Il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei) |
I
Campi Flegrei e il Vesuvio rappresentano nel panorama nazionale e probabilmente
internazionale, il problema di protezione civile più grande in assoluto. Nel
primo caso il motivo è da ricercarsi nella posizione geografica della caldera
flegrea, che nel corso dei secoli si è ritrovata ad essere nell’attualità una
depressione fertile e in alcuni punti mofetica, appartenente ai territori occidentali
dell’area metropolitana di Napoli, con i popolosi quartieri di Bagnoli,
Fuorigrotta, Soccavo, Posillipo e Pianura. Lo stesso dicasi per altri comuni contigui
come Pozzuoli, Bacoli e Quarto, tutti rientranti nella zona rossa flegrea, che
classifica i territori ad alta pericolosità vulcanica.
La zona rossa dei Campi Flegrei (550.000 abitanti). |
Il
bradisismo è uno dei fenomeni che segna quest’area, lasciando intuire tutta la
vivacità del sottosuolo puteolano, tra l’altro con movimenti zonali di rigonfiamento
dei suoli e viceversa. Un fenomeno che sembra accompagnarsi a una genesi
riconducibile in ogni caso al calore terrestre.
Alcune
teorie ci portano ad inquadrare il bradisismo come fenomeno meccanico dovuto al
magma che si è intrufolato nel sottosuolo, fino a 3 – 4 chilometri dalla
superficie, o anche al riscaldamento di acque di falda e juvenili pregne di gas
magmatici. Un aumento di temperatura dovuto forse a questa intrusiva fonte di
calore, che genera vapore surriscaldato capace di imprimere pressioni di
prim’ordine agli strati che sono in alto. D’altra parte, entrambe le ipotesi sono
conciliabili tra loro, e l’una non esclude l’altra: anzi, l’una esalta l’altra.
Pure
le quantità industriali di anidride
carbonica che si liberano nell’atmosfera a ridosso della Solfatara di Pozzuoli,
sembrano ricondurci a una componente magmatica non meglio localizzata ad alcuni
chilometri nel sottosuolo, oppure a una importante fratturazione degli strati
rocciosi che facilitano gli interscambi acquiferi e gassosi pure dalle sorgenti
magmatiche più profonde.
La
figura sottostante ci aiuta a comprendere le due teorie associate al fenomeno
del bradisismo. Nel primo caso il magma s’insinua dicevamo in ascesa negli
strati rocciosi e tufacei che incontra, deformandoli e riscaldando l’acqua di
cui sono pregni apportandone altra juvenile che circola per pressione,
temperatura e densità e dislivelli. Nel secondo caso, grazie alla fratturazione
degli strati litoidei, le acque circolano nelle profondità flegree surriscaldandosi
a una fonte calorica magmatica piuttosto statica. In entrambi i casi quindi, la
componente termica magmatica è garantita, a prescindere se sia più o meno
superficiale.
Un’altra
teoria interessante che riguarda questo distretto, è quella che ci riporta a
uno strato laminare di roccia elastica ubicato a un paio di chilometri nel
sottosuolo: una sorta di scudo che
parrebbe aver contenuto fino a questo momento le ingenti spinte che derivano da
un magma o dai fluidi che spingono dal di sotto, e che vengono indirizzati
marginalmente all’ostacolo. Potrebbe essere magma espanso orizzontalmente? Questa
lamina elastica si deformerebbe per effetto delle spinte, inducendo il
sollevamento dei suoli; d’altra parte questo plafond è anche responsabile di
una difficile prospezione del sottosuolo attraverso il metodo sismico indotto da
cariche in superficie.
Che
ci sia una situazione enigmatica per quanto apprensiva su quello che “bolle”
nel sottosuolo flegreo è di tutta evidenza. Tra l’altro, mentre le autorità
fino a poco tempo fa ostentavano sicurezza e buon controllo della situazione
anche da un punto di vista della previsione eruttiva, oggi lo sono molto meno e
si legge a chiari lettere nei comunicati, che i quattro livelli di allerta
vulcanica non hanno regole aritmetiche nel loro incedere al rialzo, e si può
quindi passare da una fase di attenzione a quella di allarme in tempi veramente
minimi. Così come gli organi governativi dipartimentali hanno specificato che
il livello di allerta base (verde), non corrisponde a un rischio eruttivo zero.
