre le ceneri più sottili trasportate dai venti raggiunsero distanze elevatissime, fino in Russia. Si ritiene che questa eruzione abbia provocato un vero e proprio “inverno vulcanico”, cioè una riduzione della temperatura terrestre di diversi gradi centigradi per molti anni e addirittura, secondo altre teorie, contribuito alla scomparsa dell’uomo di Neanderthal. Tuttavia, sebbene le super-eruzioni siano eventi altamente distruttivi, sono fortunatamente rarissime.
L’unicità di una camera magmatica condivisa da due distretti vulcanici molto vicini accresce i termini di rischio per le popolazioni?
L’area campana è tra le aree a più alto rischio vulcanico al mondo. Infatti, i vulcani napoletani attivi (Somma-Vesuvio, Campi Flegrei ed l’isola d’Ischia), in grado di generare eruzioni altamente esplosive, sono localizzati in aree densamente popolate.  I nostri dati sulla velocità di crescita dei minerali nel magma hanno dimostrato che le camere magmatiche individuate dalle tecniche geofisiche a circa 7-8 km di profondità, potrebbero contenere magma parzialmente cristallizzato e ricco in gas, che potrebbe “esplodere” in qualsiasi momento. Tuttavia, i vulcani napoletani sono tenuti sotto controllo 24 ore su 24 da un efficiente sistema di monitoraggio che ci permetterà di registrare eventuali segnali premonitori (terremoti, deformazioni del suolo, variazioni del chimismo e temperatura dei gas fumarolici) in tempo utile per allertare la popolazione esposta al rischio. Certo, affinché la gestione dell’emergenza sia ottimale, è necessario predisporre validi piani di emergenza che devono essere ben noti alla popolazione anche attraverso esercitazioni di protezione civile e prove di evacuazione.
Da un certo punto di vista concernente la promiscuità areale, pure l’Isola d’Ischia con i suoi fenomeni di vulcanesimo potrebbe avere importanti connessioni con la camera magmatica già condivisa dagli altri due vulcani? D’altra parte qualche anno fa si registrarono scosse di terremoto al largo del Golfo di Napoli…
L’isola d’Ischia, la cui ultima eruzione risale al 1302, è parte del distretto vulcanico flegreo, insieme anche all’isola di Procida che però non è più in attività da circa 17000 anni. L’isola d’Ischia è nota anche per il terremoto che nel 1883 distrusse Casamicciola: fu il primo evento catastrofico dopo l’Unità d’Italia. Quasi l’80% dell’abitato andò distrutto con migliaia di morti, di cui molti turisti già allora presenti sull’isola. Tra le vittime del terremoto vi furono anche i genitori e la sorella del futuro filosofo Benedetto Croce, allora diciassettenne, che fu estratto vivo dalle macerie.
Con quali strumenti si identificano i limiti della camera magmatica e con quale grado di affidabilità?
Un potente strumento d’indagine per la caratterizzazione del sottosuolo è una tecnica nota come tomografia sismica. Essa ricalca a grandi linee i principi della TAC utilizzata in campo medico. Infatti, mentre nella TAC si utilizza la propagazione dei raggi X per individuare strutture a maggiore densità, allo stesso modo nella tomografia sismica sono utilizzate le onde sismiche. Queste si propagano in maniera differente a seconda della densità del materiale che attraversano. Nel caso di un liquido, come appunto il magma, le onde viaggiano molto più lentamente rispetto a rocce solide. Con questa tecnica è stato possibile individuare a circa 7-8 km di profondità al di sotto del Vesuvio e dei Campi Flegrei, uno strato a bassissima velocità delle onde P ed S, con spessore dell’ordine di 1 km, che è stato interpretato come un ampio serbatoio di alimentazione magmatica di forma planare, che appare essere una caratteristica comune ai due vulcani.
Un’altra tecnica pionieristica per studiare la struttura interna dei vulcani è la radiografia muonica. Queste particelle sono una sorta di elettroni «pesanti» che, proprio in virtù della loro massa, sono in grado di penetrare strati di roccia dello spessore di 1-2 chilometri. Attraverso un telescopio muonico è possibile determinare con precisione la traiettoria dei muoni che lo attraversano e costruire una mappa del diverso assorbimento che subiscono le particelle a seconda della densità delle rocce attraversate.
Oltre ai limiti è possibile stabilire la composizione chimica del magma in profondità, cioè ravvisarne le modifiche chimiche e fisiche dettate dai nuovi materiali in arrivo?
Quando nuovo magma profondo raggiunge il serbatoio magmatico più superficiale ed eventualmente si mescola con il magma già presente nella camera, è possibile che si verifichi un rilascio di gas magmatici che, attraverso le fratture presenti nelle rocce, arriva in superficie ed alimenta le fumarole. Per questo motivo la temperatura e la composizione chimica dei gas fumarolici sono tenute sotto controllo, poiché una loro variazione potrebbe indicare un aumento nell’apporto di magma profondo.
L’attuale estensione della camera magmatica del Vesuvio, contiene materiale a sufficienza per quale tipo di eruzione? In termini pratici cosa differenzia una camera magmatica foriera di eruzioni di tipo Avellino da quella che indusse l’eruzione del 1944?
I nostri studi sulle caratteristiche chimiche ed isotopiche dei magmi che hanno alimentato le eruzioni passate, indicano camere magmatiche distinte per le eruzioni poco esplosive o effusive del tipo dell’ultima eruzione stromboliana del marzo del 1944 rispetto alle eruzioni esplosive intermedie (supliniane) e catastrofiche (pliniane).
Il serbatoio che alimenta le eruzioni più modeste infatti, è caratterizzato da magma di tipo tefritico, poco viscoso e povero in gas, che staziona a profondità comprese tra 16 e 20 km. Le eruzioni più violente invece, sono alimentate da magmi più evoluti di tipo fonolitico, cioè più viscosi e ricchi di gas, che stazionano a profondità comprese tra i 6 e gli 8 Km. L’attuale camera magmatica è stata individuata proprio a questa profondità, dove del resto esiste un’importante discontinuità litologica dovuta al passaggio da rocce sedimentarie a rocce cristalline, che favorirebbe l’accumulo di grandi quantità di magma.
In molte publicazioni viene continuamente affermato che la potenza eruttiva di un vulcano è rapportata ai tempi di quiescenza… la moderna vulcanologia conferma questa tesi?
In effetti questa tesi che risale ad alcuni decenni fa, è stata superata dai più moderni studi scientifici. Ad esempio, una recente ricerca (Druitt et al., Nature 2012) ha dimostrato che nel caso della violenta eruzione che interessò il vulcano di Santorini nel 1600 a.c., e che si ritiene provocò la scomparsa della civiltà Minoica, il serbatoio di magma iniziò a ricaricarsi solo 100 anni prima della catastrofe e il processo si concluse solo pochi mesi prima dell’eruzione.  Anche i nostri studi sulla velocità di crescita dei cristalli nei magmi vesuviani e flegrei hanno dimostrato che le camere magmatiche che alimentano questi vulcani sono in grado di raggiungere condizioni critiche che possono culminare in un’eruzione esplosiva violenta in tempi relativamente rapidi, dell’ordine di poche centinaia di anni.
 I tempi di risalita in superficie del magma dal profondo sono imprevedibili?
Una stima sulla velocità di risalita del magma in superficie può essere dedotta dalle caratteristiche tessiturali delle rocce vulcaniche, in particolare dalle dimensioni e forma delle vescicole e dei microcristalli che si formano via via che il magma degassa durante la risalita nel condotto vulcanico. I nostri studi sulla tessitura delle rocce vulcaniche dei Campi Flegrei e del Somma Vesuvio hanno dimostrato che, nel caso di alcune delle eruzioni passate, il magma ha raggiunto la superficie in tempi relativamente rapidi. Tuttavia, per quanto riguarda una eventuale futura eruzione, nessuna previsione può essere formulata. In nessun modo infatti, è possibile definire con certezza quanto potrà durare il periodo di crisi che normalmente precede un’eruzione.


