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sabato 28 febbraio 2015

Rischio Vesuvio: il monito dall'archeologia...di Malko






“Rischio Vesuvio: per la zona rossa si contempli l’archeologia…” 
di MalKo

Il Vesuvio rappresenta una minaccia per niente campata in aria, perché la storia pregressa del vulcano annovera avvenimenti eruttivi a volte anche particolarmente catastrofici, come quelli che seppellirono quasi duemila anni fa le città di Pompei ed Ercolano e prima ancora insediamenti preistorici dell’età del bronzo antico nel nolano.
Plinio il vecchio nel 79 d. C. nel corso dell’eruzione di Pompei si lanciò con le sue navi da Miseno alla volta del vesuviano come un moderno comandante dei Vigili del Fuoco, tentando di salvare ciò che restava di una popolazione oramai irrimediabilmente perduta, alla mercé della pioggia di cenere e lapillo e delle colate piroclastiche che spazzarono gli insediamenti urbani ubicati alla base del vulcano. Se la storia insegna qualcosa, né cittadini e né soccorritori dovranno farsi trovare in caso di allarme vulcanico nel settore invadibile dalle nubi ardenti e dal loro rovente carico di materiale piroclastico.
Quale sia questo settore lo hanno deciso i vertici del Dipartimento della Protezione Civile dopo aver valutato le risultanze della commissione Vesuvio e aver acquisito il parere e le note della commissione grandi rischi.  In quest’ambito di alto livello decisionale, è stato deciso di adottare a garanzia dei vesuviani un’eruzione dal valore energetico VEI 4 (eruzione sub pliniana), visto che una elaborazione probabilistica effettuata da alcuni ricercatori dell’INGV, indica in un’eruzione VEI 3 (ultra stromboliana) quella più probabile se dovesse cessare la quiescenza del Vesuvio nei prossimi 130 anni.



Gli esperti hanno quindi individuato i territori su cui potrebbero abbattersi e spalmarsi gli effetti più deleteri di un’eruzione sub pliniana, prendendo in esame una pubblicazione scientifica della ricercatrice Lucia Gurioli, che ha tracciato su una mappa delle linee a colori segnando la massima distanza raggiunta dalle colate piroclastiche intorno al Vesuvio secondo indici di varia frequenza. La linea nera Gurioli circoscrive appunto i limiti di massimo scorrimento dei depositi da flusso per eruzioni a media frequenza (VEI 4). La zona rossa Vesuvio dovrebbe quindi coincidere con l’area (black line) circoscritta dalla Gurioli. In realtà la nuova perimetrazione è più ampia, in parte per scelta politica dovuta alla classificazione precedente, e in parte perché sono stati aggiunti alcuni settori ad est (rossa 2) dove la pioggia di cenere e lapilli costituirebbe una minaccia non trascurabile.


