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mercoledì 21 agosto 2024

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: siamo solo all'inizio... di Malko

Pozzuoli. Rione Terra

 

             

Il pensiero della commissione grandi rischi, riunitasi alcune settimane fa su invito del dipartimento della protezione civile, è quello che nella zona rossa dei Campi Flegrei, ovvero quella ad alta pericolosità vulcanica, l'allerta codificata per il momento rimane sui livelli di attenzione (gialla).

Per le zone bradisismiche invece (figura in basso), soggette a sollevamento dei suoli quale conseguenza del vulcanesimo locale che induce sismicità a volte incalzante con ipocentri poco profondi, non si utilizzano colori per classificare lo stato di pericolosità zonale, perché questo dipende da molti fattori anche imponderabili in via preventiva, come la magnitudo e la profondità ipocentrale dei terremoti. I sismi sopraggiungono improvvisi abbattendosi su fabbricati di diversissima fattura costruttiva, e quindi con una risposta statica e dinamica alle sollecitazioni crostali molto differente. A evento sismico avvenuto, si andrebbero a valutare gli eventuali danni subiti dall’edificato, dalle infrastrutture e dai sottoservizi nell’area colpita, classificando le criticità secondo una scala crescente da 1 a 3.



Probabilmente sarà proprio la notevole fratturazione degli ammassi litoidi che caratterizzano i primi chilometri di profondità della caldera flegrea, ad evitare accumuli di energia oltre misura. In ogni caso trattasi di una considerazione non deterministica, che può essere di minimo  conforto solo per chi vive in fabbricati robusti o antisismici, e che ad oggi non hanno presentato cenni di cedimento statico, nonostante le numerose sollecitazioni bradisismiche e sismiche.

Per coloro che dimorano in alloggi strutturalmente fatiscenti invece, occorre che tengano in debita considerazione anche livelli di sismicità modesti.  La magnitudo massima che potrebbe colpire le zone soggette al bradisismo, per le ragioni addotte in precedenza, difficilmente dovrebbe assurgere a livelli catastrofici; purtuttavia a fare la differenza è la bassa profondità degli ipocentri, che renderebbe temibile qualsiasi sussulto crostale. Quindi, ai Campi Flegrei non ci sono consolidate e definitive conclusioni geologiche da offrire al pubblico, tanto per il fenomeno del bradisismo quanto per i terremoti e per la pericolosità vulcanica in tutte le sue forme. Quest’area geografica è sede di rischi naturali, e anche se la crisi bradisismica attuale dovesse scemare o concludersi come del resto è successo pure nel recente passato, non è difficile ipotizzare che il fenomeno si ripresenterebbe col tempo, portando seco gli stessi fenomeni bradisismici e sismici con il pericolo vulcanico tra l’altro, permanentemente immanente.

Le popolazioni flegree cercano dai dettami della scienza e della tecnica, ma soprattutto dalla politica, elementi utili per corroborare la loro volontà di resilienza. Generalizzando, il cinismo o la sprovvedutezza  degli amministratori locali e regionali, che hanno negli anni consentito la nascita della calderopoli flegrea, si è rivelato un danno in termini di vivibilità non solo per la comunità  attuale, ma anche per i posteri. Questi ultimi tra l’altro, non hanno la possibilità di votare come gli italiani all’estero, e quindi, sono meri destinatari delle decisioni popolari o impopolari del nostro tempo.

Nei Campi Flegrei, a fronte dei multiformi pericoli naturali insiti nel vulcanesimo dell’area, sussiste un overbooking edilizio che espone a tutt’oggi gli oltre 500.000 residenti a un rischio serio ancorchè non limitato temporalmente, neanche col passare di decine di generazioni. Se l’antica cittadina romana di Baia era meta ambita dalle famiglie in vista dell’Urbe, ebbene ora l’abitato coi suoi peristili e mura e mosaici è sott'acqua. Questo vuol dire che nonostante siano passati decine di secoli, il fenomeno vulcanico è sempre in auge, e quindi nessuno può escludere che la Baia romana magari risorga dal mare nel corso degli anni... Il comprensorio ardente potrebbe essere dichiarato vulcanicamente estinto, se da qui all’anno 11.538 non dovesse verificarsi alcuna eruzione…

Come si vede dalla cartina sottostante, le due zone bradisismiche, quelle a colori celeste e viola, ricadono interamente all’interno della caldera flegrea, e quindi nella zona rossa ad elevato rischio vulcanico, occupando addirittura un posto centrale. Questo significa che in tutti i casi i settori bradisismici, fanno parte del più vasto distretto dove il rischio vulcanico è una costante e non una variabile ancorchè residuale del territorio.



Con queste premesse di multirischio infra calderico, non si capisce di quale resilienza parlano gli amministratori locali. Ogni  nuova casa che si aggiunge alla conurbazione esistente, comporta un aumento del rischio e una rendita negativa per lo Stato, ma soprattutto è un lascito ereditario ai posteri fatto di pericoli, incertezze del quotidiano, con la minaccia eruttiva che incombe a permanenza su proprietà e vite umane, a prescindere dalla qualità antisismica delle costruzioni che non incidono sulla sopravvivenza da eruzione esplosiva.

L’antropizzazione serrata della caldera flegrea, ha portato quest’area ad essere tra le più pericolose del mondo, alla stregua del distretto vulcanico vesuviano che non è da meno. Al Vesuvio, sono oltre venti anni che vige la legge regionale 21/2003, che vieta qualsiasi realizzazione di opere edilizie di taglio residenziale, anche se di recente gli stessi uffici regionali pertinenti per la programmazione urbanistica, pare che vogliano aprire spiragli per ridimensionare i divieti tuttora vigenti nella zona rossa Vesuvio.  

Il dato che ci sembra emergere a proposito della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica, è quello di un mondo politico, generalizzando, miope o disattento. Un j’accuse che bisogna forse estenderlo pure al mondo scientifico, che poteva fare meglio la sua parte informativa, magari omettendo di lasciar trapelare a favore di telecamera, la quasi certezza della previsione del momento eruttivo, grazie a stazioni di monitoraggio multi parametriche, che in realtà ci sembra che siano multi strumenti ficcati all’interno di stazioni ubicate in vari punti della caldera flegrea. Certamente strumentazioni di buon livello tecnologico aiutano a monitorare il vulcano, ma non a garantire una previsione dell’eruzione che rimane ancora un procedimento “manuale” a cura della commissione grandi rischi e non dell’osservatorio vesuviano. Tra l’altro in una terra avvezza ai sommovimenti percepibili e visibili  addirittura a occhio nudo, coi fondali marini all'asciutto, con emanazioni gassose contate a tonnellate e deformazioni dei suoli decimetriche, un dato micrometrico sarebbe forse di difficile interpretazione previsionistica, soprattutto in assenza di dati pregressi preeruttivi…

Può darsi che non è stato neanche del tutto proficuo per la sicurezza, infondere l’idea che si possa monitorare con precisione l’ascesa del magma. Nel merito della previsione dell’evento vulcanico quindi, sembra che siamo ancora in una fase d’impasse, che forse andava sottolineata senza mitigazione, fornendo così elementi di deterrenza per quanti volevano sulla scorta della disinformazione, investire nel mattone nella calderopoli, 

