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martedì 17 giugno 2025

Rischio Vesuvio: da qui a 119 anni... di Malko

 

Napoli e il Vesuvio

Per mettere a punto un piano di emergenza a fronte del rischio eruttivo dettato dal famosissimo Vesuvio, è necessario un’attenta analisi che riguardi innanzitutto la determinazione energetica del pericolo insito nelle viscere della montagna, indagando necessariamente nel passato secolare e millenario del vulcano, senza lesinare ogni sforzo scientifico mirato a comprendere le dinamiche magmatiche operanti nel sottosuolo.

La tipologia eruttiva che ha caratterizzato la storia geologica dell’area vesuviana, annovera stili eruttivi molto differenti tra loro, con eruzioni talvolta da richiamo turistico, mentre altre volte potenti al punto da sconvolgere l’intera plaga vesuviana: ne sono un esempio l’eruzione pliniana del 79 d.C. che distrusse Pompei ed Ercolano e quella sub pliniana del 1631. L’ultima dirompenza invece, è avvenuta nel 1944 a distanza di 38 anni da quella più dannosa del 1906, e fu prevalentemente effusiva con lava e caduta di cenere e lapilli. Ad oggi, sono quindi 81 anni che il Vesuvio è in uno stato di quiescenza…

Il gruppo di lavoro incaricato anni fa di stabilire quale tipologia eruttiva potrebbe caratterizzare la futura eruzione del Vesuvio, sintetizzò nelle conclusioni due percorsi che riconducono a una tabella A e a una tabella B. La differenza tra le due alternative è racchiusa in due intervalli di tempo diversi nel tetto ma non alla base, in quanto partono entrambe dai 60 anni di quiescenza dall’ultima eruzione. Ovviamente lo studio è di taglio statistico  probabilistico senza alcun risvolto deterministico.

Il prospetto A, come si vede nello schema sottostante, chiama in causa per lo stile eruttivo un intervallo di tempo a partire dai famosi 60 anni di quiete geologica ma senza un limite temporale superiore. Nella tabella B invece, la statistica riguarda un arco di tempo preciso che va sempre dai 60 anni di quiescenza ma fino ai 200 anni. In altre parole il percorso B indica le percentuali statistiche che caratterizzeranno nei prossimi 119 anni la possibilità che si manifesti un certo tipo di eruzione. 

Vesuvio: probabilità circa lo stile eruttivo della futura eruzione.

Il dipartimento della protezione civile, visto le conclusioni del gruppo di lavoro e, sentito la commissione grandi rischi,  decise di adottare il percorso B e con esso tutto ciò che ne consegue col successivo apporto della regione Campania per rifinire i contorni della zona rossa secondo logiche che dovevano essere probabilmente più garantiste. Gruppo e commissione avevano operato la scelta dell’eruzione di scenario optando per una VEI4,  obliando l’eruzione pliniana (VEI5) dal novero delle possibilità eruttive: non lo diciamo noi, ma lo dice il piano d’emergenza nazionale che perimetra di fatto l’estensione della zona rossa partendo dall'assunto eruttivo sub pliniano prestabilito dalle autorità.

Con questi numeri, in entrambi i casi, A o B, un evento di tipo stromboliano (VEI3) risulta essere l’eruzione più probabile, anche se, come sottolinea lo stesso lavoro degli esperti, le eruzioni stromboliane violente caratterizzano di solito un vulcano a condotto aperto. Questo dovrebbe indurre a ritenere che la prossima eruzione del Vesuvio possa presentarsi con una tipologia eruttiva di tipo esplosivo. Gli esperti concordarono che l’adozione di uno scenario di piano tarato su un evento massimo sub pliniano VEI4, avrebbe assicurato tutela ovviamente pure a fronte di un evento eruttivo VEI3, e sarebbe stato quindi statisticamente garantista per la popolazione vesuviana, coprendo il 99% delle dinamiche eruttive prospettate dagli indici probabilistici riportati nel percorso B.

Se il dipartimento della protezione civile avesse invece adottato la tabella A, i piani d’emergenza per forza di cose avrebbero dovuto contemplare l’eruzione pliniana (VEI5) come evento massimo di scenario, visto i valori probabilistici in questo caso non proprio minimi (11%). La grande novità di quest’ultima scelta, sarebbe stata l’inclusione di buona parte della città di Napoli nella zona rossa vulcanica: una possibilità che nessuno voleva e vuole, anche se la problematica non è risolvibile col diniego generale. 

La buona politica del governo del territorio, con implicazioni politiche locali, regionali e nazionali, avrebbe dovuto riflettere attentamente sul tempo offerto dal percorso B che, pur preso per oro colato, se da un lato ha ridimensionato in evento medio l'eruzione di riferimento massima attesa al Vesuvio per il prossimo secolo, ha stabilito in ogni caso un arco di tempo, un giro di boa oltre il quale occorrerà annoverare pure la possibilità che si materializzi un evento pliniano.

Un principio che dovrebbe essere faro del fare, e che dovrebbe guidare con molta convinzione gli strateghi della prevenzione, è quello che stabilisce il concetto che i piani di emergenza e di evacuazione non devono adeguarsi al territorio che evolve, soprattutto se in forma scoordinata, ma è il territorio che deve evolversi adeguandosi alle necessità di sicurezza, attraverso rinunce e ingegno, innanzitutto perchè il pericolo eruttivo non è delocalizzabile. Purtroppo assistiamo a politiche urbanistiche miopi, che badano più a quello che si costruisce che al dove lo si costruisce... Tra l'altro parliamo di un pericolo, quello vulcanico, non garantito deterministicamente dalle pratiche previsionali, né sul quando si presenterà, e neanche sul quanto sarà energetico il futuro evento, se non con azzardo statistico. 

Un armonico e coordinato sviluppo antropico, pratica assolutamente necessaria nell’area napoletana, dovrebbe essere regolamentato intorno al Vesuvio, seguendo le scie lasciate dai depositi piroclastici di tutte le eruzioni e i punti del fin dove si sono spinte. La pianificazione urbanistica dovrebbe guardare al futuro, per evitare le condizioni di una conurbazione disordinata, asfissiante, e senza politica degli spazi, tanto necessaria per fronteggiare un pericolo raro ma incontenibile. Purtroppo parlare di quello che succederà tra un secolo, una distanza temporale che non vedrà attori e decisori che operano nell'attualità, è quasi impossibile per chi non ha l'abito mentale di pensare pure al futuro e alla vivibilità provinciale che si tramanda. 

Le politiche di prevenzione della catastrofe vulcanica, avrebbero dovuto trarre spunto dalle parole del ministro Musumeci, che ha affermato a proposito dei Campi Flegrei, che sono decenni che non si è fatto niente per garantire sicurezza a questi territori. Una affermazione che dovrebbe essere all’origine di profonde riflessioni in capo all'inerzia di non pochi protagonisti istituzionali e amministrativi, che vivono dell’oggi e senza estendere i loro orizzonti garantisti a favore dei posteri, che saranno sempre più fragili per condizioni antropiche e per estrema dipendenza tecnologica. 

Si fa notare che l’inedificabilità sancita per la zona rossa VEI 4 (R1), di fatto ha incentivato la fame di case nel perimetro immediatamente contiguo alla zona ad alta pericolosità vulcanica, cioè quella attuale che chiamiamo VEI4. Per quanto esposto e in ossequio alle politiche di prevenzione, nel 2019 suggerimmo di delimitare anche una zona rossa pliniana (VEI5) intorno alla attuale zona rossa VEI4, dove non è necessario vietare in toto la realizzazione di manufatti ad uso residenziale come è stato fatto solo per la zona rossa 1 (R1), ma almeno di classificare tale corona circolare come zona regolamentata, in modo che sia possibile preventivamente procedere con la pianificazione delle misure di difesa passiva e attiva che richiedono impegno di urbanisti e ingegneri dell'ambiente e del territorio.

