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venerdì 15 giugno 2018

Rischio vulcanico ai Campi Flegrei: la caldera dei dubbi... di MalKo

Il Macellum - Pozzuoli (Campi Flegrei)

I Campi Flegrei e il Vesuvio rappresentano nel panorama nazionale e probabilmente internazionale, il problema di protezione civile più grande in assoluto. Nel primo caso il motivo è da ricercarsi nella posizione geografica della caldera flegrea, che nel corso dei secoli si è ritrovata ad essere nell’attualità una depressione fertile e in alcuni punti mofetica, appartenente ai territori occidentali dell’area metropolitana di Napoli, con i popolosi quartieri di Bagnoli, Fuorigrotta, Soccavo, Posillipo e Pianura. Lo stesso dicasi per altri comuni contigui come Pozzuoli, Bacoli e Quarto, tutti rientranti nella zona rossa flegrea, che classifica i territori ad alta pericolosità vulcanica.  

La zona rossa dei Campi Flegrei (550.000 abitanti).
Il bradisismo è uno dei fenomeni che segna quest’area, lasciando intuire tutta la vivacità del sottosuolo puteolano, tra l’altro con movimenti zonali di rigonfiamento dei suoli e viceversa. Un fenomeno che sembra accompagnarsi a una genesi riconducibile in ogni caso al calore terrestre.
Alcune teorie ci portano ad inquadrare il bradisismo come fenomeno meccanico dovuto al magma che si è intrufolato nel sottosuolo, fino a 3 – 4 chilometri dalla superficie, o anche al riscaldamento di acque di falda e juvenili pregne di gas magmatici. Un aumento di temperatura dovuto forse a questa intrusiva fonte di calore, che genera vapore surriscaldato capace di imprimere pressioni di prim’ordine agli strati che sono in alto. D’altra parte, entrambe le ipotesi sono conciliabili tra loro, e l’una non esclude l’altra: anzi, l’una esalta l’altra.
Pure le quantità industriali di anidride carbonica che si liberano nell’atmosfera a ridosso della Solfatara di Pozzuoli, sembrano ricondurci a una componente magmatica non meglio localizzata ad alcuni chilometri nel sottosuolo, oppure a una importante fratturazione degli strati rocciosi che facilitano gli interscambi acquiferi e gassosi pure dalle sorgenti magmatiche più profonde.

La figura sottostante ci aiuta a comprendere le due teorie associate al fenomeno del bradisismo. Nel primo caso il magma s’insinua dicevamo in ascesa negli strati rocciosi e tufacei che incontra, deformandoli e riscaldando l’acqua di cui sono pregni apportandone altra juvenile che circola per pressione, temperatura e densità e dislivelli. Nel secondo caso, grazie alla fratturazione degli strati litoidei, le acque circolano nelle profondità flegree surriscaldandosi a una fonte calorica magmatica piuttosto statica. In entrambi i casi quindi, la componente termica magmatica è garantita, a prescindere se sia più o meno superficiale. 

Le teorie comprendono la probabilità che il bradisismo sia dovuto al magma che s'insinua, frattura e rilascia fluidi acquosi e gassosi. La seconda ipotesi prevede una circolazione delle acque all’interno di un quadro fessurativo molto esteso nel sottosuolo, che favorisce l’interscambio di calore, vapore e gas.  
Un’altra teoria interessante che riguarda questo distretto, è quella che ci riporta a uno strato laminare di roccia elastica ubicato a un paio di chilometri nel sottosuolo: una sorta di scudo che parrebbe aver contenuto fino a questo momento le ingenti spinte che derivano da un magma o dai fluidi che spingono dal di sotto, e che vengono indirizzati marginalmente all’ostacolo. Potrebbe essere magma espanso orizzontalmente? Questa lamina elastica si deformerebbe per effetto delle spinte, inducendo il sollevamento dei suoli; d’altra parte questo plafond è anche responsabile di una difficile prospezione del sottosuolo attraverso il metodo sismico indotto da cariche in superficie.
Che ci sia una situazione enigmatica per quanto apprensiva su quello che “bolle” nel sottosuolo flegreo è di tutta evidenza. Tra l’altro, mentre le autorità fino a poco tempo fa ostentavano sicurezza e buon controllo della situazione anche da un punto di vista della previsione eruttiva, oggi lo sono molto meno e si legge a chiari lettere nei comunicati, che i quattro livelli di allerta vulcanica non hanno regole aritmetiche nel loro incedere al rialzo, e si può quindi passare da una fase di attenzione a quella di allarme in tempi veramente minimi. Così come gli organi governativi dipartimentali hanno specificato che il livello di allerta base (verde), non corrisponde a un rischio eruttivo zero.
Il Dr. Luca De Siena

