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giovedì 5 maggio 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la previsione dell'eruzione... di Malko

 


Nei Campi Flegrei, alcuni eventi sismici a bassa magnitudo ma con un trend energetico al rialzo, hanno destato non poche perplessità nei 550.000 dimoranti che popolano la caldera del super vulcano flegreo. I residenti si chiedono, senza esagerate apprensioni, se i tempi incominciano ad essere maturi per il passaggio dalla fase di attenzione a quella di pre allarme.

Dal punto di vista delle istituzioni, la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano in un intervento rimandato sui social, ha confermato che in realtà quelle flegree sono energie sismiche che si sviluppano per bradisismo e che producono terremoti modesti, anche se a volte vengono avvertiti nettamente nel comprensorio flegreo. Gli eventi, continua la responsabile napoletana dell’INGV, si localizzano prevalentemente intorno ai 2 Km. di profondità, in quella che è l’area sismogenetica compresa tra la Solfatara e le emissioni di Pisciarelli. Gli altri parametri geofisici e geochimici del vulcano, precisa la dott.ssa Bianco, non sembrano denotare variazioni significative. Tra l’altro il monitoraggio in continuo effettuato dall’osservatorio vesuviano, non presenta segnali che possano eventualmente indicare dinamiche ascendenti del magma con annessa possibilità d’innesco di una eruzione. In conclusione, la dirigente rassicura e segnala che Il fenomeno del bradisismo al momento non è correlabile con un aumento della pericolosità vulcanica, ma con l’andare del tempo le deformazioni del terreno potrebbero incidere sulla resistenza statica degli edifici.

Parole perlopiù confortanti e in linea con le FAQ pubblicate nelle pagine web INGV dello stesso osservatorio vesuviano. Quivi la prima domanda ad oggetto giustappunto la previsione degli eventi vulcanici, contiene elementi molto confortevoli, che ad ogni buon conto riportiamo integralmente:

Domanda: È possibile prevedere la prossima eruzione del Vesuvio o dei Campi Flegrei? Risposta. Non è possibile prevedere a lungo termine quando ci sarà la prossima eruzione. Tuttavia, grazie alla sorveglianza del vulcano è possibile rilevare con ampio anticipo l'insorgenza di fenomeni precursori, che generalmente precedono un'eruzione, e procedere all'evacuazione prima che avvenga l'eruzione.

Secondo il nostro punto di vista, la parola ampio anticipo utilizzata dall'osservatorio vesuviano è in contrasto con i contenuti della direttiva della presidenza del consiglio (12/02/2021), che segnala la necessità di pubblicizzare i limiti scientifici delle previsioni probabilistiche. Lo stesso dipartimento della protezione civile però, ripete che le applicazioni di tipo probabilistico sono possibili solo per alcune fenomenologie che caratterizzano i vulcani attivi in forma permanente, ad esempio l’Etna e lo Stromboli. La lettura dell'articolo precedente chiarisce questi aspetti.

Nel campo della previsione degli eventi vulcanici, occorre dire che le eruzioni in genere possono essere preannunciate da fenomeni anche minimi monitorabili da strumentazioni ad alta tecnologia, compresa quella satellitare. Il problema grosso però, è dettato proprio dalla sensibilità degli strumenti, che possono registrare una condizione anche minimale di “irrequietezza” del magma con tutti i suoi prodotti liquidi e gassosi di cui è intriso, che accompagnano anomalie geochimiche e geofisiche, a cui non sempre corrisponde un allarme. Quindi: l’elevata tecnologia può solo anticipare la fase di attenzione, ma nulla può dirci sulla previsione dell’evento vulcanico che rimane ancorato a valutazione e tempistiche tutte umane, corroborate da basi statistiche molto limitate per il Vesuvio e ancora di più per i Campi Flegrei.  

Interpretare allora, è la parola chiave proposta e richiesta alla commissione grandi rischi, che dovrà pronunciarsi, carte alla mano, sui risultati del monitoraggio vulcanico, con responsi difficilissimi da trarre da semplici dati per quanto accurati, che potranno oscillare su un ventaglio di possibilità che partono da innocui riequilibri profondi del magma a possibili e allarmanti condizioni pre eruttive. In tutti i casi non è l’osservatorio vesuviano che decide i livelli di allerta vulcanica, ma la commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, atteso che a un livello di allerta superiore ad attenzione (giallo), corrisponde un importante corrispettivo operativo e amministrativo. Ricordiamo ancora una volta che il pulsante per l'evacuazione, quello rosso, è pigiabile solo dal premier: nell'attualità Mario Draghi. Di seguito i livelli attuali stabiliti dall’autorità scientifica:

In realtà, in assenza di soglie limite strumentali di riferimento, riferite a valori numerici codificati, il passaggio ascendente o discendente da uno dei 4 colori illustrati, sono legati a fattori umani. Precisiamo che le uniche due colorazioni che non è difficile determinare, sono quella verde e giallo, perché non prevedono azioni per la popolazione. La più difficile in assoluto è proprio quella del pre allarme (arancione), mentre per quella rossa temiamo prodromi probabilmente avvertiti direttamente dalla popolazione. Una condizione quest'ultima, non contemplata nei piani d'emergenza, ma che può essere la circostanza capace di alterare in negativo i comportamenti umani (panico), con tutto ciò che ne consegue, soprattutto in un contesto evacuativo organizzato secondo formule da gita aziendale. 

La valutazione dei tempi che segnano e accompagnano la previsione eruttiva nei Campi Flegrei e del Vesuvio, nelle carte dicevamo è molto rassicurante. Ampio anticipo riferisce l’osservatorio vesuviano: 72 ore riferiscono invece le istituzioni politiche e tecniche. Il presidente della Regione Campania De Luca, molto pragmaticamente disse che questi tre giorni a disposizione per l’evacuazione potrebbero esserci, ma potrebbero anche non esserci…. In realtà, da un punto di vista strettamente tecnico, se la previsione dell’evento vulcanico fosse possibile in un ambito ottimistico di ampio anticipo, non ci sarebbe nel percorso operativo la fase dubitativa diversamente chiamata di pre allarme, dove i cittadini che ne sentissero la necessità, potrebbero allontanarsi spontaneamente usufruendo pure di un contributo statale di autonoma sistemazione. La fase di preallarme consente in ultima analisi al cittadino, di scostarsi dalle indecisioni scientifiche, assumendo con propria iniziativa la responsabilità di allontanarsi dalla zona rossa.

Quanti terremoti e con quali intensità possono essere interpretati come precursori di eruzioni? E quali sono le concentrazioni di gas e le temperature e le deformazioni limiti del suolo quali sintomi prodromi dell’eruzione? Nessuno lo sa! Perchè le variabili d'intreccio di questi dati, possono essere numericamente considerevoli, ma in tutti i casi con combinazioni mai verificate, per esempio per apparati come i Campi Flegrei la cui ultima eruzione risale al 1538. Non ci sono elementi di comparazione per azzardare una previsione, non solo perché non abbiamo dei database di riferimento che vanno indietro per decine di secoli, ma anche perché ogni vulcano ha delle caratteristiche proprie non sovrapponibili in genere a qualsiasi altro vulcano.

Ci sembra il caso di chiedere un parere al Professor Giuseppe Mastrolorenzo, primo ricercatore presso l’osservatorio vesuviano, molto presente con le sue spiegazioni sui media nazionali e internazionali.

