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mercoledì 21 maggio 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il sottosuolo ribollente ... di Malko

 

i Campi Flegrei


Fare il punto sulla pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei con tutte le sue fenomenologie annesse e connesse è veramente cosa ardua, soprattutto analizzando le varie teorie scientifiche che sull’argomento spaziano su congetture a volte contrastanti tra loro.

Circa i processi di sollevamento del suolo, fenomeno meglio noto come bradisismo, gli scienziati sembrano concordare che sia imputabile alla massiccia presenza di acqua nel sottosuolo, di origine piovana, marina ma anche endogena che, investita dai fluidi roventi che si liberano dal magma, aumenta di volume per poi trasformarsi in vapore surriscaldato in una condizione super critica, che riesce a premere e deformare gli strati litoidi verso la parte maggiormente cedevole. Saranno proprio questi spessori rocciosi che si deformano fino a raggiungere il punto limite di rottura a produrre onde sismiche con ipocentri spesso localizzati geograficamente nell'area bradisismica. Questa zona è il settore maggiormente colpito dai terremoti che, per duttilità delle rocce calde e fratturazione della crosta, dovrebbero essere di magnitudo contenuta. Purtuttavia stante la superficialità degli ipocentri, i sismi si presentano con scuotimenti crostali vigorosi. Ovviamente la differenza in termini di danni la fa poi la qualità degli immobili.

Pozzuoli: zona bradisismica (celeste) e zona bradisismica ristretta (lilla)

Il punto di massima deformazione e forse di cedevolezza degli strati rocciosi che caratterizzano i primi chilometri del sottosuolo, sembra  corrispondere più o meno al Rione Terra (Pozzuoli), che tra l’altro lascia registrare l'apice del sollevamento con circa 145 centimetri apprezzabili anche visivamente all’interno della darsena pescatori, che presenta chiazze di fondale marino oramai all'asciutto.


Pozzuoli: darsena pescatori.

La platea di accademici che si interessa all'area flegrea, pare che concordi sul fatto che il crogiolo di interazioni termo dinamiche sia localizzato a circa 3 – 4 chilometri dalla superficie. Per pressioni e temperature, l'acqua che circola nel sottosuolo si troverebbe in una condizione supercritica, anche per il calore intenso che non si può escludere possa provenire pure da filaccioli di magma spintisi a questa quota, che riscaldano direttamente o indirettamente i fluidi in circolazione, mantenendo alto pure il rischio di eruzioni freatiche. 

I punti scientifici di maggiore incertezza riguardano proprio la posizione del magma, cioè la sua quota e la sua influenza diretta sul bradisismo. In molti lo pongono naturalmente nella camera magmatica a circa 8 - 9 chilometri di profondità. Altri ritengono che si sia espanso in forma intrusiva pure a circa 3 chilometri nel sottosuolo. Altri ancora non escludono e non confermano questa possibilità, mentre Il dipartimento vulcani dell’INGV, ha escluso categoricamente che ci sia magma a basse profondità nel flegreo, volendo così sottolineare che nel breve non c'è pericolo eruttivo e fino a prova contraria. 

Questa certezza gradita agli amministratori della zona rossa, non è affatto tranquillizzante, perché nell’eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C. il magma assurse in superficie direttamente dalla camera magmatica ubicata a quote miriametriche e in pochissimo tempo. Il dipartimento vulcani dell'INGV potrebbe allora chiarire meglio se nei Campi Flegrei è possibile che possano verificarsi meccanismi eruttivi simili a quelli citati per il Vesuvio, e se rimarcano e confermano l’idea che, per giungere a un evento eruttivo, occorre che il magma nei Campi Flegrei in prima battuta si accumuli ad alcuni chilometri dalla superficie per poi dirompere in seguito ad ulteriori sollecitazioni.

Tutt’acqua! dicono alcuni scienziati, mentre gli amministratori locali e regionali aggiungono che l’edificato nella zona bradisismica generale e ristretta ha retto bene ai recenti sommovimenti simici del 13 maggio 2025: ed è una buona novella. Una dichiarazione rassicurante rilasciata a favore di telecamera, forse per depotenziare l’intenzione del ministro Musumeci di dichiarare lo stato di emergenza, che prevede anche disposizioni vincolanti per amministratori e popolazione.

La volontà di dichiarare lo stato di emergenza a cura del ministro, è stata nell'odierno superata, perché Musumeci ha dovuto desistere, pare a seguito di forti pressioni provenienti dal territorio, affinché non si procedesse con lo stato di emergenza in nome della stagione turistica da salvaguardare... Occorre prendere atto allora, che anche nel campo dei rischi vige la filosofia che la sicurezza non è il bene assoluto, ma va miscelata secondo criteri costi benefici, spesso reclamati dagli stessi amministratori che battono però cassa innalzando quella stessa bandiera inibita a Musumeci. Da un punto di vista tecnico, la logica dei costi benefici potrebbe essere accettabile, nel nostro caso solo se si è fatto tutto il possibile per evitare di aggiungere anche una sola persona in più nella calderopoli ad alto rischio vulcanico: diversamente è puro cinismo… Da questo punto di vista, temiamo sortite cementizie sulla spianata di Bagnoli, in nome della gara velica più importante del mondo che si terrà a Napoli tra un paio d'anni.

Campi Flegrei: la spianata di Bagnoli.


In assenza di pareri scientifici circa i meccanismi e i tempi di risalita del magma da quote profonde, ogni disquisizioni che possa rassicurare concretamente i cittadini circa l’efficacia della iper strumentazione altamente tecnologica dislocata nei Campi Flegrei, rimane puro esercizio retorico. Gli strumenti, dicono, possono fornire dati molto precisi ancorché utili per consentire agli organi di vigilanza di interpretarli cogliendo così sul nascere eventuali movimenti  ascensionali del magma.

Vien da pensare, poi, che, se il  bradisismo nasce dall'associazione dei due fattori: acqua e calore, l'attuale recrudescenza in termini di intensità sismica e riduzione degli intervalli di quiete, potrebbe trovare causa o concausa nei dinamismi che riguardano alla fine il gradiente calorico. Il dato in tal senso lo fornisce la sorveglianza satellitare, che ha riscontrato nei Campi Flegrei un aumento di temperatura al suolo nei giorni che precedono terremoti più intensi del solito.  

La dissertazione circa la presenza o meno del magma in forma intrusiva nei primi chilometri, non ha un particolare seguito, perché la questione viene ricondotta a un dibattito scientifico orientato più sulla genesi del bradisismo che sul pericolo eruttivo. Un'attenta riflessione però, dovrebbe portare a comprendere che siamo in presenza di un grosso errore di metodo, perché la fenomenologia bradisismica potrebbe essere il cavallo di Troia che introduce il rischio eruttivo su oltre mezzo milione di persone, senza che queste nel concreto se ne avvedano, perché diversamente dai terremoti, la popolazione non percepisce fisicamente il pericolo eruttivo, e quindi si concentra maggiormente su quello che avverte (sismi) direttamente, soprattutto se è orientata a farlo dagli organi d'informazione.

Generalizzando, le autorità scientifiche e amministrative e istituzionali ad eccezione del ministro Musumeci che ci sembra abbastanza attento al pericolo eruttivo, pare che guidino l’informazione  prevalentemente verso l'indirizzo sismico bradisismico, perché è un fenomeno che offre sponda alle logiche delle riqualificazioni edilizie da sovvenzionare con denaro pubblico. Nel flegreo si sono formate non poche associazioni di cittadini che plaudono e invocano la resilienza territoriale attraverso l'impegno economico governativo. Stranamente il comitato partenoflegreo ma anche i comitati cittadini, giudicano plausibile investire nella caldera del super vulcano, perché gira la convinzione che una volta abbattuto il rischio sismico con manufatti antisismici, i Campi Flegrei possono considerarsi un luogo dove poter vivere e crescere i propri figli con maggiore sicurezza. Una sicurezza in verità che, per quanto auspicabile, nessuno può garantirla in questi luoghi caratterizzati da incertezze geologiche di taglio severo. Una serie di segnali  porta a ritenere che nel sottosuolo calderico ci siano dei dinamismi che si evolvono di continuo, e che sono ancora tutti da decifrare e definire su quella che potrebbe essere una possibile aumentata pericolosità o viceversa... 