Spaccato della struttura profonda
dei vulcani napoletani
Nel grafico a colori è riportata la struttura profonda dei vulcani napoletani dedotta dallo studio geochimico delle rocce vulcaniche delle eruzioni passate dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio. In rosso sono indicate le possibili aree di accumulo di magma. Il magma silicico ricco in gas localizzato intorno ai 6-8 km di profondità, ha alimentato le eruzioni intermedie e altamente esplosive, mentre il serbatoio di magma mafico più profondo ha alimentato le eruzioni meno violente

Con cordialità la redazione di Hyde ParK ringrazia la gentile ricercatrice, Dott. Lucia Pappalardo, per la preziosa collaborazione che ci ha assicurato, consentendoci con chiarezza di entrare nei dettagli più vivi e aggiornati delle caratteristiche geologiche dei vulcani che dominano il territorio cittadino e provinciale della città di Napoli.



lunedì 27 maggio 2013

Monte Somma baluardo protettivo? Intervista al Prof. G. Mastrolorenzo...

A sinistra l'orlo calderico del Monte. Somma e a destra il Vesuvio innevato.
Al centro la valle dell'inferno.

"Rischio Vesuvio: l'orlo calderico del Monte Somma è uno scudo protettivo?Lo chiediamo al Professor Giuseppe Mastrolorenzo..."
di MalKo
Nell’area vesuviana il rumore di fondo da un po’ di tempo non proviene dalle viscere del noto vulcano, bensì dal sindaco del comune di Sant’Anastasia. Con enfasi il primo cittadino segnala come l’abbattimento dei fabbricati abusivi molto spesso danneggia le fasce più deboli della popolazione, col rischio che poi qualcuno potrebbe dedicarsi al malaffare per sopravvivere. Lo spunto per siffatta filippica indirizzata ad autorità e colleghi, proviene dalla cronaca che registra l’abbattimento di un capannone nel comune di San Giorgio a Cremano.
Non molti mesi fa lo stesso sindaco dichiarò provocatoriamente che non bisognava fare figli nella zona rossa, in modo da dare pieno riscontro alle politiche preventive consistenti nello sfoltimento demografico del settore geografico dichiarato a rischio. Il primo cittadino poi, dando mostra di uno spirito d’iniziativa un tantino dissacrante contro la zona rossa, ebbe a realizzare pure una canzoncina canzonatoria, mettendo in parodia il testo della più nota rose rosse per te di  Massimo Ranieri.
Le ferree limitazioni all’edilizia residenziale nell’area rossa dettate dalla legge regionale numero 21 del 10 dicembre 2003, incombono e caratterizzano la plaga vesuviana che conta ben diciotto comuni a rischio per un totale di circa seicentomila abitanti. Molti cittadini però, non intravedono in questo disposto legislativo un baluardo logico per frenare l’incremento demografico che metterebbe altre persone in pericolo. Tutt’altro! La legge regionale è vista come un intollerabile freno allo sviluppo e all’economia della red zone: pensiero questo favorito dall’opera oratoria di navigati opinion leader locali.
Le voci dei fustigatori del decreto regionale si alzano prevalentemente dal versante nord del Somma-Vesuvio. Costoro ritengono che l’orlo calderico del Monte Somma (foto d’apertura), sia sufficientemente alto per porli al riparo da qualsiasi fenomenologia vulcanica proveniente, in caso di eruzione, dal cono del Vesuvio (sulla destra). Una convinzione che non regge tantissimo però, tant’è che l’eruzione del 1906, pur non assurgendo a valori d’intensità pliniana, portò morte e rovina soprattutto nelle cittadine di San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e addirittura nella città di Napoli. Comuni questi, ubicati proprio sul versante in questione. I danni furono causati dai prodotti piroclastici di ricaduta (cenere, sabbia e lapilli) che, appesantendo le coperture dei fabbricati, causarono in alcuni casi lo sprofondamento dei solai. A San Giuseppe Vesuviano in particolare, per l’insolito sovraccarico crollarono molti tetti tra cui quello della chiesa entro cui si erano rifugiati tantissimi cittadini in preghiera che rimasero travolti e sepolti dalle macerie. Si contarono più di cento morti: una stele, alla stregua della più nota lapide di Portici, ricorda il tragico evento lanciando un monito ai posteri.
IN
S. GIUSEPPE VESUVIANO
LO STERMINIO DEL VESUVIO
NELLA NOTTE SENZA
ALBA DELL’VIII APRILE MCMVI
ATTERRAVA
L’ORATORIO DELLO S. SANTO
E CV FEDELI
ACCORSI ALL’ALTO PERDONO
FURONO PIETOSA MACERIE
SIA QUESTA PIETRA
SACRA MEMORIA AI VENTURI
XXXI AGOSTO MCMXIII
Sono anni che nel settore orientale pedemontano del Somma-Vesuvio, si mormora contro la zona rossa e la legge regionale che sancisce (oggi un po’ meno), l’inedificabilità assoluta. Il motivo del malcontento è da ricercarsi nel mancato eldorado edilizio cui poteva essere sottoposta tale area che racchiude, rischio a parte, ancora spazi liberi e di sicuro interesse per gli speculatori e per coloro che cercano consensi elettorali.
