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lunedì 11 maggio 2015

Rischio Vesuvio: con il Prof. G. Mastrolorenzo, eruzioni e archeologia... di MalKo

Scavi archeologici Ercolano

Un interessante filmato che ci rimanda il web, mostra una concentrazione di resti fossili di dinosauri rinvenuti ammassati l’uno sull’altro in una sorta di fossa ubicata nel deserto del Gobi in Cina. Qualcuno di questi predatori presentava il collo spezzato probabilmente in seguito a un combattimento. Il mistero protrattosi per oltre cento milioni di anni è stato spiegato analizzando i sedimenti che ricoprivano le carcasse di questi carnivori. Tutti preda di una sorta di fango oltremodo vischioso che li ha bloccati e poi inglobati. Oggi, grazie ai processi erosivi naturali, sono ritornati alla luce del giorno sotto forma di fossili ben conservati …
I formidabili dominatori del Pianeta si ritrovarono a caccia di cibo in una rigogliosa palude, quando incominciò a piovere copiosamente cenere sottilissima frutto di una eruzione vulcanica. I finissimi prodotti piroclastici precipitati nell’acquitrino innescarono la trappola del fango. Il primo predatore in difficoltà divenne vittima per gli altri che a loro volta divennero prigionieri di una fatale poltiglia incollante…  Gli autori del documentario o forse gli stessi paleontologi hanno intitolato il filmato: la Pompei dei dinosauri…Intendendo un’istantanea tridimensionale di esseri viventi bloccata per migliaia e migliaia di anni sulla “lastra fotografica” offerta dai prodotti di un vulcano in eruzione…

Professore Mastrolorenzo, l’eruzione del Vesuvio di circa 3800 anni fa, meglio nota come delle pomici di Avellino, ha conservato e restituito nel nolano un villaggio preistorico dell’età del bronzo a distanza di migliaia di anni dal furioso evento che sconvolse la plaga vesuviana. Una caratteristica dei prodotti vulcanici questa propensione alla conservazione?

La deposizione di ceneri vulcaniche a seguito di eventi esplosivi, in molti casi ha consentito la perfetta conservazione di siti di interesse paleontologico, archeologico e storico, grazie al rapido e progressivo accumulo di strati  in grado di preservare ogni dettaglio della superficie terrestre interessata; dal suolo, alle impronte, ai resti di fauna, flora e insediamenti umani. 
Pompei è l'esempio più noto al mondo di come un'eruzione possa restituire alla stregua di un fermo immagine scene di vita quotidiana datate centinaia di anni. Altri esempi analoghi riguardano l'intera storia del Pianeta con casi anche recenti come l'eruzione del monte Merapi, nel 2010, che ha drammaticamente riproposto scene di morte e distruzione molto verosimilmente analoghe a quelle di Pompei…
Oltre al tasso di accumulo dei depositi piroclastici, che può essere decine di migliaia di volte più elevato dei normali processi di sedimentazione e di formazione dei suoli, altri fattori che influenzano le modalità di conservazione dei siti sono i processi di modificazione chimico fisica e di fossilizzazione, quali le temperature di deposizione, a volte elevate e l'eventuale rilascio di fluidi  dai materiali vulcanici  durante e dopo la deposizione.  In ogni caso, il rapido seppellimento, sia da ceneri fredde che calde, di fatto isola il sito per un lungo periodo consentendone spesso una migliore conservazione.  In realtà, anche negli eventi più devastanti, caratterizzati da flussi piroclastici ad alta temperatura e velocità, spesso restano perfettamente conservati gli effetti della catastrofe anche per millenni.

Sempre nel villaggio preistorico sono state rinvenute negli strati di cenere le orme dei fuggitivi che tentarono di sfuggire all’ira del Vesuvio. Riuscirono a mettersi in salvo?