D'altra parte la popolazione flegrea poggia la cosiddetta resilienza su un punto fondamentale che è anche la foglia di fico per alcuni personaggi pubblici, che non vogliono prendere coscienza di certe verità scomode. Il primo elemento in assoluto è la moral suasion scientifica, che riferisce di essere in grado di rilevare l'eventuale e minacciosa risalita del magma dal profondo, attraverso la migliore tecnologia strumentale caratterizzata da stazioni multi parametriche oggi rifinanziate. Certamente non si può escludere l'auspicato successo previsionale, anzi: ma rimane pur sempre l'incognita della bocca o delle bocche eruttive, così come il rischio freatico e del sollevamento dei suoli e delle emanazioni gassose e della sismicità locale. I fenomeni nel flegreo termineranno quando la fornace magmatica si spegnerà: purtroppo, si teme che questo non avverrà nei prossimi anni.

Un altro caposaldo che si sta facendo strada, riguarda invece l'evacuazione che rimane all'occorrenza l'unica misura di tutela dal rischio eruttivo. Dall'intergruppo sviluppo sud, aree fragili e isole minori, si sta diffondendo con un  discreto battage la proposta di modificare i piani di evacuazione attuali per rendere fattibile in caso di necessità, l'allontanamento delle popolazioni napoletane soggette a rischio vulcanico, verso le aree interne spopolate della Campania, con trasferimenti autonomi a mezzo autovetture. Una modalità obbligata diremmo, perché le vie e i mezzi di comunicazioni con l'entroterra campano sono veramente minimi...

L’intergruppo attraverso la fondazione convivenza Vesuvio, pare abbia già favorito la stipula di protocolli d’intesa con diversi comuni dell’area vesuviana proponendo fin d’ora al dipartimento della protezione civile, esercitazioni con la partecipazione nella prima tornata dimostrativa di almeno 10.000 cittadini. È nella logica delle cose che ciò che si propone per l’area vesuviana verrà prestissimo riproposto anche per i Campi Flegrei. 

Quella di instradare le popolazioni in fuga dall'emergenza vulcanica verso una serie di comuni del casertano e del beneventano e dell'avellinese e del salernitano, può essere sicuramente una misura che potrebbe andare incontro alle esigenze della popolazione che non vuole essere dirottata a tempo indeterminato verso altre e lontane regioni.  In realtà la ricollocazione dei cittadini allontanabili per motivi di sicurezza, dovrebbe essere un passo successivo all'emergenza e fuori dalle logiche e dai momenti emergenziali... 

Probabilmente e con questa premessa, una tale iniziativa dovrebbe essere gestita da organizzazioni diverse dalla protezione civile, e maggiormente attinenti al governo del territorio. Il dipartimento della protezione civile ha già la necessità di perfezionare il piano di evacuazione esistente che presenta bug operativi, ma non si può stravolgere il minimo esistente in nome di una collocazione regionale al momento più che approssimata ancorché di dubbia efficacia. Occorre ricordare che gli abitanti rimasti nei comuni dell'entroterra campano sono i custodi di tradizioni ultra secolari che non possono e non devono essere sconvolte da chi in quel territorio magari deve viverci ma non per scelta. La nostra impressione è che l'iniziativa ancora da definire di allocare le popolazioni in fuga nei comuni dell'entroterra campano, non ha presupposti di fattibilità pratici ma solo teorici. In seno a un'emergenza vulcanica, la filosofia dell'accoglienza prevede ospitalità in luoghi sicuri che, pur tra mille difficoltà, hanno capacità di erogare servizi essenziali che fanno parte della nostra vita ordinaria: scuola, lavoro, sanità e mobilità.  Se ci fossero stati questi elementi, queste zone appenniniche probabilmente non si sarebbero spopolate...

Il sindaco di Portici è un esempio di simpatica scaltrezza operativa. Rispetto agli altri colleghi vesuviani, pare che si stia muovendo in proprio per trovare in caso di emergenza vulcanica, intese di perdurante ospitalità nei comuni  costieri cilentani...

                                                                 di Vincenzo Savarese






domenica 23 marzo 2025

Il super vulcano dei Campi Flegrei: le nuove fasi operative e i nuovi livelli di allerta vulcanica... di MalKo

 

Il vulcano Solfatara - Le stufe - Pozzuoli


La problematica delle emanazioni gassose dal sottosuolo è ben presente nei territori vulcanici dei Campi Flegrei, e si registra soprattutto nell’area puteolana e nei territori viciniori. Il lago d’Averno (Avernus) per esempio,  era noto fin dall’antichità storica per il fatto che gli uccelli evitavano quel luogo per le notevoli e nocive esalazioni pestilenziali che si liberavano dal lago insieme all’anidride carbonica che però è inodore. 

I pesci, hai loro, non potendo evitare la permanenza in questo luogo mitico oramai chiuso al mare, purtroppo e non raramente capita, oggi come ieri, che muoiano in una certa quantità, per effetto delle esalazioni di idrogeno solforato: prodotto quest'ultimo altamente tossico per gli organismi acquatici, che si libera dal profondo del lago, soprattutto dopo  sussulti sismici. Le emanazioni gassose in terra flegrea erano un fenomeno conosciuto da tempo immemore, e sono tuttora una caratteristica della zona. 

Nel comprensorio dei Campi Flegrei, e soprattutto nel puteolano e nel napoletano occidentale, succede che l’anidride carbonica rilasciata dalla massa magmatica si fissa alle rocce porose e si mescola all’acqua circolante nel sottosuolo per effetto delle pressioni. Con lo shakeraggio crostale assicurato dagli sciami sismici poi, si verifica un aumento della quantità di prodotto gassoso che riesce a liberarsi dai fluidi e dalle sacche di accumulo, che alcuni lavori scientifici posizionano prevalentemente a circa 4 km. Da qui i gas confluiscono fino in atmosfera, attraverso le macro e micro fratturazioni crostali, sospinti dalla notevole pressione di giacimento. Una volta all’aperto, in assenza di ulteriore spinta motrice, l'anidride carbonica residua ristagna al suolo, visto che il peso specifico di questo gas è superiore a quello dell’aria soprattutto se è freddo.

Il rilascio di anidride carbonica è una costante in questi territori flegrei, che registrano emanazioni gassose nell'aria molto accentuate, addirittura in aumento negli ultimi decenni, secondo parametri che sarebbero più affini a un vulcano attivo piuttosto che quiescente. La preoccupazione sussiste non solo per le intrusioni dei gas che si liberano dal terreno e trapelano nell'aria, ma soprattutto quando riescono a infiltrarsi in ambienti confinati, come possono esserlo cantine, e sottoscala, garage e seminterrati, soprattutto in quelli che presentano pavimenti in terra battuta, oppure con spessori minimi di copertura del suolo realizzato con cemento ancorché segnato da lesioni o dotato di fughe perimetrali evidentemente dilatate. Anche i vespai a pietre possono diventare vie di propagazione per questo gas, che è pericoloso anche in ambienti confinati per il solo perimetro laterale pur in assenza di una copertura. I pozzi scavati in zona poi, possono essere il luogo ideale per la concentrazione di questo gas.

Per motivi di sicurezza il pericolo rappresentato dall’anidride carbonica stagnante non può essere sottovalutato ma neanche drammatizzato, soprattutto se si conosce la problematica e si dimora lontano dalle sorgenti di emissione più importanti, come può essere la zona di Pisciarelli e della Solfatara e in alcuni punti della conca di Agnano. Ci sembra poi che sussista una certa corrispondenza tra il perdurare degli sciami sismici che scuotono la crosta chilometrica, cosa che reca seco nuove fratture, e la dispersione del prodotto gassoso in superficie. Quindi l'attenzione deve essere massima in questi frangenti, anche perché il problema può presentarsi pure dove prima non c'era, atteso che la crosta della caldera è lesionata, sfibrata e ammollita. 