Professore, ai Campi Flegrei come al Vesuvio è possibile prevedere un’eruzione con ampio anticipo?

Se il “largo anticipo“ è inteso come un tempo ampiamente superiore a quello necessario a garantire la messa in sicurezza di tutte le comunità a rischio, la risposta è certamente no. Ho dovuto ricordare, come spesso ho evidenziato, anche con rapporti ad organi Istituzionali e di Protezione Civile, come la previsione di eruzioni, in vulcani, come il Vesuvio e i Campi Flegrei sia impossibile.

L’intrinseca imprevedibilità deriva dalla complessità dei sistemi vulcanici a tutti i livelli, dalla sorgente magmatica alla superficie, dai processi fisici, chimico-fisici a diverse scale spaziali e temporali, che controllano complessi processi di genesi ed evoluzione del magma e della sua risalita verso la superficie.

Tali processi, così come i parametri coinvolti, sono solo ipotizzabili, sulla base delle indagini geofisiche e vulcanologiche, svolte principalmente negli ultimi decenni. A tali limiti, si aggiunge la natura caotica dei processi, la cui evoluzione può variare drasticamente in funzione di minime variazioni dei parametri, fuori dalla portata di qualsiasi indagine scientifica.

In altri termini, anche se la crosta terreste fosse totalmente trasparente e potessimo vedere il magma   e definirne le proprietà in ogni punto, non saremmo in grado di prevedere un’eruzione e la sua intensità.

Ma la crosta è tutt’altro che trasparente, e le nostre conoscenze sono indirette e quasi esclusivamente basate su ipotesi e   modelli descrittivi, spesso in contrasto tra loro, e più o meno sostenute da pochi parametri misurabili. Anche se disponessimo di esperienza diretta di un grande numero di crisi eruttive monitorate in ogni fase, resterebbe comunque imprevedibile una futura eruzione. 

Premettendo una camera magmatica ubicata a circa 8 km. di profondità per entrambi gli apparati vulcanici citati, è assodato scientificamente che il magma prima di assurgere in superficie deve saturare camere magmatiche superficiali ubicate a 3-4 km. di profondità?

Anche il dibattito scientifico riguardo la profondità del magma prima degli eventi eruttivi rientra nella più generale tematica della modellistica vulcanologica, basata su dati indiretti, principalmente di natura magmatologica e geofisica.

Studi sulle rocce vulcaniche di eruzioni avvenute in passato, hanno indotto alcuni autori a ipotizzare uno stazionamento del magma a profondità di alcuni chilometri, per una successiva evoluzione pre-eruttiva. Tale processo è stato ipotizzato principalmente in relazione alle maggiori eruzioni del Somma-Vesuvio, e solo vagamente per i Campi Flegrei e per eruzioni minori.

Per quanto gli studi in merito rivestano un notevole interesse scientifico, sarebbe un vero azzardo affidare la sicurezza di milioni di persone all’ipotesi di un prolungato arresto della risalita del magma ad una profondità intermedia, per un tempo prolungato prima dell’evento eruttivo. La sosta di questa massa magmatica fusa, potrebbe consentirne  la facile identificazione, e quindi in assenza di tali  evidenze, per ragionamento  inverso si è portati ad escludere una eruzione.

Di fatto, quello dell’accumulo superficiale del magma, per lungo tempo, prima di una eruzione, resta solo un modello o un’ipotesi di lavoro, e non deve essere adottato a fini di sicurezza e protezione civile. In  realtà, con le  tecnologie attualmente disponibili,  può risultare critica anche l’individuazione di  un  processo  di  risalita  magmatica,  che  può  manifestarsi   attraverso fratture  nella  crosta,  di  dimensione   di alcuni  metri, ed  evolversi  rapidamente  con sismicità modesta e segnali, quali  deformazioni del  suolo , variazioni di accelerazione di gravità locale, flusso di  gas e di calore, difficilmente rilevabili, almeno  nelle prime  fasi  del processo di risalita ,e  magari  anche   in quelle immediatamente  precedenti l’eruzione  .

Ed è proprio questo, lo scenario che prudenzialmente deve essere considerato, mentre le ipotesi che prevedevano ottimisticamente evidenti precursori e manifestazioni rilevabili della risalita del magma, seppure scientificamente validi, comportano, se adottati a fini di protezione civile, un azzardo inaccettabile.

Contrariamente, lo scenario di una risalita “silenziosa” del magma, attraverso sottili condotti, non rilevabili, attraverso il monitoraggio geofisico e geochimico, comporta la concreta possibilità di un mancato allarme o di un allarme solo a eruzione in corso o imminente. Di conseguenza, anche una evacuazione in frangenti eruttivi, deve essere   considerata e pianificata: questa eventualità non è considerata nei piani di emergenza. La statistica ci pone di fronte all’evidenza di non pochi casi registrati nel mondo, di evacuazioni avvenute con eruzione in corso, dettate da vulcani esplosivi e non, tra l’altro sottoposti a sistemi di monitoraggio avanzati e piani di emergenza mirati.

Il bradisismo flegreo può essere considerato un fenomeno che non riguarda direttamente le caratteristiche vulcaniche dell’area? Se l’ascesa del suolo dovesse continuare bisognerà preoccuparsi dei terremoti e quindi della statica dei palazzi o del pericolo vulcanico che avanza?

L’attività   sismica, associata all’attuale fase bradisismica, costituisce certamente un fondamentale indicatore dello stato e dell’evoluzione del sistema vulcanico, anche se per quanto detto di difficile interpretazione.

Coesistono modelli contrastanti sulle cause e la possibile evoluzione del bradisismo, ma in generale, la sismicità è interpretata come un effetto diretto del rilascio dello stress, prodotto dalla deformazione degli ultimi chilometri della struttura calderica per complessi processi di   circolazione dei fluidi all’interno del sistema geotermico, verosimilmente a causa di modificazioni nel sistema magmatico sottostante e/o della permeabilità dello stesso sistema geotermico.

L’esperienza delle passate crisi bradisismiche, suggerisce che la sismicità, e lo stesso bradisismo, non sono necessariamente precursori di eruzioni. In tempi storici, infatti, l’unico caso di eruzione a seguito di una prolungata   fase bradisismica, è quella del Monte Nuovo nel 1538. Ma è superfluo ribadire, come   nessuna valutazione probabilistica può avere senso per sistemi con così ampie lacune conoscitive.

Circa il rischio direttamente connesso con la sismicità, questo è risultato modesto nelle passate fasi bradisismiche, fino a magnitudo di poco superiori al quarto grado Richter. Ma è evidente, come dati gli elevati valori di accelerazione locale, dovuta alla bassa profondità ipocentrale, nonché alla diffusa disomogeneità dei terreni interessati, si renderebbe necessaria una valutazione accurata delle condizioni statiche degli edifici pubblici e privati, nell’intera area calderica dei Campi Flegrei, dei settori occidentali dell’area urbana napoletana e dei comuni limitrofi.

Il Professor Mastrolorenzo ha espresso con chiarezza il suo pensiero scientifico circa la previsione degli eventi vulcanici e la variante bradisismica. Di questo lo ringraziamo.