La linea nera Gurioli è un tracciato geo referenziato; da limite di deposito qual era è diventato innaturalmente un limite di pericolo addirittura deterministico. Al punto che a pochi metri dalla linea Gurioli (Scafati – Poggiomarino) è possibile richiedere licenza edilizia.
Il problema che oggi ci troviamo ad affrontare a proposito della tutela dei cittadini dal rischio Vesuvio, è tutto incentrato sul fatto che nonostante bisognerebbe prendere in esame nella pianificazione d’emergenza l’eruzione massima conosciuta, gli esperti del dipartimento di Franco Gabrielli hanno invece optato per un evento eruttivo  ponderato (VEI 4), su cui fare riferimento nei piani. Nella sostanza, le autorità governative si sono scelte il nemico vulcanico sub pliniano, che rappresenta una misura energetica nel nostro caso medio – alta, ma non quella massima conosciuta che, per il Vesuvio, lo ripetiamo, è una pliniana (VEI 5), cioè simile a quella famosa di Pompei o di Avellino. Rispettivamente eventi manifestatisi circa 2000 e 4000 anni fa.
Il collasso della colonna eruttiva (colate piroclastiche), è l’evento e il momento più pericoloso e il più distruttivo in assoluto in seno a un’eruzione. Il fenomeno si ricollega all’energia potenziale guadagnata dalla quota raggiunta dai materiali eruttati dal vulcano; questi a un certo punto mancando del sostentamento precipiterebbero verticalmente e rapidamente sulle pareti scoscese del vulcano che favorirebbero un indirizzo di scivolamento sempre più orizzontale dei flussi che macinerebbero chilometri. Trattandosi di una sorta di valanga a temperature di diverse centinaia di gradi, si avrebbero danni meccanici e termici su di una superficie territoriale ampia in una misura dipendente dall’intensità dell’eruzione (VEI) e dalle caratteristiche del “miscuglio” eruttato… Nelle pliniane l’alito ardente del vulcano ha raggiunto anche i 20 chilometri di distanza dal cratere.
Secondo recenti studi, gli ercolanesi che furono raggiunti dai flussi piroclastici nel 79 d. C. morirono all’istante per effetto delle elevate temperature che indussero shock termico e nucleazione dei liquidi biologici. Per gli abitanti di Pompei invece, pare che il motivo principale delle morti sia da imputarsi al soffocamento dovuto alle ceneri, e a un particolato particolarmente irritante e tiepido che si staccò dalla parte alta dei flussi piroclastici continuandone per abbrivio il cammino ben oltre i limiti di deposito. Diversi calchi delle vittime dell’eruzione di Pompei riportano una posizione di difesa delle prime vie aeree o comunque di abbandono al sonno…
Non sappiamo quali strategie operative le istituzioni stiano mettendo a punto per architettare un piano di emergenza e di evacuazione capace di portare in salvo e in poco tempo settecentomila persone (zona rossa)… Sappiamo però, che l’ossatura del piano si basa non già sull’evento massimo conosciuto ma su quello statistico probabilistico. La differenza consiste in circa due milioni di persone fuori da ogni garanzia… Ovviamente una siffatta decisione abbiamo il sospetto che semplifichi la vita a un bel po’ di maestranze politiche e istituzionali e cementizie, che si affidano come in una roulette alla statistica puntando tutto sul nero della linea Gurioli.  Se la probabilità eruttiva statistica è azzeccata, lo sapremo solo alla prossima eruzione o fra 130 anni in assenza di eventi.
In realtà da un punto di vista prettamente tecnico, ci si dovrebbe affidare alla scelta statistica probabilistica solo in mancanza di alternative valide per porre la popolazione al sicuro dall’evento massimo atteso. L’accettazione statistica in questo caso è un grosso azzardo che dovrebbe far tremare le vene e i polsi anche al più disinvolto dei pianificatori. Pensate che in caso di evento vulcanico impossibile da decifrare in partenza, gli abitanti di Striano o Volla, per dirne alcuni, dovranno starsene quieti perché la statistica li pone al sicuro dagli effetti più deleteri dell’eruzione, tant’è che non rientrano nel settore rosso ad evacuazione preventiva.
Non siamo certi che nella recente campagna informativa Edurisk 2015 condotta nelle scuole vesuviane sia stato segnalato correttamente questo difetto garantista, oppure che sia stato chiaramente sottolineata l’assenza di un piano di evacuazione. Invitiamo professori e insegnanti e allievi a meglio documentarsi sull'argomento, spostandosi appena un poco dai canali ufficiali dell'informazione particolarmente edulcorati... 