L’anidride carbonica trattandosi come detto, di un gas più pesante dell’aria, tende a stagnare sul fondo del "contenitore", depositandosi con altezze crescenti, soprattutto quando sul punto di immissione c'è ancora pressione residua e il gas non riesce a trovare vie di fuga dall'ambiente in cui è penetrato. Se le emanazioni gassose defluiscono all’interno di un avvallamento del terreno, o comunque in una palese depressione del piano campagna, il rischio asfissia potrebbe estendersi a tutta la superficie concava in assenza di ventilazione. 

Presumibilmente il maggior deflusso dell’anidride carbonica dal terreno o dalle polle o dalle fessurazioni, si dovrebbe riscontrare e per i motivi addotti in precedenza, in concomitanza con i fenomeni sismici maggiormente energetici. Ricordiamo alla stregua la bottiglia di acqua frizzante sbatacchiata: il gas contenuto nel liquido tenderebbe a dissociarsi generando pressione tra lo strato d’acqua e il tappo. In questo caso la resistenza della bottiglia conterrebbe la pressione del gas: se aprissimo il tappo o lesionassimo l’involucro però, ci sarebbe una repentina fuoriuscita dell’anidride carbonica al punto da generare un effetto dirompente e adescante che richiamerebbe anche liquido verso l’esterno…

Intanto occorre precisare che l’anidride carbonica non è un gas infiammabile e neanche tossico, tant’è che lo gradiamo nelle bibite e lo si usa pure nell’antincendio. La sua azione deleteria è rapportata al fatto che, occupando uno spazio confinato anche, come detto, solo perimetralmente, il gas si sostituisce progressivamente e per accumulo all’aria scacciandola da quell’ambiente. In questo caso tutti gli esseri viventi che generalmente utilizzano l’ossigeno presente nell’aria per respirare, avrebbero difficoltà crescenti a sopravvivere, se lo spazio entro cui si sono introdotti è appunto pieno di gas asfissiante, che in tutti i casi in condizioni di  abundantiam  potrebbe legarsi al sangue per difetto di circolo respiratorio.

Non molti anni fa perì una famiglia di turisti in visita alla Solfatara, perché si calarono in un misurato anfratto del terreno per porre in salvo il figlio che era accidentalmente caduto nel fosso. Morirono tutti e tre  velocemente secondo alcune disastrose logiche (like a stroke of lightining), che vedono i soccorritori soccombere a catena se non intuiscono subito la natura del pericolo gassoso: in quel buco l’anidride carbonica era a un livello di totale saturazione, e quindi non ci fu scampo. Sembrerà strano, ma il 50% delle morti per accesso in ambienti invasi da gas riguarda proprio i soccorritori improvvisati che agiscono d'istinto per nobile altruismo, mentre il rimanente 50% dei decessi è in capo alle vittime.

In caso di forti concentrazioni di questo gas poi, neanche con le maschere a filtri specifici ci si può garantire la sopravvivenza, perché la carenza di ossigeno sotto il 16% darebbe origine in ogni caso a problemi respiratori crescenti. Probabilmente utilizzando un estrattore assiale con tubo aspirante posizionato a pochi centimetri dal suolo, capace di convogliare all'esterno dei locali sottoposti alla strada gli inquinanti contenuti nel vano, potrebbe essere una soluzione per mitigare il problema. Ancora meglio se l'accensione del dispositivo sia automatica e quindi azionato da un rilevatore di gas con allarme sonoro.

L’anidride carbonica oltre ad essere un gas asfissiante, ha anche prerogative di attacco alle strutture in calcestruzzo, attraverso fenomeni di degradazione di malte e ferri dovuti anche al fenomeno della  carbonatazione e pure della solfatazione che accelera processi di espansione dirompenti e fessurazioni che deteriorano malte e tondini acciaiosi che attraversano travi e pilastri. Un processo di degradazione che può avere una certa importanza, soprattutto se i manufatti sono ubicati nelle zone prossime alle sorgenti vulcaniche che rilasciano appunto anidride carbonica e idrogeno solforato. Sul litorale poi, concorre anche l’opera di degradazione dettata dalla salsedine, soprattutto se sono carenti le manutenzioni protettive delle superfici ferrose e in cemento armato. Questo vuol dire che nei Campi Flegrei l’attenzione a queste problematiche dovrebbe essere puntuale e doverosa attraverso la realizzazione di opere di buona qualità.

La commissione grandi rischi d’intesa col dipartimento della protezione civile, ha in corso di elaborazione i nuovi livelli di allerta vulcanica, che contemplano in primis tra i pericoli naturali presenti nei Campi Flegrei, quello vulcanico, ma anche il fenomeno delle emanazioni gassose dal sottosuolo, il sollevamento del suolo e gli eventi simici. La novità di questa tabella dei quattro colori che si diversificano nel giallo e nell'arancione per due caselle aggiunte, riporta pure lo stato del vulcano. Un metodo per definire pur rimanendo nell'ambito delle incertezze, una pericolosità a scalare, utilizzando degli intermedi riferibili alla intensità dei fenomeni registrati, le cui tendenze non sono preventivabili.


I nuovi livelli di allerta vulcanica

Questi nuovi livelli di allerta hanno un pregio: dimostrano intanto una cosa determinante e che fino a ieri era considerata impronunciabile soprattutto dal comitato partenoflegreo. La sismicità, il sollevamento del suolo e quindi il rilascio più o meno massivo di gas di origine magmatica come l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato, vengono interpretati di fatto come possibili precursori di un’eruzione vulcanica, e non di fenomeni a sé stanti che esulano dal rischio eruttivo. D'altro canto il piano elaborato per fronteggiare il bradisismo coi suoi 3 livelli d'intervento, è un piano post evento, che si rifà ai danni strutturali e infrastrutturali inflitti all'edificato dalle inclemenze geologiche, leggasi sismicità indotta dal bradisismo, senza per questo chiamare in causa alcun rapporto o nesso col rischio vulcanico, in quanto i bradosostenitori non contemplano alcuna implicazione del magma, che lo collocano più o meno staticamente localizzato a oltre 8 chilometri di profondità. L'ultimo lavoro scientifico invece (Tracking the 2007–2023 magma-driven unrest at Campi Flegrei caldera (Italy)), chiarisce tra le ipotesi, che non è possibile escludere la presenza di magma a circa 4 chilometri di profondità.  Il confronto scientifico sulla profondità del magma e sulle cause del bradisismo è tutt'ora aperto.

Tra i colori è stata aggiunta pure la colonna:<< Tempo di persistenza previsto nel livello (grado di incertezza)>>, che nelle vecchie tabelle dei primi anni novanta veniva chiamato tempo attesa eruzione. Non si riportano soglie ben definite oltre la quale far scattare il gradino successivo di allerta, anche perché il Prof. Coccia, presidente della commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, ha chiarito che ci sono ancora molte incertezze da dissipare. 

Questa nuova tabella potrebbe rispondere meglio alle esigenze informative da garantire alla popolazione, perchè ricorda a molti che l'area flegrea è multi rischi. Diciamo subito che nonostante l’ampliamento della legenda all’interno dei colori, in realtà da una prima lettura ci sembra di capire che la condizione di disequilibrio medio (giallo II), e quella di disequilibrio forte (Arancione I), in una qualche misura  quasi si equivalgano, e quindi sono comprensibili i timori dei cittadini.

La sensazione che si riceve è quella che l’autorità scientifica nella sua massima conformazione che è appunto quella della commissione grandi rischi, voglia sottolineare tutte le problematiche esistenti nei Campi Flegrei senza nascondere una certa incertezza sulla valutazione dei fenomeni potenziali o in atto, dovuta alla mancanza di soglie strumentali da comparare agli episodi eruttivi precedenti che vanno molto indietro nel tempo. Nella riunione di presentazione dei nuovi livelli, non sono state palesate certezze e  rassicurazioni, perché in esame c'è un'area che si caratterizza per un sottosuolo sub calderico dinamico e complesso. In tutti i casi le autorità confermano la vigilanza scientifica diuturna dell'area, effettuata con strumenti all'avanguardia. Sembrerà strano, ma questa è la prima volta che si inizia a scrivere la prima pagina del registro delle dinamiche dei disequilibri geologici che caratterizzano il sottosuolo dei Campi Flegrei, utilizzando precisi dati strumentali..  