Il versante marittimo (occidentale) invece, è “muto”, non per convinzione ma perché lì hanno già edificato dal dopoguerra in poi in modo giulivo e massiccio, esautorando tutti gli spazi a disposizione con una conurbazione asfissiante. Il risultato finale si misura in migliaia di persone addossate, con una qualità di vita prossima a quella di un termitaio. Ogni altra espansione risulta quindi impossibile lungo la linea del miglio d’oro, a causa dei limiti imposti da barriere tutte naturali come il mare e i pendii scoscesi e friabili del Vesuvio. Pur di non lasciare cazzuola e cemento allora, in questi “lidi” si accontentano delle opere pubbliche: difatti e in nome dell’interesse collettivo, si bruciano gli ultimi fazzoletti di terra rimasti.
Da Sant’Anastasia dicono che mettere mano al cemento significherebbe anche garantire l’adeguamento antisismico dei fabbricati esistenti e fatiscenti. Non a caso e si sa, i terremoti rientrano tra i prodromi eruttivi. Probabilmente questi consolidamenti statici senza aumenti di volumetria potrebbero essere sicuramente autorizzati, ma non per sanare amministrativamente i fabbricati abusivi. D’altra parte chi mette in sicurezza la propria casa non può chiedere una contropartita diversa dai benefici fiscali. Se dovesse passare questa logica, dovremmo offrire qualcosa pure a quelli che in auto non utilizzano le cinture di sicurezza …
E’ bene che i cittadini sappiano che contro i terremoti e le profezie benevoli di certe commissioni (grandi rischi), ci si può anche difendere attraverso appunto l’adeguamento strutturale dei fabbricati. Purtroppo però, ciò non vale per le temibili nubi ardenti, che potrebbero caratterizzare le eruzioni esplosive, come quella presa in esame (1631) dal comitato scientifico che ha tracciato i possibili scenari massimi eruttivi del Vesuvio. Contro le colate piroclastiche, infatti, non c’è modo di difendersi, se non attraverso l’allontanamento preventivo nel momento in cui si avvertono o si segnalano le prime avvisaglie pre-eruttive.
Per dare una risposta eloquente a quanti si pongono dubbi sulla reale utilità dell’orlo calderico del Monte Somma, in termini di difesa passiva a fronte di una possibile eruzione del Vesuvio, chiediamo al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, ricercatore ed esperto vulcanologo, un parere nel merito.
Professore, il Monte Somma dovrebbe essere un baluardo, una sorta di diga per tutto quello che scivola dalle pendici del Vesuvio: è così?
Il Monte Somma così com’è rappresenta certamente una barriera naturale atta a deviare eventuali colate laviche che potrebbero scaturire dal cratere del Vesuvio o dalle bocche eruttive che potrebbero originarsi sui versanti del Gran Cono in caso di eruzione. I territori a Nord del Vesuvio però, non avrebbero alcuna protezione per quanto attiene la pioggia di cenere e lapilli e i flussi piroclastici.  Al riguardo dobbiamo rilevare che i mass media e talvolta anche alcuni operatori del rischio vulcanico, hanno contribuito a creare false certezze.
In effetti, le evidenze vulcanologiche come gli studi sul campo, dimostrano come i comuni a Nord del Somma siano a rischio almeno quanto quelli della fascia costiera. Basti pensare che buona parte delle conoscenze sulla storia eruttiva passata del Somma-Vesuvio, si basano sugli studi dei prodotti vulcanici (strati di ceneri e lapilli) depositatisi nel corso dei millenni in questi luoghi, eruzione dopo eruzione.
Tutte le evidenze geologiche mostrano come il territorio a Nord del Somma, fino a una distanza di oltre 20 km dall’orlo dell’antico edificio vulcanico, sia stato devastato molte volte da eruzioni sub-pliniane e pliniane, e in alcuni casi anche da eventi di minore intensità. Ad esempio, in una mia ricerca sull’eruzione sub-pliniana avvenuta nel 472 dopo Cristo, ho rilevato la totale distruzione dei centri abitati di epoca romana localizzati sui versanti a nord del Somma, con danni in tutta la piana fino ai territori di Pomigliano D’arco, Acerra, Nola e Sarno. L’intera area in esame, dopo un parziale seppellimento dovuto a una spessa coltre di cenere e lapilli, fu soggetta poi a vaste inondazioni e frane, quali effetti secondari dell’eruzione. Alcune zone furono coperte da depositi piroclastici e fangosi dell’ordine di 10 metri di spessore.
Quello dell’eruzione del 472 d.C. è l’esempio più eclatante su come siano poco fondate le rassicurazioni circa la protezione offerta dal Monte Somma ai paesi limitrofi a quel versante, anche se molti altri eventi eruttivi documentati nelle stratigrafie geologiche, evidenziano coerentemente l’elevato livello di pericolosità del settore geografico in dsicussione.
