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mercoledì 21 maggio 2025

Rischio eruttivo ai Campi Flegrei: il sottosuolo ribollente ... di Malko

 

i Campi Flegrei


Fare il punto sulla pericolosità vulcanica dei Campi Flegrei con tutte le sue fenomenologie annesse e connesse è veramente cosa ardua, soprattutto analizzando le varie teorie scientifiche che sull’argomento spaziano su congetture a volte contrastanti tra loro.

Circa i processi di sollevamento del suolo, fenomeno meglio noto come bradisismo, gli scienziati sembrano concordare che sia imputabile alla massiccia presenza di acqua nel sottosuolo, di origine piovana, marina ma anche endogena che, investita dai fluidi roventi che si liberano dal magma, aumenta di volume per poi trasformarsi in vapore surriscaldato in una condizione super critica, che riesce a premere e deformare gli strati litoidi verso la parte maggiormente cedevole. Saranno proprio questi spessori rocciosi che si deformano fino a raggiungere il punto limite di rottura a produrre onde sismiche con ipocentri spesso localizzati geograficamente nell'area bradisismica. Questa zona è il settore maggiormente colpito dai terremoti che, per duttilità delle rocce calde e fratturazione della crosta, dovrebbero essere di magnitudo contenuta. Purtuttavia stante la superficialità degli ipocentri, i sismi si presentano con scuotimenti crostali vigorosi. Ovviamente la differenza in termini di danni la fa poi la qualità degli immobili.

Pozzuoli: zona bradisismica (celeste) e zona bradisismica ristretta (lilla)

Il punto di massima deformazione e forse di cedevolezza degli strati rocciosi che caratterizzano i primi chilometri del sottosuolo, sembra  corrispondere più o meno al Rione Terra (Pozzuoli), che tra l’altro lascia registrare l'apice del sollevamento con circa 145 centimetri apprezzabili anche visivamente all’interno della darsena pescatori, che presenta chiazze di fondale marino oramai all'asciutto.


Pozzuoli: darsena pescatori.

La platea di accademici che si interessa all'area flegrea, pare che concordi sul fatto che il crogiolo di interazioni termo dinamiche sia localizzato a circa 3 – 4 chilometri dalla superficie. Per pressioni e temperature, l'acqua che circola nel sottosuolo si troverebbe in una condizione supercritica, anche per il calore intenso che non si può escludere possa provenire pure da filaccioli di magma spintisi a questa quota, che riscaldano direttamente o indirettamente i fluidi in circolazione, mantenendo alto pure il rischio di eruzioni freatiche. 

I punti scientifici di maggiore incertezza riguardano proprio la posizione del magma, cioè la sua quota e la sua influenza diretta sul bradisismo. In molti lo pongono naturalmente nella camera magmatica a circa 8 - 9 chilometri di profondità. Altri ritengono che si sia espanso in forma intrusiva pure a circa 3 chilometri nel sottosuolo. Altri ancora non escludono e non confermano questa possibilità, mentre Il dipartimento vulcani dell’INGV, ha escluso categoricamente che ci sia magma a basse profondità nel flegreo, volendo così sottolineare che nel breve non c'è pericolo eruttivo e fino a prova contraria. 

Questa certezza gradita agli amministratori della zona rossa, non è affatto tranquillizzante, perché nell’eruzione pliniana del Vesuvio nel 79 d.C. il magma assurse in superficie direttamente dalla camera magmatica ubicata a quote miriametriche e in pochissimo tempo. Il dipartimento vulcani dell'INGV potrebbe allora chiarire meglio se nei Campi Flegrei è possibile che possano verificarsi meccanismi eruttivi simili a quelli citati per il Vesuvio, e se rimarcano e confermano l’idea che, per giungere a un evento eruttivo, occorre che il magma nei Campi Flegrei in prima battuta si accumuli ad alcuni chilometri dalla superficie per poi dirompere in seguito ad ulteriori sollecitazioni.

Tutt’acqua! dicono alcuni scienziati, mentre gli amministratori locali e regionali aggiungono che l’edificato nella zona bradisismica generale e ristretta ha retto bene ai recenti sommovimenti simici del 13 maggio 2025: ed è una buona novella. Una dichiarazione rassicurante rilasciata a favore di telecamera, forse per depotenziare l’intenzione del ministro Musumeci di dichiarare lo stato di emergenza, che prevede anche disposizioni vincolanti per amministratori e popolazione.

La volontà di dichiarare lo stato di emergenza a cura del ministro, è stata nell'odierno superata, perché Musumeci ha dovuto desistere, pare a seguito di forti pressioni provenienti dal territorio, affinché non si procedesse con lo stato di emergenza in nome della stagione turistica da salvaguardare... Occorre prendere atto allora, che anche nel campo dei rischi vige la filosofia che la sicurezza non è il bene assoluto, ma va miscelata secondo criteri costi benefici, spesso reclamati dagli stessi amministratori che battono però cassa innalzando quella stessa bandiera inibita a Musumeci. Da un punto di vista tecnico, la logica dei costi benefici potrebbe essere accettabile, nel nostro caso solo se si è fatto tutto il possibile per evitare di aggiungere anche una sola persona in più nella calderopoli ad alto rischio vulcanico: diversamente è puro cinismo… Da questo punto di vista, temiamo sortite cementizie sulla spianata di Bagnoli, in nome della gara velica più importante del mondo che si terrà a Napoli tra un paio d'anni.