I miei studi sulle due eruzioni pliniane delle Pomici di Avellino e di Pompei, hanno rivelato per la prima volta gli effetti catastrofici che ha subito il territorio e gli insediamenti umani da nord a sud,  in seguito alle devastanti manifestazioni esplosive del Vesuvio.
G. Mastrolorenzo - Pnas 2006
Resti del villaggio preistorico (Bronzo Antico) - Nola
Nel caso dell'eruzione dell'età del Bronzo Antico, in uno scavo effettuato nel 1995 nelle campagne di S. Paolo Belsito, ritrovammo alla base di uno spesso strato di Pomici i primi e unici due scheletri di vittime di quell’eruzione. Tra il 2001 ed il 2004  poi, ci fu la sensazionale scoperta di un villaggio preistorico perfettamente conservato dal deposito piroclastico, ed ancora  migliaia di impronte umane, segno che la  comunità insediata in quei luoghi si diede alla fuga nel corso dell'eruzione. Dallo studio di tali evidenze con la collaborazione di archeologi e antropologi, ho potuto ricostruire le varie fasi delle eruzioni e i suoi effetti. Mentre le uniche vittime rinvenute nelle pomici indicano una morte riconducibile alla prima fase dell'evento a causa dell'intensa pioggia di lapilli, tutti gli indizi e le evidenze riscontrate nel  villaggio, testimoniano un  esodo di massa dall’inizio dell'eruzione. D’altra parte le orme nei primi strati della cenere non lasciano dubbi. E' probabile che molti individui riuscirono a mettersi in salvo, per poi tentare successivamente ma senza successo,  la ricostruzione dei villaggi in quello che oramai era diventato un deserto vulcanico, esteso migliaia di chilometri quadrati tutto intorno al vulcano.  

Studiando i resti umani restituitici dal Vesuvio nell’eruzione di Avellino e in quella famosa di Pompei del 79 d. C. ci sono analogie tra le cause di morte?

L'assenza di vittime nell'area interessata dai flussi piroclastici, impediva una valutazione diretta degli effetti dell'eruzione sulle persone.  D'altra parte le mie ricerche sulle vittime dell'eruzione di Pompei, sconfessando definitivamente una vecchia ipotesi di morte per asfissia, hanno dimostrato che la maggior parte dei pompeiani che si erano  attardati nella fuga morirono all'istante per esposizione alle nubi piroclastiche con temperature anche superiori ai 300 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo  et al Plos One 2010
Calco di donna con bambino e bambino dormiente, così come ce li ha restituiti la cenere vulcanica (Pompei).
La postura è quella  immediatamente precedente al passaggio di un micidiale flusso  piroclastico.

Solo una parte degli abitanti dell’epoca  morì nella prima fase dell'eruzione  a seguito del crollo dei tetti.  Le evidenze di esposizione ad altissima temperatura riscontrabili nelle ossa delle vittime e documentate dalle loro posture (classificate come da cadaveric spasm), testimoniano inconfutabilmente la morte istantanea e senza  agonia, analoga a quella causata dalle esplosioni nucleari o da altri eventi estremi. Non è da escludere che gli stessi fenomeni interessarono le probabili vittime dell'eruzione di Avellino che ancora non sono state rinvenute. Dopo l'eruzione del Bronzo Antico si è avuto un arresto totale della facies culturale di almeno due secoli, per poi avere una ripresa lenta ascrivibile al periodo del Bronzo Medio.

La qualità e la quantità dei prodotti eruttati dalle due eruzioni citate avevano notevole differenze?
In  termini vulcanologici, le due eruzioni pliniane  citate non sono molto differenti tra loro, sia dal punto di vista dei volumi che dei meccanismi eruttivi; cambia solo la direzione di propagazione dei flussi piroclastici, che nell'eruzione del Bronzo Antico  si diffusero anche nell'area successivamente occupata dalla città di Napoli, evidenziando l'estrema pericolosità di un possibile e analogo evento futuro.

Diversi fuggitivi lì ad Ercolano nel 79 d.C., si ripararono sotto dei fornici in prossimità del mare: morirono tutti…
Una mia prima ricerca sugli effetti dell'eruzione del 79 A.D. sugli ercolanesi, pubblicata nel 2001 sulla rivista scientifica Nature e poi ripresa dai mass media, ha dimostrato come i circa 300 rifugiati nei 12 fornici lungo l'antica spiaggia di Ercolano, morirono all'istante in seguito al passaggio del primo flusso piroclastico, il surge S1, ad una temperatura superiore ai 500 gradi centigradi.