Tra le tante cose da dire sull’argomento, c’è anche quella ad oggetto la pianificazione d’emergenza, che è nata su uno scenario eruttivo di riferimento di tipo sub pliniano dall’indice di esplosività vulcanica VEI4. Questo per dire che forse è stato ed è controproducente, che referenti scientifici istituzionali indichino l’eruzione tipo Montenuovo 1538, come quella attesa e più probabile. Innanzitutto perché ciò che si dice sullo stile eruttivo della futura eruzione è un pourparler tendente alla rassicurazione ma senza l’onere della responsabilità dell’affermazione. E lo si dice in presenza di una pianificazione VEI4, dalla quale sono derivati i limiti territoriali della zona rossa vulcanica, che comprende totalmente tutta l'area calderica. Bisognerebbe quindi evitare tutte quelle affermazioni che possono essere fuorvianti per l’opinione pubblica, anche perché non c’è un piano differenziato d’intervento basato sull’indice di esplosività vulcanica, che rimane, purtroppo, un dato appurabile solo dopo l’eruzione. Quindi, gli enti di monitoraggio si attengano ai fatti anche perché nei contratti di vigilanza e monitoraggio sussiste un certo dovere condivisibile o non condivisibile alla riservatezza, piuttosto che alle rassicurazioni. Se c’è da rassicurare rimandiamo l’onere a chi stabilisce le fasi operative e non i livelli di allerta. D’altra parte anche un’eruzione di bassa intensità rappresenta un problema serio se non si specifica il punto o i punti eruttivi dove possono presentarsi le dirompenze vulcaniche, che non è detto che debbano coincidere col punto di massimo sollevamento del suolo…

Un deputato pochi giorni fa ha avanzato la necessità di finanziare l’osservatorio vesuviano in modo da poter far assumere due tecnici e due ricercatori. Riteniamo che l’osservatorio vesuviano debba essere finanziato innanzitutto per spostare la sede di sorveglianza e ricerca fuori dalla zona rosse vulcanica e bradisismica dei Campi Flegrei, in modo da avere all’occorrenza e nei momenti topici, una struttura pienamente operativa e non impegnata a caricare i materassi sui camion.

Gli amministratori regionali della Campania, su input legislativo del Ministro della protezione civile, dovranno adottare strumenti legislativi assolutamente inibitori alla realizzazione di ulteriore edificato ad uso residenziale nell’area calderica dei Campi Flegrei.  In tempi brevi tra l’altro, per non rischiare la procedura di surroga da parte dello Stato. Ecco allora che questa importantissima iniziativa strutturale di prevenzione favorita dal Ministro, sta suscitando mugugni che si trasformeranno molto presto in serrato confronto, se non verranno trovate in sede regionale soluzioni, meglio dire escamotage, per estrapolare con alchimie amministrative almeno la spianata di Bagnoli dai vincoli inedificatori…

Già… la spianata di Bagnoli. Quelli bipartisan, generalizzando, studiano la mossa del cavallo in ambito regionale, e non è da escludere che faranno sentire la loro voce con tutte le armi disponibili, a iniziare dalla acclarata capacità tecnica di buttare giù super pilastri armati da poter essere utili addirittura al gigante Atlante nel sostentamento del suo fardello planetario. Gli astuti politici metropolitani e regionali, in sintonia con una certa componente politica nazionale d’estrazione campana,  da anni si coccolano la spianata di Bagnoli, specialmente ora che verrà finanziato a cura dello Stato, il risanamento ambientale dell’ex area industriale litorale compreso.

Con l’approssimarsi delle scadenze imposte dal decreto bis Campi Flegrei, che ha formalizzato la necessità di non costruire oltre nella zona rossa, è probabile che assisteremo a strenue battaglie politiche, popolari, sindacali, associative, laiche e religiose. Non è da escludere la formazione di un fronte di opposizione con bandiere e slogan anti governativi, che in barba a qualsiasi criterio di prevenzione del rischio vulcanico, chiederà che non sia frenato il piano di urbanizzazione di Bagnoli, comprendente pure appartamenti di pregio con vista mare. Per noi la migliore riconversione della spianata di Bagnoli è quella di destinarla ad  area strategica di protezione civile, con tanto di elisuperficie e di approdo rapido dei natanti veloci…

Tra le strutture che iniziano a sentirsi a disagio con le iniziative anti cemento del Ministro Musumeci, si annovera l’assessorato all’urbanistica regionale: ufficio mai depositario o ispiratore di iniziative volte alla prevenzione del rischio vulcanico. Siamo altresì sicuri che faranno sentire i loro borbottii pure taluni amministratori metropolitani, membri di rilievo del comitato partenoflegreo, in quanto particolarmente inclini a ritenere il rischio vulcanico neanche nominabile. Una legge anti cemento, piaccia o non piaccia invece, è l’unica misura di prevenzione seria per evitare il disastro vulcanico, anche in capo ai posteri, a cui non dobbiamo o non dovremmo tramandare un territorio trasformato in una calderopoli asfittica multirischio, la cui programmazione urbanistica è stata lasciata sotto varie forme in mano ai businessmen.

Pare che siano due parlamentari campani, quelli che hanno proposto lecitamente un emendamento al decreto Campi Flegrei bis, acchè la spianata di Bagnoli fosse estrapolata dai divieti di urbanizzazione. L’appello doveva essere rivolto alla natura e non a Musumeci, che non ha il potere di abolire i pericoli in modo puntiforme e per decreto… Del resto questa infelice proposta forse era nell’aria, come dimostra la prima cartina pubblicata sul web (in basso):  le zone bradisismiche stranamente aggirano la spianata di Bagnoli che non ha colorazioni di merito… 



La condizione per operare di prevenzione a fronte del pericolo vulcanico (P), è quella di tenere strutturalmente separato il valore esposto (VE), rappresentato dalla vita umana, a una distanza di sicurezza (d) dal distretto vulcanico che potrebbe dirompere con fenomeni molto pericolosi come le colate piroclastiche o eventi similari. Ecco: il limite della zona rossa vulcanica è dettato proprio dalle eruzioni passate e dai limiti di scorrimento dei flussi piroclastici rilevati sul campo dai geologi.