Campi Flegrei: la spianata di Bagnoli.


In assenza di pareri scientifici circa i meccanismi e i tempi di risalita del magma da quote profonde, ogni disquisizioni che possa rassicurare concretamente i cittadini circa l’efficacia della iper strumentazione altamente tecnologica dislocata nei Campi Flegrei, rimane puro esercizio retorico. Gli strumenti, dicono, possono fornire dati molto precisi ancorché utili per consentire agli organi di vigilanza di interpretarli cogliendo così sul nascere eventuali movimenti  ascensionali del magma.

Vien da pensare, poi, che, se il  bradisismo nasce dall'associazione dei due fattori: acqua e calore, l'attuale recrudescenza in termini di intensità sismica e riduzione degli intervalli di quiete, potrebbe trovare causa o concausa nei dinamismi che riguardano alla fine il gradiente calorico. Il dato in tal senso lo fornisce la sorveglianza satellitare, che ha riscontrato nei Campi Flegrei un aumento di temperatura al suolo nei giorni che precedono terremoti più intensi del solito.  

La dissertazione circa la presenza o meno del magma in forma intrusiva nei primi chilometri, non ha un particolare seguito, perché la questione viene ricondotta a un dibattito scientifico orientato più sulla genesi del bradisismo che sul pericolo eruttivo. Un'attenta riflessione però, dovrebbe portare a comprendere che siamo in presenza di un grosso errore di metodo, perché la fenomenologia bradisismica potrebbe essere il cavallo di Troia che introduce il rischio eruttivo su oltre mezzo milione di persone, senza che queste nel concreto se ne avvedano, perché diversamente dai terremoti, la popolazione non percepisce fisicamente il pericolo eruttivo, e quindi si concentra maggiormente su quello che avverte (sismi) direttamente, soprattutto se è orientata a farlo dagli organi d'informazione.

Generalizzando, le autorità scientifiche e amministrative e istituzionali ad eccezione del ministro Musumeci che ci sembra abbastanza attento al pericolo eruttivo, pare che guidino l’informazione  prevalentemente verso l'indirizzo sismico bradisismico, perché è un fenomeno che offre sponda alle logiche delle riqualificazioni edilizie da sovvenzionare con denaro pubblico. Nel flegreo si sono formate non poche associazioni di cittadini che plaudono e invocano la resilienza territoriale attraverso l'impegno economico governativo. Stranamente il comitato partenoflegreo ma anche i comitati cittadini, giudicano plausibile investire nella caldera del super vulcano, perché gira la convinzione che una volta abbattuto il rischio sismico con manufatti antisismici, i Campi Flegrei possono considerarsi un luogo dove poter vivere e crescere i propri figli con maggiore sicurezza. Una sicurezza in verità che, per quanto auspicabile, nessuno può garantirla in questi luoghi caratterizzati da incertezze geologiche di taglio severo. Una serie di segnali  porta a ritenere che nel sottosuolo calderico ci siano dei dinamismi che si evolvono di continuo, e che sono ancora tutti da decifrare e definire su quella che potrebbe essere una possibile aumentata pericolosità o viceversa... 

D'altra parte la popolazione flegrea poggia la cosiddetta resilienza su un punto fondamentale che è anche la foglia di fico per alcuni personaggi pubblici, che non vogliono prendere coscienza di certe verità scomode. Il primo elemento in assoluto è la moral suasion scientifica, che riferisce di essere in grado di rilevare l'eventuale e minacciosa risalita del magma dal profondo, attraverso la migliore tecnologia strumentale caratterizzata da stazioni multi parametriche oggi rifinanziate. Certamente non si può escludere l'auspicato successo previsionale, anzi: ma rimane pur sempre l'incognita della bocca o delle bocche eruttive, così come il rischio freatico e del sollevamento dei suoli e delle emanazioni gassose e della sismicità locale. I fenomeni nel flegreo termineranno quando la fornace magmatica si spegnerà: purtroppo, si teme che questo non avverrà nei prossimi anni.

Un altro caposaldo che si sta facendo strada, riguarda invece l'evacuazione che rimane all'occorrenza l'unica misura di tutela dal rischio eruttivo. Dall'intergruppo sviluppo sud, aree fragili e isole minori, si sta diffondendo con un  discreto battage la proposta di modificare i piani di evacuazione attuali per rendere fattibile in caso di necessità, l'allontanamento delle popolazioni napoletane soggette a rischio vulcanico, verso le aree interne spopolate della Campania, con trasferimenti autonomi a mezzo autovetture. Una modalità obbligata diremmo, perché le vie e i mezzi di comunicazioni con l'entroterra campano sono veramente minimi...

L’intergruppo attraverso la fondazione convivenza Vesuvio, pare abbia già favorito la stipula di protocolli d’intesa con diversi comuni dell’area vesuviana proponendo fin d’ora al dipartimento della protezione civile, esercitazioni con la partecipazione nella prima tornata dimostrativa di almeno 10.000 cittadini. È nella logica delle cose che ciò che si propone per l’area vesuviana verrà prestissimo riproposto anche per i Campi Flegrei. 

Quella di instradare le popolazioni in fuga dall'emergenza vulcanica verso una serie di comuni del casertano e del beneventano e dell'avellinese e del salernitano, può essere sicuramente una misura che potrebbe andare incontro alle esigenze della popolazione che non vuole essere dirottata a tempo indeterminato verso altre e lontane regioni.  In realtà la ricollocazione dei cittadini allontanabili per motivi di sicurezza, dovrebbe essere un passo successivo all'emergenza e fuori dalle logiche e dai momenti emergenziali... 