Da un punto di vista tecnico invece, occorre ricordare che non ci sono strumenti per quanto tecnologicamente avanzati, capaci di apportare sicurezze matematiche al vivere quotidiano delle popolazioni esposte al rischio vulcanico, tanto nel vesuviano quanto nei Campi Flegrei.

Purtuttavia è necessario avere contezza del rischio areale, ma poi occorre avere pure l’arguzia per comprendere che se da un lato la nostra corsa verso la conoscenza dei fenomeni vulcanici ad un certo punto si ferma per raggiunti limiti conoscitivi, nulla ci vieta di essere civicamente e criticamente presenti sul territorio, favorendo politiche organizzative, strutturali e infrastrutturali, capaci di mettere per quanto possibile in sicurezza la terra dove viviamo. Un territorio quello flegreo, che non potrà essere ancora oltre sovraccaricato di abitanti, magari adottando il prima possibile un vincolo di inedificabilità totale residenziale nella zona rossa, alla stregua di quanto fatto per il Vesuvio. Il sindaco Manfredi intanto deve sciogliere il rebus Bagnoli...





martedì 15 febbraio 2022

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: la probabilità eruttiva... di Malko

 



La direttiva del presidente del consiglio dei ministri pubblicata in gazzetta il 12/02/2021, tratta anche il fondamentale argomento ad oggetto l’allertamento delle popolazioni in caso di pericolo. In questo documento si paventa la possibilità di inaugurare quanto prima e dopo un periodo di prova, un sistema di allarme pubblico con tecnologia Cell broadcast, che consentirebbe di far giungere su smartphone e tablet, un messaggio di allerta zonale. L’anonimo destinatario allertato, dovrebbe mettere in atto tutte le misure di autoprotezione presumibilmente già contenute in dettagliati piani di emergenza comunali, ad oggetto uno o più rischi con cui sta convivendo.

In questa direttiva anticipatrice di tecnologia e nuove linee guida, c’è anche un passaggio che va oltre la semplice raccomandazione, e riguarda la necessità, a proposito delle emergenze, di chiarire i limiti scientifici delle previsioni probabilistiche. E poi evidenziare semmai sussistessero le condizioni, i dubbi relativi alla indisponibilità di dati o di misure precise per quantificare e qualificare il pericolo. Non ultimo occorrerà valutare pure le incertezze statistiche e strumentali che bisognerà aggiungere eventualmente ai possibili errori derivanti dall’imprescindibile discrezionalità umana, in quelle che possono essere le valutazioni e le decisioni che si comunicherebbero alle popolazioni, a fronte di un pericolo potenziale, immanente o manifesto.

Anche sul sito web della protezione civile nazionale a proposito del rischio eruttivo è scritto che:<< è bene ricordare che le previsioni di tipo probabilistico, non sono sempre possibili e non per ogni tipologia di fenomeno. Inoltre, queste previsioni sono fortemente condizionate dalla disponibilità di adeguate e numerose serie storiche di osservazioni collegabili all’effettivo verificarsi di eventi. Applicazioni di tipo probabilistico sono possibili solo per alcune fenomenologie che caratterizzano i vulcani attivi in forma permanente, ad esempio l’Etna e lo Stromboli>>.

Che ci sia un’esigenza di fare chiarezza sulle prerogative decisorie della scienza e della tecnica, ci sembra una necessità scaturita all’indomani degli opinabili pronunciamenti della commissione grandi rischi, che nel 2009 ebbe a sottovalutare gli indizi di pericolosità sismica nell’aquilano. Infatti, una settimana dopo il raffazzonato consesso rassicuratorio degli esperti, inviati in loco più per zittire che per chiarire, il terremoto si presentò implacabile (6 aprile 2009) col suo carico di morti.

Nella direttiva richiamata all’inizio sugli allarmi da indirizzare alle popolazioni, viene sottolineata pure la necessità, ai fini della trasparenza, di conservare i documenti da cui si possa evincere il contesto in cui si è operato, ancorché il modus pensandi et operandi che ha determinato quelle scelte che hanno poi acceso le procedure di allarme pubblico. In altre parole, chi assume delle decisioni importanti per la collettività, ne deve dare meticolosamente conto. Il problema tutto italiano è quello che siamo pronti ad infervorarci e puntare il dito sulle défaillance operative, ma poco o niente ci interessa delle omissioni, in alcuni casi eclatanti, ad oggetto la mancata prevenzione delle catastrofi. La prevenzione non è amata dagli amministratori perché per sua natura non produce visibilità e voti...

Comunicare e ancora comunicare la conoscenza e lo stato dell’arte, è dichiarato come dogma dal coordinatore della commissione grandi rischi per il rischio vulcanico, Prof. Francesco Dellino. Il Luminare in un’intervista (gennaio/2021), ebbe a lanciare un accorato appello affinché con umiltà si comunichi moltissimo e a tutti i livelli, da quelli politici alla popolazione, senza nascondere quello che ancora non si conosce. Premessa diremmo importante e democratica, anche se poi l’accademico delude un poco, ma magari è la prassi, quando precisa che egli opera in contesti dove si accendono discussioni a porte aperte seguite poi da discussioni a porte chiuse. La commissione grandi rischi, conclude, comunica con i verbali che contengono le decisioni finali da comunicare all’esterno.

La commissione grandi rischi (CGR), ebbe a sancire proprio con un verbale, che la linea nera Gurioli rappresentava coerentemente i limiti d’invasione dei flussi piroclastici nel vesuviano, per eventi eruttivi sub pliniani (VEI4): tipologia eruttiva quest’ultima, che la stessa commissione aveva classificato come eruzione massima attesa nel breve - medio termine.

La delimitazione scientifica della zona rossa Vesuvio quindi, con i successivi ampliamenti e distinguo e incongruenze di taglio amministrativo made in Regione Campania, è quella tuttora vigente. Le eruzioni pliniane non sono entrate in nessun onere previsionale, letteralmente sparite dall'orizzonte del possibile, perché secondo la probabilità statistica INGV, condivisa dalla CGR, gli eventi VEI5 sono stati classificati improponibili nel computo degli accadimenti possibili al Vesuvio, e da oggi in saecula saeculorum...

In un consesso tenutosi il 10 aprile 2019 presso le strutture della regione Campania, avemmo a proporre alle massime autorità scientifiche e dipartimentali (DPC) settore emergenze, un invito a varare regole per il riordino territoriale nel vesuviano, in ossequio ai principi di prevenzione delle catastrofi. Questa necessità doveva trovare input nella semplice riflessione che, con l’avanzare del tempo secolare, il rischio che un’eruzione del Vesuvio potesse assumere tipologia sempre più potente e invadente, doveva essere tenuta in debito conto dalle autorità comunali e regionali nella pianificazione degli assetti urbanistici nel vesuviano e dintorni. Intervenire oggi per rendere sicuro il domani, doveva essere un atto di prevenzione moralmente dovuto ai posteri, perché col passare del tempo il rischio di una pliniana non potrà più sottacersi. Nella malaugurata ipotesi che tale possente evento dovesse materializzarsi, pure i residenti ubicati oltre l’attuale zona rossa verrebbero travolti dagli effetti deleteri di una eruzione esplosiva. 