Il piano di evacuazione è una misura di ripiego dettata da due impossibilità: la prima è quella di spostare o ingabbiare il vulcano, cioè il pericolo; l’altra è quella di spostare dalla zona pericolosa e da subito gli oltre 500.000 abitanti della zona rossa flegrea per proteggerli preventivamente: il numero dei residenti è pari a quelli che si contano nella città di Genova…


Nella formula del rischio semplificata, è evidente che all’aumentare di uno dei due fattori (P e VE) il rischio aumenta. Se aumentano entrambi il rischio diventa insostenibile. In una tavola rotonda organizzata alla Regione Campania alcuni anni fa, presente il sistema di protezione civile, fu affermato che la pericolosità vulcanica non aumenta col passare dei secoli. Affermazione buttata lì per stroncare ogni critica che avanzavamo sull’operato del sistema in tema di prevenzione, quale disciplina che ritenevamo profondamente disattesa. Intanto e per inciso, le pubblicazioni scientifiche dicono tutt’altro sui tempi di quiescenza e sulla pericolosità vulcanica che aumenta... Continuando, in assenza di leggi anti cemento aumenta anche il valore esposto. Ne consegue che non potendo agire sul pericolo vulcanico, occorre concentrarsi necessariamente e strutturalmente sul valore esposto (residenti), che non deve più crescere numericamente, anzi deve diminuire col tempo, azzerandosi repentinamente nei momenti di estremo pericolo vulcanico, grazie a un piano di evacuazione susseguente la previsione d’evento, che al momento non è certa, pur essendo la chiave di volta attuale della sicurezza areale. Purtroppo e alla luce delle odierne conoscenze, la previsione d’eruzione potrà essere solo probabilistica e non deterministica. Ne consegue che non si potranno escludere  anche situazioni da falso allarme o peggio ancora di mancato allarme. Il mancato allarme è una probabilità catastrofica da evitare a ogni costo. Il falso allarme che in tutti i casi comprende l’evacuazione, sarebbe un problema, perché per dichiarare il cessato allarme poi, occorrerebbero tempi lungi di osservazione e monitoraggio geologico, fino a quando qualcuno non si assumerà la responsabilità del rientro dei cittadini nel flegreo. 

Nel 2003 il presidente regionale Antonio Bassolino, riuscì a far approvare la legge 21 che proibiva nella zona rossa Vesuvio, zona ad altissima pericolosità vulcanica, qualsiasi ulteriore urbanizzazione a scopo residenziale. Qualcuno ironizzò chiamando in causa anche la necessità allora di regolamentare le nascite...il mattacchione non calcolò che le morti superano le nascite. Qualcun altro chiamò in causa il TAR, per vedersi riconosciuto in ogni caso il diritto ad edificare in zona rossa, in forza del possesso di autorizzazioni e licenze antecedenti rispetto alla data d’instaurazione del divieto 21/2003. Il Tribunale regionale respinse questa tesi, perché nel momento in cui si appura un pericolo, questi prevale su qualsiasi retrodatazione degli atti amministrativi autorizzativi. Diversamente, sarebbe come dire faccio il pergolato con lastre di amianto perché ho l’autorizzazione a farlo con data antecedente ai disposti di legge che hanno sancito il pericolo cancerogeno del prodotto (asbesto)…

Il Ministro Musumeci si sta spendendo per arrivare a serie e logiche proposte di prevenzione del rischio vulcanico. Proibire la realizzazione di residenze nelle zone ad alta pericolosità vulcanica è una misura inoppugnabile di civiltà, che sarà riconosciuta da tutti, posteri compresi. Per quanto riguarda gli abusi edilizi perpetrati in area ad alta pericolosità vulcanica, abbiamo maturato l’idea che non dovrebbero essere condonati  perché il condono rende vendibile il manufatto, e con esso pure il fardello del rischio che dovrebbe  rimanere unicamente  in capo all’incauto costruttore.

                                                          di Vincenzo Savarese







martedì 23 agosto 2016

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: nel super vulcano il progetto geotermico Scarfoglio? ... di MalKo



Il vulcano Solfatara - Campi Flegrei - Pozzuoli

Nei Campi Flegrei a ridosso del vulcano Solfatara, dovrebbe sorgere una stazione geotermica finalizzata alla produzione di energia elettrica. Il progetto denominato Scarfoglio, è al vaglio del Ministero dell’Ambiente e prevede l’utilizzo di fluidi a media entalpia emunti dal sottosuolo del super vulcano flegreo.

Il progetto pilota prevede l’installazione degli impianti nella contrada denominata appunto Scarfoglio, limitrofa alla zona di Pisciarelli. Quest’ultima è sede di importanti fenomenologie di vulcanesimo ancorché di massiccia degassificazione di anidride carbonica che ascende in superficie dal ribollente sottosuolo vulcanico.

La società Geoelectric S.r.l. ha scelto questo sito proprio per la presenza di fluidi termali molto caldi rinvenibili già dopo alcune centinaia di metri di profondità. Propositrice del progetto in esame, la Geoelectric ha riproposto al Ministero dell’Ambiente e della Tutale del Territorio e del Mare, quale istituzione competete per la valutazione d’impatto ambientale (VIA), alcuni aggiornamenti progettuali volontari, evidentemente per contrastare le note ostative provenienti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Quest’ultimo dicastero lamenta difformità circa l’utilizzo delle aree vincolate e una carenza di progettualità di ripristino dello stato dei luoghi. Inoltre, quale dato di una certa importanza, ai Beni Culturali sembra abbiano a temere la micro sismicità indotta dalle attività di perforazione e da quelle di reiniezione in profondità delle acque termali. Una micro sismicità che potrebbe minare, dicono, il patrimonio archeologico dell’area…

I Campi Flegrei si connotano all’interno di una grande caldera afferente all’omonimo super vulcano. A tutt’oggi si caratterizza per alcune fenomenologie di rilievo, tra le quali il bradisismo ascendente e la rilevazione di picchi di magma fino a tre chilometri dalla superficie, oltre naturalmente una certa attività sismica anche a sciami. Questi ed altri elementi, hanno contribuito a dichiarare lo stato di attenzione vulcanica per l’area calderica flegrea, perché i parametri geofisici e geochimici rilevati presentano delle discordanze rispetto a quelli base di riferimento.
Stazione sismica Osservatorio Vesuviano - Campi Flegrei (Pozzuoli)
La società Geoelectric S.r.l. avvalendosi anche di esperti istituzionali dell’INGV e della società AMRA, ebbe a presentare nel mese di maggio 2015 questo progetto che prevede la realizzazione di un impianto pilota a ciclo binario per la produzione di energia elettrica. Le modalità di funzionamento dell’impianto prevedono il prelievo dei fluidi geotermici a circa 180° C. emungendoli dal sottosuolo a mille metri di profondità. Il fluido bollente viene quindi indirizzato in uno scambiatore di calore dove cede energia termica. In questo processo di scambio, i fluidi bollenti perdono parte della loro temperatura iniziale, e vengono quindi reiniettati nel serbatoio geologico profondo, dove riacquisteranno la loro temperatura iniziale, magari un po’ più in là del punto di prelievo. Questo circolo virtuoso non prevede interscambi con l’ambiente esterno o emissione di vapore nell’atmosfera. Da un punto di vista impiantistico e dell’inquinamento quindi, appare buono…

Il problema della nostra contrarietà al progetto, è il luogo dove quest’impianto pilota vuole collocarsi: cioè in una caldera dove vige un primo livello di allerta vulcanica e addirittura in un punto territoriale particolarmente stressato dalle forze endogene che operano incessanti nel sottosuolo flegreo, a prescindere se sono da ascrivere a intrusioni magmatiche o a fattori idro termali o più verosimilmente un connubio fra le due componenti che rendono il suolo puteolano per niente immobile.