G. Mastrolorenzo - Nel 79 d. C. alcune centinaia di ercolanesi si rifugiarono all'interno di fornici
ubicati sul litorale. Furono vaporizzati da un flusso piroclastico e i loro resti sono stati custoditi per circa
duemila anni dalla finissima cenere vulcanica...

Posture naturali, connessioni anatomiche, modificazioni nella microstruttura delle ossa, estese fratturazioni da contrazione termica ed esplosioni dei crani, indicano come le vittime raggiunte dalla nube ardente, persero la vita in una frazione di secondo. Pur senza soffrire, subirono la vaporizzazione delle parti molli sostituite dalla cenere vulcanica che è valsa a preservarli per due millenni. La posizione posturale di centinaia di donne, uomini e bambini, che erano sopravvissuti alla prima fase della catastrofe vulcanica, è quella dell'ultimo istante di vita ed è giunta fino a noi.
Le vaste conoscenze delle quali disponiamo sui fenomeni vulcanici e sui loro micidiali effetti, dovrebbero imporre senza indugi la necessità di tutela della popolazione esposta al pericolo vulcanico. La mancanza di un piano di evacuazione nell’area a maggior rischio del mondo, è veramente un fatto di assoluta gravità...


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo per averci dedicato del tempo illustrandoci con chiarezza gli importanti fenomeni che hanno riguardato la storia umana e geologica dei nostri territori. Il protagonista centrale è il Vesuvio, che nonostante i millenni mantiene inalterato una buona dose di fascino e tante altre di pericolo.

sabato 28 febbraio 2015

Rischio Vesuvio: il monito dall'archeologia...di Malko






“Rischio Vesuvio: per la zona rossa si contempli l’archeologia…” 
di MalKo

Il Vesuvio rappresenta una minaccia per niente campata in aria, perché la storia pregressa del vulcano annovera avvenimenti eruttivi a volte anche particolarmente catastrofici, come quelli che seppellirono quasi duemila anni fa le città di Pompei ed Ercolano e prima ancora insediamenti preistorici dell’età del bronzo antico nel nolano.
Plinio il vecchio nel 79 d. C. nel corso dell’eruzione di Pompei si lanciò con le sue navi da Miseno alla volta del vesuviano come un moderno comandante dei Vigili del Fuoco, tentando di salvare ciò che restava di una popolazione oramai irrimediabilmente perduta, alla mercé della pioggia di cenere e lapillo e delle colate piroclastiche che spazzarono gli insediamenti urbani ubicati alla base del vulcano. Se la storia insegna qualcosa, né cittadini e né soccorritori dovranno farsi trovare in caso di allarme vulcanico nel settore invadibile dalle nubi ardenti e dal loro rovente carico di materiale piroclastico.
Quale sia questo settore lo hanno deciso i vertici del Dipartimento della Protezione Civile dopo aver valutato le risultanze della commissione Vesuvio e aver acquisito il parere e le note della commissione grandi rischi.  In quest’ambito di alto livello decisionale, è stato deciso di adottare a garanzia dei vesuviani un’eruzione dal valore energetico VEI 4 (eruzione sub pliniana), visto che una elaborazione probabilistica effettuata da alcuni ricercatori dell’INGV, indica in un’eruzione VEI 3 (ultra stromboliana) quella più probabile se dovesse cessare la quiescenza del Vesuvio nei prossimi 130 anni.