Nel contesto urbanistico contiguo alla zona rossa, nella figura sottostante rappresentato come corona circolare di colore arancio, la densità abitativa è in aumento, perché i primi chilometri a ridosso della zona rossa, vengono ritenuti incautamente sicurissimi. Si tenga presente che la legge 21/2003 non consente nella zona rossa 1 la realizzazione di opere residenziali, quindi l'offerta di alloggi, proviene dalla zona rossa 2 e da quella appunto arancio. Col passare dei decenni questi due settori "ammorseranno" con l'edilizia abitativa la zona rossa1, a tutto svantaggio della politica degli spazi e delle prassi evacuative.   


Nel dibattito conseguente la taglia eruttiva futuribile, la direttrice dell'osservatorio vesuviano affermò che da nessuna parte è scritto che il passare dei secoli possa incidere sull’indice di esplosività vulcanica (VEI). Continuando, l’accademica precisò che l’eruzione di scenario (VEI4) sub pliniana, presa ad esame per la determinazione della zona rossa Vesuvio, può essere diversamente rivalutata al rialzo, solo se le ricerche scientifiche che si svilupperanno in futuro porteranno a conclusioni revisioniste. Il trascorrere del tempo (ultrasecolare), secondo l’esperta è da considerarsi ininfluente sulla qualificazione della futura taglia eruttiva…

Avemmo a precisare alla dirigente, che la teoria dell’intensità eruttiva assolutamente slegata dai tempi di quiescenza, imponeva un urgente aggiornamento della letteratura scientifica vulcanologica esistente, visto che nei libri si recita esattamente il contrario. In questa tavola rotonda erano presenti e silenti pure il direttore operativo per il coordinamento delle emergenze del dipartimento della protezione civile nazionale (DPC), e il dirigente coordinatore per le attività di protezione civile della Regione Campania.  

Alla base di una siffatta teoria rivoluzionaria sulla tempistica millenaria delle dinamiche vulcaniche pliniane, forse c'è il lavoro scientifico pubblicato su Science Advances - 12 gennaio 2022, Vol. 8, Numero 2: opera intellettuale di alcuni ricercatori svizzeri e italiani, finanziati dal politecnico di Zurigo. Nel merito, il 25 gennaio 2022 il giornale il Mattino ebbe a lanciare questo titolo: «Vesuvio, la prossima eruzione devastante tra mille anni». Alcuni ricercatori come Francesca Forni, al riguardo ebbe a precisare:<<Sulla base del comportamento del Vesuvio osservato attraverso l’occhio dei granati durante gli ultimi circa 9 mila anni di attività, ipotizziamo che una futura eruzione Pliniana o sub-Pliniana che coinvolge magmi fonolitici, necessiterebbe di almeno un migliaio di anni di quiescenza>>.

Sul giornale della protezione Civile.it del 26 gennaio 2022 viene fornito qualche chiarimento in più su questo argomento con un articolo intitolato: Il Vesuvio si sta facendo una lunga siesta? Al ricercatore italiano che ha partecipato al lavoro scientifico, Dott. Sulpizio dell’università di Bari, è stato chiesto a cosa hanno portato di concreto le ricerche sulla datazione dei granati:<<Visto che l’ultima grande eruzione del Vesuvio potrebbe essere quella del 472 d.C. o del 1631, quello che ci aspettiamo è che per avere una ricarica di questo tipo e quindi un’eruzione di grande volume e intensità devono passare almeno 1000/1500 anni. Quello che non diciamo è che lo stesso valga per le eruzioni di dimensioni inferiori, come ad esempio quella del 1944 è di un ordine di grandezza inferiore a quelle di cui stiamo parlando". C'è stata l’interpretazione sbagliata che alcuni hanno dato della nostra ricerca. Noi ci riferiamo alle eruzioni pliniane, su quelle minori non possiamo affermare nulla. E anche per quelle più grandi non diciamo che non possa avvenire prima un’eruzione, ma che se estrapoliamo il dato del passato sembrerebbe che abbiamo ancora tempo prima che avvenga una forte eruzione del Vesuvio".

Da un punto di vista tecnico e mediatico, se questa teoria della eruzione pliniana che fiorisce a ritmi più che millenari dovesse consolidarsi, diverse generazioni di napoletani che risiedono e risiederanno fuori dalla zona rossa, ovvero arancio nel disegno sopra, potranno tirare un grosso sospiro di sollievo anche per i mutui bancari accesi. 

In questo ragionamento complessivo sugli eventi naturali particolarmente energetici, qualche tempo fa pure l’ex assessore regionale della Campania per la protezione civile, profferì che non bisogna pianificare avendo come visione gli eventi peggiori, altrimenti per le alluvioni dovremmo valutare il diluvio universale, e sarebbe un problema per tutti quelli che non si chiamano Noè. In verità a noi risulta che il diluvio universale sia stato un evento mitologico, e in ogni caso e alla stregua, sono un problema pure le eruzioni vulcaniche per tutti quelli che non si chiamano Efesto…

Premesso che circa tre milioni di abitanti vivono affastellati a tre distretti vulcanici ubicati nella sola area metropolitana di Napoli, i calcoli statistici legati alla probabilità di eruzione andrebbero fatti magari pure su lunghi periodi di quiescenza, ma inevitabilmente su tre vulcani. Allora tutto ciò che riguarda la vulcanologia, acquista nel napoletano una valenza operativa e mediatica di tutto rispetto per le inevitabili ricadute che tali argomenti potrebbero avere sulla sicurezza dei cittadini. Nell’attualità i partenopei sono accompagnati da una quiescenza di 720 anni per Ischia, 484 per i Campi Flegrei e 78 anni per il Vesuvio. 


A dirla tutta e scientificamente parlando, lo stato dell’arte a  proposito del Vesuvio e dei Campi Flegrei è così riassumibile: con buona probabilità prevedono di prevedere 72 ore prima l’insorgenza delle dirompenze vulcaniche: tecnicamente parlando, la incognita probabilistica si raddoppia…



sabato 9 maggio 2020

Rischio Vesuvio: l'eruzione vista da Miseno... di MalKo

Campi Flegrei - Bacoli

Probabilmente gli stranieri ma anche i connazionali di altre regioni che conoscono l’arcinoto Vesuvio, si chiederanno spesso come si faccia a vivere nel raggio d’azione del vulcano esplosivo più famoso della storia. D’altra parte nonostante si sappia che la situazione intorno a questo apparato è alquanto caotica e antropizzata, si dà per scontato che molto è stato fatto per la salvaguardia delle popolazioni, perché la nostra civiltà occidentale garantisce salute e sicurezza, grazie anche a regole che dovrebbero affondare nei principi della elementare prudenza. Quindi, avere per il vesuviano un collaudato piano di emergenza è il minimo auspicabile.

In realtà il piano di evacuazione che è l’allegato più importante del piano di emergenza, è un documento in itinere, mancando ancora di indicazioni operative da parte di alcune ritardatarie municipalità della zona rossa. Quando sarà pronto questo documento che in tutti i casi ha previsto misure di protezione solo per eruzioni medie VEI 4, dovrà poi essere ben conosciuto e diffuso alle popolazioni esposte, in modo che le azioni di salvaguardia consentiranno all’occorrenza di porsi con la distanza guadagnata con l’evacuazione (d), fuori dalla portata dell’eruzione.