Sarà proprio nel tufo a strati che le trivelle dovrebbero perforare cinque pozzi in totale, di cui tre di prelievo dei fluidi caldi che sono il motore del sistema geotermico e due di reiniezione nel serbatoio geologico d’origine. Al di là degli aspetti amministrativi sollevati dal ministero dei beni culturali, rimane l’incognita della micro sismicità indotta che anche se derivante da modeste fratturazioni,queste potrebbero favorire un disequilibrio nei dinamismi che pregnano il sottosuolo. Secondo lo studio dell’AMRA, il problema dei micro sismi dovrebbe essere alquanto contenuto e limitato a una distanza orizzontale di qualche chilometro dalla testa dei pozzi. L’AMRA si spinge oltre rendendo noto che il sottosuolo flegreo nei primi due chilometri a causa dell’elevata fratturazione è da ritenersi praticamente asismico.

Il problema principale è che certe conclusioni scientifiche comprendono anche dei pareri opposti provenienti dalle apprensioni di alcuni scienziati e tecnici che sollevano dubbi sulla innocuità della pratica di trivellazione e di reiniezione dei fluidi.

Le perplessità tutte scientifiche non si sono avvalse di una consulenza o di un vaglio da parte dell’Osservatorio Vesuviano che si fregia del titolo di Centro di Competenza circa i vulcani campani, perché tale struttura oggi non può definirsi terza sull’argomento in quanto ha contribuito in una certa misura a supportare le relazioni scientifiche a favore della società Geoelectric, corroborate nel merito da apposite conferenze a tema.

Tutti i pozzi che servono all’impianto pilota dovrebbero raggiungere la profondità di mille metri cadauno… Le domande che quindi galleggiano ancora nell’aria sono queste: cosa significa in termini di rischio perforare i contrafforti di base del vulcano Solfatara? Quali equilibri potrebbero compromettere le perforazioni a ridosso della località Pisciarelli? Le perforazioni accentuerebbero e in che misura il degassamento da anidride carbonica già massiccio in quella zona? Quali effetti avrebbe il fenomeno di sollevamento o abbassamento del suolo sull’impianto industriale una volta realizzato?  

E’ di questi giorni la notizia apparsa sul sito Meteo Vesuvio di Giuseppe D’Aniello, che l’Osservatorio Vesuviano sta stanziando fondi urgenti per mettere in sicurezza la perforazione effettuata a Bagnoli (Campi Flegrei Deep Drilling Project), attraverso una super perizia affidata a un ingegnere esperto del ramo trivellazioni.

Nella perforazione del CFDDP ferma a 500 metri di profondità, pare siano ascesi dei fanghi che potrebbero innescare problematiche di sicurezza del sito. Bisogna allora capire cosa stia succedendo in quel condotto con una urgenza tale da costringere il commissario Martini, altro fautore del geotermico nei Campi Flegrei, a distrarre fondi dal progetto Monica (monitoraggio marino) per dirottarli in quel pertugio profondo da cui bisognava trarre auspici di monitoraggio supertecnologico nei Campi Flegrei. Una trivellazione che doveva raggiungere i 4000 metri di profondità “baciando” il magma, ed invece si è fermata a 500 metri e con qualche problema a fronte di un rischio giurato iniziale pari a zero…

Secondo uno studio dell’AMRA, la problematica della micro sismicità legata alle perforazioni e reiniezione è minima, a causa degli strati crostali che nei primi due chilometri della zona vulcanica flegrea possono considerarsi asismici. Mentre le perforazioni non supererebbero i mille metri… Le note scientifiche stimano in una magnitudo non superiore a 3,2 l’energia massima che potrebbe scaturire eventualmente dai microsismi e comunque a breve distanza dalla testa dei pozzi. Se il Ministero della Cultura si preoccupa della micro sismicità in ordine alla tutela dei beni archeologici locali, occorrerebbe pure che qualcuno valuti il rischio complessivo che corre la popolazione puteolana e napoletana…
Pozzuoli - Macellum
Il sindaco di Pozzuoli quale autorità locale di protezione civile e il Sindaco di Napoli titolare amministrativo della città metropolitana, Luigi De Magistris, potrebbero, in ragione del loro ruolo istituzionale, chiedere un illustre parere alla commissione grandi rischi sezione rischio vulcanico, che è un organo consultivo in termini di previsione e anche di prevenzione del rischio vulcanico, ed è presieduta dal Prof. Vincenzo Morra. 

Da un punto di vista tecnico occorre precisare e dire che il rischio è un fattore insito in tutte le attività umane: il rischio zero quindi non esiste. Ma il rischio è anche un fattore che deve contemplare un altro importantissimo e fondamentale elemento che ci aiuta e decidere sul da farsi, e che si chiama alternativa. Il rischio è quindi un elemento non statico, mai esaustivo e variabile nel tempo e a seconda delle necessità che si presentano nella società.

Per meglio comprendere questo ragionamento portiamo un esempio che proponemmo in una dispensa didattica (1992) scritta per gli insegnanti. In alcuni paesi poveri, alcuni bambini poveri in qualche caso mangiano prodotti di scarto prelevati dalle discariche o dai bidoni delle immondizie entrando in competizione coi topi. Il rischio sanitario susseguente a una tale condizione di stremo, per la nostra cultura occidentale è inaccettabile, ma per quei malnutriti e scheletrici bambini, il rischio era più che accettabile in ragione dell’alternativa che era la morte per fame.

Oggi l’alternativa al geotermico è il solare e l’eolico e si spera presto di trarre energia dal moto delle onde. L’Italia non ha notevoli risorse di combustibili fossili, ma il gas ci sembra un’alternativa valida e perdurevole, fino a quando non si miglioreranno le rese delle energie rinnovabili o si scopriranno altre fonti energetiche di rilievo non inquinanti.

Il rischio che comportano le attività di trivellazioni in una zona vulcanica metropolitana, che dovrebbe attuarsi in un punto critico e stressato della caldera flegrea, in una condizione areale di attenzione vulcanica, col suolo che s’innalza seppur di poco ma di continuo,  non è giustificabile in assenza di una condizione di fame energetica.

D’altra parte la costruzione di un impianto geotermico richiede ben poco tempo rispetto ad esempio a una centrale nucleare dove occorrono molti anni per realizzarla e metterla in esercizio. E l’energia geotermica è comunque lì ad aspettarci qualora dovessimo avere questa famosa fame di energia. Ecco, i rischi che oggi rappresentano un ostacolo al geotermico, magari cambieranno in termini di accettabilità quando l’oro nero diminuirà tanto da diventare materia di appannaggio per pochi.