Probabilmente e con questa premessa, una tale iniziativa dovrebbe essere gestita da organizzazioni diverse dalla protezione civile, e maggiormente attinenti al governo del territorio. Il dipartimento della protezione civile ha già la necessità di perfezionare il piano di evacuazione esistente che presenta bug operativi, ma non si può stravolgere il minimo esistente in nome di una collocazione regionale al momento più che approssimata ancorché di dubbia efficacia. Occorre ricordare che gli abitanti rimasti nei comuni dell'entroterra campano sono i custodi di tradizioni ultra secolari che non possono e non devono essere sconvolte da chi in quel territorio magari deve viverci ma non per scelta. La nostra impressione è che l'iniziativa ancora da definire di allocare le popolazioni in fuga nei comuni dell'entroterra campano, non ha presupposti di fattibilità pratici ma solo teorici. In seno a un'emergenza vulcanica, la filosofia dell'accoglienza prevede ospitalità in luoghi sicuri che, pur tra mille difficoltà, hanno capacità di erogare servizi essenziali che fanno parte della nostra vita ordinaria: scuola, lavoro, sanità e mobilità.  Se ci fossero stati questi elementi, queste zone appenniniche probabilmente non si sarebbero spopolate...

Il sindaco di Portici è un esempio di simpatica scaltrezza operativa. Rispetto agli altri colleghi vesuviani, pare che si stia muovendo in proprio per trovare in caso di emergenza vulcanica, intese di perdurante ospitalità nei comuni  costieri cilentani...

                                                                 di Vincenzo Savarese






giovedì 5 ottobre 2023

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei - osservatorio vesuviano a guardia del magma: Ipse dixit... di Malko

 

Uno spaccato della darsena di Pozzuoli

I recenti per quanto periodici ma incalzanti eventi sismici che martellano i Campi Flegrei, ripropongono ancora una volta il grande dilemma: sismicità dettata dal rigonfiamento dei suoli per effetto del bradisismo puteolano, o sussulti da inquadrare come i più classici dei prodromi pre eruttivi? A saperlo…

Dicono che Nello Musumeci, ministro per la protezione civile e per le politiche del mare, abbia detto che sono stati sprecati quarant’anni per la realizzazione di un piano di evacuazione.  Diciamo pure che dall’ultima crisi bradisismica, ci si è cullati nell’idea che, passati i sussulti crostali degli anni ’70 e ’80, la situazione geologica in questo lembo di terra sarebbe ritornata alla normalità. Però, avrebbe cosa buona il ministro, a non rimanere sul vago, bensì a citare l’incuria quarantennale non solo sulla mancata redazione di un piano di evacuazione degno di questo nome, ma anche e soprattutto sulla mancata applicazione di regole di prevenzione della catastrofe vulcanica, realizzabili innanzitutto con la limitazione dell’incremento del valore esposto (numero di abitanti), che avrebbe portato positive ricadute sull’efficacia della stessa pianificazione evacuativa. Sarebbe anche interessante capire perché negli anni scorsi si è concentrato l’interesse della scienza e della politica solo sul Vesuvio e non sui Campi Flegrei. Infatti, si nota la grave assenza di una legge che avrebbe dovuto inibire la realizzazione di ulteriori manufatti ad uso abitativo sulla gobba bradisismica e nelle zone limitrofe, con disposti anti cemento da estendere a tutta la plaga flegrea. La legge che vieta ogni ulteriore insediamento sul Vesuvio infatti, risale al 2003, cioè almeno 20 anni dopo il bradisismo flegreo, senza che quest’ultimo territorio fosse accomunato a quello vesuviano, e senza essere sfiorato da alcuna norma che limitasse l’edilizia residenziale. Il vulnus della prevenzione della catastrofe vulcanica allora, a chi bisogna addebitarlo, a una scienza disattenta o a una politica noncurante che insegue il consenso con la mediazione dei dirigenti pubblici?

Nel flegreo, i problemi legati all’insofferenza geologica del sottosuolo, si riaffacciano e si riaffacceranno pure a distanza di decine di anni, senza scartare l'idea di una forma più cruda. Quindi, è da mezzo secolo che si sprecano tempo e risorse sull’altare dell’opportunismo politico e della  furbizia, dei tanti che inseguono il bradisismo come fonte di opportunità economica, con a margine il consenso elettorale. Il pericolo vulcanico, diciamo la verità, quello delle colate piroclastiche che vaporizzano in pochi secondi i liquidi corporei, porta solo rinunce, tant’è che nelle viscere dei Campi Flegrei sembra dimorare certamente la dea Penia che nessuno vuole invocare, piuttosto che l'operoso dio Vulcano. Le decine di vulcani monogenici e i territori litorali periodicamente inabissatisi o sollevatosi dal mare per effetto del bradisismo, hanno insegnato poco, visto che l’antropizzazione della caldera ha dato luogo a una calderopoli da oltre mezzo milione di abitanti. Ancora oggi  si dà importanza alla gobba bradisismica del rione Terra, e non alla causa del fenomeno insita negli importanti volumi di magma sottostanti. D’altra parte temiamo che se il picco di sollevamento è localizzato periodicamente e da decenni al rione Terra (Pozzuoli), questa storica collinetta dovrebbe essere trasformata in una sorta di parco urbano archeologico, perché, ammesso che si fermi o retroceda il fenomeno del sollevamento, è probabile che anche a distanza di anni si ripresentino più vivi che mai, il bradisismo, i sismi e la minaccia eruttiva.

La commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, tra i compiti consultivi operativi incentrati sulle valutazioni di pericolosità, ha anche quello di fornire indicazioni volte alla prevenzione delle catastrofi. Sarebbe quindi il momento buono acchè questa assise di luminari dica al ministro Musumeci e a chiare lettere, che non si può continuare a concentrarsi solo sulla pianificazione d’emergenza, ma è giunto il tempo di passare a drastiche soluzioni di prevenzione della catastrofe vulcanica. Sempre la commissione, terminata la sessione dell’analisi dei dati e degli ascolti dei rappresentanti dei centri di competenza, prima fra tutti l'INGV, nella seduta a "porte chiuse" ha deciso che per i Campi Flegrei deve permanere il livello di attenzione (giallo). Intanto il ministro prospetta entro pochi giorni un piano di emergenza (di esodo) relativo al bradisismo irrefrenabile, quello da bollino rosso, di cui sarà interessante vedere che confini saranno assegnati al fenomeno destinatario di aiuti di Stato. I rappresentanti dei comuni flegrei, hanno chiesto al governo per tramite della VIII commissione ambiente della camera, fondi per rinfoltire gli uffici tecnici comunali con ingegneri e architetti, ancorché di agenti per i comandi locali della polizia municipale. In questa commissione, tutti i partecipanti sono stati concordi che la minaccia è il bradisismo e i sommovimenti sismici che il fenomeno reca seco. Il rischio eruttivo è decisamente in seconda battuta e a margine del problema, per le rassicurazioni offerte dal mondo scientifico (INGV), sulla prevedibilità garantita dal monitoraggio del magma, che assicurano che al momento se ne sta buono a 7 chilometri di profondità. Infatti, su tutti capeggiano le rassicurazioni del capo dipartimento vulcani dell’INGV e del suo entourage, che, forti delle strumentazioni multi parametriche disseminate nell’area flegrea, ritengono di monitorare l’eventuale salita del magma in superficie, in modo da lanciare inequivocabilmente all'occorrenza l’allarme eruzione. In sintesi, la tesi dominante dell’osservatorio vesuviano, è quella che non si è in grado di prevedere quando salirà il magma, ma si è sicuramente capaci di captarne i movimenti ascendenti se questi si presenteranno. Questo spiega la ripetuta asserzione della ex direttrice Bianco che spiega: :<<… i piani di emergenza sono piani basati sull’idea che ci sia un cambio di livello di allerta prima dell’eruzione, conseguenza di una valutazione basata su dati scientifici>>. Questa idea datata, portò tempo fa i rappresentanti della protezione civile nazionale e regionale, a rassicurare i cittadini che mai avrebbero vissuto una condizione di fuga col fuoco alle spalle… Su questo argomento però, si registrano recentissime dichiarazioni discordanti, anche a livello del presidente INGV, che invece  ha avvertito che il magma può risalire pure nel giro di un paio di ore. Un tempo che comunque consentirebbe alla ex direttrice dell’osservatorio vesuviano, di fare qualche telefonata prima di scappare a gambe levate dalla sede INGV di via Diocleziano, insieme agli oltre 500.000 cittadini che la seguirebbero da vicino. Struttura quella dell’osservatorio, incredibilmente ubicata in via Diocleziano, in piena zona rossa, a testimonianza del tempo che si è perso…

Il piano di emergenza messo a punto dalle istituzioni competenti (dipartimento protezione civile, regione Campania e comuni) per fronteggiare il pericolo eruttivo nei Campi Flegrei, contiene delle strategie poco convincenti, in quello che ci sembra più un progetto aritmetico che operativo, che può reggersi solo sulla certezza della previsione dell’evento vulcanico: non è un caso che è nato come piano di allontanamento e non di evacuazione… D’altra parte il capo dipartimento vulcani dell’INGV, che occupa da pochi giorni pure un posto di componente della commissione grandi rischi, è stata presa in parola, magari cinicamente o convintamente da chi ha prodotto la pianificazione d’emergenza in veste di stratega designato, ben felice dell’endorsement proveniente dalla scienziata sulla previsione minima garantita a 72 ore: una misura che nessuno ha contestato.

Per meglio riflettere e a fronte di multiformi pensieri sulla pericolosità dell’area, dobbiamo ancora una volta prendere in esame le tre possibilità che possono caratterizzare l’evoluzione di questa fase di unrest vulcanico. Infatti, operativamente parlando, dobbiamo partire dal principio che possiamo andare incontro a tre condizioni, che sono anche la summa delle opinioni scientifiche sull’argomento :

 - falso allarme;

- mancato allarme;

- previsione dell’evento vulcanico in tempi utili (≥ 72 ore).

In assenza di indici probabilistici differenziati, occorre procedere con calcolo pragmatico su quello che non è deterministico. Abbiamo quindi:

 - un 33,33% di probabilità che si arrivi a un falso allarme;

 -un 33,33% che s’incappi in un mancato allarme;

 -un 33,33% che la previsione dell’evento vulcanico sia ufficializzata in tempi utili per l’evacuazione totale e ordinata della popolazione.

