Rione terra - Pozzuoli (Campi Flegrei) |
I
Campi Flegrei rappresentano un rebus geologico molto preoccupante per la plaga
napoletana, al punto da destare l’interesse scientifico della comunità
nazionale e internazionale, con quest’ultima che non riesce a comprendere come
possa essersi concretizzata una cotale commistione tra uomo e super vulcano:
nel catino calderico infatti, sono immerse circa 550.000 persone… Intanto i
segnali geofisici e geochimici che provengono dall’insondabile sottosuolo, non
danno spazio alle certezze previsionali ma ai supposti, che difficilmente
possono offrire garanzie di totale salvaguardia.
L’allarme
nel flegreo in realtà ha avuto inizio negli anni 70’ col bradisismo, fenomeno
di abbassamento e sollevamento del terreno, accompagnato da sismicità
persistente, che ovviamente incise sulla statica dei palazzi e specialmente di
quelli più vecchi. Gli elementi di
preoccupazione quindi, si focalizzarono sulla stabilità degli edifici e sulle
scosse sismiche, piuttosto che sul potenziale rischio eruttivo che pure
c’era.
Il
2 marzo 1970 ci fu l’evacuazione della popolazione dal Rione Terra di Pozzuoli,
che venne poi allocata in quello che oggi è il Rione Toiano, cioè appena a
ridosso del Lago D’Averno.
Monterusciello con i suoi 16.000 vani è un’ulteriore quartiere nato
anch’esso dalle problematiche bradisismiche questa volta degli anni ’80, con
punte di totale allarmismo raggiunte il primo aprile del 1984. Ciò comportò
ancora una volta lo spopolamento del centro storico puteolano; Toiano e
Monteruscello quindi, sono due insediamenti residenziali nati dai problemi
bradisismici e sismici che comportarono una ricollocazione di un gran numero di
cittadini da una zona molto sismica a una zona molto vulcanica…
Rione Toiano - Pozzuoli |
Tra
le polemiche striscianti post emergenza, ci fu pure chi profferì che il
bradisismo aveva fatto da spalla a una colossale speculazione edilizia, in un
contesto di disorientamento della classe scientifica colta di sorpresa e senza
strumentazioni di monitoraggio installate nell’area. Il sismografo più vicino
al super vulcano flegreo infatti, pare che fosse quello installato all’interno
della facoltà di geologia a largo San Marcellino nel centro storico di Napoli…
Quartiere Monterusciello - Pozzuoli (Campi Flegrei) |
La
défaillance scientifica e strumentale in quei frangenti di totale azzardo, ebbe
pure una parentesi polemica per l’arrivo del vulcanologo Haroun Tazieff,
decisamente snobbato, mentre uno scienziato giapponese fu invitato per una
consulenza, non si sa quanto utile, perché in assenza di dati e di una
pregressa storia di monitoraggio della caldera, si dissertava su di un illustre
quanto sconosciuto sottosuolo. John Guest, vulcanologo inglese invece, pare sia
stato lo scienziato che più di ogni altro temeva un evento eruttivo: un
allarmista sfegatato, secondo le cronache di quei momenti.
La
scelta di reinsediare i 30.000 sfollati dal centro storico e dal rione Terra
(Pozzuoli), nella zona periferica di Monte Rusciello, fu frutto della logica
che sul piccolo rilievo (110 mt.) il rischio sismico era minore rispetto alla
zona portuale puteolana Questa scelta
ovviamente lascia pochi dubbi sul fatto che l’eruzione vulcanica non era
contemplata tra le ipotesi di maggiore pericolosità; oppure che una tale
evenienza veniva circoscritta ad un evento molto misurato, alla stregua
dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538. Questo fu l’evento più piccolo in
assoluto avutosi nel flegreo, sopraggiunto dopo circa 3000 anni di pace
vulcanica, ancorchè introdotto da un rigonfiamento dei suoli.
In
altre parole e sempre generalizzando, i Campi Flegrei politicamente,
tecnicamente e scientificamente, furono “scoperti” come distretto vulcanico
appena negli anni ’70 – ‘80. In pochi decenni si è passati dalla sottostima
iniziale del pericolo eruttivo, alla consapevolezza che i Campi Flegrei col
“fratello” Vesuvio, sono il problema più grande di protezione civile che
abbiamo in Italia e in Europa.