Le eruzioni pliniane sono una rarità e sono circa 2000 anni che non si verificano. 
Sappiamo però che il serbatoio magmatico napoletano, tra l’altro unico per i Campi Flegrei e il Vesuvio, contiene miscela a sufficienza per qualsiasi tipo di eruzione. Sappiamo che ogni volta che il Vesuvio entra in una fase di quiescenza soprattutto a condotto chiuso ridiventa indecifrabile, come indecifrabili nei tempi e nei modi saranno i precursori. Si parla di evacuazione possibile in 72 ore, ma non esistono ancora piani in tal senso…  
In Giappone nel 2011 si è verificato un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter. Il terremoto più potente in assoluto mai verificatosi nel paese del Sol Levante, che ricevette morte e distruzione dal sisma e da uno Tsunami associato… I pianificatori giapponesi terranno in debito conto scenari con questa magnitudo nelle loro strategie di difesa o oblieranno il valore 9 perché rappresenta un singolo episodio?
Secondo il nostro punto di vista la zona rossa Vesuvio dovrebbe essere intanto circolare (vedi figura sottostante) e inglobare innanzitutto le due aree archeologiche flagellate e sepolte dalle eruzioni di Pompei e Avellino, perché in un certo qual senso queste due località rappresentano un confine logico e tangibile e visibile del pericolo.
D’altra parte a nord est non si è spinta solo l’eruzione di Avellino, ma anche le fenomenologie alluvionali (zona blu) di buona parte delle eruzioni pliniane e sub pliniane e anche ultra stromboliane. Quest’area così come l’abbiamo circoscritta, non solo garantisce una significativa e opportuna fascia di rispetto dalla linea nera Gurioli, ma ingloba anche alcuni comuni per niente menzionati che rischierebbero non poco in caso di eruzione pliniana.
Vorremmo ricordare al dipartimento della protezione civile che il principio di precauzione non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull'assenza di prove e dati che lo escludano. Nel nostro caso mancano anche certezze sui tempi di previsione dell’eruzione in linea con le necessità di tutela della popolazione da evacuare all’occorrenza.


Ovviamente ribadiamo la necessità di precludere l’edilizia ad uso residenziale nella zona rossa, quella che vedete, favorendo comunque le opere di adeguamento antisismico e le opere di difesa passiva (tetti spioventi), che possono essere anche non cementizie e di taglio prefabbricato come griglie metalliche inclinate. Come più volte abbiamo scritto, in termini di prevenzione bisognerebbe mettere mano a un riordino territoriale che contempli alcune necessità come la realizzazione di strade a scorrimento veloce acchiappando nel contempo l’edilizia per i capelli, onde trascinarla verso nord, lontana dai distretti vulcanici napoletani.

Per quanto riguarda la determinazione dello scenario eruttivo, vogliamo appena ricordare una delle massime di Benjamin Disraeli; ci sono tre tipi di bugie: le piccole bugie, le grandi bugie e la statistica. 

sabato 8 novembre 2014

Rischio Vesuvio e lo strategico assessore regionale...di Malko




“Rischio Vesuvio e lo strategico assessore regionale...”

Il primo problema per gli strateghi del piano d’emergenza Vesuvio dovrebbe essere l’impossibilità di definire con certezza il territorio su cui potrebbero abbattersi gli effetti di una possibile eruzione vulcanica. La Commissione Grandi Rischi e il parterre della Protezione Civile Nazionale guidata dal prefetto Franco Gabrielli, hanno ufficializzato la linea nera Gurioli come limite di pericolo per marcare la zona a massima pericolosità corrispondente a quella invadibile dai flussi piroclastici per eruzioni non eccedenti un indice energetico VEI 4. Ovviamente queste certezze confluite nell’adozione di una linea geo referenziata sono discutibili, perché un tale decisionismo non è supportato da elementi concreti di valutazioni che consentano un fare deterministico. Parliamo di una struttura vulcanica emersa e sommersa che ad ogni eruzione muore e risorge senza nessun rapporto gemellare con la miscela magmatica precedente.