Il tecnico pianificatore, in realtà per fronteggiare situazioni e imprevisti, dovrebbe avere un piano d’emergenza o anche un sotto piano o anche un piano d'emergenza d'emergenza, per ognuna di queste possibilità, e non unicamente sull’ultima citata, quella da mulino bianco, come invece ha fatto la protezione civile. Avere un piano A, B e C, non significa che occorre garantire il successo in tutti i casi citati, ma almeno se non è possibile la riuscita al 100%  delle pratiche di salvaguardia, almeno si può raggiungere il risultato del minor danno possibile, in condizioni obiettivamente critiche in cui si andrebbe ad operare.

D’altra parte è di fondamentale importanza la collaborazione dei cittadini che dovrebbero adoperarsi per non lasciarsi prendere dal panico: condizione che porterebbe a disattendere qualsiasi regola civile e morale. La differenza comportamentale della popolazione ai fini dell’evacuazione, è tutta centrata sulla percezione attraverso i sensi dei prodromi pre eruttivi. La percezione o meno dei segnali di pericolo (terremoti; boati; tremori; fumarole; forte odore di zolfo; geyser) determinerebbero le reali caratteristiche del piano di emergenza, che oscillerebbe da ordinato allontanamento a caos diffuso.



Gli elementi che uno stratega dovrebbe tenere in debito conto ai fini della realizzazione di un documento validamente protettivo per la popolazione in frangenti di pericolo, sono i dati reali nel nostro caso del pericolo vulcanico (magnitudo), e il numero degli esposti al pericolo (numero abitanti).

Il campo calderico dei Campi Flegrei, per il passato e fino al 1538, è stato terra di eruzioni esplosive che hanno generato pure le temibili colate piroclastiche. Fenomeno quest’ultimo, particolarmente distruttivo, che non contempla sistemi di protezione validi, perché trattasi di una sorta di densa miscela composta da brandelli di magma, e poi liquidi e gas ad altissima temperatura (± 500°C.), che si muovono e scorrono a grande velocità.

Il secondo e non meno pericoloso fenomeno vulcanico che si materializzerebbe fin dai primi momenti dell'eruzione, anche se questa fosse moderata,  è quello della pioggia di cenere e lapillo. Materiale quest’ultimo relativamente leggero, che una volta scagliato in aria dalle dirompenze vulcaniche, diverrebbe preda dei venti dominanti, dando corpo nel brevissimo al fenomeno di ricaduta dei prodotti piroclastici. Questa pioggia incalzante, determinerebbe depositi al suolo e sui tetti di spessore pericolosamente variabile, in una misura inversamente proporzionale alla distanza dal centro eruttivo e dal peso. I danni susseguenti potrebbero essere anche molto seri, in larga misura dipendenti dalla vulnerabilità degli edifici (sprofondamento dei tetti e dei solai), e all’aperto dall’aspersione in aria della cenere: elemento dannoso alla respirazione e alle mucose, per il carattere irritante delle microparticelle silicee.

Nel nostro sistema di protezione civile, l’autorità scientifica ha determinato quella parte di territorio che potrebbe essere coinvolto dai fenomeni vulcanici più deleteri, classificandoli come zone rosse. Per poter allontanare la popolazione da queste aree a rischio, i piani di evacuazione che risultano vigenti, prevedono in prima battuta l’utilizzo di autoveicoli privati o mezzi pubblici (Bus). Ed ancora si ipotizza l’uso del treno ad alta velocità (Stazione centrale di Napoli) e le navi che attraccherebbero e ripartirebbero sempre dal porto partenopeo.

A livello comunale, in quel di Pozzuoli pare che abbiano già definito circuiti viari per l’evacuazione con autovetture private, il cui transito dovrebbe avvenire attraverso i cancelli stradali. Chi invece deve usufruire del trasporto pubblico per allontanarsi, deve rispettare criteri di priorità in favore dei quartieri maggiormente vulnerabili agli effetti sismici. Costoro dovrebbero recarsi a una certa ora concordata sulle 48 disponibili, ai punti navetta: trattasi di una fermata dove passerebbe il bus comunale che porterebbe gli astanti all’area d’attesa (hub). Dall’area d’attesa i bus regionali trasporterebbero gli utenti ivi raggruppati fino alle aree d’incontro fuori zona rossa. Dalle aree d’incontro le amministrazioni regionali gemellate garantirebbero agli esodati l’ulteriore trasbordo verso i punti di prima assistenza nelle varie regioni e province italiane…



Secondo logiche operative, un piano d’emergenza a fronte di una eruzione che potrebbe presentarsi anche in modo improvviso, deve prevedere due step: il primo è quello di mettere almeno 20 chilometri di distanza tra uomo e eruzione; in contemporanea (seconda fase) e a cura di altro personale, si procederebbe a trasportare gli evacuati fuori dalla regione Campania, per dare loro una sistemazione alloggiativa magari temporanea.