L’ipotesi che il Vesuvio possa produrre un’eruzione pliniana (VEI5), alla stregua di quella che si materializzò nel 79 d. C. è stata letteralmente obliata dalla scienza e dai media e dalla politica. I ricercatori hanno generalmente e sostanzialmente annullato la precedente e annosa tesi, che quanto maggiore sarà il tempo di quiescenza tanto maggiore sarà l’intensità eruttiva che verrà. Questa affermazione se non poggia su consolidate basi scientifiche porterà con sé conseguenze dannose per i posteri, che erediteranno da noi risorse e pericoli in un territorio antropizzato oltre misura. Nell’odierno, tale concetto passato per deterministico, intanto offre riparo alle omissive scelte politiche e amministrative che avrebbero dovuto contemplare la necessità di estendere la zona rossa. L'iniziativa avrebbe consentito di dare maggiore spazio alla prevenzione del rischio vulcanico, per evitare di farsi cogliere impreparati dalle imprevedibili energie esplosive del sottosuolo chilometrico.

D’altra parte l’attuale assenza di direttive che vadano nel senso della prevenzione delle catastrofi, sono un elemento che dimostra con gli strumenti della logica che questa teoria della: indifferenza temporale sulla intensità eruttiva al Vesuvio, sia di fatto e nei fatti quella seguita dagli organi preposti. In realtà è talmente formidabile questa notizia, che i giornalisti divulgatori della scienza dovrebbero interessarsene, magari scrivendo sulle riviste specializzate la novella. Una novità che offre una miracolosa e inaspettata  liceità a quanti disattendendo a tutti i livelli l’attuazione di misure di prevenzione del rischio vulcanico, perseverano nel ritenere l'edilizia residenziale il volano inalienabile per la rinascita dell'economia nel vesuviano, anche ai limiti della modesta zona rossa.

Il Vesuvio è un vulcano che ha dato origine nel corso dei millenni ad eruzioni di varia intensità e portata, come quelle minimamente stromboliane che potevano semplicemente dare vita a un fenomeno turisticamente avvincente, ed altre altamente pericolose come quelle pliniane, che pur nella loro rarità hanno letteralmente sconquassato i territori ubicati intorno al vulcano per un raggio di decine di chilometri.

L’eruzione esplosiva del Vesuvio del 79 d.C., un evento di taglia VEI5, fu narrato da un giovane spettatore comasco, che ammirò lo spettacolo dell’eruzione da un’altra area vulcanica non meno pericolosa della prima come quella dei Campi Flegrei. Plinio il Giovane dimorava nella zona di Bacoli, essendo nipote di Plinio il Vecchio, ammiraglio della flotta navale romana stanziata a Miseno. Il giovane scrittore su richiesta dello storico Tacito, narrò dello zio e dell’eruzione, in due epistole: lettera VI 16 - VI 20.

L’eruzione in questione avvenne durante l’impero di Tito. Plinio il Vecchio, ammiraglio della flotta romana a Miseno, stava rielaborando i suoi appunti dopo essersi esposto al Sole e poi bagnato e ristorato. Nel mentre il nipote Plinio il Giovane leggeva alcuni passi di Tito Livio, la madre di quest’ultimo ebbe a segnalare ai due scrittori che una nube insolita scura gravava in direzione est. Plinio il Vecchio notò questa nuvola a forma di pino e decise, da buon naturalista, che occorreva andare in quei luoghi per verificare il fenomeno da vicino. Chiese che si preparasse una liburna, e nel mentre arrivò un biglietto della nobildonna Rectina che implorava il suo aiuto per essere tirata fuori dal lungomare vesuviano devastato dall’eruzione. L’ammiraglio allora, fece mettere in armo alcune quadriremi per portare soccorso alle popolazioni.   



Durante la navigazione, più le navi si avvicinavano al traverso di Ercolano, più sulle tolde cadevano i prodotti dell'eruzione. Alcuni bassofondi non consentirono l’approdo nella cittadina votata ad Ercole: Plinio allora, spronando l’equipaggio che non si sentiva al sicuro, ordinò di procedere senza indugi per la villa di Pomponiano ubicata a Stabia. Su questa riva il naturalista sbarcò e abbracciò il suo amico che attendeva venti favorevoli per prendere il largo con la sua barca già carica. In attesa che le condizioni meteorologiche mutassero, andarono nella villa del senatore dove cenarono e si riposarono in una condizione di terremoti frequenti. La pausa non durò a lungo, perché la pioggia di cenere e lapilli stava bloccando le porte col rischio di intrappolarli. Il gruppetto riparatosi la testa con dei cuscini fissati al meglio con delle fettucce, si allontanò in un contesto di buio vulcanico martellati dai piroclastici di caduta. Aiutati da torce, giunsero in prossimità del mare: l’ammiraglio si distese su un lenzuolo poggiato da un servo sulla coltre di cenere chiedendo acqua. Il terzo giorno dall’approdò, lo rinvennero come dormiente tra i lapilli vulcanici ma era morto. Probabilmente la causa del decesso doveva addebitarsi alla cenere inalata che ricordiamo ha una componente vetrosa e acida molto irritante, e alcuni gas vulcanici che in genere, come l’anidride carbonica e l’anidride solforosa ristagnano al suolo.

Plinio il Vecchio sulla spiaggia di Stabia (dal sito Asciacatascia)

Intanto il giovane Plinio rimasto a Miseno con la madre, dormì poco a causa dei terremoti che poi divennero particolarmente intensi. Madre e figlio titubavano a prendere decisioni e s’interrogarono sul da farsi. Sopraggiunse intanto un amico dello zio che li rimproverò perché tardavano a mettersi in salvo. Alle prime ore del giorno, l’atmosfera opaca che gravava sulla casa tremolante, li spinse ad allontanarsi dal caseggiato dove i carri pur fermi su terreno piano venivano sballottati a destra e a sinistra dai terremoti, addirittura mettendosi in moto. Il mare si ritrasse abbastanza da mettere al secco dei pesci sulla spiaggia oramai più estesa. Dalla parte opposta invece, videro una grande nube nera percorsa da saette che, dopo aver percorso la terra, si adagiò sul mare. Madre e figlio furono invitati ancora una volta a correre per mettersi al sicuro. Usciti dalla casa, lasciarono la strada principale per evitare schiacciamenti e resse. Poco dopo si sedettero per riposare, e a quel punto la cenere li avvolse e con essa la più nera delle notti. La gente che scappava si chiamava tra loro a gran voce essendosi persa in quel buio vulcanico. Il fuoco sembrò correre da lontano nella loro direzione ma poi si arrestò, in un turbinio di polveri cineree che sopravanzarono imbrattandoli, e quindi cercarono di scuotersela di dosso: l’idea che si faceva largo era che sarebbero presto periti. Ritornati nella casa di Miseno, nonostante i sussulti decisero di restare in quel luogo familiare in attesa di notizie dello zio che poi funeste arrivarono...