Nei Campi Flegrei le acque che circolano nel sottosuolo sono particolarmente calde. Addirittura il pozzo di San Vito con i suoi 400° Celsius ha il record di temperatura per un sistema geotermico. Purtroppo bisogna fare i conti con una zona che non ha le caratteristiche territoriali di Larderello in Toscana…

Valga allora il concetto che bisogna sì individuare le aree che hanno punti caldi interessanti e che possono quindi essere destinate allo sfruttamento geotermico (carta nazionale?), ma ovviamente l’analisi non deve riguardare solo gli aspetti geotermici del sottosuolo e quindi legati al profitto, ma anche quelli non meno importanti che riguardano la superficie abitata e le necessarie tutele ambientali e strutturali che la zona presenta.

Infatti, i fluidi caldi prelevati dal sottosuolo per uso geotermico, possono essere particolarmente inquinanti al punto da non poter essere riversati sui suoli in superficie per non contaminare le falde freatiche, così come in alcuni casi neanche le volute di vapore possono ritenersi indenni dal contenere sostanze inquinanti come l'arsenico.

Il sistema a "circuito chiuso" presentato da questa società proponente tecnicamente sembra valido. Occorrerebbe allora che si individuasse un sito periferico al vulcano flegreo, in una zona non particolarmente abitata e senza particolari strutture a rischio nelle vicinanze. Certo, le società investitrici nel geotermico vorrebbero il loro sito ideale in testa al punto più caldo della caldera. Ma come sembra stia succedendo in Basilicata, il business non può sempre avere la meglio in nome di un non meglio specificato progresso...







venerdì 22 aprile 2016

Rischio Vesuvio: impianti a rischio rilevante... di MalKo




Come sanno i nostri lettori, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), che non ci sembra stia vivendo un periodo di massimo fulgore istituzionale, ha fornito gli scenari eruttivi su cui basare le pianificazioni di emergenza per il Vesuvio e per i Campi Flegrei, con il placet della famosa commissione grandi rischi.  Per l’isola d’Ischia invece, questi scenari sono praticamente inesistenti…


Nonostante la lacuna conoscitiva del sottosuolo isolano che pure comprende energie sismiche e vulcaniche sopite, intanto è stato presentato un progetto di sfruttamento geotermico da realizzarsi attraverso un impianto pilota che prevede la trivellazione dei contrafforti del Monte Epomeo a Serrara Fontana. Questo sito è nelle vicinanze di una zona dove non di rado si odono boati imputabili in qualche caso a un repentino degassamento di vapore in superficie. Su questo versante del Montagnone poi, non pochi massi in bilico caratterizzano e costellano pericolosamente pendii particolarmente scoscesi…
Il Monte Epomeo visto da sud


Non meno rassicurante è l’altro progetto geotermico da realizzarsi sui suoli di Scarfoglio (Campi Flegrei), dove l’anidride carbonica già oggi balza in superficie a tonnellate da un sottosuolo nervoso e in enigmatica ascesa. Il Ministero dell’Ambiente ha ancora in esame i due progetti, e forse ha temporeggiato in attesa degli esiti del referendum del 17 aprile 2016. Infatti, al di là della domanda specifica sui termini di scadenza delle attività di estrazione degli idrocarburi nelle acque territoriali, tutto sommato il referendum poteva considerarsi come un sondaggio su quanto erano invise alle popolazioni queste attività invasive a mezzo trivelle. Una tecnica quella della perforazione, certamente pervasiva e per niente esente dal rischio inquinamento, soprattutto perché al seguito degli idrocarburi o dei liquidi geotermici si emungono anche sostanze imbarazzanti per la salute pubblica e che molto spesso vengono reiniettate nel sottosuolo con la speranza che non si sia nel frattempo innescata una inter comunicabilità tra gli strati crostali perforati e le superfici di falda. Un fattore che le società dedite agli scalpelli litosferici puntualmente escludono, come se la loro attività fosse eseguita col laser chirurgico...

Comunque, né ad Ischia e né nei comuni flegrei, la partecipazione al referendum ha lasciato registrare un afflusso massivo, anzi: la Campania è stata la regione che ha annoverato il minor numero di votanti. Dicono che gli scrutatori si siano annoiati a morte in quelle strutture scolastiche deputate a consentire al popolo sovrano di esprimere il proprio parere nei seggi; ma locali e cortili erano praticamente e malinconicamente vuoti con grave nocumento per la democrazia diretta... 
Il Ministero dell’Ambiente avrà capito da questa défaillance elettorale che le trivelle non sono poi viste come il male assoluto, soprattutto se la propaganda governativa pronostica il miracolo economico foriera di una massiccia occupazione lavorativa soprattutto nei comprensori perforati, tanto in mare quanto in terra.

A questo punto i due progetti geotermici, quello ischitano e flegreo, visto questa tollerabilità pubblica alle torri perforanti, saranno valutati in base alla valutazione di pericolosità dettata dal territorio vulcanico quale luogo di scavo, e non da altre logiche come la preservazione dei suoli, dell'aria e dell'acqua. Le valutazioni  verranno fatte allora secondo logiche da costi benefici: un concetto in auge nelle politiche e nel modus operandi della nostra società consumistica la cui bandiera è il biglietto verde.  In sintesi significa che potremmo anche correre un po' di rischio in più, purchè l’economia respiri a pieni polmoni anche se con mascherina protettiva ffP3...

Diversamente, invece, se il geotermico vulcanico sarà bocciato, il motivo dovrà ricercarsi probabilmente in fattori di insostenibilità del rischio dettato dalla particolarità delle zone dove s’intende trivellare. Il giudizio della commissione che dovrà pronunciarsi sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA) quindi, sarà particolarmente interessante, perché lascia spazio a congetture e collegamenti di non poco conto.
Anche sul rischio Vesuvio le logiche che si portano avanti sono quelle sui costi benefici acclarati dall’adozione di uno scenario eruttivo a bassa-media intensità invece del massimo conosciuto come da prassi ordinaria nelle pianificazioni d’emergenza. Purtroppo l’orientamento politico dicevamo, verte su questa filosofia meno garantista (costi-benefici) che si è fatta legge non scritta.

Diversamente, lasciatecelo dire,  non si sarebbe mai collocata una mega discarica di rifiuti solidi urbani (cava Sari), con impianto di valorizzazione del biogas in quel di Terzigno in piena e totale zona rossa Vesuvio. Infatti, come molti sanno, le discariche producono oltre alla frazione liquida (percolato), anche gas metano a volte da purificare, che non può essere immesso in atmosfera, perché oltre ad essere un gas altamente infiammabile, è anche un potente inquinante annoverato tra i maggiori responsabili dell’effetto serra e del riscaldamento globale. In sintesi, deve essere bruciato o in un motore termico o attraverso una torcia in sommità di una condotta.
Una mega discarica sepolta da lava, colata piroclastica o lahar, avrà lo stesso effetto sull'ambiente di quello che oggi si riscontra nella terra dei fuochi coi rifiuti interrati...
Non molti sanno invece, che durante la fase di preallarme vulcanico, occorre mettere in sicurezza gli impianti a rischio che potrebbero essere abbandonati dalla popolazione. Ebbene, questa discarica (ex Sari) non ha una pianificazione di emergenza a fronte del rischio Vesuvio…  Gli uffici preposti della Città Metropolitana di Napoli che abbiamo interpellato nel merito, visto il mancato adempimento ha dato disposizione alla società di gestione dell’impianto di stoccaggio e valorizzazione dei rifiuti (Sapna), di provvedere a stilare tale documento in accordo con il comune di Terzigno. Abbiamo ricordato alla medesima che quell’impianto è stato dichiarato strategico, e quindi potrebbe rientrare nelle competenze dei militari a cui dovrebbe spettare questo compito di sorveglianza.