Pensare che in una condizione di prodromi pre eruttivi incalzanti si possa dare un appuntamento orario a un cittadino che deve andare alla fermata dell’autobus, magari il giorno dopo, e lì attendere la navetta è fantascientifico in un contesto di acclarato pericolo. Pensare di evacuare alla stazione di Napoli i puteolani per farli imbarcare sui treni veloci è semplicemente controproducente, tra l’altro con una rete ferroviaria che deve essere monitorata post evento sismico. Ma poi non c’è nessun bisogno di un treno veloce per mettere 20 chilometri di distanza tra gli evacuati e il vulcano. Più che la velocità infatti, serve la capienza e il numero di convogli e la loro affidabilità. D’altra parte e a proposito del puteolano, a Villa Literno si è già fuori pericolo… Prevedere il trasporto della popolazione flegrea  verso il centro di Napoli, significa che lo stratega ha obliato completamente la possibilità che si debba andar via con eruzione in corso. In questa malaugurata ipotesi infatti, si concretizzerebbe una strategia dannosa per i puteolani e per i partenopei, con questi ultimi magari interessati essi stessi da operazioni di evacuazioni, visto che i quartieri Pendino e Mercato sono in zona gialla piuttosto contigua alla zona rossa. Con eruzione in corso, presumibilmente moltissimi cittadini flegrei andrebbero, piano o non piano di evacuazione, verso nord, raggiungendo la linea di demarcazione del fiume Volturno per sentirsi al sicuro: ed è comprensibile. Quelli metropolitani-flegrei invece, dovrebbero andare verso est, magari ove possibile utilizzando proprio la rete tangenziale nell'occasione dedicata. La separazione tra puteolani e partenopei gioverebbe alla fluidità del traffico. 

Ovviamente nessuno ha la soluzione in tasca, ma puntare tutto sulla previsione d’eruzione sarebbe l’ideale solo se fosse deterministicamente accertabile e in tempi utili. Diversamente, il ministro Musumeci faccia valutare tutte le strategie possibili per ogni possibile scenario. Ai cittadini della zona rossa dei Campi Flegrei e alla politica memorabile, consigliamo di monitorare i processi edilizi relativi alla spianata di Bagnoli, le cui progettualità sono ancora in itinere. Se riverseranno in questo sito come si teme, ondate di calcestruzzo per la costruzione di palazzi di prestigio con pilastri spessi e armati e forti da sorreggere il mondo alla stregua di Atlante, si conoscerà non solo la regia, ma anche la volontà di non accreditare il rischio vulcanico tra quelli possibili nel territorio metropolitano flegreo. Stesse congetture sul litorale di Licola (Pozzuoli), dove sembra che siano in elaborazioni progettualità non a cemento zero e non a costo zero per il rischio vulcanico.

Per i cittadini costretti a vivere col rischio sismico e bradisismico, ricordiamo che la scienza riferisce che in zona rossa la crosta vulcanica è fratturata, e quindi non consente grossi accumuli di energia: i terremoti, dicono, difficilmente dovrebbero superare il 4,5/ 5 della scala Richter. Per chi vive in palazzi realmente fatiscenti, potrebbe essere allora saggio spostarsi in altra sede, forse definitivamente ma a rigor di logica necessariamente  fuori dalla zona rossa. 

Per le scuole qualche regola: sarà la percezione della classe insegnante e quindi del dirigente scolastico a stabilire la necessità di lasciare l'edificio dopo un sussulto sismico. Non si aspetta la decisione del sindaco. Non si suona la campanella. Insegnare ai bambini a proteggersi addossandosi negli angoli della classe e nei muri prossimi a questi, evitando vetrate. L'insegnante al centro della porta.  Mettersi sotto i banchi a volte e problematico per gli alunni alti e robusti. Disegnare sul muro i punti dove devono addossarsi gli studenti. Se si decide di uscire, il percorso verrà verificato dal direttore o da suo incaricato fino ai punti di raccolta. Ricordatevi che il primo gradino della sicurezza scolastica, è la buona funzionalità delle uscite di emergenza che vanno controllate ogni giorno e prima che entrino gli alunni, con apposita nota sul registro dei controlli. Uscire se necessario, proteggendosi il capo, ove possibile, con gli zaini o caschetto per chi ne è in possesso (valutare questa dotazione). Al mattino si compili con precisione l'elenco dei presenti che deve essere sempre a portata di mano delle maestre. 

                                                                 di Vincenzo Savarese
                                                             




sabato 28 luglio 2018

Rischio Vesuvio? Un esercizio di retorica... di MalKo


Golfo di Napoli all'alba

Qualche mese fa gli eurodeputati del M5S Piernicola Pedicini e Dario Tamburrano hanno presentato un’interrogazione alla Commissione europea per sapere se, una ripresa eruttiva del Vesuvio o dei Campi Flegrei, comporterebbe una partecipazione dell’organismo comunitario di protezione civile alle operazioni di soccorso.

In particolare, si legge dai giornali, gli eurodeputati hanno chiesto all’organismo Ue, se il meccanismo unionale di protezione civile prevede un impegno collettivo di tutti gli Stati membri per sopperire ad eventuali carenze operative, qualora si rendesse necessario fronteggiare un’eruzione del Vesuvio.

La risposta è stata che, in caso di eruzione del Vesuvio, le autorità italiane possono chiedere assistenza al Centro di coordinamento di protezione civile della Ue (ERCC). Purtuttavia, chiarisce la commissione europea, pur avendo condiviso un certo livello d’informazione sul rischio vulcanico, non ci sono piani d’intervento specifici condivisi, perché questi rientrano tra le responsabilità e gli obblighi a livello nazionale.

Infatti, al capo I comma 3 del disposto europeo n.1313/2013 inerente appunto gli obiettivi generali di una protezione civile europea, si precisa che: il meccanismo unionale promuove la solidarietà tra gli Stati membri attraverso la cooperazione e il coordinamento delle attività, fatta salva la responsabilità primaria degli Stati membri di proteggere dalle catastrofi le persone, l'ambiente e i beni, compreso il patrimonio culturale, sul loro territorio e di dotare i rispettivi sistemi di gestione delle catastrofi di mezzi sufficienti per affrontare in modo adeguato e coerente catastrofi di natura e dimensioni ragionevolmente prevedibili e per le quali possono essere preparati.