Disegno non in scala.


Per entrare nelle logiche discorsive a proposito della zona regolamentata, occorre un preambolo: le matrici di rischio che governano la coesistenza con un pericolo naturale come le eruzioni vulcaniche, prevedono nell’odierno e in genere tre possibilità:

  • 1.    Mancato allarme eruttivo;
  • 2.    Allarme eruttivo diramato in tempi utili;
  • 3.    Falso allarme eruttivo.

A voler forzare le statistiche da un punto di vista discorsivo, c’è il 33,33% di possibilità che si verifichi un mancato allarme eruttivo con conseguente disastro vulcanico. Nel 66,66% dei casi invece, la popolazione vesuviana sarebbe salva o perché non si verifica l’evento annunciato, o perché è stato previsto in tempo utile. Il problema grosso però, e che adottando una eruzione di taglia media (VEI4) nei piani di emergenza e non quella massima conosciuta (VEI5), si determinerebbe, per quanto misurata, un’ulteriore matrice di rischio dovuta alla possibilità che si possa presentare, magari pure prevista e annunciata dall’ente di sorveglianza, un evento eruttivo di taglia superiore a quello adottato dagli attuali piani di emergenza. Non va sottaciuto infatti, che non è possibile stabilire in anticipo che tipo di eruzione il Vesuvio ha in serbo per il futuro prossimo o lontano o lontanissimo; tra l’altro bisogna tenere in debito conto che l’eruzione pliniana di Pompei del 79 d.C., attinse materiale rovente direttamente dalla camera magmatica miriametrica, senza bisogno di accumulare nei primi chilometri il materiale da eruttare…

L’ulteriore matrice di rischio comporterebbe:

      4.   Allarme eruttivo diramato in tempo utile con eruzione    energicamente   Superiore a VEI 4.    

In quest’ultimo caso e premesso che le popolazioni ricadenti nella zona gialla devono attendere istruzioni con eruzione in corso, si creerebbe la condizione che non pochi vesuviani ancorchè non menzionati e non coinvolti dal piano d’emergenza, sentendosi garantiti proprio dall’esclusione evacuativa, rimarrebbero immoti e verrebbero quindi travolti dalle dirompenze vulcaniche di un’eruzione pliniana o simil pliniana, perché l’indice di esplosività vulcanica (VEI), potrebbe essere superiore alla cifra tonda, ma non fino a quella successiva, come nel caso dell’eruzione del 472 d.C. che nella letteratura scientifica viene classificata dai ricercatori come una sub pliniana vigorosa, e da altri come una pliniana appena minore...

La zona rossa vulcanica attualmente vigente nella plaga vesuviana, è una zona determinata in parte scientificamente, in parte amministrativamente e in parte politicamente. Molti amministratori e tecnici, hanno grattato risorse interpretative dal barile dei limiti, in modo da ridurre all'osso le distanze di sicurezza, magari in un contesto di controllori nel migliore dei casi distratti. Utilizzando multi criteri allora, è stata circoscritta la nuova zona rossa Vesuvio, adottando una eruzione media come eruzione di scenario su cui pianificare, e ancora è stato assunto il principio discutibile che l'orlo calderico del Monte Somma è un baluardo protettivo a fronte dei flussi piroclastici prodotti da un evento con indice di esplosività vulcanica VEI4. Questa convinzione ha fatto sì che il confine della zona rossa a ridosso delle municipalità napoletane (San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli) e fino a Volla compresa, è talmente esiguo da contravvenire a qualsiasi principio di precauzione, visto l'assenza di distanze di rispetto dalla linea di deposito dei flussi piroclastici. 

Il comune di Napoli che ha salvaguardato le aree ancora edificabili dalla mannaia della legge anti cemento 21/2003, non ha inteso estendere questi limiti in via precauzionale all'interezza territoriale delle tre municipalità orientali, rendendo inalterato e all'occorrenza, il pericolo rappresentato dalla parte meno densa e aerea delle correnti piroclastiche.

Lucia Gurioli: Pyroclastic flow hazard assessment at Somma–Vesuvius
based on the geological record

Nel disegno soprastante estrapolato dal lavoro scientifico della ricercatrice Lucia Gurioli si vedono nel campo giallo limitato da una linea verde, i limiti d'invasione dei flussi piroclastici nel corso di due eruzioni pliniane. L'area gialla orientata a sud est riguarda l'evento eruttivo di Pompei del 79 d.C. Quella a nord ovest con testa rotondeggiante, è afferente alla terribile eruzione delle pomici di Avellino verificatasi 3800 anni fa. La linea nera invece, così come già accennato in precedenza,  delimita, col metodo delle indagini campali, il limite di massimo scorrimento dei flussi piroclastici in seno ad eruzioni VEI4. In altre parole, la linea nera Gurioli dovrebbe essere la linea scientifica dell’attuale zona rossa ma non di quella futura, quando e nella migliore delle ipotesi,  si resetteranno da qui a un secolo gli orologi statistici. 

D’altra parte ed è utile ricordarlo, nella stessa relazione scientifica del 2012, si annota che la decisione di assumere una eruzione VEI 4 come evento di riferimento sui cui pianificare le misure protettive per la popolazione, è frutto pure di valutazioni da rischio accettabile: una formula che dovrebbe competere alle autorità politiche piuttosto che a quelle scientifiche...

Vesuvio: zona rossa 1, rossa 2, gialla e blu.

    
                                                          di Vincenzo Savarese       






venerdì 16 giugno 2023

Rischio Vesuvio: la zona gialla... di Malko


 

Per parlare della zona gialla Vesuvio, occorre premettere che l’eruzione massima adottata per la stesura dei piani di emergenza è di media intensità (sub pliniana), e che i venti in quota soffiano prevalentemente verso est. Con questi presupposti, è stato preventivato la possibilità che oltre alle municipalità della zona rossa 1 (R1), i comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, che insieme formano la zona rossa 2 (R2), possano essere investiti da una massiccia pioggia di cenere e lapilli con accumuli sui tetti piani anche di notevoli spessori. Con questa prospettiva di carichi accidentali tutt’altro che irrisori, non si può escludere, soprattutto se la pioggia imbibisce il materiale accumulatosi appesantendolo, che si verifichi lo sprofondamento dei solai di copertura, soprattutto in danno dei fabbricati più datati, che potrebbero cedere rovinosamente su quelli sottostanti che a loro volta e per somma dei carichi, sprofonderebbero ulteriormente e fino al piano terra.

La zona rossa 2 (R2), pur avendo come pericolo la pioggia di cenere e lapilli e presumibilmente non le micidiali colate piroclastiche associate invece alla R1, ha una colorazione rossa e non gialla, perché è soggetta alla stregua della zona rossa 1, all’evacuazione preventiva e totale degli abitanti, qualora dovesse palesarsi la minaccia eruttiva. 