Il dipartimento della protezione civile invece, vuole soprattutto condividere con le amministrazioni locali e con le popolazioni insediate nella caldera, tutti gli aspetti che accompagnano la stesura di questi nuovi livelli e con essi le indicazioni contenute nelle fasi operative: certamente come atto dovuto, ma anche per evitare critiche a posteriori raccogliendo magari e nel contempo pure qualche  suggerimento utile.    

Nell'insieme il quadro istituzionale potrebbe essere riassunto come segue: le autorità scientifiche e dipartimentali sono consapevoli di tutta la fenomenologia che caratterizza la caldera flegrea. In assenza di soglie strumentali però, una certa e importante discrezionalità valutativa per stabilire il passaggio tra i vari livelli di allerta vulcanica, come sempre rimane necessariamente manuale e a cura degli esperti della commissione grandi rischi… Sulla scorta di questi nuovi livelli, è stata pure abbozzato il prospetto delle fasi operative strettamente legate all’evoluzione dei livelli di allerta vulcanica.

Nuove Fasi operative

Un dato che emerge è quello che la direzione comando e controllo (DICOMAC), si riunirebbe in misura ridotta nella fase di primo preallarme arancione, che andrebbe a caratterizzarsi per un forte disequilibrio geochimico e geofisico del vulcano. In questo caso l'operatività della DICOMAC, sarebbe finalizzata a gestire le attività di messa in sicurezza dei beni culturali, e lo sfollamento di ospedali e carceri, ma anche della popolazione che decide di allontanarsi per utilizzare il CAS, cioè il contributo di autonoma sistemazione, che si attiverebbe appunto nel primo livello arancione.
Nel secondo livello arancione invece, cioè di disequilibrio molto forte del vulcano, la DICOMAC sarebbe al completo, e in questa fase si allontanerebbero le popolazioni gravanti nelle zone a maggior rischio a fronte di tutti i fenomeni menzionati nei nuovi livelli. Con l'allontanamento spontaneo della popolazione al raggiungimento del primo livello arancione, e a seguire col secondo livello arancione, di tutti i residenti dimoranti nelle zone a maggior pericolo previsto nella fase successiva, si ridurrebbe di molto il numero complessivo degli abitanti da evacuare allo scattare di una possibile fase di allarme geberale.

Secondo il dipartimento della protezione e la commissione grandi rischi, lo stato attuale del super vulcano Campi Flegrei, caratterizzato da una serie di fenomeni accentuati, naturali perduranti, è più correttamente classificabile come una condizione di disequilibrio medio; in altre parole, il livello di allerta vulcanica attuale, ha raggiunto pur permanendo nel giallo, il massimo livello di attenzione.

Interessante pure il dato riferito dal capo dipartimento della protezione civile, circa una interlocuzione congiunta del dipartimento, con la commissione e con i sindaci flegrei, in modo da condividere il work in progress scientifico e tecnico con gli amministratori deputati alla gestione del territorio, che purtroppo ancora non prendono provvedimenti per limitare l’urbanizzazione anche fuori dall’area bradisismica… 

Nel paesi vesuviani, quando fu varata la legge (21/2003) che proibiva la realizzazione di nuove opere ad uso residenziale nella istituita zona rossa, subentrò il boom cementizio nei paesi immediatamente confinanti con essa. Comuni come Scafati, Poggiomarino e Volla ad esempio, hanno scoperto l'oro grigio grazie ai vesuviani che cercavano casa in luoghi prossimi ai nuclei familiari storici, oramai ricadenti nella zona a massima pericolosità vulcanica. Questi cittadini si accontentarono e si accontentano di acquistare residenze in zone soggette, in caso di eruzione, a massiccia pioggia di cenere e lapilli, senza contare la beffa, semmai e come si presume, che si debba allargare la zona rossa per una rivalutazione del rischio pliniano: in tal caso non pochi si ritroverebbero di nuovo al punto di partenza. 

Nel flegreo, in assenza di un decreto regionale simile a quello vesuviano che dovrebbe riguardare l'intera zona rossa vulcanica, si tenterà di acquistare o costruire o ricostruire abitazioni appena fuori dalla zona rossa bradisismica, perché negli ultimi anni è passato il concetto che tutti i problemi geologici nei Campi Flegrei ruotano per intero  intorno al Rione Terra di Pozzuoli e zone limitrofe. 

La logica vorrebbe che se le autorità scientifiche e amministrative abbiano certezze in tal senso, così come sulla portata dell'eruzione futura, indicata da alcuni autorevoli personaggi come simile a quella del 1538, sarebbe il caso di procedere al ridimensionamento della zona rossa vulcanica flegrea, per evitare palesi contrasti tra la vigente classificazione della zona come ad alta pericolosità, senza provvedimenti amministrativi e conseguenziali capaci di mitigare attraverso la prevenzione il rischio eruttivo. 

In realtà non è possibile aspettare che prima si abbattano e si costruiscano in zone contigue i palazzi inabitabili della zona bradisismica, o che si accendano tutte le betoniere in quel di Bagnoli prima di imporre divieti al cemento residenziale per dare spazio al progetto di riqualificazione dell'ex area industriale, che rimane e fino a prova contraria, ad alta pericolosità vulcanica. D'altro canto e spiace dirlo, servono a poco pure i sit-in di protesta o le occupazioni delle sedi comunali, perché il problema è scientificamente irrisolvibile, in quanto i fattori naturali non possono essere piegati alle necessità della collettività stanziale. Quindi non è possibile dare certezze assolute in quest'area che appartiene al super vulcano: non ci sono garanzie, e quindi neanche l'apertura del portafoglio governativo con un sisma bonus rinforzato  può assicurare quella auspicata resilienza al riparo dai molteplici rischi insiti in questi territori ballerini...

Da un punto di vista della prevenzione strutturale del bradisismo, e solo del bradisismo, alcuni ricercatori suggeriscono la realizzazioni di pozzi e similari, da realizzare nel sottosuolo flegreo, più o meno a una quota d’interfaccia tra magma e spazio occupato dai gas ( 3 - 4 Km.), in modo da degassare il sistema, riducendo così la spinta crostale verso l'alto. In altri casi si propone il prosciugamento in alcuni siti delle acque che caratterizzano la circolazione sotterranea, in modo da togliere, più o meno e concettualmente, acqua alla caldaia magmatica che la trasforma in vapore surriscaldato. 

Nel primo caso riteniamo, e solo come opinione, che sarebbe un po' rischioso realizzare strutture degassificanti, classificabili come una sorta di sfiatatoi, magari perché i luoghi in questione sono fortemente urbanizzati e disequilibrati e già sottoposti a rischio alto di eruzioni freatiche. D’altro canto poi, il prelievo delle acque calde e fredde circolanti nel primo sottosuolo chilometrico, proposta questa fortemente innovativa, forse potrebbe presentare delle criticità ambientali, perché le acque emunte potrebbero modificare equilibri, e in tutti i casi potrebbero non essere idonee all'aspersione sui terreni o nel mare in quanto inquinate.  

                                                                 di Vincenzo Savarese










mercoledì 21 agosto 2024

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: siamo solo all'inizio... di Malko

Pozzuoli. Rione Terra

 

             

Il pensiero della commissione grandi rischi, riunitasi alcune settimane fa su invito del dipartimento della protezione civile, è quello che nella zona rossa dei Campi Flegrei, ovvero quella ad alta pericolosità vulcanica, l'allerta codificata per il momento rimane sui livelli di attenzione (gialla).