L’eruzione pliniana del 79 d.C. che devastò il vesuviano, è stata valutata con un indice di esplosività VEI 5. In quei frangenti drammatici, come si evince dagli scritti di Plinio il Giovane, una nuvola di cenere raggiunse anche la zona di Miseno portando una profonda oscurità che accrebbe la paura tra gli abitanti. Occorre dire che tra il centro eruttivo del Vesuvio e Miseno corre una distanza di circa 30 chilometri. I residenti dell’agglomerato urbano localizzato nei pressi della flotta navale romana, fuggirono per sottrarsi all’avanzata di questa nuvola scura che si avvicinava e che scatenò il panico anche per i sismi che scuotevano la terra. I fuochi che sembravano avvicinarsi, ma che poi si fermarono come narra Plinio, potrebbero essere stati degli incendi nelle case distanti causati dai terremoti: le fiamme a seconda dell’intensità della cenere, diventavano più o meno visibili dando l’idea del movimento che in realtà non c’era. Tra i principali effetti del terremoto, quello degli incendi è un danno collaterale abbastanza frequente.

Rimane il dato che a 30 chilometri di distanza è arrivata cenere vulcanica nella direzione opposta  a quella che ha favorito l’introduzione della zona rossa 2 (Est - Sud- Est): quale fenomeno l’ha portata lì? E i terremoti vulcanici al Vesuvio potevano risultare copiosi e intensi anche a 30 chilometri di distanza dal centro eruttivo? Per risolvere questi dubbi ricorriamo alle competenze del Prof. Giuseppe Mastrolorenzo, noto vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) che qui chiarisce:

<< Nelle due lettere di Plinio il Giovane a Tacito, è riportata senz’altro la prima descrizione dettagliata di un’eruzione esplosiva di grande portata. Il termine eruzione pliniana, è stato assunto nella letteratura vulcanologica per descrivere gli eventi esplosivi analoghi a quello narrato da Plinio il Giovane, ed è stato utilizzato per descrivere eventi come quello del Monte St. Helens, avvenuto nel 1980 o del Pinatubo del 1991.

Le ricerche vulcanologiche hanno rivelato come la descrizione dell’eruzione del 79 A.D. fosse adeguatamente dettagliata e priva di forzature letterarie. Ciò nonostante resta impossibile verificare con grande attendibilità scientifica alcuni elementi rilevanti dell’eruzione, quali ad esempio la durata e la tipologia degli eventuali fenomeni precursori, nonché l’entità della sismicità associata all’evento eruttivo. Resta inoltre non verificabile l’orario di inizio e la durata dell’eruzione.  
Circa la sismicità in fase sin-eruttiva non esistono evidenze oggettive, ma si può fare riferimento ad eruzioni pliniane analoghe, avvenute in tempi recenti a livello mondiale. In tali casi si è osservata un’attività sismica di magnitudo media, in genere non molto superiore al quinto grado Richter, e solo molto raramente associata a effetti al suolo di grande portata, se non nelle aree immediatamente prossime al centro eruttivo.

Quanto descritto da Plinio il Giovane relativamente al centro abitato di Miseno che sarebbe stato interessato da scosse di notevole intensità (come indicato dallo spostamento di carri), sembrano non compatibili con quelle potenzialmente associate a una possibile crisi sismica con magnitudo non elevate e ipocentri a distanze di circa trenta chilometri.

Per quanto riguarda il passaggio di una fitta nube alla fine dell’evento eruttivo sull’abitato di Miseno, questa è compatibile con l’ultima fase eruttiva del Vesuvio, caratterizzata dalla generazione di flussi piroclastici a bassa concentrazione con fronti di grande spessore e con elevata mobilità che ne consentiva l’espansione radiale fino a distanza dell’ordine di alcune decine di chilometri dalla bocca eruttiva.

Per la bassa densità, la scarsa concentrazione di particelle, la bassa temperatura e la bassa velocità di avanzamento, queste ultime nubi piroclastiche, a parte lo spavento non erano in grado di causare danni o mettere a rischio le comunità nell’abitato di Miseno. Cosa diversa invece, hanno appurato le mie ricerche negli abitati di Ercolano, Oplonti e Pompei, dove i residenti che si attardarono nella fuga morirono all’istante per effetto di temperature comprese fra 300° e 500° Celsius.  A fronte delle numerose ricerche pubblicate sull’eruzione del 79 A.D., restano ancora molte incognite, in particolare proprio sulla sua durata totale e sui precursori che hanno preceduto a medio e a lungo termine l’evento>>.


Ringraziamo il Professor Giuseppe Mastrolorenzo primo ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano (INGV) per i preziosi chiarimenti che ci ha fornito.















mercoledì 6 novembre 2019

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: si suona il trombone... di MalKo



Vesuvio - visto da San Giovanni a Teduccio


Sono molti anni che cerchiamo di capire quali dinamiche tanto istituzionali quanto politiche ci sono o dovrebbero esserci per mitigare il rischio vulcanico, sia nel vesuviano che nel flegreo, in modo da assicurare ai cittadini l’imprescindibile diritto alla sicurezza, attraverso una incisiva azione di prevenzione e preparazione al governo dell’emergenza, in modo da evitare che un evento assolutamente naturale come quello eruttivo, qualora dovesse presentarsi, possa trasformarsi in catastrofe.

Col tempo abbiamo constatato, generalizzando, che in tutte le istituzioni il settore protezione civile è affidato generalmente e con le dovute eccezioni, a miti esecutori avvezzi al compromesso surrettizio e all’accodamento acritico con le altre strutture preposte alla risoluzione delle emergenze. In ogni caso agli uffici di protezione civile comunale non è consentito di mettere becco nelle faccende di altri settori, e segnatamente nell’ufficio tecnico che rimane un tabù.

La protezione civile è un campo a volte mediatico dove spesso si pubblicizza il prodotto sicurezza che non c’è, alla stregua di quello che facevano per la redenzione delle anime gli eserciti della salvezza suonando la grancassa e il trombone. Ecco allora il proliferare di iniziative basate soprattutto sul pourparler e sullo spiegamento del variopinto quanto emerito volontariato… I volontari non lo sanno, ma a volte sono la cortina fumogena di un sistema che fa acqua da tutte le parti: un sistema che dovrebbe innanzitutto puntare sulla prevenzione delle catastrofi, ma che in realtà mira solo all’interventistica post evento dove le certezze sono assicurate dalle macerie.

Per lavorare di prevenzione infatti, occorrerebbe una multidisciplinarietà di conoscenze e d’intenti e d’interventi che molto spesso manca completamente al panorama comunale, regionale e nazionale, con un gravame che apparentemente a volte sembra cadere solo sulla parte scientifica del Paese. In realtà e per contratto di tutoraggio da parte del Dipartimento, la scienza balbetta risposte vaghe se si parla di previsione delle eruzioni… Sull’argomento l’onnipresente Osservatorio Vesuviano ripete che il Vesuvio e i Campi Flegrei sono monitorati dal più vecchio osservatorio vulcanologico del mondo, in una misura tale che appena ci si muove in quelle zone s’inciampa in qualche strumento. Il che non aggiunge un grammo alla previsione deterministica dell’evento eruttivo… La prevenzione invece, è una disciplina che per sua natura è invisibile e per questo poco amata dai politici, ma che diventa platealmente visibile quando fallisce.