Il Dottor Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore ed esperto di prospezioni sismiche, ha prodotto un importante studio pubblicato su Scientific Report ad oggetto proprio il sottosuolo dei Campi Flegrei, dando spazio all’analisi dei sismogrammi che si ottennero e a cura degli americani, negli anni peggiori del bradisismo (’83 – ’84), caratterizzati da migliaia di eventi sismici e sollevamento accentuato. 

Dottor De Siena, come mai gli americani sulla scena del bradisismo flegreo degli anni ’80?

Gli americani avevano a disposizione la migliore tecnologia per il rilevamento di onde sismiche. Ricordiamoci che la scienza del monitoraggio in molti paesi, compresa l’Italia, nei primi anni ’80 era in una fase nascente. L’iniziativa di creare un progetto di monitoraggio sismico avanzato di complemento e completamento delle stazioni già esistenti, aveva una forte motivazione anche sulla base dell’attività Flegrea degli anni 1982-1984. Il prof. Roberto Scarpa (Università di Salerno), fu uno dei promotori e organizzatori Italiani della rete. Richard Aster è stato invece il referente Americano.

Come ha fatto a procurarsi i sismogrammi relativi alla crisi bradisismica dell’84?

I rilevamenti furono fatti nel primo semestre del 1984. I sismogrammi sono a disposizione di tutti i ricercatori che intendano usarli. Sebbene non depositati in un database, durante il mio dottorato è stato facile reperirli in quanto erano nelle disponibilità dell’Osservatorio Vesuviano. Questi dati americani sono stati cruciali, ancorchè preservati in originale, e fino ad oggi tutte le mappe sismologiche dell’unrest dell’epoca (tomografie), sono state elaborate sulla scorta di queste informazioni.

Ovviamente i sismogrammi inquadrano la situazione di 40 anni fa. Le condizioni rimangono inalterate rispetto agli eventi bradisismici degli anni ’80?

Le condizioni sono certamente diverse rispetto agli eventi bradisismici dei primi anni ’80, almeno da un punto di vista sismologico. Invece di migliaia di scosse con picchi di centinaia in un giorno, e profondi fino a 4.5 km, la sismicità di oggi è superficiale ed a bassa intensità, ed impatta prevalentemente nella zona centrale della caldera (Pozzuoli, Solfatara, Pisciarelli).

La sacca magmatica, ci sembra di capire, potrebbe anche essere un insieme di magma e fluidi e gas: a che profondità è stata localizzata e con quale estensione?

Questo è un argomento dibattutissimo, in quanto anche le migliori tecnologie odierne non sono in grado di darci sicurezza su profondità e presenza di magma. Alcuni studi sostengono che il sollevamento Flegreo non sia dovuto a magma, piuttosto a gas prodotti dalle rocce profonde del sottosuolo. Altri sostengono che il magma sia arrivato al disotto dei 4 km, ed abbia rilasciato fluidi caldi che hanno permeato il sistema superficiale. Altri ancora sostengono la presenza di magma a ~2.5 km di profondità. Inoltre, alcuni studi proverebbero che, sebbene il magma fosse presente nella crisi 1982 - 1984, non sarebbe invece riscontrato nell’ attuale fase bradisismica.
I miei studi hanno sempre evidenziato una presenza magmatica, già supposta in precedenza da altri autori, per il 1984. Quello che in questi lavori sembra emergere con chiarezza, è che qualcosa (una intrusione o iniezione di fluidi) sotto Pozzuoli ha fratturato il sistema vulcanico nei primi 3 km. Questa zona si è aperta nell’84 ed ha progressivamente cambiato (per esempio scaldato) il sistema idrotermale superficiale. Un nostro studio appena pubblicato, dimostra che questa zona è ancora “aperta”, ma per lo più è asismica. Da questa sorta di “bocca”, che potrebbe essere un bacino di fluidi con o senza magma, si assiste alla migrazione dei predetti fluidi e gas verso est, per lo più nella zona di Pisciarelli (Solfatara).

Si riesce a definire il camino di risalita del magma in superficie?