Il Dr. Luca De Siena |
Il
Dottor Luca De Siena, Sismologo e
Vulcanologo, ricercatore ed esperto di prospezioni sismiche, ha prodotto un
importante studio pubblicato su Scientific Report ad oggetto proprio il sottosuolo dei Campi Flegrei, dando spazio
all’analisi dei sismogrammi che si ottennero e a cura degli americani, negli
anni peggiori del bradisismo (’83 – ’84), caratterizzati da migliaia di eventi
sismici e sollevamento accentuato.
Dottor
De Siena, come mai gli americani sulla scena del bradisismo flegreo degli anni
’80?
Gli
americani avevano a disposizione la migliore tecnologia per il rilevamento di
onde sismiche. Ricordiamoci che la scienza del monitoraggio in molti paesi,
compresa l’Italia, nei primi anni ’80 era in una fase nascente. L’iniziativa di
creare un progetto di monitoraggio sismico avanzato di complemento e
completamento delle stazioni già esistenti, aveva una forte motivazione anche
sulla base dell’attività Flegrea degli anni 1982-1984. Il prof. Roberto Scarpa
(Università di Salerno), fu uno dei promotori e organizzatori Italiani della
rete. Richard Aster è stato invece il referente Americano.
Come
ha fatto a procurarsi i sismogrammi relativi alla crisi bradisismica dell’84?
I
rilevamenti furono fatti nel primo semestre del 1984. I sismogrammi sono a
disposizione di tutti i ricercatori che intendano usarli. Sebbene non
depositati in un database, durante il mio dottorato è stato facile reperirli in
quanto erano nelle disponibilità dell’Osservatorio Vesuviano. Questi dati
americani sono stati cruciali, ancorchè preservati in originale, e fino ad oggi
tutte le mappe sismologiche dell’unrest dell’epoca (tomografie), sono state
elaborate sulla scorta di queste informazioni.
Ovviamente
i sismogrammi inquadrano la situazione di 40 anni fa. Le condizioni rimangono
inalterate rispetto agli eventi bradisismici degli anni ’80?
Le
condizioni sono certamente diverse rispetto agli eventi bradisismici dei primi
anni ’80, almeno da un punto di vista sismologico. Invece di migliaia di scosse
con picchi di centinaia in un giorno, e profondi fino a 4.5 km, la sismicità di
oggi è superficiale ed a bassa intensità, ed impatta prevalentemente nella zona
centrale della caldera (Pozzuoli, Solfatara, Pisciarelli).
La sacca magmatica, ci sembra di capire, potrebbe anche essere un
insieme di magma e fluidi e gas: a che profondità è stata localizzata e con
quale estensione?
Questo
è un argomento dibattutissimo, in quanto anche le migliori tecnologie odierne non
sono in grado di darci sicurezza su profondità e presenza di magma. Alcuni
studi sostengono che il sollevamento Flegreo non sia dovuto a magma, piuttosto
a gas prodotti dalle rocce profonde del sottosuolo. Altri sostengono che il
magma sia arrivato al disotto dei 4 km, ed abbia rilasciato fluidi caldi che
hanno permeato il sistema superficiale. Altri ancora sostengono la presenza di
magma a ~2.5 km di profondità. Inoltre, alcuni studi proverebbero che, sebbene
il magma fosse presente nella crisi 1982 - 1984, non sarebbe invece riscontrato
nell’ attuale fase bradisismica.
I
miei studi hanno sempre evidenziato una presenza magmatica, già supposta in
precedenza da altri autori, per il 1984. Quello che in questi lavori sembra
emergere con chiarezza, è che qualcosa (una intrusione o iniezione di fluidi)
sotto Pozzuoli ha fratturato il sistema vulcanico nei primi 3 km. Questa zona
si è aperta nell’84 ed ha progressivamente cambiato (per esempio scaldato) il
sistema idrotermale superficiale. Un nostro studio appena pubblicato, dimostra
che questa zona è ancora “aperta”, ma per lo più è asismica. Da questa sorta di
“bocca”, che potrebbe essere un bacino di fluidi con o senza magma, si assiste
alla migrazione dei predetti fluidi e gas verso est, per lo più nella zona di Pisciarelli
(Solfatara).
Si riesce a definire il camino di risalita del magma in
superficie?
In
questo momento non ci sono prove che il magma stia risalendo in superficie.
Penso ci sia un accordo vasto sul fatto che in superficie, almeno per ora, arrivino
fluidi e gas. Ovviamente la situazione potrebbe cambiare, ma l’attenzione delle
autorità nazionali ed internazionali sul problema mi sembra molto cresciuta, magari
permettendo una risposta preventiva migliore, qualora eventuali segnali dovessero
indicare l’arrivo di magma potenzialmente eruttivo.