Zona rossa 1, zona rossa 2, zona gialla



Il fall out di materiale piroclastico sciolto che andrebbe a ricadere come dicevamo, molto probabilmente e per ampio angolo a est del Vesuvio, avrebbe una intensità fenomenologica rapportata alla distanza dal centro eruttivo, alla velocità del vento che assottiglierebbe la scia dispersiva, oltre naturalmente alla quantità di materiale piroclastico eruttato. Quindi, oltre al pericolo di crollo dei tetti, nella rossa 2, occorre tener presente che potrebbe verificarsi oscurità, perdita di orientamento, probabile spegnimento dei motori, difficoltà di transito su gomme e a piedi, e il possibile blocco delle porte che aggettano sul piano stradale. Inoltre, la cenere aspersa in atmosfera, creerebbe fastidio alla respirazione con irritazione alla gola e agli occhi soprattutto in danno di vecchi e bambini, per la componente vetrosa e acida contenuta nelle polveri vulcaniche: Plinio il vecchio morì per questo motivo sulle spiagge di Stabia nel 79 d.C.  In siffatte condizioni sarebbe proibitivo qualsiasi intervento aereo di soccorso a mezzo elicotteri, perché in un ambiente pervaso dalla cenere, i motori (turbine) cesserebbero di funzionare, così come il forte potere abrasivo del prodotto siliceo strierebbe pure il plexiglas o anche altre trasparenze della cabina di pilotaggio dei velivoli, portando la visibilità a una condizione critica per la sicurezza del volo. Anche gli autoveicoli potrebbero subire il blocco dei motori per intasamento dei filtri, e in tutti i casi la circolazione su alcune diecine di centimetri di cenere e lapilli sarebbe ugualmente problematica soprattutto per i veicoli a dure ruote e per le auto e mezzi pesanti, ancor di  più in una condizione di traffico caotico e di insofferenza all'attesa.



Nella zona gialla, quella oltre zone rosse con estensione asimmetrica, così come si evidenzia facilmente dalla cartina, non è prevista all’occorrenza e in prima battuta una evacuazione preventiva, ma è una opzione quest'ultima che gli esperti intendono attuare dopo aver valutato con eruzione in corso i settori maggiormente vulnerabili su cui precipita la maggior parte dei lapilli e della cenere scagliati in aria dal vulcano e veicolata dal vento.  Le valutazioni che dovrebbero essere velocissime, perchè veloce è la velocità di deposito dei piroclasti,  verrebbero assicurate dal dipartimento della protezione civile, che si avvarrebbe della consulenza della commissione grandi rischi, e di una direzione di comando e controllo operativo (DiComac) per l'attuazione delle direttive. 

Tecnicamente parlando però, l’opzione di valutare con eruzione in corso i settori della zona gialla da evacuare, dovrebbe presupporre come condizione indispensabile che le popolazioni ubicate in zona rossa siano già state evacuate. Diversamente, l’organizzazione emergenziale potrebbe imballarsi immediatamente, per le diverse condizioni di urgenza e di strategia che caratterizzano i territori rossi e gialli della plaga vesuviana. Anche nel flegreo sussiste la stessa condizione strategica basata sulla certezza della previsione di eruzione, che scientificamente invece, rimane perlopiù incerta...

La zona gialla, composta da 63 comuni, è evincibile dalla mappa contenuta in questo articolo, che riporta i limiti territoriali delle varie comunità interessate. Nella stessa cartina è riportata pure la curva di isocarico, una curva chiusa che circoscrive l’area dove è possibile che sui tetti possa accumularsi un deposito di cenere e lapilli anche superiore ai 30 centimetri, e quindi prossimo o superiore al peso di 300 chilogrammi al metro quadrato. In caso di eruzione, il vulcano proietterebbe in alto i prodotti piroclastici per alcune decine di chilometri, con quelli meno pesanti che diverrebbero preda dei venti e trasportati per distanze anche di migliaia di chilometri. Le ceneri micrometriche infatti, permanendo in aria per lungo tempo, potrebbero provocare nei casi di massima diffusione del prodotto, transitorie variazioni climatiche.

Nella zona rossa 1, quella che circonda e racchiude il cratere sommitale del Vesuvio, tutte le manifestazioni vulcaniche possono concentrarsi a iniziare dalle micidiali nubi ardenti; ma anche lahar, lave e poi le intense precipitazioni di cenere e lapilli e altri tipi di scorie più o meno pesanti, tra le quali pure le bombe vulcaniche. Nella zona rossa 1 non è possibile portare soccorso con eruzione in corso.

Vesuvio: bomba vulcanica ricoperta dal lichene Stereocaulon vesuvianum

                                                               di Vincenzo Savarese
                                                             





martedì 15 febbraio 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la probabilità eruttiva... di Malko

 



La direttiva del presidente del consiglio dei ministri pubblicata in gazzetta il 12/02/2021, tratta anche il fondamentale argomento ad oggetto l’allertamento delle popolazioni in caso di pericolo. In questo documento si paventa la possibilità di inaugurare quanto prima e dopo un periodo di prova, un sistema di allarme pubblico con tecnologia Cell broadcast, che consentirebbe di far giungere su smartphone e tablet, un messaggio di allerta zonale. L’anonimo destinatario allertato, dovrebbe mettere in atto tutte le misure di autoprotezione presumibilmente già contenute in dettagliati piani di emergenza comunali, ad oggetto uno o più rischi con cui sta convivendo.

In questa direttiva anticipatrice di tecnologia e nuove linee guida, c’è anche un passaggio che va oltre la semplice raccomandazione, e riguarda la necessità, a proposito delle emergenze, di chiarire i limiti scientifici delle previsioni probabilistiche. E poi evidenziare semmai sussistessero le condizioni, i dubbi relativi alla indisponibilità di dati o di misure precise per quantificare e qualificare il pericolo. Non ultimo occorrerà valutare pure le incertezze statistiche e strumentali che bisognerà aggiungere eventualmente ai possibili errori derivanti dall’imprescindibile discrezionalità umana, in quelle che possono essere le valutazioni e le decisioni che si comunicherebbero alle popolazioni, a fronte di un pericolo potenziale, immanente o manifesto.

Anche sul sito web della protezione civile nazionale a proposito del rischio eruttivo è scritto che:<< è bene ricordare che le previsioni di tipo probabilistico, non sono sempre possibili e non per ogni tipologia di fenomeno. Inoltre, queste previsioni sono fortemente condizionate dalla disponibilità di adeguate e numerose serie storiche di osservazioni collegabili all’effettivo verificarsi di eventi. Applicazioni di tipo probabilistico sono possibili solo per alcune fenomenologie che caratterizzano i vulcani attivi in forma permanente, ad esempio l’Etna e lo Stromboli>>.

Che ci sia un’esigenza di fare chiarezza sulle prerogative decisorie della scienza e della tecnica, ci sembra una necessità scaturita all’indomani degli opinabili pronunciamenti della commissione grandi rischi, che nel 2009 ebbe a sottovalutare gli indizi di pericolosità sismica nell’aquilano. Infatti, una settimana dopo il raffazzonato consesso rassicuratorio degli esperti, inviati in loco più per zittire che per chiarire, il terremoto si presentò implacabile (6 aprile 2009) col suo carico di morti.

Nella direttiva richiamata all’inizio sugli allarmi da indirizzare alle popolazioni, viene sottolineata pure la necessità, ai fini della trasparenza, di conservare i documenti da cui si possa evincere il contesto in cui si è operato, ancorché il modus pensandi et operandi che ha determinato quelle scelte che hanno poi acceso le procedure di allarme pubblico. In altre parole, chi assume delle decisioni importanti per la collettività, ne deve dare meticolosamente conto. Il problema tutto italiano è quello che siamo pronti ad infervorarci e puntare il dito sulle défaillance operative, ma poco o niente ci interessa delle omissioni, in alcuni casi eclatanti, ad oggetto la mancata prevenzione delle catastrofi. La prevenzione non è amata dagli amministratori perché per sua natura non produce visibilità e voti...