In altre parole, e l’esempio dei drammatici incendi boschivi che si sono sviluppati in Grecia alcuni giorni fa, ci suggeriscono la risposta, che è quella che si può chiedere l’aiuto europeo quando l’evento catastrofico si è materializzato e le forze e i mezzi messi in campo dallo stato sovrano non sono sufficienti per fronteggiare il disastro. Non è che con la stagione secca si può chiedere l’aiuto europeo a scopo precauzionale…

Pedicini e Tamburrano  molto pragmaticamente e prima di chiamare in causa Bruxelles, avrebbero dovuto e potuto indagare sullo stato dell’arte innanzitutto in Italia, ponendo le giuste domande al capo dipartimento della protezione civile Angelo Borrelli e anche al presidente della Regione Campania De Luca, magari chiamando in causa pure il sindaco De Magistris, che ha l’esclusiva di amministrare una metropoli infra vulcani, con importanti e popolosi quartieri ubicati a destra e a manca in zone rosse invadibili dai micidiali flussi piroclastici.

A favore della cronaca, possiamo ribadire che il piano di emergenza Vesuvio con tutte le sue criticità strategiche dettate da un totale ottimismo procedurale, è stato in linea di massima completato. Sono così noti gli scenari eruttivi, i livelli di allerta, le fasi operative e la catena di comando da mettere in piedi all’occorrenza.
Il piano di evacuazione invece, langue nella sua incompletezza, perché ci sono ancora dei grossi nodi da sciogliere sulle scelte operative che prevedono l’allontanamento della popolazione secondo congetture e modalità che riconducono maggiormente ai piani di mobilità che caratterizzano di solito i grandi eventi sportivi o canori o religiosi o fieristici.

zona rossa Vesuvio (zona da evacuare in caso di allarme vulcanico)

Uno dei Comuni più attivi e che da tempo tenta di darsi una organizzazione locale di protezione civile idonea per mettere in sicurezza i cittadini dal rischio Vesuvio, era ed è il Comune di Portici. Ebbene, questa città nel 2001 diede vita a un’esercitazione (Vesuvio 2001,) ampia e complessa ma completamente obliata dai media. Fu testato il piano evacuativo con tutti i mezzi di trasporto utilizzabili grazie alle infrastrutture presenti in loco: autovetture, treni e navi. L’allontanamento del campione di popolazione avvenne in direzione dell’Emilia Romagna, precisamente nella località di Bellaria Igea Marina. L’esercitazione durò 3 giorni e per la prima volta su input comunale si testò pure la funzione ad oggetto la salvaguardia dei beni culturali e l’impiego del naviglio veloce con il rapido approdo e partenza di un catamarano dal porto del Granatello…

Oggi Portici si ritrova stravolta nel suo primitivo impianto evacuativo, con la metà della popolazione che dovrebbe andare via con autobus che dovrebbero infilarsi nei budelli cittadini per imbarcare gente dalle aree di attesa comunale, per poi procedere in direzione del porto di Napoli. Qui imbarcarsi su navi in direzione Genova, sbarcare e risalire sui Bus onde procedere per la regione Piemonte. Una regione diversa dall’iniziale gemellaggio (Emilia Romagna) e che fino ad oggi non ha lasciato registrare neanche una telefonata interlocutoria con l'amministrazione porticese. Portici quindi, ha ancora tutto da discutere…

Il pericolo vulcanico, diciamola tutta, non interessa moltissimo coloro che abitano lontano dagli apparati a rischio. È un problema in definitiva tutto napoletano…  Un po' come quando in una trasmissione televisiva di taglio medico si parla di una determinata malattia: chi non ce l’ha cambia canale e chi ce l’ha zittisce i presenti per ascoltare meglio.  D’altra parte, pure i mandati della politica durano un tempo giudicabile statisticamente in linea con la percezione di una perdurevole pace vulcanica, e quindi generalmente gli amministratori danno spazio ad altre priorità meno drammatiche e antitetiche con il rischio vulcanico, e più fruttifere in termini di consenso elettorale.

Ad assumere una posizione critica sul rischio vulcanico in Campania, più incisiva di un semplice pourparler estemporaneo, è un onere che hanno assunto una piccola manciata di esperti… Una società saggia utilizzerebbe la quiete vulcanica per pianificare tutti quegli interventi necessari per agire di prevenzione, perché nessuna certezza deterministica al momento ci può pervenire dalla previsione dell’evento eruttivo che è ancora una meta scientificamente e significativamente lontana. Così come non è possibile azzardare nessuna previsione sulla intensità eruttiva: un fattore non meno importante della previsione dell’evento. Tant’è che mentre è probabile che un’eruzione possa essere preceduta da prodromi significativi, l’intensità eruttiva invece, non ha fenomeni anticipatori! Non ha segnali premonitori! Non ha avvisaglie! La scala eruttiva, cioè l’indice di esplosività vulcanica (VEI), si potrà determinare solo al termine dell’eruzione. Questo significa che se dovesse risultare erronea la taglia dell’eruzione di riferimento adottata e utilizzata per la stesura dei piani di evacuazione, si verificherebbe pur nel successo evacuativo una immane tragedia vulcanica.
Ovviamente le disquisizioni fin qui fatte valgono per il Vesuvio ma anche per il super vulcano dei Campi Flegrei; quest’ultimo, essendo un distretto calderico molto vasto, racchiude dentro di sé un’ulteriore incognita geologica circa il centro o i centri eruttivi che non è possibile localizzare in anticipo.