La stessa cosa vale per altri impianti come quelli di imbottigliamento del GPL (Gas Petrolio Liquefatto), ubicati in alcuni comuni anche della zona rossa, come Terzigno, Boscotrecase, Torre Annunziata, Pompei, Ottaviano, ecc.… compreso Napoli che lascia registrare la massima concentrazione industriale a rischio rilevante e anche alcune strutture non meno pericolose come la darsena petroli e l’oleodotto, tutte ubicate proprio nella parte orientale della città ai confini col Vesuvio.

Comuni su cui gravano impianti a rischio rilevante


Ebbene, queste industrie e aziende, devono indicare le procedure d’emergenza ovvero di messa in sicurezza degli impianti durante la fase di preallarme eruttivo. Indicazioni che dovrebbero far parte del piano di dettaglio del famoso piano d’emergenza nazionale Vesuvio, e prim’ancora delle attività di prevenzione che ogni singolo comune dovrebbe ordinariamente attendere in nome dell’imprescindibile diritto alla sicurezza...pardon! In nome della sicurezza sostenibile




 
 
 
 

domenica 22 novembre 2015

Rischio Vesuvio, terremoto dell’Aquila e commissione grandi rischi: un unicum?... di MalKo



 


La cassazione il 20 novembre 2015 ha completamente e definitivamente scagionato non già la commissione grandi rischi, bensì il gruppo di accademici composto da Franco Barberi, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva e Mauro Dolce. Nella sostanza parliamo dell’equipe che si presentò all’Aquila il 31 marzo 2009 per discutere di rischio sismico e forse dell’indice di pericolosità incombente sulla cittadina abruzzese. Pur firmando in tempi diversi un verbale di riunione che sembrava da commissione, in realtà per il tribunale lo staff inviato da Guido Bertolaso era una cosa diversa dalla commissione grandi rischi, e quindi, probabilmente non aveva un particolare titolo giuridico responsabilizzante.

Gli scienziati escursionisti furono catapultati nel capoluogo abruzzese per rassicurare con la loro presenza e curriculum, gli abitanti in apprensione per gli incessanti eventi sismici a bassa intensità che da mesi toglievano il sonno. Non pochi invece pensarono e pensano ancora oggi, che forse gli esperti erano giunti fin lì anche e soprattutto per zittire un ricercatore locale, Giampaolo Giuliani, che profetizzava con previsioni al radon, l’imminenza di un terremoto distruttivo. In quel momento e in quel contesto politico, col dipartimento in tutt’altre faccende affaccendato, gli allarmi di Giuliani risultavano intollerabili per tutti gli uomini del presidente…

Bernardo De Bernardinis, vice capo Dipartimento della Protezione Civile, all’epoca dei fatti comandante di questa spedizione primaverile quale fido indiscusso del navigato Bertolaso, andò oltre nella missione elargitrice di sopore, offrendo alla stampa mediatici ottavini e tesi stupefacenti sugli scarichi energetici che a suo dire alleggerivano la tensione litosferica che non avrebbe così dato vita al micidiale colpo sismico che invece giunse puntuale una settimana dopo… le vittime furono 309.  Portavoce del gruppo, De Bernardinis si beccò la condanna senza menzione poi confermata nei vari gradi di giudizio a due anni di reclusione per negligenza e imprudenza. Parlò troppo e fu troppo in vista… Non sappiamo con quanta buona fede, ma riscatterebbe interamente la sua posizione di colpevole offrendo qualche verità recuperata dagli armadi delle quinte del potere.

La cassazione con la sentenza del 20 novembre 2015 ha allora prosciolto definitivamente da qualsiasi responsabilità il gruppo di esperti dichiaratosi tra l’altro ignaro delle rassicurazioni che improvvidamente il capo cordata dette alla popolazione aquilana quel giorno…

La faccenda non può ritenersi ancora conclusa però, perché rimane un appiglio giudiziario in danno a Guido Bertolaso in merito ad un’altra previsione che non ha nulla a che fare con la geologia, ma è tutta racchiusa in un’intercettazione telefonica in cui il potente Capo Dipartimento anticipa all’assessore regionale alla protezione civile, Daniela Stasi, che da quella riunione di esperti del 31 marzo 2009 usciranno solo rassicurazioni. Semplice preveggenza?

Da notare che nella settimana successiva al 31 marzo 2009, gli eventi sismici incominciarono a intensificarsi come le richieste di verifica statica ai fabbricati presentate ai Vigili del Fuoco. I pompieri in assenza di rassicurazioni avrebbero probabilmente accorpato i turni in modo da raddoppiare il personale disponibile in caso di necessità. Quando il terremoto colpì il 6 aprile 2009, il comando provinciale purtroppo era presidiato da un esiguo numero di soccorritori…

Questo processo, ma in realtà l’intera faccenda ha insegnato qualcosa: innanzitutto se a fronte di un rischio si riunisce la commissione grandi rischi in una qualsiasi delle sue branche specialistiche, bisogna chiedere il visto di certificazione istituzionale dell’adunata, per evitare che successivamente e a posteriori, si sancisca che non era affatto una riunione commissariale ufficiale. Chiedere sempre al portavoce poi, se le sue affermazioni sono state condivise con la commissione grandi rischi magari in quel momento distratta.
Il secondo elemento da cui trarre insegnamento è il ruolo di una certa parte della stampa particolarmente sbilanciata sulla difesa nel nostro caso degli imputati, al punto da creare ad arte la ridicola storia della scienza sotto processo. Si è gridato allo scandalo inquisitorio perché il tribunale dell’Aquila si permetteva, come i più classici tribunali dell’inquisizione, di processare la pseudo commissione grandi rischi per non aver previsto il terremoto. Il quarto potere in questo caso non è stato equidistante, forse per aiutare gli amici degli amici in un momento di difficoltà processuale: buttarla sul ridicolo funziona sempre.

Dopo questa storia aquilana, chi abita alle falde del Vesuvio dove il destino delle popolazioni potrebbe essere affidato come da programma a una decisione della commissione grandi rischi (ramo rischio vulcanico) che passerebbe poi alla politica la bandierina dello start evacuativo, quanto seguito avranno nei settecentomila abitanti le decisioni che si prenderanno? C’è ancora chi pensa sul serio di mandare i lettori vesuviani beatamente a letto sulla scorta dell’editoriale del direttore? Un dubbio amletico grava oramai sulla credibilità di una scienza forse concupiscente con la politica in un contesto di totale assenza di giornalismo investigativo…

Una scienza che ha applicato al Vesuvio la statistica nella definizione dell’eruzione massima da cui difenderci ridimensionandola *(VEI 4), in modo da mantenere fuori da una pliniana (VEI 5) dei territori su cui si costruiscono, ohibò, ancora case con licenza edilizia. I cittadini sono quindi alla mercé della probabilità statistica e delle politiche non dichiarate dei costi-benefici. L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, ing. Edoardo Cosenza, amava ripetere che nel vesuviano possiamo avere solo 4 matrici di possibilità: un’eruzione (VEI 4) senza evacuazione; un’eruzione (VEI 4) con evacuazione; un’evacuazione senza eruzione (VEI 4); un’evacuazione con eruzione (VEI 4). Il successo a suo dire era del 50%, concentrato sulle due possibilità favorevoli alla tutela, cioè eruzione con evacuazione e l’evacuazione con eruzione.