Comunicare e ancora comunicare la conoscenza e lo stato dell’arte, è dichiarato come dogma dal coordinatore della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, Prof. Francesco Dellino. Il Luminare in un’intervista (gennaio/2021), ebbe a lanciare un accorato appello affinché con umiltà si comunichi moltissimo e a tutti i livelli, da quelli politici alla popolazione, senza nascondere quello che ancora non si conosce. Premessa diremmo importante e democratica, anche se poi l’accademico delude un poco, ma magari è la prassi, quando precisa che egli opera in contesti dove si accendono discussioni a porte aperte seguite poi da discussioni a porte chiuse. La commissione grandi rischi, conclude, comunica con i verbali che contengono le decisioni finali da comunicare all’esterno.

La commissione grandi rischi (CGR), ebbe a sancire proprio con un verbale, che la linea nera Gurioli rappresentava coerentemente i limiti d’invasione dei flussi piroclastici nel vesuviano, per eventi eruttivi sub pliniani (VEI4): tipologia eruttiva quest’ultima, che la stessa commissione aveva classificato come eruzione massima attesa nel breve - medio termine.

La delimitazione scientifica della zona rossa Vesuvio quindi, con i successivi ampliamenti e distinguo e incongruenze di taglio amministrativo made in Regione Campania, è quella tuttora vigente. Le eruzioni pliniane non sono entrate in nessun onere previsionale, letteralmente sparite dall'orizzonte del possibile, perché secondo la probabilità statistica INGV, condivisa dalla CGR, gli eventi VEI5 sono stati classificati improponibili nel computo degli accadimenti possibili al Vesuvio, e da oggi in saecula saeculorum...

In un consesso tenutosi il 10 aprile 2019 presso le strutture della regione Campania, avemmo a proporre alle massime autorità scientifiche e dipartimentali (DPC) settore emergenze, un invito a varare regole per il riordino territoriale nel vesuviano, in ossequio ai principi di prevenzione delle catastrofi. Questa necessità doveva trovare input nella semplice riflessione che, con l’avanzare del tempo secolare, il rischio che un’eruzione del Vesuvio potesse assumere tipologia sempre più potente e invadente, doveva essere tenuta in debito conto dalle autorità comunali e regionali nella pianificazione degli assetti urbanistici nel vesuviano e dintorni. Intervenire oggi per rendere sicuro il domani, doveva essere un atto di prevenzione moralmente dovuto ai posteri, perché col passare del tempo il rischio di una pliniana non potrà più sottacersi. Nella malaugurata ipotesi che tale possente evento dovesse materializzarsi, pure i residenti ubicati oltre l’attuale zona rossa verrebbero travolti dagli effetti deleteri di una eruzione esplosiva. 

Nel contesto urbanistico contiguo alla zona rossa, nella figura sottostante rappresentato come corona circolare di colore arancio, la densità abitativa è in aumento, perché i primi chilometri a ridosso della zona rossa, vengono ritenuti incautamente sicurissimi. Si tenga presente che la legge 21/2003 non consente nella zona rossa 1 la realizzazione di opere residenziali, quindi l'offerta di alloggi, proviene dalla zona rossa 2 e da quella appunto arancio. Col passare dei decenni questi due settori "ammorseranno" con l'edilizia abitativa la zona rossa1, a tutto svantaggio della politica degli spazi e delle prassi evacuative.   


Nel dibattito conseguente la taglia eruttiva futuribile, la direttrice dell'osservatorio vesuviano affermò che da nessuna parte è scritto che il passare dei secoli possa incidere sull’indice di esplosività vulcanica (VEI). Continuando, l’accademica precisò che l’eruzione di scenario (VEI4) sub pliniana, presa ad esame per la determinazione della zona rossa Vesuvio, può essere diversamente rivalutata al rialzo, solo se le ricerche scientifiche che si svilupperanno in futuro porteranno a conclusioni revisioniste. Il trascorrere del tempo (ultrasecolare), secondo l’esperta è da considerarsi ininfluente sulla qualificazione della futura taglia eruttiva…

Avemmo a precisare alla dirigente, che la teoria dell’intensità eruttiva assolutamente slegata dai tempi di quiescenza, imponeva un urgente aggiornamento della letteratura scientifica vulcanologica esistente, visto che nei libri si recita esattamente il contrario. In questa tavola rotonda erano presenti e silenti pure il direttore operativo per il coordinamento delle emergenze del dipartimento della protezione civile nazionale (DPC), e il dirigente coordinatore per le attività di protezione civile della Regione Campania.  

Alla base di una siffatta teoria rivoluzionaria sulla tempistica millenaria delle dinamiche vulcaniche pliniane, forse c'è il lavoro scientifico pubblicato su Science Advances - 12 gennaio 2022, Vol. 8, Numero 2: opera intellettuale di alcuni ricercatori svizzeri e italiani, finanziati dal politecnico di Zurigo. Nel merito, il 25 gennaio 2022 il giornale il Mattino ebbe a lanciare questo titolo: «Vesuvio, la prossima eruzione devastante tra mille anni». Alcuni ricercatori come Francesca Forni, al riguardo ebbe a precisare:<<Sulla base del comportamento del Vesuvio osservato attraverso l’occhio dei granati durante gli ultimi circa 9 mila anni di attività, ipotizziamo che una futura eruzione Pliniana o sub-Pliniana che coinvolge magmi fonolitici, necessiterebbe di almeno un migliaio di anni di quiescenza>>.

Sul giornale della protezione Civile.it del 26 gennaio 2022 viene fornito qualche chiarimento in più su questo argomento con un articolo intitolato: Il Vesuvio si sta facendo una lunga siesta? Al ricercatore italiano che ha partecipato al lavoro scientifico, Dott. Sulpizio dell’università di Bari, è stato chiesto a cosa hanno portato di concreto le ricerche sulla datazione dei granati:<<Visto che l’ultima grande eruzione del Vesuvio potrebbe essere quella del 472 d.C. o del 1631, quello che ci aspettiamo è che per avere una ricarica di questo tipo e quindi un’eruzione di grande volume e intensità devono passare almeno 1000/1500 anni. Quello che non diciamo è che lo stesso valga per le eruzioni di dimensioni inferiori, come ad esempio quella del 1944 è di un ordine di grandezza inferiore a quelle di cui stiamo parlando". C'è stata l’interpretazione sbagliata che alcuni hanno dato della nostra ricerca. Noi ci riferiamo alle eruzioni pliniane, su quelle minori non possiamo affermare nulla. E anche per quelle più grandi non diciamo che non possa avvenire prima un’eruzione, ma che se estrapoliamo il dato del passato sembrerebbe che abbiamo ancora tempo prima che avvenga una forte eruzione del Vesuvio".

Da un punto di vista tecnico e mediatico, se questa teoria della eruzione pliniana che fiorisce a ritmi più che millenari dovesse consolidarsi, diverse generazioni di napoletani che risiedono e risiederanno fuori dalla zona rossa, ovvero arancio nel disegno sopra, potranno tirare un grosso sospiro di sollievo anche per i mutui bancari accesi. 