Quest’area quindi è esposta al rischio di accumulo di spessi strati di cenere e lapilli, quali prodotti di ricaduta, perché le colonne eruttive possono raggiungere altezze di qualche decina di chilometri sul cratere, rispetto alle quali il dislivello di alcune centinaia di metri dell’orlo del Somma, non servirebbe a riparare alcunché. Infatti, il materiale piroclastico sbalzato in alto dall’eruzione, cadrebbe con traiettorie balistiche sia dentro (Atrio del Cavallo – Valle dell’Inferno) sia fuori dai contrafforti del Monte Somma.
Più complessa invece è la spiegazione per quanto riguarda i flussi piroclastici (pyroclastic flow e pyroclastic surge). Questi in realtà, non di rado derivano dal collasso ad alta quota delle colonne eruttive che poi avanzano con fronti spessi decine o centinaia di metri, che si espandono ulteriormente per l’inglobamento di aria che, raggiungendo a sua volta alte temperature, migliora ulteriormente la mobilità dei flussi.
Simulazioni al computer che abbiamo sviluppato sulla base delle conoscenze vulcanologiche e delle equazioni che controllano la mobilità dei flussi piroclastici, dimostrano come non esistano zone sicure intorno al Vesuvio.
L’unica certezza di salvezza nel caso di una possibile eruzione è la totale evacuazione di un’area estesa almeno 20 km dal vulcano. Qualsiasi altra soluzione sarebbe comunque un puro azzardo, e purtroppo l’attuale piano di emergenza, basato non sul massimo prevedibile e conosciuto, ma su un evento intermedio (1631), costituisce un rischio permanente per la collettività.
Le cittadine di Sant’Anastasia e di Somma Vesuviana, in caso di eruzione simile a quella massima preventivata del tipo 1631, sostanzialmente a cosa andrebbero incontro in termini di pericolo?
Ovviamente Sant’Anastasia e Somma Vesuviana, come tutti i comuni a nord del Somma, sono esposti a un elevato livello di rischio in caso di eruzioni esplosive. In particolare, in queste zone a causa dell’elevata pendenza dei versanti, agli effetti primari dell’eruzione (caduta di lapilli e flussi piroclastici), si aggiungerebbero quelli secondari (lahar, inondazioni, frane), indotti dall’accumulo di materiale incoerente sui versanti del vecchio vulcano.
E’ poco probabile che sui versanti del Monte Somma si possano aprire bocche eruttive?
Sulla base della storia eruttiva del Somma-Vesuvio, e per il quadro vulcano-tettonico esistente, l’apertura di bocche sul versante nord del Somma è improbabile. In ogni caso l’eventuale attivazione di un settore, inattivo da migliaia di anni, sarebbe preceduto molto probabilmente da rilevanti fenomeni precursori.
Cosa ci dicono i parametri fisici e chimici del Vesuvio per l’anno che è appena passato?
Nel corso del 2011 non si sono verificate modificazioni apprezzabili nei parametri meccanici e chimico fisici, rilevati dalla rete di monitoraggio. E’ stato un anno geologicamente tranquillo, ma come ho sottolineato in altri casi, non ci sono ragioni per stare del tutto rilassati sotto il Vesuvio. La tranquillità può essere costruita solo con un adeguato livello di preparazione delle autorità e della collettività a fronte di una possibile crisi vulcanica che, come spesso ho sottolineato, potrebbe manifestarsi tra secoli o decenni, o anche domani…
Come sempre la redazione ringrazia il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per l’importante contributo scientifico che ci ha assicurato, tutto volto a fare chiarezza su alcuni punti importanti legati al rischio Vesuvio.
Alcune riflessioni sono d’obbligo. Come tutte le barriere che non arginano ma deviano, anche nel caso delle colate laviche potrebbe esserci in ultima analisi qualche paese risparmiato grazie alla naturale barriera del Monte Somma e qualche altro ancora votato per orografia e posizione geografica a ricevere puntualmente, speriamo mai, materiale lavico incandescente.
Inoltre, visto che l’orlo calderico del Somma non è una pensilina acclivata, abbiamo capito che i comuni a ridosso del vecchio monte vulcanico non sono al sicuro in caso di eruzioni esplosive, tanto dalla pioggia di lapillo quanto dalle nubi ardenti.
In termini d’informazione corretta e puntuale bisognerebbe dire a chiari lettere che contro le colate piroclastiche, fenomeno imprevedibile e distruttivo al massimo, non c’è riparo. In termini di prevenzione invece, risulterebbe certamente proficuo ogni intervento atto a consolidare le abitazioni dai sussulti sismici. Sarebbero poi parimenti utili, tetti spioventi (per evitare accumuli) e vie di comunicazioni larghe che si irradiano in modo diametralmente opposto al cratere con larghezza crescente. Tutti interventi insomma, che andrebbero nella direzione della prevenzione con significativi spiragli di lavoro per le imprese edili locali. L’aumento del numero di abitanti invece, non farebbe che accrescere i livelli di rischio che, ricordiamo, potrebbero anche assurgere a livelli di inaccettabilità. Parametro quest’ultimo che discende anche dalla cultura, dal progresso e dalla emancipazione di un popolo.
 