Per le zone bradisismiche invece (figura in basso), soggette a sollevamento dei suoli quale conseguenza del vulcanesimo locale che induce sismicità a volte incalzante con ipocentri poco profondi, non si utilizzano colori per classificare lo stato di pericolosità zonale, perché questo dipende da molti fattori anche imponderabili in via preventiva, come la magnitudo e la profondità ipocentrale dei terremoti. I sismi sopraggiungono improvvisi abbattendosi su fabbricati di diversissima fattura costruttiva, e quindi con una risposta statica e dinamica alle sollecitazioni crostali molto differente. A evento sismico avvenuto, si andrebbero a valutare gli eventuali danni subiti dall’edificato, dalle infrastrutture e dai sottoservizi nell’area colpita, classificando le criticità secondo una scala crescente da 1 a 3.



Probabilmente sarà proprio la notevole fratturazione degli ammassi litoidi che caratterizzano i primi chilometri di profondità della caldera flegrea, ad evitare accumuli di energia oltre misura. In ogni caso trattasi di una considerazione non deterministica, che può essere di minimo  conforto solo per chi vive in fabbricati robusti o antisismici, e che ad oggi non hanno presentato cenni di cedimento statico, nonostante le numerose sollecitazioni bradisismiche e sismiche.

Per coloro che dimorano in alloggi strutturalmente fatiscenti invece, occorre che tengano in debita considerazione anche livelli di sismicità modesti.  La magnitudo massima che potrebbe colpire le zone soggette al bradisismo, per le ragioni addotte in precedenza, difficilmente dovrebbe assurgere a livelli catastrofici; purtuttavia a fare la differenza è la bassa profondità degli ipocentri, che renderebbe temibile qualsiasi sussulto crostale. Quindi, ai Campi Flegrei non ci sono consolidate e definitive conclusioni geologiche da offrire al pubblico, tanto per il fenomeno del bradisismo quanto per i terremoti e per la pericolosità vulcanica in tutte le sue forme. Quest’area geografica è sede di rischi naturali, e anche se la crisi bradisismica attuale dovesse scemare o concludersi come del resto è successo pure nel recente passato, non è difficile ipotizzare che il fenomeno si ripresenterebbe col tempo, portando seco gli stessi fenomeni bradisismici e sismici con il pericolo vulcanico tra l’altro, permanentemente immanente.

Le popolazioni flegree cercano dai dettami della scienza e della tecnica, ma soprattutto dalla politica, elementi utili per corroborare la loro volontà di resilienza. Generalizzando, il cinismo o la sprovvedutezza  degli amministratori locali e regionali, che hanno negli anni consentito la nascita della calderopoli flegrea, si è rivelato un danno in termini di vivibilità non solo per la comunità  attuale, ma anche per i posteri. Questi ultimi tra l’altro, non hanno la possibilità di votare come gli italiani all’estero, e quindi, sono meri destinatari delle decisioni popolari o impopolari del nostro tempo.

Nei Campi Flegrei, a fronte dei multiformi pericoli naturali insiti nel vulcanesimo dell’area, sussiste un overbooking edilizio che espone a tutt’oggi gli oltre 500.000 residenti a un rischio serio ancorchè non limitato temporalmente, neanche col passare di decine di generazioni. Se l’antica cittadina romana di Baia era meta ambita dalle famiglie in vista dell’Urbe, ebbene ora l’abitato coi suoi peristili e mura e mosaici è sott'acqua. Questo vuol dire che nonostante siano passati decine di secoli, il fenomeno vulcanico è sempre in auge, e quindi nessuno può escludere che la Baia romana magari risorga dal mare nel corso degli anni... Il comprensorio ardente potrebbe essere dichiarato vulcanicamente estinto, se da qui all’anno 11.538 non dovesse verificarsi alcuna eruzione…

Come si vede dalla cartina sottostante, le due zone bradisismiche, quelle a colori celeste e viola, ricadono interamente all’interno della caldera flegrea, e quindi nella zona rossa ad elevato rischio vulcanico, occupando addirittura un posto centrale. Questo significa che in tutti i casi i settori bradisismici, fanno parte del più vasto distretto dove il rischio vulcanico è una costante e non una variabile ancorchè residuale del territorio.



Con queste premesse di multirischio infra calderico, non si capisce di quale resilienza parlano gli amministratori locali. Ogni  nuova casa che si aggiunge alla conurbazione esistente, comporta un aumento del rischio e una rendita negativa per lo Stato, ma soprattutto è un lascito ereditario ai posteri fatto di pericoli, incertezze del quotidiano, con la minaccia eruttiva che incombe a permanenza su proprietà e vite umane, a prescindere dalla qualità antisismica delle costruzioni che non incidono sulla sopravvivenza da eruzione esplosiva.

L’antropizzazione serrata della caldera flegrea, ha portato quest’area ad essere tra le più pericolose del mondo, alla stregua del distretto vulcanico vesuviano che non è da meno. Al Vesuvio, sono oltre venti anni che vige la legge regionale 21/2003, che vieta qualsiasi realizzazione di opere edilizie di taglio residenziale, anche se di recente gli stessi uffici regionali pertinenti per la programmazione urbanistica, pare che vogliano aprire spiragli per ridimensionare i divieti tuttora vigenti nella zona rossa Vesuvio.  

Il dato che ci sembra emergere a proposito della mancata prevenzione della catastrofe vulcanica, è quello di un mondo politico, generalizzando, miope o disattento. Un j’accuse che bisogna forse estenderlo pure al mondo scientifico, che poteva fare meglio la sua parte informativa, magari omettendo di lasciar trapelare a favore di telecamera, la quasi certezza della previsione del momento eruttivo, grazie a stazioni di monitoraggio multi parametriche, che in realtà ci sembra che siano multi strumenti ficcati all’interno di stazioni ubicate in vari punti della caldera flegrea. Certamente strumentazioni di buon livello tecnologico aiutano a monitorare il vulcano, ma non a garantire una previsione dell’eruzione che rimane ancora un procedimento “manuale” a cura della commissione grandi rischi e non dell’osservatorio vesuviano. Tra l’altro in una terra avvezza ai sommovimenti percepibili e visibili  addirittura a occhio nudo, coi fondali marini all'asciutto, con emanazioni gassose contate a tonnellate e deformazioni dei suoli decimetriche, un dato micrometrico sarebbe forse di difficile interpretazione previsionistica, soprattutto in assenza di dati pregressi preeruttivi…

Può darsi che non è stato neanche del tutto proficuo per la sicurezza, infondere l’idea che si possa monitorare con precisione l’ascesa del magma. Nel merito della previsione dell’evento vulcanico quindi, sembra che siamo ancora in una fase d’impasse, che forse andava sottolineata senza mitigazione, fornendo così elementi di deterrenza per quanti volevano sulla scorta della disinformazione, investire nel mattone nella calderopoli, 

Tra le tante cose da dire sull’argomento, c’è anche quella ad oggetto la pianificazione d’emergenza, che è nata su uno scenario eruttivo di riferimento di tipo sub pliniano dall’indice di esplosività vulcanica VEI4. Questo per dire che forse è stato ed è controproducente, che referenti scientifici istituzionali indichino l’eruzione tipo Montenuovo 1538, come quella attesa e più probabile. Innanzitutto perché ciò che si dice sullo stile eruttivo della futura eruzione è un pourparler tendente alla rassicurazione ma senza l’onere della responsabilità dell’affermazione. E lo si dice in presenza di una pianificazione VEI4, dalla quale sono derivati i limiti territoriali della zona rossa vulcanica, che comprende totalmente tutta l'area calderica. Bisognerebbe quindi evitare tutte quelle affermazioni che possono essere fuorvianti per l’opinione pubblica, anche perché non c’è un piano differenziato d’intervento basato sull’indice di esplosività vulcanica, che rimane, purtroppo, un dato appurabile solo dopo l’eruzione. Quindi, gli enti di monitoraggio si attengano ai fatti anche perché nei contratti di vigilanza e monitoraggio sussiste un certo dovere condivisibile o non condivisibile alla riservatezza, piuttosto che alle rassicurazioni. Se c’è da rassicurare rimandiamo l’onere a chi stabilisce le fasi operative e non i livelli di allerta. D’altra parte anche un’eruzione di bassa intensità rappresenta un problema serio se non si specifica il punto o i punti eruttivi dove possono presentarsi le dirompenze vulcaniche, che non è detto che debbano coincidere col punto di massimo sollevamento del suolo…

Un deputato pochi giorni fa ha avanzato la necessità di finanziare l’osservatorio vesuviano in modo da poter far assumere due tecnici e due ricercatori. Riteniamo che l’osservatorio vesuviano debba essere finanziato innanzitutto per spostare la sede di sorveglianza e ricerca fuori dalla zona rosse vulcanica e bradisismica dei Campi Flegrei, in modo da avere all’occorrenza e nei momenti topici, una struttura pienamente operativa e non impegnata a caricare i materassi sui camion.