Il corriere del mezzogiorno qualche giorno fa ha rilanciato notizie ad oggetto una relazione riservata sui Campi Flegrei, messa a punto da uno staff scientifico nel 2012. In realtà tale lavoro lo si conosce da anni, e ha nelle conclusioni aspetti che andavano sicuramente riportati in premessa, cioè che la materia vulcanologica è talmente complessa, che qualsiasi analisi può risultare fallace, e quindi i membri estensori del documento non si assumono responsabilità sull’utilizzo delle notizie riportate. Quindi lo staff scientifico offre solo pareri non vincolanti, rimandando all’autorità dipartimentale (DPC) qualsiasi decisione nel merito delle tutele…

La Protezione Civile allora, con queste premesse seguite dall’incapacità di incidere sulle amministrazioni comunali e regionali, è costretta a suonare il trombone delle esercitazioni per rassicurare. Queste manifestazioni, come exe flegreo 2019, sono state giudicate dalla parte proponente ampiamente riuscite perché si sono attivate sale operative nazionali, regionali, comunali e prefettizie e di comando e controllo, con gazebo, punti attesa e d’incontro e una moltitudine di volontari collocati su tutte le strade: è mancato solo il pubblico, che pur invitato ha preferito disertare e attingere come sempre qualche informazione rigorosamente dai social, postando like e preoccupazioni e commenti di ogni specie e acutezza…

Comitato Operativo DPC . Exe Flegreo 2019

Il Dipartimento della Protezione Civile dovrebbe veicolare direttive che abbiano una grande capacità propositiva verso le amministrazioni comunali e regionali, affinchè scelgano convintamente percorsi di prevenzione dei rischi per mitigare le conseguenze di fenomeni naturali molto energetici come le eruzioni vulcaniche. Un compito arduo che il Dipartimento in ogni caso dovrebbe provare a svolgere senza mai perdere la strada della competenza, magari evitando pure di mantenere sul sito web alla voce dossier Vesuvio informazioni inesatte.

Dalla pagina web del Dipartimento infatti, si legge che la nuova zona rossa comprende un’area esposta all’invasione di colate piroclastiche definita zona rossa 1. Vero. E poi un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture per accumulo di prodotti piroclastici (zona rossa 2). Vero. La ridefinizione di quest’area, recita ancora il dossier dipartimentale, ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione Campania, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare preventivamente. Inesatto. A titolo informativo questi comuni sono: San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati.

Vesuvio  eruzione 1944 - (Terzigno - Poggiomarino). Il campo d'aviazione americano
 bombardato da cenere e lapilli  che resero in brevissimo tempo inutilizzabile pista e aerei.

Ebbene la notizia è imprecisa, perché i comuni appena indicati furono effettivamente chiamati in causa dall’ex assessore regionale Ing. Edoardo Cosenza, ma solo per verificare se c’era la volontà comunale di classificare parte dei loro territori come zona rossa 1, in modo che venissero adottati limiti preventivi all’edilizia residenziale.

La zona rossa 2 costituita dai Comuni citati in precedenza, in caso di allarme vulcanico deve essere evacuata totalmente a prescindere dall’ubicazione puntiforme nell’ambito comunale e dalle caratteristiche tipologiche dell’edificio in cui si risiede. In realtà gli strateghi del piano Vesuvio volevano inizialmente optare per una evacuazione della zona rossa 2 a settori da definire con eruzione in corso, in ragione dell’intensità della pioggia di cenere e lapilli da cui bisognava difendersi, e fortemente dipendente dalla direzione dei venti dominanti non individuabile in anticipo. Ipotesi che non ebbe un seguito pianificatorio.

Di questo argomento avemmo a discutere anche dalle nostre pagine segnalando che durante l’eruzione del 1944, obiettivamente modesta, dal campo d’aviazione degli americani ubicato tra il territorio di Terzigno e Poggiomarino, i bombardieri non ebbero il tempo di sollevarsi in volo, e furono letteralmente bombardati da una pioggia di cenere e lapilli che in pochissimo tempo rese la pista e gli aerei inutilizzabili.

Vesuvio eruzione  1944 - (Terzigno - Poggiomarino). Il campo d'aviazione americano bombardato da
cenere e lapilli  che resero in brevissimo tempo inutilizzabile pista e aerei
Quindi il nostro pensiero era quello di non ritenere operativamente percorribile la strada del mantenere la popolazione della zona 2 sul posto in attesa di disposizioni evacuative con la pioggia di piroclastiti in atto, quale fenomeno subitaneo all’eruzione. Un’attesa che poteva rendere la respirazione estremamente difficoltosa, soprattutto a vecchi e bambini, con grosse problematiche agli occhi e alla gola le cui mucose sono facilmente irritabili dai minuscoli prodotti acidi e vetrosi dispersi nell’aria. Questo fenomeno della cenere poi, porta seco il possibile blocco dei motori, e poi difficoltà d’orientamento dovuto alla omogenea coltre di cenere che si deposita in ogni loco e  alla sopraggiunta oscurità vulcanica.

I motivi del perché il Dipartimento della Protezione Civile, pur invitato a farlo, non abbia corretto questa nota sulla zona rossa 2 Vesuvio non è dato saperlo. Presumiamo che comprendere le politiche alla base delle classificazioni delle zone a rischio vulcanico con tutte le possibilità e i limiti e le intenzioni palesi e nascoste che le contraddistinguono, richiede un grosso sforzo documentale. Quindi, certi argomenti non sono chiari neanche a coloro che lavorano alla pianificazione delle emergenze, e che avrebbero fatto bene a mettere insieme una sorta di testo coordinato sulle caratteristiche zonali vulcaniche, fatte da differenze scientifiche e incongruenze amministrative che caratterizzano tanto il vesuviano quanto il flegreo.

La pioggia di cenere e lapilli in seno ad un’eruzione esplosiva soprattutto d’intensità notevole non è uno scherzo; infatti, ancora non si sa quale debba essere la cosiddetta zona rossa 2 flegrea che, alla stregua della 1, è parimenti necessario evacuare preventivamente per garantire la sicurezza delle popolazioni. Il video che segue rappresenta la modestissima pioggia di cenere e lapilli manifestatasi a Stromboli susseguentemente all'eruzione parossistica del 3 luglio 2019.


Purtroppo temiamo che il centro storico di Napoli contenente la macro cefalica direzione metropolitana, dovrà rientrare nelle logiche evacuative preventive riservate alle zone rosse 2, con tutto ciò che ne consegue in termini di emergenza ed evacuazione. Tra l’altro un tale contesto ambientale non dovrebbe comprendere strategicamente parlando, un trasferimento massivo di migliaia di puteolani da Pozzuoli a Napoli Piazza Garibaldi, cioè da zona rossa a zona rossa, in quella che è una importante stazione ferroviaria ubicata tra i quartieri Pendino, Mercato, San Lorenzo e Vicaria, perchè zone  probabilmente soccombenti in caso di eruzione, al rischio ceneri e per questo zone rosse da evacuare.










lunedì 15 gennaio 2018

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: livelli di allerta e fasi operative... di MalKo




Il Vesuvio


I livelli di allerta vulcanica servono a sintetizzare attraverso un colore o un termine, lo stato di “agitazione” del distretto vulcanico in esame. Il monitoraggio continuo dei valori geochimici e geofisici viene attuato da una struttura generalmente scientifica che ha anche le competenze specialistiche necessarie per vagliare, analizzare, valutare e infine esprimere un parere sullo stato di unrest del vulcano. E’ prassi nel nostro Paese, che la valutazione finale circa la pericolosità di un apparato spetti poi alla Commissione Grandi Rischi sezione rischio vulcanico, tra l’altro e di recente rinnovata. Il referente di questo settore è ora il prof.  Pierfrancesco Dellino, ordinario di   Geochimica e vulcanologia presso l’università di Bari.
Il livello di allerta base - verde - indica che non si denotano variazioni significative dei parametri geochimici e geofisici monitorati. Ciò non toglie che il rischio eruttivo anche al livello base non è mai totalmente assente ma solo basso.