 

Il Vulcano Marsili


" Il vulcano Marsili sarà di scena il 21 maggio 2011? 
Nota del Professor Mastrolorenzo " di MalKo

Alcuni lettori ci scrivono con una certa inquietudine perché circola in rete e sui media, la profezia enunciata dai parascienziati, così li chiamano, che il 21 maggio 2011 il vulcano Marsili debba produrre un’eruzione accompagnata da onde di tsunami che spazzerebbero la parte meridionale della nostra Penisola che si affaccia sul tirreno. Gli scenari così prospettati, va da se che sono un tantino surreali.

La lettrice Monica, nello spazio riservato ai commenti, ha posto alcune domande a proposito del Marsili e della sua pericolosità intrinseca.
Andiamo alle risposte. L’Etna per storia e tradizione è un vulcano di superficie, di notevole importanza ed è più che monitorato. Il Marsili per ubicazione e storia recente, dubitiamo che possa essere controllato in termini fisici e chimici alla stregua di quanto già si fa per l’Etna. Bisogna anche dire che da poco, anche sulla scorta di allarmismi ingiustificati, l’attenzione sul vulcano più grande d’Europa sia  nettamente in crescita.

La lettrice Monica ovviamente, attraverso le sue domande intendeva capire se siamo in condizioni di prevedere un’eruzione vulcanica con netto anticipo. Le eruzioni vulcaniche non sono matematicamente prevedibili, sia nel lungo sia nel medio termine. Nel breve e brevissimo invece, forse è possibile azzardare ipotesi che potrebbero rivelarsi comunque e alla fine fallaci.

Anche se eruttasse il Marsili, una distanza di oltre cento chilometri dalla costa con una colonna d’acqua sovrastante di quattrocentocinquanta metri, dovrebbe rappresentare un limite di sicurezza cospicuo per ritenere le popolazioni peninsulari al sicuro dai fenomeni vulcanici più violenti e distruttivi.
Del Marsili quindi, più che l’eruzione, è stato sottolineato il rischio tsunami come elemento concreto di preoccupazione, generabile, dicono gli esperti,  da frane da crollo che potrebbero staccarsi dai declivi subacquei del monte sommerso.
Tali crolli potrebbero originarsi in seno a un’eruzione, un sisma o anche per processi naturalmente legati alla gravità e ai suoi equilibri.

Per capire il problema in termini concettuali, basti pensare a quello che succede in una piscina: il nostro voluminoso amico che si getterà in acqua a tuffo, genererà onde. Se lo stesso scende lentamente dalla scaletta, l’acqua rimarrà sostanzialmente immota. La frana quindi, nel caso di eventi legati a questo tipo di fenomeno e remotamente ipotizzati per il Marsili, per produrre onde anomale, dovrebbe essere volumetricamente (metri cubi) molto grande, con velocità di distacco e impatto sostenuta, per  smuovere masse d’acqua dai fondali che si muoverebbero poi sotto forma di onde. Predire un’eruzione è un azzardo. Prevedere una frana lo è ancora di più. Indicare una data di una calamità è fuori da ogni logica scientifica.