In questo momento non ci sono prove che il magma stia risalendo in superficie. Penso ci sia un accordo vasto sul fatto che in superficie, almeno per ora, arrivino fluidi e gas. Ovviamente la situazione potrebbe cambiare, ma l’attenzione delle autorità nazionali ed internazionali sul problema mi sembra molto cresciuta, magari permettendo una risposta preventiva migliore, qualora eventuali segnali dovessero indicare l’arrivo di magma potenzialmente eruttivo.

Nell’attualità, in che zona flegrea si stanno concentrando i preoccupanti segnali geofisici e geochimici che denotano una condizione di unrest, di irrequietezza vulcanica?

Non sono aggiornato sugli ultimi sviluppi della geochimica ma penso che il sistema Pisciarelli-Solfatara, da questo punto di vista rimanga il più interessante.

Possibili eruzioni freatiche rappresentano il pericolo statisticamente maggiore?

Sebbene non abbia abbastanza dati e sia più che altro un esperto di imaging sismico, una eruzione magmatica ad oggi mi sorprenderebbe molto.  D’altronde storicamente gli episodi di esplosioni freatiche nell’area sono noti per essere di piccola entità e comunque di scarsa frequenza. In ogni caso non possono essere escluse.

Questa sorta di lama o di scudo composto da materiale compatto ma elastico ubicato a meno di 2000 metri sottoterra, cosa comporta nelle dinamiche del sottosuolo flegreo?

Nuovi studi di rock-physics ci dicono che questo scudo (caprock) potrebbe spiegare le importanti deformazioni (1.8 metri) senza eruzione registrate all’inizio degli anni ‘70 e nel 1983-84. È uno scudo duttile, che si deforma ma è difficile da spezzare. Questa interfaccia sismica a quelle profondità lavora anche al contrario, rivelandosi un problema per ottenere immagini adeguate dei Flegrei, in quanto per esempio riflette gran parte dell’energia sismica generata da sorgenti artificiali utilizzate per le prospezioni in profondità.  Sicuramente l’interfaccia è visibile negli studi tomografici.

Nell’analisi dei sismogrammi è stata accertata una camera magmatica a circa 8 chilometri dalla superficie?

Un lavoro fondamentale del RISSC lab, Dipartimento di Fisica, Federico II (Zollo et al. 2008) identifica una interfaccia sismica a quelle profondità con la sismica a riflessione. Il risultato si correla perfettamente con altri studi di modellistica, geochimica e petrologia. Questo è un risultato ottenuto da dati dell’esperimento SERAPIS realizzato a mare (2001). Fare di più a quelle profondità è molto difficile.

In termini di sicurezza, ci sono differenze per i residenti rispetto alla loro posizione all’interno della caldera?

Direi di sì. Gli studi più importati sia di modellistica sia di statistica multivariata indicano nella zona tra Bagnoli e la Solfatara quella con la massima probabilità di apertura bocche. Detto questo, il sottosuolo è complesso; se ad esempio fluidi e/o magma trovassero fratture adeguate, potrebbero spostarsi lateralmente. Questo è successo nel secondo semestre del 1984, con sismicità spostatasi verso Monte Nuovo ed a mare.

Cosa proporrebbe per migliorare la conoscenza del sottosuolo e quindi una migliore valutazione sugli indici di pericolosità vulcanica, tanto dei Campi Flegrei quanto per il Vesuvio e Ischia?

Certamente più fondi alla ricerca ed alle istituzioni che si occupano di monitoraggio. Mentre in Italia l’allerta terremoti è alta a causa degli eventi anche recenti con il loro carico funesto e distruttivo, sono passati 70 anni dall’ultimo fumo uscito dalla bocca del Vesuvio. Non abbiamo neanche sperimentato un’eruzione dei Campi Flegrei; paradossalmente ci si occupa di quello che la cronaca ci rimanda visivamente, e nel caso dei vulcani napoletani, ovviamente, la quiete colpisce meno e non cattura attenzioni particolari. Investire nella ricerca e nel monitoraggio ci consentirebbe di cogliere molte informazioni, anche da un piccolo evento freatico, su quelli che sono i processi profondi a tutto vantaggio della sicurezza areale.

Il Deep Drilling Project Campi Flegrei (Bagnoli), è un progetto perforativo molto discusso che non si sa se avrà una continuazione. La trivella avrebbe dovuto raggiungere i 3800 metri di profondità per indagare la caldera sotto Pozzuoli, lì a mare, per carpire informazioni di taglio scientifico ma anche di potenzialità geotermiche…. Una sua idea nel merito Dottor De Siena?