Già oggi e ancora di più col passare del tempo, stante la situazione attuale bisognerà aggiungere altre due matrici di probabilità: eruzione (VEI 5) con evacuazione; evacuazione con eruzione (VEI 5). Questo significa che se si dovesse verificare un’eruzione pliniana che nessun scienziato al mondo può escludere, anche in caso di successo evacuativo potremmo arrivare a settecentomila salvati e a un milione di morti.
Schema non in scala e semplicemente concettuale dei territori invadibili dai fenomeni 
eruttivi con differenti VEI. La linea nera è quella Gurioli...
Potrebbe anche essere un discorso drammaticamente valido quello dei costi benefici, cinicamente ineluttabile in un mondo dove il business ha il sopravvento su tutto, esseri umani compresi… Bisogna però dichiararlo questo cinismo, perché il cittadino non è un suddito e quindi bisogna dargli una possibilità di scelta attraverso l'informazione. D’altro canto non c’è nessuna moralità in queste criteri di realpolitik circa l’accettazione dell’ineluttabilità statistica…nessuna, se ancora oggi la politica si ostina e consente di costruire in quelle zone che potrebbero subire tutti gli effetti di un’eruzione pliniana, che può essere esclusa solo dalla politica ma non dalla scienza che avrebbe dovuto puntare il dito sulle facili costruzioni in zona rossa.

Per fronteggiare e sul serio il rischio vulcanico in Campania, bisogna sostenere le iniziative in corso circa la necessità di costituire una commissione d’inchiesta parlamentare, che faccia luce sui rapporti tra scienza e politica, a iniziare dai fatti legati al terremoto dell’Aquila, alla riunione del 31 marzo 2009, e anche e soprattutto cosa è successo e cosa si è fatto nella settimana che ha preceduto il sisma del 6 aprile 2009. Da queste risultanze bisognerà capire quale virata dare alle politiche di sicurezza nel loro insieme, ai compiti istituzionali dei vari corpi dello Stato comprensivi dei Prefetti, forse troppo sbilanciati sulle ragioni di Stato e sul principio di non allarmare… 

Terzigno-Poggiomarino : eruzione del Vesuvio 1944. I bombardieri americani non fecero 
in tempo  ad alzarsi in volo e furono "bombardati" dalla pioggia di cenere e lapillo.

Bisognerà rimettere il rischio Vesuvio e Campi Flegrei e anche Ischia di nuovo al centro dell’attenzione mediatica per varare delle serie politiche di prevenzione. Si proceda poi con l’analisi dei progetti di edilizia che gravano nel settore orientale e occidentale della città di Napoli, e sul piano urbanistico ischitano, onde evitare di accrescere il rischio vulcanico in queste aree già fortemente compromesse da una spiccata urbanizzazione mangia spazio. Lo sviluppo non è nelle pratiche cementizie di edilizia residenziale di cui non se ne sente francamente il bisogno in certi luoghi, esattamente come le trivellazioni in terreni che si gonfiano per la circolazione di fluidi caldi o per il magma che sale o da entrambe le cause all'origine di fenomeni bradisismici tutt'altro che rassicuranti...


* VEI: indice di esplosività vulcanica




sabato 28 febbraio 2015

Rischio Vesuvio: il monito dall'archeologia...di Malko






“Rischio Vesuvio: per la zona rossa si contempli l’archeologia…” 
di MalKo

Il Vesuvio rappresenta una minaccia per niente campata in aria, perché la storia pregressa del vulcano annovera avvenimenti eruttivi a volte anche particolarmente catastrofici, come quelli che seppellirono quasi duemila anni fa le città di Pompei ed Ercolano e prima ancora insediamenti preistorici dell’età del bronzo antico nel nolano.
Plinio il vecchio nel 79 d. C. nel corso dell’eruzione di Pompei si lanciò con le sue navi da Miseno alla volta del vesuviano come un moderno comandante dei Vigili del Fuoco, tentando di salvare ciò che restava di una popolazione oramai irrimediabilmente perduta, alla mercé della pioggia di cenere e lapillo e delle colate piroclastiche che spazzarono gli insediamenti urbani ubicati alla base del vulcano. Se la storia insegna qualcosa, né cittadini e né soccorritori dovranno farsi trovare in caso di allarme vulcanico nel settore invadibile dalle nubi ardenti e dal loro rovente carico di materiale piroclastico.
Quale sia questo settore lo hanno deciso i vertici del Dipartimento della Protezione Civile dopo aver valutato le risultanze della commissione Vesuvio e aver acquisito il parere e le note della commissione grandi rischi.  In quest’ambito di alto livello decisionale, è stato deciso di adottare a garanzia dei vesuviani un’eruzione dal valore energetico VEI 4 (eruzione sub pliniana), visto che una elaborazione probabilistica effettuata da alcuni ricercatori dell’INGV, indica in un’eruzione VEI 3 (ultra stromboliana) quella più probabile se dovesse cessare la quiescenza del Vesuvio nei prossimi 130 anni.



Gli esperti hanno quindi individuato i territori su cui potrebbero abbattersi e spalmarsi gli effetti più deleteri di un’eruzione sub pliniana, prendendo in esame una pubblicazione scientifica della ricercatrice Lucia Gurioli, che ha tracciato su una mappa delle linee a colori segnando la massima distanza raggiunta dalle colate piroclastiche intorno al Vesuvio secondo indici di varia frequenza. La linea nera Gurioli circoscrive appunto i limiti di massimo scorrimento dei depositi da flusso per eruzioni a media frequenza (VEI 4). La zona rossa Vesuvio dovrebbe quindi coincidere con l’area (black line) circoscritta dalla Gurioli. In realtà la nuova perimetrazione è più ampia, in parte per scelta politica dovuta alla classificazione precedente, e in parte perché sono stati aggiunti alcuni settori ad est (rossa 2) dove la pioggia di cenere e lapilli costituirebbe una minaccia non trascurabile.