Al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, esperto di vulcani, chiediamo una nota che valga come risposta alla nostra lettrice Monica, ma anche a tutti i nostri lettori che vivono con ansia una profezia, quella della fine del mondo ad opera del Marsili, il 21 maggio 2011, che, pur non avendo fondamento in termini di previsioni, si è rivelata a torto notizia a  grande  impatto giornalistico.
Il parere del Professor Mastrolorenzo è il seguente:

<< le conoscenze vulcanologiche sul Marsili sono ancora limitate, e da poco è stata ipotizzata la realizzazione di una rete di monitoraggio confrontabile con quelle di altri vulcani attivi italiani. 
Allo stato attuale non esistono elementi per ritenere che siano state o siano in atto modificazione di parametri vulcanologici, geochimici o geofisici che riguardano il Marsili. In termini rigorosamente scientifici quindi, non c’è alcuna novità! Suggerisco a questo proposito un criterio molto semplice e universalmente valido per capire se una data notizia riguardante il rischio di terremoti, eruzioni vulcaniche, frane o tsunami, possa avere fondamento scientifico. Si adotti la regola che, qualsiasi notizia riguardante uno di tali eventi, che riporti anche il giorno in cui si verificherà, deve essere del tutto ignorata.  Questo perché con le attuali conoscenze scientifiche è assolutamente impossibile la previsione di un’eruzione, un terremoto o di altri eventi a questi correlati, che riportino addirittura l’indicazione della data. Si parla, infatti, sempre di generiche probabilità che l’evento possa verificarsi in un intervallo più o meno lungo, ma mai di certezza>>.
 
 

Ischia isola vulcanica: Intervista al Prof. G. Mastrolorenzo.