Nell’attualità,
in che zona flegrea si stanno concentrando i preoccupanti segnali geofisici e
geochimici che denotano una condizione di unrest, di irrequietezza vulcanica?
Non
sono aggiornato sugli ultimi sviluppi della geochimica ma penso che il sistema
Pisciarelli-Solfatara, da questo punto di vista rimanga il più interessante.
Possibili
eruzioni freatiche rappresentano il pericolo statisticamente maggiore?
Sebbene
non abbia abbastanza dati e sia più che altro un esperto di imaging sismico,
una eruzione magmatica ad oggi mi sorprenderebbe molto. D’altronde storicamente gli episodi di
esplosioni freatiche nell’area sono noti per essere di piccola entità e
comunque di scarsa frequenza. In ogni caso non possono essere escluse.
Questa
sorta di lama o di scudo composto da materiale compatto ma elastico ubicato a meno di
2000 metri sottoterra, cosa comporta nelle dinamiche del sottosuolo flegreo?
Nuovi
studi di rock-physics ci dicono che questo scudo
(caprock) potrebbe spiegare le importanti deformazioni (1.8 metri) senza
eruzione registrate all’inizio degli anni ‘70 e nel 1983-84. È uno scudo
duttile, che si deforma ma è difficile da spezzare. Questa interfaccia sismica
a quelle profondità lavora anche al contrario, rivelandosi un problema per
ottenere immagini adeguate dei Flegrei, in quanto per esempio riflette gran
parte dell’energia sismica generata da sorgenti artificiali utilizzate per le
prospezioni in profondità. Sicuramente
l’interfaccia è visibile negli studi tomografici.
Nell’analisi
dei sismogrammi è stata accertata una camera magmatica a circa 8 chilometri
dalla superficie?
Un
lavoro fondamentale del RISSC lab, Dipartimento di Fisica, Federico II (Zollo
et al. 2008) identifica una interfaccia sismica a quelle profondità con la
sismica a riflessione. Il risultato si correla perfettamente con altri studi di
modellistica, geochimica e petrologia. Questo è un risultato ottenuto da dati
dell’esperimento SERAPIS realizzato a mare (2001). Fare di più a quelle profondità
è molto difficile.
In
termini di sicurezza, ci sono differenze per i residenti rispetto alla loro
posizione all’interno della caldera?
Direi
di sì. Gli studi più importati sia di modellistica sia di statistica
multivariata indicano nella zona tra Bagnoli e la Solfatara quella con la
massima probabilità di apertura bocche. Detto questo, il sottosuolo è
complesso; se ad esempio fluidi e/o magma trovassero fratture adeguate,
potrebbero spostarsi lateralmente. Questo è successo nel secondo semestre del
1984, con sismicità spostatasi verso Monte Nuovo ed a mare.
Cosa
proporrebbe per migliorare la conoscenza del sottosuolo e quindi una migliore valutazione
sugli indici di pericolosità vulcanica, tanto dei Campi Flegrei quanto per il
Vesuvio e Ischia?
Certamente
più fondi alla ricerca ed alle istituzioni che si occupano di monitoraggio.
Mentre in Italia l’allerta terremoti è alta a causa degli eventi anche recenti
con il loro carico funesto e distruttivo, sono passati 70 anni dall’ultimo fumo
uscito dalla bocca del Vesuvio. Non abbiamo neanche sperimentato un’eruzione
dei Campi Flegrei; paradossalmente ci si occupa di quello che la cronaca ci
rimanda visivamente, e nel caso dei vulcani napoletani, ovviamente, la quiete
colpisce meno e non cattura attenzioni particolari. Investire nella ricerca e
nel monitoraggio ci consentirebbe di cogliere molte informazioni, anche da un
piccolo evento freatico, su quelli che sono i processi profondi a tutto
vantaggio della sicurezza areale.
Il Deep Drilling Project Campi Flegrei (Bagnoli), è un progetto
perforativo molto discusso che non si sa se avrà una continuazione. La trivella
avrebbe dovuto raggiungere i 3800 metri di profondità per indagare la caldera
sotto Pozzuoli, lì a mare, per carpire informazioni di taglio scientifico ma
anche di potenzialità geotermiche…. Una sua idea nel merito Dottor De Siena?