Gli amministratori regionali della Campania, su input legislativo del Ministro della protezione civile, dovranno adottare strumenti legislativi assolutamente inibitori alla realizzazione di ulteriore edificato ad uso residenziale nell’area calderica dei Campi Flegrei.  In tempi brevi tra l’altro, per non rischiare la procedura di surroga da parte dello Stato. Ecco allora che questa importantissima iniziativa strutturale di prevenzione favorita dal Ministro, sta suscitando mugugni che si trasformeranno molto presto in serrato confronto, se non verranno trovate in sede regionale soluzioni, meglio dire escamotage, per estrapolare con alchimie amministrative almeno la spianata di Bagnoli dai vincoli inedificatori…

Già… la spianata di Bagnoli. Quelli bipartisan, generalizzando, studiano la mossa del cavallo in ambito regionale, e non è da escludere che faranno sentire la loro voce con tutte le armi disponibili, a iniziare dalla acclarata capacità tecnica di buttare giù super pilastri armati da poter essere utili addirittura al gigante Atlante nel sostentamento del suo fardello planetario. Gli astuti politici metropolitani e regionali, in sintonia con una certa componente politica nazionale d’estrazione campana,  da anni si coccolano la spianata di Bagnoli, specialmente ora che verrà finanziato a cura dello Stato, il risanamento ambientale dell’ex area industriale litorale compreso.

Con l’approssimarsi delle scadenze imposte dal decreto bis Campi Flegrei, che ha formalizzato la necessità di non costruire oltre nella zona rossa, è probabile che assisteremo a strenue battaglie politiche, popolari, sindacali, associative, laiche e religiose. Non è da escludere la formazione di un fronte di opposizione con bandiere e slogan anti governativi, che in barba a qualsiasi criterio di prevenzione del rischio vulcanico, chiederà che non sia frenato il piano di urbanizzazione di Bagnoli, comprendente pure appartamenti di pregio con vista mare. Per noi la migliore riconversione della spianata di Bagnoli è quella di destinarla ad  area strategica di protezione civile, con tanto di elisuperficie e di approdo rapido dei natanti veloci…

Tra le strutture che iniziano a sentirsi a disagio con le iniziative anti cemento del Ministro Musumeci, si annovera l’assessorato all’urbanistica regionale: ufficio mai depositario o ispiratore di iniziative volte alla prevenzione del rischio vulcanico. Siamo altresì sicuri che faranno sentire i loro borbottii pure taluni amministratori metropolitani, membri di rilievo del comitato partenoflegreo, in quanto particolarmente inclini a ritenere il rischio vulcanico neanche nominabile. Una legge anti cemento, piaccia o non piaccia invece, è l’unica misura di prevenzione seria per evitare il disastro vulcanico, anche in capo ai posteri, a cui non dobbiamo o non dovremmo tramandare un territorio trasformato in una calderopoli asfittica multirischio, la cui programmazione urbanistica è stata lasciata sotto varie forme in mano ai businessmen.

Pare che siano due parlamentari campani, quelli che hanno proposto lecitamente un emendamento al decreto Campi Flegrei bis, acchè la spianata di Bagnoli fosse estrapolata dai divieti di urbanizzazione. L’appello doveva essere rivolto alla natura e non a Musumeci, che non ha il potere di abolire i pericoli in modo puntiforme e per decreto… Del resto questa infelice proposta forse era nell’aria, come dimostra la prima cartina pubblicata sul web (in basso):  le zone bradisismiche stranamente aggirano la spianata di Bagnoli che non ha colorazioni di merito… 



La condizione per operare di prevenzione a fronte del pericolo vulcanico (P), è quella di tenere strutturalmente separato il valore esposto (VE), rappresentato dalla vita umana, a una distanza di sicurezza (d) dal distretto vulcanico che potrebbe dirompere con fenomeni molto pericolosi come le colate piroclastiche o eventi similari. Ecco: il limite della zona rossa vulcanica è dettato proprio dalle eruzioni passate e dai limiti di scorrimento dei flussi piroclastici rilevati sul campo dai geologi.

Il piano di evacuazione è una misura di ripiego dettata da due impossibilità: la prima è quella di spostare o ingabbiare il vulcano, cioè il pericolo; l’altra è quella di spostare dalla zona pericolosa e da subito gli oltre 500.000 abitanti della zona rossa flegrea per proteggerli preventivamente: il numero dei residenti è pari a quelli che si contano nella città di Genova…


Nella formula del rischio semplificata, è evidente che all’aumentare di uno dei due fattori (P e VE) il rischio aumenta. Se aumentano entrambi il rischio diventa insostenibile. In una tavola rotonda organizzata alla Regione Campania alcuni anni fa, presente il sistema di protezione civile, fu affermato che la pericolosità vulcanica non aumenta col passare dei secoli. Affermazione buttata lì per stroncare ogni critica che avanzavamo sull’operato del sistema in tema di prevenzione, quale disciplina che ritenevamo profondamente disattesa. Intanto e per inciso, le pubblicazioni scientifiche dicono tutt’altro sui tempi di quiescenza e sulla pericolosità vulcanica che aumenta... Continuando, in assenza di leggi anti cemento aumenta anche il valore esposto. Ne consegue che non potendo agire sul pericolo vulcanico, occorre concentrarsi necessariamente e strutturalmente sul valore esposto (residenti), che non deve più crescere numericamente, anzi deve diminuire col tempo, azzerandosi repentinamente nei momenti di estremo pericolo vulcanico, grazie a un piano di evacuazione susseguente la previsione d’evento, che al momento non è certa, pur essendo la chiave di volta attuale della sicurezza areale. Purtroppo e alla luce delle odierne conoscenze, la previsione d’eruzione potrà essere solo probabilistica e non deterministica. Ne consegue che non si potranno escludere  anche situazioni da falso allarme o peggio ancora di mancato allarme. Il mancato allarme è una probabilità catastrofica da evitare a ogni costo. Il falso allarme che in tutti i casi comprende l’evacuazione, sarebbe un problema, perché per dichiarare il cessato allarme poi, occorrerebbero tempi lungi di osservazione e monitoraggio geologico, fino a quando qualcuno non si assumerà la responsabilità del rientro dei cittadini nel flegreo. 

Nel 2003 il presidente regionale Antonio Bassolino, riuscì a far approvare la legge 21 che proibiva nella zona rossa Vesuvio, zona ad altissima pericolosità vulcanica, qualsiasi ulteriore urbanizzazione a scopo residenziale. Qualcuno ironizzò chiamando in causa anche la necessità allora di regolamentare le nascite...il mattacchione non calcolò che le morti superano le nascite. Qualcun altro chiamò in causa il TAR, per vedersi riconosciuto in ogni caso il diritto ad edificare in zona rossa, in forza del possesso di autorizzazioni e licenze antecedenti rispetto alla data d’instaurazione del divieto 21/2003. Il Tribunale regionale respinse questa tesi, perché nel momento in cui si appura un pericolo, questi prevale su qualsiasi retrodatazione degli atti amministrativi autorizzativi. Diversamente, sarebbe come dire faccio il pergolato con lastre di amianto perché ho l’autorizzazione a farlo con data antecedente ai disposti di legge che hanno sancito il pericolo cancerogeno del prodotto (asbesto)…

Il Ministro Musumeci si sta spendendo per arrivare a serie e logiche proposte di prevenzione del rischio vulcanico. Proibire la realizzazione di residenze nelle zone ad alta pericolosità vulcanica è una misura inoppugnabile di civiltà, che sarà riconosciuta da tutti, posteri compresi. Per quanto riguarda gli abusi edilizi perpetrati in area ad alta pericolosità vulcanica, abbiamo maturato l’idea che non dovrebbero essere condonati  perché il condono rende vendibile il manufatto, e con esso pure il fardello del rischio che dovrebbe  rimanere unicamente  in capo all’incauto costruttore.