In questo ragionamento complessivo sugli eventi naturali particolarmente energetici, qualche tempo fa pure l’ex assessore regionale della Campania per la protezione civile, profferì che non bisogna pianificare avendo come visione gli eventi peggiori, altrimenti per le alluvioni dovremmo valutare il diluvio universale, e sarebbe un problema per tutti quelli che non si chiamano Noè. In verità a noi risulta che il diluvio universale sia stato un evento mitologico, e in ogni caso e alla stregua, sono un problema pure le eruzioni vulcaniche per tutti quelli che non si chiamano Efesto…

Premesso che circa tre milioni di abitanti vivono affastellati a tre distretti vulcanici ubicati nella sola area metropolitana di Napoli, i calcoli statistici legati alla probabilità di eruzione andrebbero fatti magari pure su lunghi periodi di quiescenza, ma inevitabilmente su tre vulcani. Allora tutto ciò che riguarda la vulcanologia, acquista nel napoletano una valenza operativa e mediatica di tutto rispetto per le inevitabili ricadute che tali argomenti potrebbero avere sulla sicurezza dei cittadini. Nell’attualità i partenopei sono accompagnati da una quiescenza di 720 anni per Ischia, 484 per i Campi Flegrei e 78 anni per il Vesuvio. 


A dirla tutta e scientificamente parlando, lo stato dell’arte a  proposito del Vesuvio e dei Campi Flegrei è così riassumibile: con buona probabilità prevedono di prevedere 72 ore prima l’insorgenza delle dirompenze vulcaniche: tecnicamente parlando, la incognita probabilistica si raddoppia…



lunedì 18 ottobre 2021

Rischio Vesuvio: un pericolo dimenticato... di MalKo

 


Foto aerea dell'interno del cono del Vesuvio

Il pericolo eruttivo dettato dal Vesuvio fu “scoperto” sul finire degli anni ’80 con interlocuzioni sull’argomento intercorse tra le principali istituzioni competenti in auge in quel periodo: la presidenza del consiglio col ministro delegato, la prefettura di Napoli, l’osservatorio vesuviano, i vigili del fuoco e la provincia di Napoli.

La prefettura in quegli anni aveva competenze notevoli sulla gestione delle emergenze, innanzitutto perché il pericolo vulcanico rientrava territorialmente nel piano provinciale d’intervento. Il problema della prefettura ieri come oggi, è che non ha una grande memoria storica se non generalista sui rischi naturali che tratta, perché cambiano i componenti che ruotano tra uffici e sedi, e ogni volta con le nuove nomine bisogna ricominciare tutto daccapo, in un contesto in cui le tematiche vulcaniche vengono troppo spesso sopraffatte da molte e più cogenti necessità quotidiane. La prima regola delle prefetture intanto è quella di non allarmare…

In quegli anni e su input del compianto ispettore regionale dei vigili del fuoco, ing. Alberto d’Errico, cercammo di capire che cosa avremmo potuto trovarci di fronte in caso di eruzione. Intanto c’erano alcuni punti fermi da cui partire per procedere a una disanima della situazione qui riassumibile:

  • non è possibile prevedere deterministicamente il momento delle dirompenze vulcaniche;
  • non è possibile valutare in anticipo la tipologia eruttiva della prossima eruzione al Vesuvio        che può avere carattere ultra stromboliano (VEI3), sub pliniano (VEI4) o pliniano (VEI5);
  • non c’è ombrello o barriera capace di proteggere le popolazioni ubicate in zona rossa dagli   effetti deleteri di un’eruzione esplosiva;
  • non è possibile garantire interventi delle squadre di soccorso con eruzione in corso.

Le chance, oggi come allora, in assenza di pratiche di prevenzione strutturali, sono tutte racchiuse in procedure meramente emergenziali: cioè, in caso di allarme vulcanico, occorrerà spostare in tempo rapidi e a una distanza di sicurezza (d), tutti i cittadini della zona rossa, onde sottrarli dal possibile dilagare delle micidiali colate piroclastiche.


by Malko

Nell’odierno la situazione è quella suggerita dalla prima immagine a sinistra (Fig. A): si noti la totale promiscuità della vita umana col pericolo vulcanico. La figura B illustra invece la tattica di salvaguardia vigente, consistente nell’interporre una distanza di sicurezza (d) tra popolazione e fenomeni eruttivi, ma solo nel momento in cui dovesse palesarsi l’approssimarsi di un’eruzione.

La commissione grandi rischi (CGR), sentito l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e valutata la relazione redatta da un consesso di esperti nominati, è stata chiamata un po’ di anni fa a indicare da quale tipologia eruttiva occorrerà difendersi in futuro: notizia indispensabile per definire i limiti della zona rossa e quindi il numero di cittadini da evacuare che dovranno essere spostati dal centro eruttivo alla distanza (d).

Ebbene, la CGR accettò l’indicazione probabilistica sponsorizzato da alcuni ricercatori dell’INGV, tra cui il Dott. Marzocchi, adottando un’eruzione di taglia VEI 4 come evento massimo alla base dei piani di emergenza. Occorre anche dire che i previsori hanno indicato come eruzione probabile un evento VEI3 (ultra stromboliano) mentre una pliniana VEI5 è stata completamente esclusa dal ventaglio delle possibilità. La Commissione Grandi Rischi con motu proprio ebbe ad assumere la linea nera della ricercatrice Lucia Gurioli, come limite scientifico d’invasione dei flussi piroclastici con energie VEI4. Il segmento curvilineo in questione, fu ricavato da rilievi campali.

Rispetto alla vecchia zona rossa formata da 18 comuni, sono state inserite nel perimetro a rischio piccole porzioni di territorio non prima contemplate, come ad esempio quelle orientali delle municipalità napoletane di Ponticelli, San Giovanni a Teduccio e Barra. Di contro ci sono vaste aree comunali che debordano oltre la linea nera Gurioli (mappa in basso) e che andavano liberate da vincoli di alta pericolosità come suggerì lo stesso consesso di esperti a proposito di Torre Annunziata.

Linea nera Gurioli: limite scientifico di scorrimento dei flussi piroclastici al Vesuvio

L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, Ing. Cosenza, in tutti i casi decise di mantenere i confini amministrativi precedenti della vecchia zona rossa (18 comuni) integrati da tutti i territori ricadenti nel perimetro Gurioli con estensione per le new entry fissata dai consigli comunali. L’innovazione che fu introdotta, fu l’instaurazione della zona rossa 2 da evacuare all’occorrenza con la stessa urgenza prevista per la zona rossa 1. La pubblicità battente fu quella che la regione aveva ampliato di molto la zona rossa da evacuare per motivi precauzionali. Pubblicità progresso diremmo…Nella realtà l’ampliamento è stato solo di taglio operativo (evacuazione), ma non preventivo atteso che i comuni di Poggiomarino e Scafati pur aggettandosi verso l’apparato vulcanico ben oltre i limiti orientali della cittadina di Boscoreale, non hanno controindicazioni all’edilizia residenziale, perché sono classificati a pericolosità vulcanica e non ad alta pericolosità vulcanica (legge regionale 21 del 2003).

In termini operativi occorre tener presente che non sono possibili interventi di soccorso con eruzione in corso: ne consegue, che tutto ciò che è possibile fare per salvaguardare i vesuviani, occorre farlo col supporto delle istituzioni competenti ma ben prima dell’evento eruttivo. Con eruzione in corso, qualora non sia stata completata l'evacuazione, eventuali necessità di soccorso dovrebbero confidare soprattutto nell’organizzazione comunale, che non deve essere passiva in un contesto emergenziale di questa portata. Inoltre, non è possibile durante l’eruzione l’impiego di elicotteri per evitare il blocco delle turbine e la ridotta visibilità dovuta alle abrasioni sui plexiglass della cabina di pilotaggio, causate dal silicio (cenere) in sospensione.