Col
tempo abbiamo appreso pure che tra i Campi Flegrei e il Vesuvio c’è un’unica
grande camera magmatica, su cui galleggia la città di Napoli con buona parte
della sua estensione metropolitana. Il
trasporto ferroviario, la metro, tra l’altro passa nelle gallerie realizzate
interamente nel corpo tufaceo che borda la caldera flegrea, e poi sul basalto
vulcanico del Vesuvio: un collegamento tout court tra la zona rossa flegrea e
la zona rossa Vesuvio con poche analogie nel mondo.
La
caldera dei Campi Flegrei oggi è in una condizione di attenzione vulcanica, e
in caso di allarme le popolazioni non sarebbero ridistribuite all’interno dello
stesso territorio comunale, tanto di Pozzuoli che di Quarto o Bagnoli o
Fuorigrotta, bensì in altre regioni italiane. Del resto pure l’Osservatorio
Vesuviano cerca una sede fuori dalla zona rossa flegrea, perché in caso di
allarme il personale tecnico e scientifico sarebbe costretto ad abbandonare la
struttura, in un momento particolarmente importante per l’interpretazione dei
dati di monitoraggio del vulcano.
Oggi
abbiamo una tabella che enuncia i 4 livelli di allerta vulcanica, che
introducono a loro volta un corrispettivo operativo. Se questa tabella fosse
stata vigente negli anni ’80 c’è da chiedersi quale livello di allerta sarebbe
stato dichiarato, e quale fase operativa sarebbe stata promossa. Il primo aprile 1984, con picchi nel
sollevamento e sciami sismici incalzanti, con le logiche dell’attualità sarebbe
stato impossibile non dichiarare almeno lo stato di pre allarme vulcanico. In
realtà lo si fece con un manifesto sindacale che consigliava alla popolazione
di lasciare il centro storico, quello coi fabbricati meno resistenti al
martellio sismico. In molti accettarono l’invito…
Oggi
siamo in attesa di una legge dello Stato che oltre a classificare l’area
flegrea ad alta pericolosità vulcanica, favorisca un disposto regionale che
vieti qualsiasi costruzione finalizzata ad incrementare il numero di abitanti
nella caldera, alla stregua di quanto è stato già fatto sui pendii del Vesuvio.
Trentaquattro anni fa, tecnici scienziati e politici furono catapultati in un
incubo: qualche errore fu commesso e non risaltarono meriti particolari nella
gestione dell’emergenza. La doppia esperienza del bradisismo puteolano non è
servita a catturare fino in fondo l’attenzione delle istituzioni politiche che
passano… Manca ancora un sistema di evacuazione, una informazione veritiera e
non soporifera, così come si sente l’assenza di pratiche integrate di
prevenzione delle catastrofi.
L’assenza
di una classificazione ad alta pericolosità vulcanica così come la mancanza di
una legge che ponesse fine all’insediamento residenziale nella caldera flegrea,
ha fatto sì che dal 1971 al 2011 la popolazione di Pozzuoli aumentasse di circa
23.000 abitanti, grazie anche ai nuovi insediamenti prima accennati.
Intanto
l’incubo bradi/eruttivo è ritornato. Le temperature aumentano e i suoli seppur
minimamente montano, e dal vulcano Solfatara sbuffa via anidride carbonica in
quantità industriale. L’autorità scientifica macina monografie e intanto teme
che possa arrivare il momento assolutamente cruciale di dover esprimere un
parere sulla pericolosità vulcanica in un contesto operativo caratterizzato da
piani di evacuazione in itinere. Con questa crisi attuale modicamente
bradisismica e vulcanica da quantificare, non ci possiamo permettere titubanze,
disorganizzazioni, conflitti di competenza e soprattutto non possiamo neanche
accettare l’allineamento acritico delle istituzioni.
Concludiamo
con una piccola nota che pretende riflessioni: 240 cattedratici in
rappresentanza di otto Facoltà universitarie napoletane, guidati dal rettore di
architettura, negli anni ’80 presero in mano e studiarono la faccenda del
reinsediamento degli sfollati, poi risolto con la realizzazione degli alloggi a
Monterusciello (Pozzuoli), in piena zona rossa vulcanica flegrea. A leggere le
cronache di allora, la cosa più sensata la dissero quelli del WWF (World Wide
Fund for Nature), contrari al progetto Monte Rusciello perché troppo vicino ai
pericoli del bradisismo. L’emerita associazione insisteva per la realizzazione
degli alloggi a Villa Literno. Occorre dire che tecnicamente sarebbe stata una
scelta di prevenzione ineccepibile, perché lontana dai flussi piroclastici,
dalla pioggia di cenere e lapilli, in un contesto territoriale già servito da
una metropolitana di superficie…
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