Il Deep Drilling é un sistema d’indagine diretto, direi un grande successo islandese, che sta portando solo adesso, e dopo un’esperienza durata 10 anni, i suoi frutti migliori in termini di sviluppo tecnologico e ricerca avanzata. Le mie attività lavorative prevedono consulenze per ditte che hanno nei loro obiettivi la ricerca di idrocarburi e fonti geotermiche ad alto rendimento. A tal fine si utilizzano tecnologie raffinatissime e tecniche di rilevamento da decine di milioni di euro. Nonostante le enormi risorse impiegate, piú di una volta su cinque si perfora nel posto sbagliato. Gli stessi islandesi commisero un clamoroso errore di perforazione, con la trivella che doveva spingersi fino a 4 chilometri di profondità per carpire fluidi super critici, e invece a 2 chilometri incappò nel magma perdendo così la turbina da taglio.

Ovviamente, portare il modello islandese a Napoli, nei Campi Flegrei, é stato difficilissimo. Le polemiche sono state inevitabili e collegate ad alcuni concetti così riassumibili: sapete davvero dove perforare? Siete sicuri non ci sia magma nei primi 2 km? Con che tecniche perforate? Le incertezze relative alla prospezione sismica del sottosuolo flegreo, a causa delle sue caratteristiche particolari che non restituiscono profili altamente attendibili utilizzando sismicità artificiale di superficie, è un dato fondamentale che bisognava e bisogna tenere in debito conto. E ancora: innalzare torri di trivellazioni e impiantare un cantiere in un territorio metropolitano densamente abitato, comporta fattori di rischio aggiuntivi rispetto al contesto islandese, e di ciò bisognava tenerne conto. Inoltre, in Italia manca l’esperienza pregressa per un tale tipo di sondaggio, che non è esente da inconvenienti di percorso. Accontentiamoci intanto e allora delle notizie, dei dati che fin qui sono emersi dai carotaggi del pozzo pilota di Bagnoli, con i suoi 500 metri di profondità.

Concludiamo l’Intervista ringraziando il Dott. Luca De Siena, ricercatore e docente dell’Università Aberdeen di Scozia, per gli importanti chiarimenti che ci ha fornito sugli aspetti del sottosuolo flegreo. Contiamo quanto prima di conoscere l’ulteriore lavoro che si appresta a pubblicare.


Nei primi chilometri del sottosuolo flegreo avvengono quindi interscambi non meglio quantificabili e qualificabili: o il magma con qualche intrusione è entrato nelle acque del sottosuolo flegreo, o viceversa le acque di questa plaga circolando hanno trovato il magma. L’elemento conclusivo è che in entrambi i casi abbiamo a che fare con processi che si attagliano a un territorio ad alto rischio vulcanico.  Ci si può solo interrogare se permanere in questo settore a rischio, o viceversa andarsene per non dover affrontare chissà quando un’emergenza vulcanica.  

L’unico strumento che si offre come mediazione tra il permanere e l’andarsene, è un valido piano di evacuazione da mettere in atto all’occorrenza e ben prima dell’eruzione. Come accennava il Dott. De Siena, in Italia i terremoti sono anche mediaticamente l’evento con cui ci si confronta maggiormente. Il terremoto è repentino e comporta due necessità: sotterrare i morti e ricostruire nel segno dell’antisismico. E poi, mentre per la prevenzione del rischio sismico possiamo agire anche in forma singola e diretta, magari decidendo di riqualificare staticamente la struttura dove abitiamo, l’eruzione vulcanica non prevede formule di protezione unifamiliare, se non quella preventiva di cambiare luogo di residenza. Diversamente allora, l’azione delle popolazioni flegree e vesuviane, deve essere necessariamente collettiva, incidendo sulle priorità della politica e pretendendo la predisposizione di ogni misura utile per mitigare il rischio vulcanico, esaltando il ruolo del piano di emergenza e di evacuazione quale annesso essenziale, con tutte le strutture che ne faciliterebbero l’applicazione. In area vulcanica lo sviluppo possibile e sostenibile deve misurarsi alle esigenze evacuative e non viceversa… 

Un particolare ringraziamento al Dott. Luca De Siena, Sismologo e Vulcanologo, ricercatore e docente presso l'Università Aberdeen di Scozia, per l'interessante intervista che ci ha concesso.




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