Gli esperti hanno quindi individuato i territori su cui potrebbero abbattersi e spalmarsi gli effetti più deleteri di un’eruzione sub pliniana, prendendo in esame una pubblicazione scientifica della ricercatrice Lucia Gurioli, che ha tracciato su una mappa delle linee a colori segnando la massima distanza raggiunta dalle colate piroclastiche intorno al Vesuvio secondo indici di varia frequenza. La linea nera Gurioli circoscrive appunto i limiti di massimo scorrimento dei depositi da flusso per eruzioni a media frequenza (VEI 4). La zona rossa Vesuvio dovrebbe quindi coincidere con l’area (black line) circoscritta dalla Gurioli. In realtà la nuova perimetrazione è più ampia, in parte per scelta politica dovuta alla classificazione precedente, e in parte perché sono stati aggiunti alcuni settori ad est (rossa 2) dove la pioggia di cenere e lapilli costituirebbe una minaccia non trascurabile.


La linea nera Gurioli è un tracciato geo referenziato; da limite di deposito qual era è diventato innaturalmente un limite di pericolo addirittura deterministico. Al punto che a pochi metri dalla linea Gurioli (Scafati – Poggiomarino) è possibile richiedere licenza edilizia.
Il problema che oggi ci troviamo ad affrontare a proposito della tutela dei cittadini dal rischio Vesuvio, è tutto incentrato sul fatto che nonostante bisognerebbe prendere in esame nella pianificazione d’emergenza l’eruzione massima conosciuta, gli esperti del dipartimento di Franco Gabrielli hanno invece optato per un evento eruttivo  ponderato (VEI 4), su cui fare riferimento nei piani. Nella sostanza, le autorità governative si sono scelte il nemico vulcanico sub pliniano, che rappresenta una misura energetica nel nostro caso medio – alta, ma non quella massima conosciuta che, per il Vesuvio, lo ripetiamo, è una pliniana (VEI 5), cioè simile a quella famosa di Pompei o di Avellino. Rispettivamente eventi manifestatisi circa 2000 e 4000 anni fa.
Il collasso della colonna eruttiva (colate piroclastiche), è l’evento e il momento più pericoloso e il più distruttivo in assoluto in seno a un’eruzione. Il fenomeno si ricollega all’energia potenziale guadagnata dalla quota raggiunta dai materiali eruttati dal vulcano; questi a un certo punto mancando del sostentamento precipiterebbero verticalmente e rapidamente sulle pareti scoscese del vulcano che favorirebbero un indirizzo di scivolamento sempre più orizzontale dei flussi che macinerebbero chilometri. Trattandosi di una sorta di valanga a temperature di diverse centinaia di gradi, si avrebbero danni meccanici e termici su di una superficie territoriale ampia in una misura dipendente dall’intensità dell’eruzione (VEI) e dalle caratteristiche del “miscuglio” eruttato… Nelle pliniane l’alito ardente del vulcano ha raggiunto anche i 20 chilometri di distanza dal cratere.
Secondo recenti studi, gli ercolanesi che furono raggiunti dai flussi piroclastici nel 79 d. C. morirono all’istante per effetto delle elevate temperature che indussero shock termico e nucleazione dei liquidi biologici. Per gli abitanti di Pompei invece, pare che il motivo principale delle morti sia da imputarsi al soffocamento dovuto alle ceneri, e a un particolato particolarmente irritante e tiepido che si staccò dalla parte alta dei flussi piroclastici continuandone per abbrivio il cammino ben oltre i limiti di deposito. Diversi calchi delle vittime dell’eruzione di Pompei riportano una posizione di difesa delle prime vie aeree o comunque di abbandono al sonno…
Non sappiamo quali strategie operative le istituzioni stiano mettendo a punto per architettare un piano di emergenza e di evacuazione capace di portare in salvo e in poco tempo settecentomila persone (zona rossa)… Sappiamo però, che l’ossatura del piano si basa non già sull’evento massimo conosciuto ma su quello statistico probabilistico. La differenza consiste in circa due milioni di persone fuori da ogni garanzia… Ovviamente una siffatta decisione abbiamo il sospetto che semplifichi la vita a un bel po’ di maestranze politiche e istituzionali e cementizie, che si affidano come in una roulette alla statistica puntando tutto sul nero della linea Gurioli.  Se la probabilità eruttiva statistica è azzeccata, lo sapremo solo alla prossima eruzione o fra 130 anni in assenza di eventi.
In realtà da un punto di vista prettamente tecnico, ci si dovrebbe affidare alla scelta statistica probabilistica solo in mancanza di alternative valide per porre la popolazione al sicuro dall’evento massimo atteso. L’accettazione statistica in questo caso è un grosso azzardo che dovrebbe far tremare le vene e i polsi anche al più disinvolto dei pianificatori. Pensate che in caso di evento vulcanico impossibile da decifrare in partenza, gli abitanti di Striano o Volla, per dirne alcuni, dovranno starsene quieti perché la statistica li pone al sicuro dagli effetti più deleteri dell’eruzione, tant’è che non rientrano nel settore rosso ad evacuazione preventiva.
Non siamo certi che nella recente campagna informativa Edurisk 2015 condotta nelle scuole vesuviane sia stato segnalato correttamente questo difetto garantista, oppure che sia stato chiaramente sottolineata l’assenza di un piano di evacuazione. Invitiamo professori e insegnanti e allievi a meglio documentarsi sull'argomento, spostandosi appena un poco dai canali ufficiali dell'informazione particolarmente edulcorati... 