Le eruzioni pliniane (VEI 5) di fatto sono state scartate nella scenografia del pericolo, perché secondo gli esperti statistici e la commissione grandi rischi, la possibilità di una siffatta tipologia eruttiva è solo dell’1%. L’assessore regionale alla protezione civile, Ing. Edoardo Cosenza, ha aggiunto in alcune dotte disquisizioni che il rischio di essere colpiti da un meteorite supera la possibilità che ci colga una pliniana. Secondo la tabella statistica allo scopo adoperata, tra 130 anni la probabilità che una futura eruzione del Vesuvio assuma carattere da pliniana salirà secondo le stime all’11%, e forse bisognerà ridisegnare la nuova zona rossa Vesuvio che oggi già ricade nei limiti per niente periferici della metropoli partenopea.
L’assessore Ingegnere Edoardo Cosenza è stato il vero protagonista del consesso di geologi riunitisi a Napoli il 14 ottobre 2014 per discutere di rischio Vulcanico. Con fare deciso, il responsabile della protezione civile regionale Campania ha spiegato alla platea che i tempi di ritorno di un’eruzione pliniana sono di 23.000 anni, quelli sismici di 475 anni e quelli alluvionali legati al fiume Sarno di appena 100 anni.   Secondo il relatore, in zona rossa Vesuvio bisogna quindi occuparsi in primis della robustezza delle case che vanno riattate, adeguate in senso antisismico e dotate di tetto a spiovente per evitare pesanti accumuli di cenere e lapilli sulle coperture. Questa posizione è condivisa anche dal Prefetto Franco Gabrielli. Non ci hanno spiegato i due dirigenti però, i ruderi e gli spiccati che non contemplano oggi e per degrado alcun abitante, una volta ripristinati con quale legge se ne vieterà l’utilizzo a uso abitativo per non incrementare il valore esposto nel sedime a rischio. Diversamente perchè spendere? Non c’è tempo per una risposta, perché nelle attenzioni dell’ingegnere c’è già il fiume Sarno che dovrà essere dotato di una procedura o di un sistema di rapida ripulitura degli alvei dagli accumuli di piroclastiti per evitare fastidiosi alluvionamenti…

Il secondo elemento su cui ugualmente non si possono riporre certezze è il numero di abitanti che deciderà autonomamente di andare via, con o senza supporto economico dell’amministrazione statale, dalle zone prossime a quelle rosse ufficializzate, semplicemente per motivi precauzionali magari perché non si condividono le meteoritiche certezze… Un caso potrebbe offrirlo la cittadina di Striano che pur incastrata geograficamente tra Palma Campania e Poggiomarino non è stata contemplata nel settore da evacuare preventivamente in caso di allarme. In compenso però, nell’ultimo consiglio comunale strianese sono state approvate le linee regionali per la prevenzione del rischio sismico.

Zona rossa Vesuvio 1 e 2

Il terzo elemento che è di riflessione, riguarda la possibilità offerta agli abitanti ubicati a oriente del vulcano (Poggiomarino e Scafati), di continuare a costruire con licenza edilizia saturando metro dopo metro un territorio che con il passare degli anni ricadrà per intero nel settore dei flussi piroclastici pliniani. Questi comuni fanno parte della zona rossa 2 (R2), quella cioè, dove la ricaduta di prodotti piroclastici potrebbe creare fin dai primi momenti eruttivi problemi seri alla respirazione. Inoltre, la statica dei solai di copertura potrebbe essere compromessa dall’accumulo dei prodotti cinerei espulsi dal vulcano.  Una decisione miope la mancata prevenzione in quest’area, con disposti normativi che non vietano l’implemento della popolazione ma stabiliscono la fuga a gambe levate in caso di allarme vulcanico. Non vogliono comprendere gli amministratori che i decenni non sono eternità, e quindi non dovrebbero consentire ulteriori insediamenti nella plaga vesuviana, con cittadini che possono ritrovarsi esposti come birilli su un tracciato di bowling…

Il quarto elemento di incertezza riguarda i tempi a disposizione per evacuare all’occorrenza l’area vesuviana e che dovranno essere utili e di anticipo sull’evento eruttivo. L’autorità scientifica ci ricorda che lo start lo dovrà dare l’autorità politica su cui si faranno confluire tutti i dati rilevati dalle stazioni di monitoraggio. Sarebbe interessante capire qual è la percentuale di rischio che potrà essere assorbita dalle spalle della Presidenza del Consiglio e dalla commissione grandi rischi riunita, in caso di emergenza, in seno al dipartimento della protezione civile, e quale valore percentuale invece dovrà dare origine inevitabilmente all’evacuazione della plaga vesuviana. Ovviamente e condividiamo, in ultima analisi è preferibile un falso allarme piuttosto che uno tardivo… L’indice probabilistico eruttivo per far scattare l’evacuazione totale dovrebbe essere del 50% + 1. Purtroppo c'è un'assenza di riferimenti utili per indicizzare trend e percentuale statistica... La percezione degli scienziati allora, rimarrà quindi di fondamentale importanza.