                                                          di Vincenzo Savarese







sabato 23 dicembre 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la somma delle zone a rischio... di MalKo

 

Il famoso Rione Terra di Pozzuoli: apice del bradisismo.

Di recente è stata realizzata la mappa (in basso) di quella che oggi viene chiamata zona rossa bradisismica. Si nota un settore circolare a colori su campo bianco, che sembra rimarcare anche visivamente una sostanziale differenza con la classica zona rossa vulcanica, molto più ampia, che vedremo più innanzi. L’osservatore potrebbe essere portato a ritenere per la novità del prodotto mappale e per i clamori mediatici, che il sollevamento del suolo e la sismicità zonale lieve e moderata, siano i principali pericoli della plaga flegrea, e da cui è possibile difendersi.


Zona rossa bradisismica

Secondo gli amministratori locali infatti, la zona rossa bradisismica ha potenzialità di resilienza se si investe nel recupero antisismico dei fabbricati, magari attraverso finanziamenti e altre agevolazioni statali. Ovviamente la convinzione che la resilienza nel flegreo possa basarsi sull’efficacia delle difese passive dei fabbricati vulnerabili ai sussulti è un falso scientifico, perché queste eventuali misure d’irrobustimento edilizio degli edifici, avrebbero una valenza che cesserebbe di essere tale, qualora nella plaga flegrea dovesse manifestarsi un’eruzione magmatica con la produzione di nubi ardenti. Non bisogna dimenticare infatti, il dato scientifico inoppugnabile, che la zona rossa bradisismica non è una zona a sé stante della plaga flegrea come racconta la propaganda pro bonus, bensì è una zona a rischio suppletivo circoscritta dal rigonfiamento dei suoli, ma ben all’interno della più ampia zona rossa a rischio vulcanico. Il bradisismo ricordiamolo, non è un problema tettonico... 

Zona rossa Campi Flegrei e zona rossa bradisismica circoscritta dal semicerchio rosso.


A rendere pericolose queste due zone che si sovrappongono infatti, è il famigerato magma, ubicato ad alcuni chilometri di profondità. Se il magma fisicamente dovesse spingersi in superficie dirompendo, genererebbe una eruzione che, secondo gli scenari di piano, potrebbe anche raggiungere livelli energetici da sub pliniana (VEI4), con colonna eruttiva, nubi ardenti e altri fenomeni deleteri come la pioggia di piroclastiti, che investirebbero i territori ubicati in un raggio di oltre 10 chilometri e più. Se invece il magma dovesse permanere nel sottosuolo senza avanzare, e quindi limitandosi a rilasciare sotto varie forme quel calore responsabile di trasformare i fluidi in vapore surriscaldato, permarrebbe il fenomeno del bradisismo, dei sismi e comunque rimarrebbe il rischio delle eruzioni freatiche. In quest’ultimo caso, l’eruzione freatica potrebbe generare un boato dirompente che aspergerebbe in un raggio di alcune centinaia di metri tutto quello che era contenuto nella sacca rocciosa  in sovrapressione: vapore, gas, acqua e fango. 

Il bradisismo puteolano non è chiaro in che misura possa essere inquadrato come un precursore preeruttivo piuttosto che un fenomeno legato esclusivamente alla degassazione della massa magmatica. Gli attuali promotori della resilienza però, pensavano di dribblare questa incognita cruciale, magnificando le potenzialità di monitoraggio dell’osservatorio vesuviano. L’INGV infatti, ha sentenziato che gli strumenti multi parametrici che utilizzano per sorvegliare il super vulcano, ad  oggi non evidenziano  magma in ascesa nel sottosuolo flegreo, ed eventuali e future ascensioni del prodotto incandescente, dicono che verrebbe colto con largo anticipo. La commissione grandi rischi invece, insieme ad altri accademici, pare che abbia manifestato dubbi sulla velocità di risalita del magma, che a loro dire potrebbe materializzarsi in superficie nel giro di poche ore o qualche giorno, inficiando le premesse operativa dei piani di emergenza. Saggiamente, la commissione  ha quindi ritenuto necessario che vengano effettuate tutte le indagini necessarie per stabilire concretamente a che profondità staziona il magma, probabilmente meravigliandosi pure che un siffatto e importantissimo approfondimento non sia già agli atti, atteso clamori e paure della popolazione, che hanno accompagnato negli ultimi mesi sommovimenti e innalzamenti dei suoli.

Intanto per definire i confini esterni del settore bradisismico cartografato  e riportato in figura, sono state utilizzate le isolinee di sollevamento dei suoli ai 10 centimetri. L’equidistanza tra le curve di livello presenta un andamento piuttosto regolare all'inizio, fino a raggiungere il picco altimetrico di oltre un metro con collocazione apicale a ridosso del Rione Terra. 

Il fenomeno del bradisismo che cagiona sismi di lieve e moderata magnitudo, è dovuto a spinte che si generano nel sottosuolo e che deformano gli strati superficiali crostali verso la parte più cedevole che è quella confinante con l’atmosfera. Questo dimostrerebbe che la problematica bradisismica e sismica è insita soprattutto nei primissimi chilometri. Che ci sia una pressione vigorosa e compulsiva nel puteolano è abbastanza certo, ma non è altrettanto chiaro il processo termico e poi meccanico che genera queste forze ascendenti responsabili della curvatura a campana dei terreni, che si registra circolarmente da qualche chilometro dal porto di Pozzuoli, e fino all’apice del Rione Terra.

Le principali teorie formulate per spiegare i fenomeni geo vulcanici che avvengono nei Campi Flegrei, rimandano a un sistema idrotermale diffuso che circola e si dirama nel sottosuolo, con l’acqua che si surriscalda per il contatto con altrettanti fluidi e gas ardenti che vengono rilasciati dal magma sottostante attraverso le numerose fratture presenti negli strati rocciosi: un magma che in tutti i casi non può essere lontanissimo. L’effetto conseguenziale dei fluidi surriscaldati a centinaia di gradi Celsius, è quello della trasformazione di stato e della forte espansione, similmente a quanto si osserva in un cilindro dopo la fase di scoppio col repentino spostamento del pistone. La dilatazione del vapore surriscaldato spinge gli strati litoidi che si gonfiano, e a volte si spaccano rilasciando energia sismica che, per masse implicate, difficilmente dovrebbe raggiungere magnitudo elevate, anche se la superficialità del fenomeno può determinare effetti sui fabbricati di un certo rilievo.

La spinta però, potrebbe provenire direttamente dal magma, così come suggerisce la commissione grandi rischi; un magma che potrebbe essersi insinuato negli strati di roccia con un andamento intrusivo irregolare, che più fonti lo attestano a circa 3 chilometri dalla superficie se non a una profondità minore. Atteso che c’è acqua e magma nel sottosuolo flegreo, non è neanche da scartare l’ipotesi che il bradisismo sia un processo combinato dei due elementi, talora con prevalenza dell’uno sull’altro e viceversa.

Per imbastire soluzioni capaci di calmare le preoccupazioni della popolazione  i cui animi si acchetano in tempo di pace geologica e si ridestano soprattutto a cavallo della sismicità frequente, le autorità dipartimentali trascinate dal comitato partenoflegreo, hanno alfine focalizzato il loro interesse preventivo sul fenomeno bradisismico e sismico, tralasciando il rischio eruttivo che nessuno evoca, probabilmente in attesa che vengano eseguiti accertamenti scientifici sulla localizzazione del magma. Nella fase acuta del bradisismo, era stata ventilata dal ministro Musumeci la possibilità di un passaggio di allerta vulcanica da giallo ad arancione (preallarme) poi rientrata.