Sulla previsione dell’evento vulcanico in tempi più che utili per l’evacuazione, la direttrice dell’osservatorio vesuviano ha espresso il suo totale ottimismo confidando sul fatto che le attrezzature di monitoraggio di cui dispone, sono in grado di cogliere l’eventuale ascesa del magma verso la camera magmatica superficiale con largo anticipo. Il riempimento di questo serbatoio ubicato ad alcuni chilometri di profondità, è ritenuto dalla dirigente il vero indicatore di pericolosità vulcanica. Alla domanda circa la tipologia eruttiva correlabile ai tempi di quiescenza, la Dott.ssa Bianco ha affermato che il perdurare della pace vulcanica, finanche secolare, non incide sulla futura intensità eruttiva. Solo nuovi studi e ricerche possono modificare l’eruzione di riferimento (VEI4), tant'è che se la ricerca non farà passi in avanti, il parametro VEI 4 quale intensità eruttiva massima attesa è immutabile nei secoli…

La mappa sottostante offre una chiara visione della situazione attuale. Come si vede la zona rossa 1 è quella dove è possibile il dilagare di flussi piroclastici. La zona rossa 2 invece è particolarmente soggetta alla pioggia di piroclastiti che potrebbe far crollare i solai piatti e meno resistenti e rendere impossibile la permanenza in zona a causa della sospensione in aria delle ceneri vulcaniche. La zona rossa 1 e rossa 2 sono un unicum da evacuare prima dell’eruzione. La zona a nord del Vesuvio (zona Blu) invece, è quella allagabile dalle acque meteoriche che accompagnano l’eruzione, con ristagni che possono superare anche i due metri di altezza soprattutto nella conca di Nola.


Mappa della pericolosità vulcanica al Vesuvio con le tre zone

In termini di prevenzione siamo lontani dalle esigenze che dovrebbero accompagnare il rischio vulcanico, perché nella zona rossa ma anche nei comuni di Volla e Striano viciniori alla perimetrazione di alta pericolosità, è ancora possibile l’incremento abitativo con normale licenza edilizia. Chi compra casa nelle zone ad est del Vesuvio, deve tener presente che qualsiasi tipologia eruttiva comporterebbe statisticamente la necessità di salvaguardarsi dalla pioggia di cenere e lapilli.  

La cartina sottostante mostra la linea nera Gurioli e in giallo il dilagare dei flussi piroclastici in seno alle eruzioni pliniane (VEI5) di circa 4000 anni fa (Pomici di Avellino) e di circa 2000 anni fa (Pompei). Dalle superfici coinvolti s’intuisce la necessità che non vengano sottovalutate le pratiche di prevenzione delle catastrofi in favore delle generazioni future che popoleranno la plaga vesuviana. Nelle zone VEI 5 non c’è alcuna regola edilizia (non diciamo vincoli ma almeno regole). Di fatto, escludendo una maggiore intensità eruttiva dettata dallo scorrere del tempo, si sta offrendo sponda alla conurbazione nella zona rossa pliniana.


Mappa tratta dalla pubblicazione: Pyroclastic flow hazard assessment at
Somma-Vesuvius based on the geological record di Lucia Gurioli

Nei Campi Flegrei la situazione non è migliore: anzi. Innanzitutto perché vige uno stato di attenzione; poi non c’è un vincolo vulcanico capace di tenere a freno l’edilizia residenziale, e quindi il tempo giuoca doppiamente a sfavore. Di contro non è possibile stabilire in anticipo il centro o i centri eruttivi della futura eruzione. Un’altra nota che crea apprensione, è che bisogna fare i conti con un indice di pericolosità vulcanica che al momento possiamo dire che varia in ragione dell’incremento bradisismico; dato altalenante e vivace, ma soprattutto potrebbe repentinamente cambiare. Anche in questa zona i soccorsi con eruzione in corso non sono possibili.

                                                                 


malkohydepark@gmail.com

domenica 13 dicembre 2020

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la protezione che non c'è... di MalKo



Il Covid 19 da buon parassita non poteva che produrre una catastrofe sanitaria, soprattutto in una società senza un’idea anti pandemica, con non poche strutture di assistenza medica smobilitate negli ultimi decenni, e con personaggi neanche capaci di mettere a posto le carte, figuriamoci la salute.

L’odissea delle mascherine che si producevano ahinoi solo fuori dai confini nazionali, ci hanno disorientato e appiattito nei primi momenti, sull’unica opzione preventiva possibile che era quella di non uscire e tenere materialmente la bocca chiusa. Per mesi ci hanno ammorbato con disquisizioni assurde circa l’utilità o meno delle mascherine, che in ogni caso non c’erano. La bocca anche molto aperta l’hanno tenuta e la tengono invece epidemiologi, virologi e infettivologi e similari, che occupano il piccolo schermo, molto spesso elargendo opinioni e indicazioni completamente diverse le une dalle altre, anche se ultimamente stanno aggiustando il tiro evitando esternazioni iperboliche più che imbarazzanti per tutti. Vi sembrerà strano, ma riteniamo questa inflazione televisiva medico scientifica preferibile al pensiero unico del soggetto istituzionale e governativo, al maschile o al femminile che, con tono misurato, appare in pubblico per dire che è tutto sotto controllo e che sui blog fanno solo allarmismo.

L’articolo pubblicato online dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sulla testata TPI.it. è molto interessante e inizia così:<< il professor Antonello Ciccozzi insegna antropologia culturale all’Università dell’Aquila. Dopo il devastante terremoto che colpì il capoluogo abruzzese nel 2009, coniò il termine “rassicurazionismo”, poi inserito nel dizionario Treccani. L’occasione fu la sua consulenza tecnica al processo alla Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi, processo che costò la condanna a due anni a Bernardo De Bernardinis, allora vicecapo della Protezione Civile>>.

Il rassicurazionismo è quella pratica che normalmente trova ampio spazio applicativo nell’ambito governativo e delle istituzioni pertinenti, che anche senza istruzioni mirate sanno e si adoperano acchè si attenuino gli stati ansiosi delle popolazioni, soprattutto a ridosso di una condizione di pericolo difficilmente affrontabile in via preventiva e operativa che possa portare disordine pubblico. La gente infatti, vorrebbe vivere in un contesto di permanente protezione, o almeno rassicurazione, avendo la sensazione se non la certezza, che c’è un grande fratello statale che veglia diuturnamente sul loro sonno e con le migliori risorse umane e tecnologiche possibili.

L’Osservatorio Vesuviano è una struttura appunto statale che ha compiti di ricerca e di sorveglianza vulcanica, che non disdegna di esercitare anche la pratica del rassicurazionismo, soprattutto perché, contrariamente all’affollata componente medica che ha sul collo la pandemia, praticamente svolge indisturbato questo ruolo di front office in un clima di pace geologica, appena disturbato da qualche brontolio, e più ancora da qualche sussulto soprattutto nell’area flegrea. Con incalzanti crisi sismiche sarebbe tutto un altro discorso... Le diverse amministrazioni statali e regionali e comunali, che dovrebbero vedersela coi vulcani sopiti, preferiscono contemplare l’ipotesi eruttiva medio bassa sussurrata dall’INGV, che essendo dieci volte inferiore al massimo evento conosciuto (eruzione Pompei), offre maggiori chances di mediazioni tra economia, pericolo e tutela: della serie rischio accettabile, ovvero analisi costi benefici. Con questo modus operandi, la scala dei disastri allora potrebbe anche salire e coglierci totalmente impreparati, vanificando qualsiasi organizzazione evacuativa che intanto non c’è e se c’è è tarata sul medio evento. Non presentandosi il manifesto e percepibile rischio eruttivo, le maestranze istituzionali lasciano correre qualsiasi affermazione negativa proveniente dal basso su scenari e piani di emergenza, senza neanche soppesarla.