Il quinto elemento di incertezza riguarda i Comuni che stanno lavorando con i fondi europei ai piani di emergenza nel rispetto delle linee guide ricevute. Come abbiamo accennato altre volte, speriamo che i municipi non affidino in toto ad esperti esterni la redazione dei piani di protezione civile, perché verrebbe meno il processo auto formativo degli addetti locali, particolarmente importante per la gestione delle emergenze e per l’aggiornamento degli elaborati tecnici.

Il Vesuvio nel frattempo è pregato di mantenere il suo stato di quiete almeno fino al 31 dicembre del 2015, che pare sia la data limite per la consegna e la pubblicazione dei piani comunali di protezione civile anche online. Nella tabella che segue sono riportati i livelli di allerta, le fasi operative e le autorità politiche che decideranno i vari passaggi. 



Il sesto elemento di perplessità riguarda le affermazioni rilasciate  dall’assessore regionale Edoardo Cosenza a proposito dei tempi di ritorno delle eruzioni pliniane misurate a 23.000 anni.  Trattasi di una colossale inesattezza…I maggiori organismi scientifici infatti, e fra tutti l’Osservatorio Vesuviano, rifuggono da una tale interpretazione perché non è possibile oggi definire i tempi di ritorno di una qualsivoglia tipologia di eruzione per tutti i vulcani in generale e in particolare per le eruzione pliniane del Vesuvio.   C’è allora da riflettere sul perché di certe affermazioni…

In realtà se fosse passato il principio che i piani d’emergenza devono contemplare l’evento massimo conosciuto e non quello maggiormente probabile, per prassi normativa all’intera metropoli partenopea segnata da tre distretti vulcanici, bisognava applicare il divieto di edificare in senso residenziale. Principi stabiliti dalla legge regionale numero 21 del 2003. Con tale modus operandi si avrebbe avuto l’indiscutibile vantaggio di una stabilizzazione del numero di abitanti della metropoli vulcanica. Di conseguenza si sarebbe dovuto pianificare lo sviluppo sostenibile in altre province campane che possono assorbire agilmente un certo numero di abitanti e, quindi, partire dalla progettazione di nuove vie di comunicazioni che si andrebbero a scostare da quelle tradizionali e parallele alla linea di costa. I nastri d’asfalto e le linee ferrate punterebbero verso gli appennini… L’edificato nascente comprenderebbe palazzi costruiti con criteri antisismici, in un contesto urbanistico più equilibrato, con ampi spazi e a misura d'uomo. Nel frattempo e auspicabilmente sarebbe iniziato il secolo del riordino territoriale, una sorta di primavera napoletana, con ambiziosi traguardi di rivalutazione del patrimonio paesaggistico e archeologico e storico della metropoli vulcanica, oggi sopraffatta dalla politica e dal cemento quali elementi per niente disgiunti fra di loro.

Vorremmo salutare al più presto il primo piano d’emergenza pubblicato online da qualche virtuoso comune campano per capire come si sta procedendo nel fronteggiare il rischio vulcanico vesuviano, calderico flegreo e ischitano. Sono soldi europei tra l’altro spesi su un argomento che dovrebbe essere nelle attenzioni della corte europea di Strasburgo sui diritti dell'uomo, a proposito delle azioni volte a difendere i vesuviani dal rischio vulcanico. Una problematica oggi nelle mani di un assessore talmente sicuro del fatto suo, che non ha avuto difficoltà ad affermare che ricostruirebbe di nuovo e in zona rossa il più grande e antisismico ospedale del sud Italia... Ipse dixit!

Ospedale del mare - Napoli -