Il
Deep Drilling é un sistema d’indagine diretto, direi un grande successo
islandese, che sta portando solo adesso, e dopo un’esperienza durata 10 anni, i
suoi frutti migliori in termini di sviluppo tecnologico e ricerca avanzata. Le
mie attività lavorative prevedono consulenze per ditte che hanno nei loro
obiettivi la ricerca di idrocarburi e fonti geotermiche ad alto rendimento. A
tal fine si utilizzano tecnologie raffinatissime e tecniche di rilevamento da
decine di milioni di euro. Nonostante le enormi risorse impiegate, piú di una
volta su cinque si perfora nel posto sbagliato. Gli stessi islandesi commisero
un clamoroso errore di perforazione, con la trivella che doveva spingersi fino
a 4 chilometri di profondità per carpire fluidi super critici, e invece a 2
chilometri incappò nel magma perdendo così la turbina da taglio.
Ovviamente,
portare il modello islandese a Napoli, nei Campi Flegrei, é stato
difficilissimo. Le polemiche sono state inevitabili e collegate ad alcuni concetti
così riassumibili: sapete davvero dove perforare? Siete sicuri non ci sia magma
nei primi 2 km? Con che tecniche perforate? Le incertezze relative alla
prospezione sismica del sottosuolo flegreo, a causa delle sue caratteristiche
particolari che non restituiscono profili altamente attendibili utilizzando
sismicità artificiale di superficie, è un dato fondamentale che bisognava e
bisogna tenere in debito conto. E ancora: innalzare torri di trivellazioni e impiantare
un cantiere in un territorio metropolitano densamente abitato, comporta fattori
di rischio aggiuntivi rispetto al contesto islandese, e di ciò bisognava
tenerne conto. Inoltre, in Italia manca l’esperienza pregressa per un tale tipo
di sondaggio, che non è esente da inconvenienti di percorso. Accontentiamoci
intanto e allora delle notizie, dei dati che fin qui sono emersi dai carotaggi
del pozzo pilota di Bagnoli, con i suoi 500 metri di profondità.
Concludiamo
l’Intervista ringraziando il Dott. Luca De Siena, ricercatore e docente
dell’Università Aberdeen di Scozia, per gli importanti chiarimenti che ci ha
fornito sugli aspetti del sottosuolo flegreo. Contiamo quanto prima di
conoscere l’ulteriore lavoro che si appresta a pubblicare.
Nei
primi chilometri del sottosuolo flegreo avvengono quindi interscambi non meglio
quantificabili e qualificabili: o il magma con qualche intrusione è entrato
nelle acque del sottosuolo flegreo, o viceversa le acque di questa plaga
circolando hanno trovato il magma. L’elemento conclusivo è che in entrambi i
casi abbiamo a che fare con processi che si attagliano a un territorio ad alto
rischio vulcanico. Ci si può solo interrogare
se permanere in questo settore a rischio, o viceversa andarsene per non dover
affrontare chissà quando un’emergenza vulcanica.
L’unico strumento che si offre come
mediazione tra il permanere e l’andarsene, è un valido piano di evacuazione da
mettere in atto all’occorrenza e ben prima dell’eruzione. Come accennava il Dott. De Siena, in Italia i terremoti sono anche mediaticamente l’evento
con cui ci si confronta maggiormente. Il terremoto è repentino e comporta due
necessità: sotterrare i morti e ricostruire nel segno dell’antisismico. E poi,
mentre per la prevenzione del rischio sismico possiamo agire anche in forma
singola e diretta, magari decidendo di riqualificare staticamente la struttura
dove abitiamo, l’eruzione vulcanica non prevede formule di protezione
unifamiliare, se non quella preventiva di cambiare luogo di residenza.
Diversamente allora, l’azione delle popolazioni flegree e vesuviane, deve
essere necessariamente collettiva, incidendo sulle priorità della politica e
pretendendo la predisposizione di ogni misura utile per mitigare il rischio vulcanico,
esaltando il ruolo del piano di emergenza e di evacuazione quale annesso
essenziale, con tutte le strutture che ne faciliterebbero l’applicazione. In
area vulcanica lo sviluppo possibile e sostenibile deve misurarsi alle esigenze
evacuative e non viceversa…
Un particolare ringraziamento al Dott. Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore e docente presso l'Università Aberdeen di Scozia, per l'interessante intervista che ci ha concesso.
Un particolare ringraziamento al Dott. Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore e docente presso l'Università Aberdeen di Scozia, per l'interessante intervista che ci ha concesso.
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