         
           " Ischia isola vulcanica: intervista al Professor Giuseppe Mastrolorenzo " di MalKo
L’isola d’Ischia comprende un distretto vulcanico che ha dato per il passato origine a fenomeni eruttivi molto intensi, come quelli che circa  55.000 anni fa diedero corpo al tufo verde, un litoide caratteristico le cui sfumature verdastre sono il risultato dell’ingressione del mare nell’area calderica.
L’eruzione dell’Arso nell’anno 1302 è stata l’ultima registrata sull’isola. Da allora persistono fenomeni di vulcanesimo che generano prevalentemente acqua calda e vapore in una quantità tale da rendere Ischia particolarmente ambita per il turismo termale.
Il Monte Epomeo, formatosi su di un campo vulcanico, è il rilievo più alto dell’isola (787 metri sul livello del mare). Questa cima è ritenuta da molti e a tutti gli effetti un  vulcano. La classificazione in realtà è un po’ più complessa perché non si tratterebbe di un edificio vulcanico nel senso classico, bensì di un “pilastro” tufaceo sorto all’interno di un’area vulcanica. L’Epomeo, infatti, non ha un condotto e una storia eruttiva autonoma recente. Ovviamente però, è “figlio” di quel campo vulcanico da cui si erge per cause dinamiche afferenti alla camera magmatica sottostante.  Anche se il rischio eruttivo non sembra manifesto, l’isola d’Ischia è comunque la parte emersa di una caldera vulcanica ancora attiva.
Sulla ridente isola verde, la sera del 28 luglio del 1883 avvenne un violento terremoto (Casamicciola): durò sedici secondi, ma fu sufficiente per cagionare 2.333 morti. La sventura coinvolse pure l’allora giovanissimo Benedetto Croce, ad Ischia per le vacanze estive, che rimase ferito e bloccato per diverse ore tra le macerie, prima di essere tratto in salvo.
In termini di rischio Ischia ha insito nelle sue viscere due pericoli potenziali: quello vulcanico e quello sismico. Per la fragilità del tufo poi, il dissesto idrogeologico particolarmente evidente sui versanti scoscesi delle alture, non fa che accrescere i rischi già menzionati che potrebbero essere amplificati dall’insorgere di frane causate dai sommovimenti crostali (terremoti).
L’ex capo dipartimento della protezione civile, Bertolaso, quasi un anno fa esordì con un’affermazione per molti versi discutibile e che fece letteralmente scalpore:<< Il Vesuvio indubbiamente è il problema più grande di protezione civile che abbiamo in Italia, disse…ma Il colpo in canna però, ce l’ha il Monte Epomeo ad Ischia…>>.
Per dissipare qualche dubbio attuale e annoso, facciamo appello, come sempre, sulla gentile disponibilità del Professor Giuseppe Mastrolorenzo, cui ci rivolgiamo per chiarimenti.
1) Egregio Professore, la storia geologica d’ischia è molto dissimile dagli altri due distretti vulcanici campani (Campi Flegrei e Vesuvio)?
L’Isola di Ischia è il risultato di una lunga sequenza di eventi vulcanici e vulcano-tettonici, che almeno per  quanto riguarda la parte rilevabile in superficie, è iniziata oltre 150000 anni fa. Benché la composizione dei magmi eruttati si avvicini a quella dei Campi Flegrei, la storia dell’Isola è indipendente da quella degli altri vulcani dell’area napoletana (Vesuvio, Campi Flegrei e Procida). Dal punto di vista dell’evoluzione vulcanologica, Ischia presenta alcune analogie con la caldera dei Campi Flegrei, seppure età degli eventi e tipologie eruttive mostrino notevoli differenze. Infatti, anche l’Isola, dopo la prima fase di attività eruttiva intensa, fu interessata da estesi sprofondamenti vulcano-tettonici, con la formazione di una struttura calderica. Analogamente a quanto avvenne nella caldera flegrea, questa fase fu seguita da una stasi e, quindi, da nuova attività vulcanica con bocche eruttive distribuite su di una vasta area. In sintesi, contrariamente a quanto avviene in vulcani centrali come il Somma-Vesuvio, l’attività vulcanica dell’isola si è manifestata lungo strutture tettoniche estese, con la formazione di decine di singoli apparati vulcanici, similmente a quanto è successo nel campo vulcanico dei Campi Flegrei.
2) Potrebbe verificarsi un’escalation eruttiva capace di coinvolgere tutte e tre le aree vulcaniche campane contemporaneamente?
I centri eruttivi, così come i sistemi magmatici superficiali dei tre distretti vulcanici campani, sono totalmente distinti. Pertanto, non è assolutamente ipotizzabile un evento vulcanico che coinvolga Vesuvio, Campi Flegrei ed Ischia. E’ possibile invece, che eventi di particolare intensità possano produrre la deposizione di materiale piroclastico (cenere e lapilli), in un’area abbastanza vasta da comprendere i tre sistemi vulcanici citati. Eventi simili sono già avvenuti in passato e i depositi vulcanici sono ancora oggi rilevabili nelle sequenze stratigrafiche.
3) Il Monte Epomeo cos’è esattamente? E’ corretto definirlo un vulcano?
Erroneamente il Monte Epomeo è stato definito come un vulcano non solo dai mass media ma anche da autorevoli esponenti della Protezione Civile Nazionale. In realtà si tratta di una struttura tettonica definita Horst vulcano-tettonico: in parole semplici è il risultato dell’innalzamento avvenuto nel corso di migliaia di anni di una sorta di “pilastro tufaceo” che ha raggiunto quota 787 metri sul livello del mare. L’inizio di tale ascesa è probabilmente databile a non meno di 33000 anni fa e in un periodo successivo all’attività eruttiva che generò appunto il tufo verde del Monte Epomeo. Eruzione quest’ultima, di 55000 anni fa, che ha lasciato una sequenza di depositi vulcanici spessi diverse centinaia di metri di natura litoide. Le cause del sollevamento del “blocco” (Monte Epomeo), sono state ricondotte alla spinta verticale generata dal sistema magmatico presente  al di sotto dell’isola che è anche responsabile  dell’intenso vulcanismo. In realtà il processo di sollevamento, definito pure come risorgenza calderica, sembra essere il risultato di una più complessa combinazione del campo di sforzo regionale e, quindi, delle compressioni e delle tensioni crostali attive lungo il margine tirrenico, che si combinano con la spinta verticale prodotta invece dal sistema magmatico superficiale. L’attività eruttiva successiva alla formazione del tufo verde dell’Epomeo, non si colloca in prossimità del rilievo montuoso, ma lungo linee di debolezza strutturali, poste prevalentemente ai bordi del blocco sollevato. In altre parole, non esistono bocche eruttive sul Monte Epomeo.
4) Bertolaso quando esordì con la famosa frase del colpo in canna, parlava di pericoli potenziali, presumibilmente di natura vulcanica. Sono stati predisposti degli scenari su questi eventi ipotizzati dall’ex capo dipartimento alla stregua di quanto è stato fatto per il Vesuvio?