La linea nera Gurioli è un tracciato geo referenziato; da limite di deposito qual era è diventato innaturalmente un limite di pericolo addirittura deterministico. Al punto che a pochi metri dalla linea Gurioli (Scafati – Poggiomarino) è possibile richiedere licenza edilizia.
Il problema che oggi ci troviamo ad affrontare a proposito della tutela dei cittadini dal rischio Vesuvio, è tutto incentrato sul fatto che nonostante bisognerebbe prendere in esame nella pianificazione d’emergenza l’eruzione massima conosciuta, gli esperti del dipartimento di Franco Gabrielli hanno invece optato per un evento eruttivo  ponderato (VEI 4), su cui fare riferimento nei piani. Nella sostanza, le autorità governative si sono scelte il nemico vulcanico sub pliniano, che rappresenta una misura energetica nel nostro caso medio – alta, ma non quella massima conosciuta che, per il Vesuvio, lo ripetiamo, è una pliniana (VEI 5), cioè simile a quella famosa di Pompei o di Avellino. Rispettivamente eventi manifestatisi circa 2000 e 4000 anni fa.
Il collasso della colonna eruttiva (colate piroclastiche), è l’evento e il momento più pericoloso e il più distruttivo in assoluto in seno a un’eruzione. Il fenomeno si ricollega all’energia potenziale guadagnata dalla quota raggiunta dai materiali eruttati dal vulcano; questi a un certo punto mancando del sostentamento precipiterebbero verticalmente e rapidamente sulle pareti scoscese del vulcano che favorirebbero un indirizzo di scivolamento sempre più orizzontale dei flussi che macinerebbero chilometri. Trattandosi di una sorta di valanga a temperature di diverse centinaia di gradi, si avrebbero danni meccanici e termici su di una superficie territoriale ampia in una misura dipendente dall’intensità dell’eruzione (VEI) e dalle caratteristiche del “miscuglio” eruttato… Nelle pliniane l’alito ardente del vulcano ha raggiunto anche i 20 chilometri di distanza dal cratere.
Secondo recenti studi, gli ercolanesi che furono raggiunti dai flussi piroclastici nel 79 d. C. morirono all’istante per effetto delle elevate temperature che indussero shock termico e nucleazione dei liquidi biologici. Per gli abitanti di Pompei invece, pare che il motivo principale delle morti sia da imputarsi al soffocamento dovuto alle ceneri, e a un particolato particolarmente irritante e tiepido che si staccò dalla parte alta dei flussi piroclastici continuandone per abbrivio il cammino ben oltre i limiti di deposito. Diversi calchi delle vittime dell’eruzione di Pompei riportano una posizione di difesa delle prime vie aeree o comunque di abbandono al sonno…
Non sappiamo quali strategie operative le istituzioni stiano mettendo a punto per architettare un piano di emergenza e di evacuazione capace di portare in salvo e in poco tempo settecentomila persone (zona rossa)… Sappiamo però, che l’ossatura del piano si basa non già sull’evento massimo conosciuto ma su quello statistico probabilistico. La differenza consiste in circa due milioni di persone fuori da ogni garanzia… Ovviamente una siffatta decisione abbiamo il sospetto che semplifichi la vita a un bel po’ di maestranze politiche e istituzionali e cementizie, che si affidano come in una roulette alla statistica puntando tutto sul nero della linea Gurioli.  Se la probabilità eruttiva statistica è azzeccata, lo sapremo solo alla prossima eruzione o fra 130 anni in assenza di eventi.
In realtà da un punto di vista prettamente tecnico, ci si dovrebbe affidare alla scelta statistica probabilistica solo in mancanza di alternative valide per porre la popolazione al sicuro dall’evento massimo atteso. L’accettazione statistica in questo caso è un grosso azzardo che dovrebbe far tremare le vene e i polsi anche al più disinvolto dei pianificatori. Pensate che in caso di evento vulcanico impossibile da decifrare in partenza, gli abitanti di Striano o Volla, per dirne alcuni, dovranno starsene quieti perché la statistica li pone al sicuro dagli effetti più deleteri dell’eruzione, tant’è che non rientrano nel settore rosso ad evacuazione preventiva.
Non siamo certi che nella recente campagna informativa Edurisk 2015 condotta nelle scuole vesuviane sia stato segnalato correttamente questo difetto garantista, oppure che sia stato chiaramente sottolineata l’assenza di un piano di evacuazione. Invitiamo professori e insegnanti e allievi a meglio documentarsi sull'argomento, spostandosi appena un poco dai canali ufficiali dell'informazione particolarmente edulcorati... 




Le eruzioni pliniane sono una rarità e sono circa 2000 anni che non si verificano. 
Sappiamo però che il serbatoio magmatico napoletano, tra l’altro unico per i Campi Flegrei e il Vesuvio, contiene miscela a sufficienza per qualsiasi tipo di eruzione. Sappiamo che ogni volta che il Vesuvio entra in una fase di quiescenza soprattutto a condotto chiuso ridiventa indecifrabile, come indecifrabili nei tempi e nei modi saranno i precursori. Si parla di evacuazione possibile in 72 ore, ma non esistono ancora piani in tal senso…  
In Giappone nel 2011 si è verificato un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter. Il terremoto più potente in assoluto mai verificatosi nel paese del Sol Levante, che ricevette morte e distruzione dal sisma e da uno Tsunami associato… I pianificatori giapponesi terranno in debito conto scenari con questa magnitudo nelle loro strategie di difesa o oblieranno il valore 9 perché rappresenta un singolo episodio?
Secondo il nostro punto di vista la zona rossa Vesuvio dovrebbe essere intanto circolare (vedi figura sottostante) e inglobare innanzitutto le due aree archeologiche flagellate e sepolte dalle eruzioni di Pompei e Avellino, perché in un certo qual senso queste due località rappresentano un confine logico e tangibile e visibile del pericolo.
D’altra parte a nord est non si è spinta solo l’eruzione di Avellino, ma anche le fenomenologie alluvionali (zona blu) di buona parte delle eruzioni pliniane e sub pliniane e anche ultra stromboliane. Quest’area così come l’abbiamo circoscritta, non solo garantisce una significativa e opportuna fascia di rispetto dalla linea nera Gurioli, ma ingloba anche alcuni comuni per niente menzionati che rischierebbero non poco in caso di eruzione pliniana.
Vorremmo ricordare al dipartimento della protezione civile che il principio di precauzione non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull'assenza di prove e dati che lo escludano. Nel nostro caso mancano anche certezze sui tempi di previsione dell’eruzione in linea con le necessità di tutela della popolazione da evacuare all’occorrenza.


Ovviamente ribadiamo la necessità di precludere l’edilizia ad uso residenziale nella zona rossa, quella che vedete, favorendo comunque le opere di adeguamento antisismico e le opere di difesa passiva (tetti spioventi), che possono essere anche non cementizie e di taglio prefabbricato come griglie metalliche inclinate. Come più volte abbiamo scritto, in termini di prevenzione bisognerebbe mettere mano a un riordino territoriale che contempli alcune necessità come la realizzazione di strade a scorrimento veloce acchiappando nel contempo l’edilizia per i capelli, onde trascinarla verso nord, lontana dai distretti vulcanici napoletani.

Per quanto riguarda la determinazione dello scenario eruttivo, vogliamo appena ricordare una delle massime di Benjamin Disraeli; ci sono tre tipi di bugie: le piccole bugie, le grandi bugie e la statistica.