Il pericolo preso in esame dalle autorità, è stato ridimensionato a quello bradisismico e sismico zonale, contemplando pure  il rischio potenziale di eruzioni freatiche e nella peggiore delle ipotesi a un’eruzione di taglia simile a quella del 1538. Anche sulla scorta di pressioni politiche con qualche reprimenda, si è quindi tralasciato alquanto il pericolo eruttivo vero e proprio, perché dicono dal comitato e dal dipartimento della protezione civile, che è già stato processato con l’elaborazione di scenari e piani e procedure operative dedicate. Appena saranno pronti anche in questo caso scenari e piani di evacuazione per la zona rossa bradisismica, il quadro delle tutele nei Campi Flegrei, a parere degli esperti dovrebbe essere completo.

Le problematiche bradisismiche sono insite maggiormente nel sottosuolo della zona rossa bradisismica, soprattutto a ridosso e nelle vicinanze delle zone che acquistano quota o degassano significativamente come quelle della Solfatara – Pisciarelli e dintorni. In tutti i casi però, trattandosi di fenomeni dinamici e quindi in itinere nel  sottosuolo flegreo, in tutta la zona rossa dei  Campi Flegrei  il rischio sismico e freatico e freatomagmatico ed eruttivo dovrebbe essere una costante immanente e generalizzata in tutta la plaga. 

Le eruzioni magmatiche possono manifestarsi pure con brevissimo anticipo, con dirompenze violente che espellerebbero prodotti piroclastici solidi, liquidi e gassosi che, nelle loro varie forme distruttive, possono raggiungere ogni punto della zona rossa vulcanica, soprattutto se dovessero aprirsi più bocche eruttive. Il fenomeno maggiormente temuto è quello dei flussi piroclastici: ammassi semi incandescenti che possono  scorrere velocemente sul terreno per non pochi chilometri, ad una temperatura di diverse centinaia di gradi Celsius, con una altissima capacità travolgente e distruttiva. Durante l’eruzione al Vesuvio del 79 d.C., le nubi ardenti che si formarono dai pendii del vulcano, raggiunsero con la parte più gassosa Capo Miseno, che fu avvolta dall’oscurità: fenomeno che creò grande spavento, e che fu puntualmente registrato da Plinio il Giovane nelle famose epistole...

I disposti legislativi che sono stati formalizzati dal dipartimento della protezione civile e dal comitato partenoflegreo, a brevissimo saranno resi operativi dall'elaborazione del piano di evacuazione della zona rossa bradisismica. Questo piano servirà a fronteggiare crisi bradisismiche gravi o super crisi bradisismiche come specificato dal sindaco ingegnere Manfredi. Le misure orientativamente dovrebbero essere simili a quelle adottate nell’ultima crisi bradisismica degli  anni 80’, e in ogni caso limitate alla sola zona a rischio bradisismico, in assenza del pericolo magmatico che qualcuno dovrà necessariamente escludere assumendosene la responsabilità. Anche per un piano evacuativo dettato dal bradisismo infatti, occorre  che l’autorità scientifica elabori scenari di pericolo con indicazione delle soglie numeriche strumentali di cui tener conto per far scattare all'occorrenza il piano dei trasferimenti. Non è da escludere che si tireranno in ballo i centimetri di sollevamento, la velocità di sollevamento o il numero e l’intensità dei terremoti o tutti questi elementi messi insieme e che possono mettere a rischio la pubblica incolumità. La risposta operativa potrebbe essere una evacuazione zonale che coinvolgerebbe circa  85.000 persone. Riteniamo che in ogni caso sarà all’occorrenza la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico e sismico a dover offrire argomenti e notizie utili sullo stato delle cose, affinchè la parte politica con tutti gli elementi a disposizione, possa decidere o meno di dichiarare il massimo allarme nella zona rossa bradisismica.

In caso di accelerazione del fenomeno bradisismico a livello di decine di centimetri al mese e con la conta di migliaia di eventi sismici, probabile che scatterebbe l’evacuazione della zona rossa bradisismica. Il non coinvolgere nelle dinamiche di salvaguardia evacuativa tutti i comuni della zona rossa a rischio eruttivo però, sarebbe una procedura ardita in antitesi con i disposti dettati dal principio di precauzione. A meno che l’osservatorio vesuviano o altra autorità scientifica, non si assuma la responsabilità di certificare che nella zona rossa bradisismica le uniche eruzioni ipotizzabili sono quelle freatiche senza code magmatiche.

Qualora la zona rossa bradisismica dovesse gonfiarsi come un palloncino e il terreno fortemente shakerato dai terremoti, si sfollerebbero come detto  gli 85.000 residenti nei comuni extra flegrei. Gli altri 415.000 residenti della zona rossa flegrea invece, sarebbero spettatori e dovrebbero attendere gli sviluppi della situazione, sperando che la crisi acuta  bradisismica e sismica produca solo effetti locali, e non sia foriera di una grande eruzione.  

Non sono pochi gli esperti  che stimano che il rischio eruttivo insito nella zona rossa bradisismica, difficilmente possa superare la tipologia eruttiva che caratterizzò e accompagnò la nascita di Monte Nuovo nel 1538. Diciamo pure che le statistiche INGV riportano che l'eruzione più probabile in zona flegrea sia quella VEI3. L'impressione che se ne ricava però, è che senza dichiararlo, si voglia connotare una tipologia eruttiva tipo Monte Nuovo appunto, come un effetto collaterale del bradisismo, piuttosto che un'eruzione vulcanica vera e propria.

D’altra parte la sfera di incertezza che permarrebbe in ogni caso nella più ampia zona rossa vulcanica dopo un eventuale allarme evacuativo dalla zona rossa bradisismica, è probabile che non possa esimere le autorità dalla necessità di dichiarare in tutti i Campi Flegrei almeno la fase di preallarme vulcanico (arancione). Tale misura di tutela, soprattutto per le categorie fragili, consentirebbe di alleggerire il carico operativo massimo areale (numero di abitanti), ma anche di consentire a chi dovesse sentirne la necessità per vari motivi, di allontanarsi in prima battuta dal confine del perimetro bradisismico, e magari anche da quello più ampio vulcanico, utilizzando aiuti statali.

Il dato che emerge dalle disquisizioni fin qui fatte, è che probabilmente anche in vista delle prossime elezioni, nessun politico, anche tra i più puri e duri, ritiene il caso di proporre misure di vera prevenzione della catastrofe vulcanica,  partecipando attivamente a dibattiti sulla necessità di bloccare l'ulteriore urbanizzazione residenziale nella zona rossa vulcanica dei Campi Flegrei, a iniziare proprio dalla zona rossa bradisismica, che si connota come settore rosso sismico nel rosso vulcanico. Il comitato partenoflegreo raggruppante i sindaci del flegreo compreso quello metropolitano, ebbe a chiedere qualche mese fa, alla camera e al senato della Repubblica, l'elargizione del superbonus edilizio 110%: proposta bocciata. Mancò la logica operativa in questa richiesta economica: se si vuole che quel fabbricato sia destinatario di aiuti statali perchè lesionato dalla sismicità zonale,  occorre che il terreno a fianco di questo palazzo sia dichiarato inedificabile, altrimenti daremo corso a un sistema di aiuti sine die, e non a una soluzione a termine, senza contare il fatto tutt'altro trascurabile, che in ogni caso si andrebbe ad elevare il valore esposto al rischio vulcanico. 

Il bradisismo e i sismi oggi sono in una fase di stanca, ma i potenziali energetici sono ancora tutti lì nel sottosuolo flegreo, e quindi crisi e pace geologica si alterneranno ancora per mesi, decenni e secoli, così come resterà immutato e immanente l'indecifrabile e imprevedibile pericolo vulcanico...  

                                                                    di Vincenzo Savarese