L’apice delle spinte sotterranee che caratterizzarono il bradisismo di Pozzuoli del 1983/ 1984 erano tutte concentrate nel sottosuolo marino appena a sud del porto di Pozzuoli, nel tratto di mare prospiciente il Rione Terra. Oggi, alcuni indizi, come i rimescolamenti acquiferi, e i microsismi e le emanazioni gassose e gli aumenti di temperatura, ci riportano a un punto d’irrequietezza localizzato tra la Solfatara, le fumarole di Pisciarelli e ancora nella zona di Monte Nuovo e Bagnoli, con una certa incertezza dettata da un sottosuolo assolutamente enigmatico e schermato da una sorta di lamina orizzontale.
D’altra parte e lo vogliamo ricordare, la zona rossa flegrea non identifica solo il luogo dove potrebbe aprirsi una bocca eruttiva, bensì l’area che potrebbe essere invasa dalle colate piroclastiche. Trovarsi sulla bocca del fucile o lungo la traiettoria del proiettile, in definitiva non cambia le dinamiche della sicurezza, se non per i tempi e le distanze che bisognerà percorrere all'occorrenza per mettersi al sicuro dalle nubi ardenti.

zona rossa Campi Flegrei (zona da evacuare in caso di allarme vulcanico)

Le amministrazioni comunali hanno riversato totalmente sulla previsione dell’evento eruttivo la salvaguardia dei cittadini esposti all’imprevedibile fenomeno vulcanico. Una convinzione un po' navigata e da pesce in barile maturata negli anni grazie alle autorità scientifiche che per troppo tempo hanno diffuso la convinzione che le strumentazioni ultra tecnologiche e ultra sensibili, alcuni mesi prima di un possibile evento eruttivo, avrebbero consentito di percepire i mutamenti delle dinamiche all’interno del sottosuolo profondo vulcanico, dando così la possibilità di diramare un allarme in un tempo largamente utile. Con questa premessa non c’è bisogno di un piano di evacuazione ma di una semplice pianificazione di allontanamento organizzato.
Le autorità di protezione civile però, capito l'andazzo delle responsabilità, da poco precisano che i livelli di allerta vulcanica sono imponderabili e possono essere anche repentini nelle loro variazioni, e che il livello verde non esclude affatto la probabilità eruttiva. In altre parole nulla è scontato e nulla è garantito.

La ministra Barbara Lezzi ha visitato il sito di Bagnoli constatando che è un luogo dalle grosse potenzialità che va bonificato e recuperato. Speriamo che l'entusiasmo si concentri e si fermi alle strutture balneari da riconsegnare alle popolazioni e non alluda a futuri insediamenti residenziali o di rinascita della spianata nel senso abitativo magari con la formula della riqualificazione urbana. Bagnoli, ricordiamolo, è in piena zona rossa flegrea…

La comunità europea materialmente è impossibilitata a fornire un aiuto in caso di allarme eruttivo, perché il piano di emergenza Vesuvio o Campi Flegrei, prevede solo azioni e soluzioni da mettere in atto prima dell’evento eruttivo e non si sa con quali margini di tempo. L’evacuazione della popolazione dovrà attuarsi necessariamente con largo anticipo sul fenomeno vulcanico: un anticipo che nessun esperto al mondo è capace di quantificare. Sappiamo solo che scendere sotto i tre giorni a disposizione, quale fattore temporale limite indicato dagli esperti regionali e dipartimentali, significa entrare nel campo delle gravi criticità operative. In tutti i casi, le politiche globali di sicurezza sono ancora in alto mare e possiamo affermare che le autorità italiane non hanno profuso tutti gli sforzi necessari per mettere in sicurezza il vesuviano e il flegreo. La mediazione tra progresso, sviluppo e interessi di parte, non riesce a sposarsi e a convivere con le necessità della prevenzione delle catastrofi, che tra l’altro richiede politiche e visioni addirittura secolari…

In Grecia l’incendio boschivo sviluppatosi nell’Attica orientale, è stato paragonato all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., cioè le fiamme che avanzavano implacabili e la gente che si riversava verso il mare in cerca di salvezza. Secondo gli esperti, il dramma non è da ricercarsi solo nella dimensione dell’incendio, bensì nelle case e casette (molte abusive), improvvidamente addossate le une alle altre in mezzo alle pinete con troppe strade cieche che non portavano da nessuna parte. Lo stato ellenico sottodimensionato nei servizi per la crisi economica, è risultato alla fine impotente per scongiurare la catastrofe...


25 luglio 2018 - Incendio in Grecia (Attica orientale). 
La popolazione si riversa in mare per salvarsi dalle fiamme.

Il giorno 21 settembre 2018 presso il comune di Portici si terrà un convegno dove si parlerà del Vesuvio e delle criticità dei piani di emergenza e di evacuazione: ci sarà in questo contesto e a seguire, anche un confronto scientifico sulla nuova frontiera delle onde radio LF quali precursori di terremoti, con esperti del settore che proporranno una ricerca scientifica ad oggetto il Vesuvio.