Il livello di allerta attenzionegiallo - indica che uno o più parametri legati ai dinamismi del vulcano sono cambiati e, quindi, si richiede un potenziamento di tutte quelle attività tecnico scientifiche atte a meglio inquadrare i processi endogeni in corso.
Il livello di allerta pre allarme - arancione - indica che le variazioni geochimiche e geofisiche presentano incrementi preoccupanti che potrebbero richiedere il passaggio successivo al livello di massimo pericolo.

Il livello di allerta allarme - rosso - indica che tutti i parametri fino a quel momento monitorati, lasciano ritenere molto probabile un’eruzione.

Livelli di allerta vulcanica

Il dato rilevante ai fini della tutela delle popolazioni esposte al rischio eruttivo è che bisogna tenere in debito conto, è la progressione dei tempi di attesa tra un livello di allerta e un altro: purtroppo non c'è proporzionalità aritmetica. Questo significa che si potrebbe passare da un colore all’altro in tempi molto differenti tra loro, magari con estrema lentezza o con una rapidità tale, da rendere possibile addirittura il salto di un livello. Viceversa la regressione sarebbe generalmente piuttosto lenta…

D’altro canto ricordiamo pure che tutte le stime sul momento esatto dell'eruzione sono di taglio probabilistico, e anche se possono essere statisticamente molto alte, non potranno mai raggiungere la certezza deterministica del 100% che può essere data solo e tangibilmente dalla ripresa eruttiva.   

I piani di evacuazione prevedono che dall’atto della dichiarazione dello stato di allarme le operazioni di allontanamento rapido della popolazione debbano durare complessivamente al massimo tre giorni (72 ore). La Regione Campania ha così diviso questo tempo: 12 ore per organizzare la macchina evacuativa; 48 ore per evacuare tutti i cittadini dal vesuviano o dal flegreo e le ultime 12 ore rimanenti sono intese come grasso che cola, cioè un surplus di tempo disponibile per recuperare eventuali disfunzioni che dovessero manifestarsi durante le operazioni di allontanamento.

E’ interessante altresì segnalare che burocraticamente il passaggio allo stato di attenzione vulcanica viene sancito dal dipartimento della protezione civile sentito il presidente della regione interessata. I livelli di allerta di pre allarme e allarme invece, vengono dichiarati dalla presidenza del consiglio dei ministri previa consultazione col presidente della regione interessata.

livelli di allerta e fasi operative

Nella tabella appena proposta, si nota come ad ogni passaggio di livello deve, ovvero, dovrebbe corrispondere una fase operativa di pari importanza. Nessuna di queste 4 fasi in ogni caso può sopportare l’assenza di un piano di evacuazione.

Molto riassuntivamente ricordiamo che nella fase di attenzione bisogna rodare a cura del Comune, il piano di evacuazione messo a punto precedentemente, e verificare ed eliminare tutte le criticità eventualmente esistenti nella viabilità e nel sistema locale di protezione civile. La fase di attenzione inoltre, richiede e si caratterizza per l’informazione da dare ai cittadini, che dovrà essere chiara, puntuale e a cura del sindaco o degli organi dipartimentali. Anche l’Osservatorio Vesuviano ad esempio, stante lo stato di attenzione vigente tuttora ai Campi Flegrei, emana un bollettino informativo settimanale oltre a quello mensile. Non bisogna confondere però, il bollettino scientifico da quello tecnico e amministrativo emanato dal sindaco, che dovrà contenere notizie utili all’organizzazione sociale e operativa del territorio in emergenza.

La fase operativa di pre allarme, comporta l’evacuazione preventiva degli ospedali e delle case di cura e delle carceri, così come sarà necessario mettere in sicurezza i beni culturali trasportandoli altrove ove possibile, o comunque tentare di metterli al riparo. In questo contesto è anche possibile che, quella parte di popolazione che lo desidera e che ha una residenza alternativa in luogo sicuro, possa allontanarsi autonomamente dalla zona a rischio vulcanico, magari segnalando lo spostamento all’autorità locale. In questo caso è previsto per chi va via un contributo di autonoma assistenza.

La fase di allarme prevede la totale e obbligatoria evacuazione delle popolazioni dalla zona rossa secondo le modalità previste dai piani di evacuazione che in verità ancora non si ufficializzano e quindi non sono vigenti. L’uscita dalla zona dichiarata pericolosa è consentita attraverso percorsi prestabiliti e da punti prestabiliti (cancelli). L'allontanamento riguarda anche il personale di tutte le forze istituzionali e volontari intervenuti. 
Ovviamente l’evacuazione può avvenire con autovetture private o con mezzi collettivi (Bus), con esigenze di alloggio diversificate secondo le necessità previste dallo schema riassuntivo che vi segnaliamo in basso, che classifica in A, B e C, le varie condizioni delle famiglie e dei singoli.

Le tre classi di assistenza

Le pianificazioni d’emergenza ad oggetto il Vesuvio e i Campi Flegrei, sono di carattere nazionale perché coinvolgono non solo la regione Campania ma anche tutte le altre  deputate all’accoglienza degli sfollati.

La Regione Campania è stata individuata dal dipartimento come ente referente per alcuni piani di settore: il più importante è quello ad oggetto le procedure e i mezzi e quant’altro necessita per l’allontanamento della popolazione dalla zona rossa; ed ancora tutto ciò che richiede e investe la Sanità e le telecomunicazioni di emergenza.
La strategia del piano di emergenza ad oggetto il rischio Vesuvio ma similmente anche per i Campi Flegrei, prevede come detto che nella fase di allarme la popolazione lasci la zona rossa usando i percorsi predefiniti nei piani locali armonizzati con le municipalità limitrofe.  Coloro che sono appiedati devono recarsi nelle aree di attesa (comunali) secondo le modalità e i mezzi previsti dal piano comunale di protezione civile.

Dalle aree di attesa alle aree di incontro (fuori zona rossa), il trasporto è assicurato da un servizio autobus/navetta a cura della Regione Campania.
Dalle aree di incontro ai punti di prima accoglienza, il trasferimento è garantito dalla regione ospitante (individuabile nella carta dei gemellaggi), e fino alle strutture di accoglienza.
Strategia del piano di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio

Le regioni italiane dovrebbero garantire trasporto intermedio e ospitalità alla comunità vesuviana o flegrea, secondo questo modello di gemellaggi Regioni/Comuni:
la mappa dei gemellaggi previsti per l'area vesuviana
Gemellaggi previsti per l'area flegrea


In conclusione dobbiamo ricordare che generalmente i livelli di allerta vulcanica, possono prevedere risposte operative molto diverse fra di loro, in ragione delle caratteristiche del vulcano da cui bisogna difendersi. Un apparato prevalentemente effusivo  potrebbe non richiedere un'evacuazione totale e preventiva della zona vulcanica, come invece è previsto e necessario quando il vulcano potrebbe caratterizzarsi per manifestazioni eruttive di tipo esplosivo, come ad esempio il Vesuvio o i Campi Flegrei.