Allo stato attuale, a fronte delle dichiarazioni allarmistiche e scientificamente errate dell’ex Capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, non esiste alcun piano di emergenza per un eventuale possibile evento eruttivo a Ischia, così come non sono stati elaborati scenari di riferimento su base vulcanologica. Tale situazione è molto critica, data l’elevata attività documentata sull’isola nelle ultime migliaia di anni e l’evidenza di una notevole attività sismica di origine vulcano-tettonica, che testimonia l’elevata energia disponibile nel sistema.
5) I sommovimenti della camera magmatica sono all’origine dei terremoti sull’isola verde?
Le relazioni genetiche tra l’attività sismica e l’evoluzione del sistema magmatico restano di difficile investigazione. E’ probabile, infatti, che l’attività sismica sia riconducibile almeno in generale alla presenza di un importante sistema magmatico a bassa profondità, ma restano poco chiare le relazioni tra le diverse fenomenologie.
6) Perché qui i terremoti sono per certi versi ristretti come raggio ma intensi e micidiali?
Un’idea del rischio associato a eventi sismici sull’isola, ci proviene dalla cronaca del drammatico terremoto avvenuto la sera del 28 luglio 1883, che causò la distruzione pressoché totale di Casamicciola con 2.333 vittime. L’evento, generato da faglie attive bordanti a nord il Monte Epomeo, la zona più attiva dell’isola, di magnitudo stimata intorno al quinto grado Richter, a causa della bassa profondità ipocentrale causò elevatissimi valori d’intensità macrosismica, che in alcune aree raggiunse addirittura l’XI grado MCS (scala del danneggiamento di uso corrente derivata dalla Scala Mercalli). La percentuale di edifici crollati o gravemente lesionati dal sisma fu altissima. L’estrema superficialità dell’evento, tra 1 e 2 km. di profondità, fu alla base di effetti intensi entro un raggio di circa 2 km. dall’epicentro, e di una rapidissima attenuazione degli stessi già nel vicino comune di Ischia, dove l’intensità risultò in media inferiore al VI grado.   L’amplificazione degli effetti in superficie in una ristretta area intorno all’epicentro, con modesti valori di magnitudo, e quindi dell’energia rilasciata dal terremoto, sono tipici delle aree vulcaniche e derivano sempre dalla bassa profondità degli ipocentri. Comportamenti analoghi furono registrati anche durante l’ultima crisi bradisismica ai Campi Flegrei.
7) C’è una continuità di fenomeni vulcanici sottomarini tra Ischia e i Campi Flegrei o le due caldere sono strettamente divise e riconoscibili?
In realtà l’isola di Procida, localizzata tra la caldera attiva dei Campi Flegrei e quella di Ischia, sia cronologicamente che come tipologia di fenomeni eruttivi, presenta analogie con i due sistemi vulcanici appena citati. Tuttavia la composizione dei prodotti eruttivi presenta caratteristiche distinte, indicando che seppure il vulcanismo dell’area ha certamente radici comuni, almeno a livello dei sistemi magmatici attivi superficiali presenta distinzioni sostanziali. In particolare, l’isola di Procida non ha manifestato eventi eruttivi negli ultimi 14000 anni.
8) L’ordine di pericolosità per Ischia prevede il rischio vulcanico al primo posto o tale primato spetta a quello sismico?
Ischia presenta le stesse tipologie di rischi naturali comuni alle altre aree vulcaniche dell’area napoletana: rischio sismico, vulcanico e idrogeologico. Tutti rischi questi, strettamente connessi tra di loro, che si manifestano con intensità diversa e che sono di complessa valutazione. In termini di frequenza, cioè di numero di eventi nell’unità di tempo, certamente frane, terremoti ed eruzioni vulcaniche, presentano una probabilità di accadimento nell’ordine molto diversa fra loro.  I fenomeni franosi sono ovviamente più frequenti di quelli sismici e vulcanici, che di contro però, sono molto più devastanti.  Il rischio sismico, rispetto a quello vulcanico è più facilmente mitigabile attraverso la realizzazione di costruzioni antisismiche. Il rischio vulcanico comunque, consente pure un buon livello di mitigazione, purché si adottino validi piani di emergenza capaci di porre lontano la popolazione esposta al pericolo, nel momento in cui dovessero manifestarsi fenomeni precursori significativi.
Queste differenze rendono poco indicativa una classifica dei rischi. Oltretutto un’eventuale crisi vulcanica comporterebbe con grande probabilità tutte le tipologie di eventi citati. Tant’è che un’intensa attività sismica pre-eruttiva ed eruttiva, così come eventi franosi durante e prevalentemente dopo l’evento vulcanico, potrebbero uguagliare se non superare, in termini di devastazione, la stessa eruzione. Contrariamente all’attività sismica che è da ritenersi limitata a valori modesti di magnitudo, l’attività vulcanica può raggiungere livelli energetici anche di notevole intensità (Volcanic explosivity index).
9) Il monitoraggio dei fenomeni legati al vulcanesimo ischitano negli ultimi anni, cosa lascia ritenere nel breve medio e lungo periodo? Ovviamente con tutti i limiti della previsione scientifica in questo campo…
L’isola di Ischia è monitorata dall’Osservatorio Vesuviano con un completo sistema di sensori in grado di rilevare qualsiasi modificazione di natura geofisica e geochimica. Purtroppo, a causa della sua estrema complessità, il sistema vulcanico non consente alcuna previsione a lungo termine, ma solo l’immediata rilevazione di qualsiasi modificazione del sistema, quale possibile precursore di eruzioni. Allo stato attuale l’assenza di anomalie non può costituire motivo di rassicurazione per il futuro, ma solo per il breve termine. D’altra parte questa è una condizione comune a tutti gli altri vulcani attivi. Lo strumento indispensabile per garantire la sicurezza della collettività esposta al rischio vulcanico,ripetiamo, è un adeguato piano di evacuazione e un’autorità di protezione civile in grado di assumere efficacemente la gestione delle operazioni di salvaguardia, nel caso che vengano rilevate  significative modificazioni  dei parametri geofisici e geochimici. Qualsiasi improvvisazione o valutazione ottimistica sulla pericolosità di Ischia, così come per i Campi Flegrei e il Vesuvio, è un pericoloso azzardo.

(Un particolare ringraziamento va al Professor Giuseppe Mastrolorenzo che, attraverso una  dettagliata esposizione delle caratteristiche dei distretti vulcanici campani, ci ha consentito di avere un quadro d’insieme molto chiaro sul rischio vulcanico che caratterizza il territorio napoletano).