In realtà ogni affermazione allarmista o rassicurazionista dovrebbe poggiare su una solida analisi scientifica del problema, e soprattutto sulle alternative possibili in risposta ad ogni incognita. Quindi il discorso sul rischio vulcanico dovrebbe avere un’inquadratura diversa dal solito target minimalista o allarmistico. Se il pericolo non è quantificabile energeticamente e neanche temporalmente, per migliorare la nostra posizione di grande fragilità zonale, la soluzione alla fine dovrebbe essere quella di andarsene dal territorio vulcanico: l’emigrazione a dirla chiara o lapalissianamente, sarebbe la formula bruta della sicurezza.

Ovviamente questa strategia di uscita (exit strategy) piuttosto tranchant, avrebbe una sua percorribilità, in assenza di prodromi percepibili dai sensi, solo se il nucleo familiare per più motivi abbia in serbo di andarsene fuori dalla zona rossa. Diversamente la pratica del trasferimento familiare potrebbe essere una opzione sofferta ma molto utile per chi non ha remore per i cambiamenti, ed ha una forma mentis molto lucida su quella che dovrà essere l’organizzazione familiare del proprio futuro. Per la stragrande maggioranza delle famiglie invece, che ha relazioni e lavoro stabile in zona rossa, decidere di andare via è molto più difficile perché alla quantità della vita potrebbe non corrispondere una congrua qualità della vita stessa.

Per mitigare il rischio vulcanico senza per questo uscire dalla zona rossa, l’alternativa per garantirsi un minimo di protezione in più, dovrebbe essere quella di non risiedere nelle zone mediane di pericolo del perimetro a rischio, preferibilmente occupando un posto in periferia e ad occidente, possibilmente lontano dagli addensamenti abitativi che sono una variabile assolutamente negativa a fronte di qualsiasi elemento di pericolo geologico, climatico o di natura antropica.

Proprio stamani sulla rivista online Open, a proposito della pandemia si legge che non c’è mai stato un piano operativo. E ancora si legge che le scartoffie esistenti contenevano unicamente «linee guida generiche molto distanti da quello che dovrebbe essere un piano pandemico». Come nel caso dell’organizzazione anti covid, anche nel vesuviano e nel flegreo non c’è un utile piano di protezione civile a fronte del pericolo eruttivo. In caso di allarme, la nostra impreparazione potrebbe essere platealmente e drammaticamente e catastroficamente evidente, e tutta la questione e la gestione dell’emergenza vulcanica, andrebbe ad offrire ampi spunti all’interno della trasmissione di Sigfrido Ranucci (Report), o in quella di Non è l’Arena con l’inviato Lupo che si si sposterebbe su paesaggi lunari. Come la pandemia però, le inchieste arriverebbero sempre a posteriori, ed esperti mai visti prima o mai prima espostisi con le loro teorie, darebbero lezioni di prevenzione e di vulcanologia, con un’attenta analisi della catena degli eventi che ha portato al disastro, bacchettando ed assolvendo con quelle famose e collaudate tecniche di dietrologia, frutto del senno del poi, quegli attori istituzionali muti e inattivi spettatori della sicurezza pubblica. Verrebbero tutti assolti come successe alla commissione grandi rischi, dove i giornalisti più accreditati tirarono in ballo la bufala che si stava svolgendo un processo alla scienza degno dell’inquisizione, un'artata campagna a favore della protervia istituzionale...

Che un’eruzione ci colga improvvisamente è improbabile. Che ci colga prima del previsto, cioè con un margine temporale inferiore alle 72 ore è ancora improbabile. Che diffondano un allarme eruttivo molto in anticipo sui tempi eruttivi è piuttosto probabile. Che lancino un allarme evacuativo seguito dall’eruzione dopo qualche giorno dalla desertificazione della zona rossa è un miracolo. Per gli esperti la previsione dell’evento vulcanico è più difficile nei Campi Flegrei che non al Vesuvio. Neanche le più innovative tecniche di monitoraggio delle plaghe vulcaniche hanno la capacità di accrescere la diagnosi predittiva dell’eruzione, perché storicamente non si ha una congrua sequela di dati archiviati nel corso dei millenni: i vulcani li conosciamo da ieri...

Il piano di emergenza e di evacuazione a fronte del rischio vulcanico campano, è un assemblato di carte dal taglio teorico ma per niente operativo. La risposta reclamizzata dalla protezione civile nazionale e regionale e comunale sembra di pura facciata senza certezze sull'efficacia delle misure generiche che si intenderebbero prendere in caso di necessità. La totale disorganizzazione del modello anti pandemico, alla stregua può suggerirci cosa succederebbe in caso di allarme vulcanico, dove la salvezza può solo provenire dai falsi allarmi che salverebbero ma alla lunga stancherebbero.  Il recovery fund porterà miliardi che cadranno su un terreno sterile pieno di ortiche che ci porterà a consumare concime, acqua e Sole senza che fiorisca alcunché. Richiamando un pensiero affine all'ideologia mazziniana, la felicità in terra è tutta racchiusa nel buon funzionamento delle istituzioni: si vanghino questi poderi allora... 













venerdì 23 ottobre 2020

Rischio Vesuvio: la zona rossa è di garanzia?

 


Per chi segue le vicende del rischio Vesuvio, occorre dire che nell’attualità il dibattito scientifico e giornalistico che ruota intorno al famoso vulcano è totalmente assente, perché tutta l’attenzione dei media è concentrata sul Covid 19, la pandemia che sta fustigando il mondo intero con le strutture sanitarie in ginocchio e la popolazione mondiale allarmata e disorientata.

L’apparato vulcanico del Vesuvio, come si evince dai tracciati sismici, di tanto in tanto subisce scuotimenti dovuti a terremoti a bassa e bassissima magnitudo con il rilascio di energia equivalente inferiore a una tonnellata di tritolo: valori, generalizzando, che non cagionano danni. Di contro però, attestano ineluttabilmente che il Vesuvio è ubicato su una vasta camera magmatica che ricordiamo non è un bacino chiuso. Questo significa che i contenuti di magma incassati nelle profondità chilometriche dell’apparato vulcanico, presumibilmente dovrebbero variare con il tempo. Intanto nessuna ricerca fino ad oggi è riuscita a dare un preciso rilievo tridimensionale alle sostanze incandescenti presenti nelle viscere del monte, onde consentire con precisione di valutare con quanti chilometri cubici di materiale magmatico potremmo avere a che fare un domani. Questo significa che non è possibile pronunciarsi sulla misura energetica della prossima eruzione, che non sappiamo se sarà esplosiva e soprattutto quanto esplosiva; e poi non sappiamo se riusciremo a cogliere con netto anticipo i prodromi pre eruttivi che non siano un falso allarme, e se il traffico stradale ci consentirà di allontanarci velocemente dal pericolo. Ed ancora non sappiamo se il piano di evacuazione quando sarà completato riuscirà a soddisfare d’appieno le necessità di sicurezza dell’area vesuviana. Queste sono solo alcune delle domande che un giorno cattureranno la nostra attenzione o quella dei posteri, che si scontreranno, statene certi, contro un muro di dubbi a fronte delle impellenti necessità del sopravvivere.