Le eruzioni pliniane sono una rarità e sono circa 2000 anni che non si verificano. 
Sappiamo però che il serbatoio magmatico napoletano, tra l’altro unico per i Campi Flegrei e il Vesuvio, contiene miscela a sufficienza per qualsiasi tipo di eruzione. Sappiamo che ogni volta che il Vesuvio entra in una fase di quiescenza soprattutto a condotto chiuso ridiventa indecifrabile, come indecifrabili nei tempi e nei modi saranno i precursori. Si parla di evacuazione possibile in 72 ore, ma non esistono ancora piani in tal senso…  
In Giappone nel 2011 si è verificato un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter. Il terremoto più potente in assoluto mai verificatosi nel paese del Sol Levante, che ricevette morte e distruzione dal sisma e da uno Tsunami associato… I pianificatori giapponesi terranno in debito conto scenari con questa magnitudo nelle loro strategie di difesa o oblieranno il valore 9 perché rappresenta un singolo episodio?
Secondo il nostro punto di vista la zona rossa Vesuvio dovrebbe essere intanto circolare (vedi figura sottostante) e inglobare innanzitutto le due aree archeologiche flagellate e sepolte dalle eruzioni di Pompei e Avellino, perché in un certo qual senso queste due località rappresentano un confine logico e tangibile e visibile del pericolo.
D’altra parte a nord est non si è spinta solo l’eruzione di Avellino, ma anche le fenomenologie alluvionali (zona blu) di buona parte delle eruzioni pliniane e sub pliniane e anche ultra stromboliane. Quest’area così come l’abbiamo circoscritta, non solo garantisce una significativa e opportuna fascia di rispetto dalla linea nera Gurioli, ma ingloba anche alcuni comuni per niente menzionati che rischierebbero non poco in caso di eruzione pliniana.
Vorremmo ricordare al dipartimento della protezione civile che il principio di precauzione non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull'assenza di prove e dati che lo escludano. Nel nostro caso mancano anche certezze sui tempi di previsione dell’eruzione in linea con le necessità di tutela della popolazione da evacuare all’occorrenza.


Ovviamente ribadiamo la necessità di precludere l’edilizia ad uso residenziale nella zona rossa, quella che vedete, favorendo comunque le opere di adeguamento antisismico e le opere di difesa passiva (tetti spioventi), che possono essere anche non cementizie e di taglio prefabbricato come griglie metalliche inclinate. Come più volte abbiamo scritto, in termini di prevenzione bisognerebbe mettere mano a un riordino territoriale che contempli alcune necessità come la realizzazione di strade a scorrimento veloce acchiappando nel contempo l’edilizia per i capelli, onde trascinarla verso nord, lontana dai distretti vulcanici napoletani.

Per quanto riguarda la determinazione dello scenario eruttivo, vogliamo appena ricordare una delle massime di Benjamin Disraeli; ci sono tre tipi di bugie: le piccole bugie, le grandi bugie e la statistica.