Riallacciandoci con qualche analogia alle problematiche da Covid 19, sembra che nessun governo nazionale e mondiale abbia mai stilato un piano per fronteggiare una pandemia seria come questa. Il Covid 19, dopo una prima ondata di aggressività sugli anziani, ha diviso gli scienziati che si sono espressi sulla letalità dell’epidemia. Alle porte dell’estate, secondo alcuni luminari il virus era morto e sepolto; altri lo definivano oramai cambiato e quindi innocuo come un raffreddore, ma c’è stato pure chi ha avvertito di una recrudescenza dei contagi con modalità particolarmente pervasive da attendersi in autunno. In effetti mentre il mondo cinematografico aveva largamente previsto la drammaticità di una minaccia pandemica, il mondo reale, quello fatto di politici e scienziati ed esperti e opinion leader, neanche avevano lontanamente immaginato che potesse verificarsi un incubo simile: da ciò ne è derivato una impreparazione pressochè totale. 

Un’esplosione pliniana del Vesuvio, evento raro ma non escludibile dagli annali del possibile, è un argomento in questo caso poco dibattuto fra gli scienziati, con prese di posizione fatte di farfugliamenti a bassissima voce. La classe degli esperti istituzionali preferisce infatti parlare a voce alta per esprimersi sui sistemi di monitoraggio sempre più tecnologici e da finanziare, e sui piani di emergenza e di evacuazione, dando in pasto all’opinione pubblica indizi di certezze sulla previsione dell’evento, offrendo poi esercitazioni di protezione civile che hanno la stessa utilità di una lampada abbronzante ai tropici.  I dati geologici ci provengono dall’organo istituzionalmente competente che è senza ombra di dubbio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), mentre per la parte tecnica e politica le indicazioni sono tutte del Dipartimento della Protezione Civile e della Regione Campania. L’INGV, anche attraverso la sua diramazione scientifica costituita dall’Osservatorio Vesuviano, ha concluso che la massima eruzione attendibile al Vesuvio è tuttalpiù di taglia sub pliniana, mentre quella più probabile è di tipo ultra stromboliana (VEI3). La pliniana è innominabile, perché, sussurrano, ha un indice di probabilità di accadimento praticamente zero. Stranamente un documento firmato da due ex direttori dell'Osservatorio Vesuviano davano una probabilità eruttiva VEI 5 all'11%.


Per quanto riguarda la possibilità che con i decenni e poi con le decine di decenni e poi secoli, il Vesuvio possa aumentare la sua latente energia eruttiva e distruttiva, la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) ebbe a precisare qualche anno fa, che non è il trascorrere del tempo che rende più pericoloso un vulcano come il Vesuvio, bensì solo nuove scoperte capaci di modificare quelle conoscenze scientifiche che hanno consentito nell’odierno di classificare l’eruzione  di tipo sub pliniana (VEI4) come l’eruzione massima di riferimento per i piani di emergenza.  Se per nuove scoperte s'intende la precisa calibrazione della massa magmatica in aspettativa nell'omonima camera, come già anticipato prima, non c'è una tale inappuntabile quantificazione, ma di certo l'eruzione pliniana del 79 d.C. pescò magma dalla camera superficiale (4-5 Km.), ma soprattutto da quella profonda (8-10 Km.) poco perscrutabile... Il dibattito scientifico dovrebbe incominciare a chiarire l’importanza di queste due camere nelle dinamiche magmatiche esplosive, che forse hanno ruoli diversi nelle diverse tipologie eruttive.

È nella normalità delle cose che se il mondo scientifico certifica addirittura come deterministica una previsione di eruzione massima attesa non superiore a un indice di esplosività vulcanica VEI 4, i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania hanno impostato le bozze dei piani di emergenza, tenendo in debito conto questa discutibile classificazione per circoscrivere la zona rossa da evacuare. Per meglio inquadrare il problema, si tenga presente che l’estensione della zona rossa ha un raggio correlato all’indice di esplosività vulcanica. Quindi: circa 10 chilometri per una VEI 4, e quasi 20 per una eruzione pliniana VEI5. Occorre anche comprendere che, come i termometri, anche le energie eruttive possono manifestarsi con valori intermedi che nel nostro caso creerebbero problemi, soprattutto se la zona rossa non ha un contorno maggiorato di sicurezza. Da questo punto di vista il caso di Volla è emblematico.


Assumendo per il Vesuvio una zona rossa VEI 4, in pratica si è tenuto fuori dai piani di evacuazione buona parte della città di Napoli ad eccezione dei quartieri orientali (Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio). Questa storia di Napoli centro storico invulnerabile alle dinamiche eruttive vesuviane e flegree ci lascia perplessi. Infatti, la zona rossa del super vulcano non comprende come è stato fatto col Vesuvio una zona rossa 2 (R2).  La zona rossa 2 ricordiamolo, è quella parte di territorio che per lontananza sarebbe risparmiata dalle colate piroclastiche sub pliniane ma non dalla massiccia pioggia di cenere e lapilli. La caduta di materiale piroclastico renderebbe impossibile la permanenza in loco per l’immediatezza dell’insorgere dei problemi alla respirazione. E poi ci sarebbero dopo qualche ora criticità alla circolazione dei veicoli, e poi serie complicanze statiche alle coperture dei fabbricati per il sovrappeso di cenere e pomici e lapilli. Questo significa che la zona rossa 2 ha le stesse regole e tempi di evacuazione della zona rossa ordinaria, e che intanto non è stata indicata per la zona rossa flegrea.

Considerato che i venti predominanti soffiano prevalentemente verso est, pur comprendendo che non c’è l’indicazione di un preciso centro eruttivo nella caldera dei Campi Flegrei, riteniamo che una media mediata non possa non comprendere la necessità, all’occorrenza, di un allontanamento preventivo di tutti gli abitanti che affollano il centro storico di Napoli. 

I rischi che si corrono col Vesuvio è quello che anche una riuscitissima previsione dell’evento vulcanico con una efficace evacuazione della zona rossa, possa comportare una catastrofe se l’intensità eruttiva che non è possibile cogliere in anticipo, vada ad assumere i caratteri di una pliniana o similmente pliniana, con le colate piroclastiche che andrebbero ad espandersi ben oltre i limiti attuali della zona rossa cogliendo non pochi spettatori immoti. Anche nel flegreo persiste un problema, e anche qui in caso di allarme, pur se si dovesse raggiungere l’auspicato successo evacuativo, il centro storico di Napoli rischierebbe di essere bombardato dai prodotti piroclastici di caduta che renderebbero dopo qualche ora inutilizzabile la stazione centrale, mentre i marittimi dovrebbero spalare cenere dai ponti dei traghetti e gli snodi stradali e autostradali rischierebbero dopo qualche ora il blocco totale della circolazione.

Alcune diatribe interne all’Osservatorio Vesuviano, così come la querelle sull’epicentro del terremoto di Casamicciola del 21 agosto 2017, la cui localizzazione venne fatta a distanza di giorni; ed ancora il gioco del sapevo e non sapevo sulla trivellazione operata nella zona di Agnano nel giugno 2020, portano a ritenere che la richiesta di alcuni senatori sull’opportunità di commissariare l’INGV per riorganizzare i vertici, sia un'assoluta necessità per riportare il ruolo della scienza lontano dai bisogni non confessati della politica. Le istituzioni non sono meno responsabili però, soprattutto quando si arrogano il diritto di nascondere la verità per non allarmare, mentre in realtà la cautela serve esclusivamente per non rispondere...