Vesuvio - visto da San Giovanni a Teduccio |
Sono
molti anni che cerchiamo di capire quali dinamiche tanto istituzionali quanto
politiche ci sono o dovrebbero esserci per mitigare il rischio vulcanico, sia
nel vesuviano che nel flegreo, in modo da assicurare ai cittadini
l’imprescindibile diritto alla sicurezza, attraverso una incisiva azione di
prevenzione e preparazione al governo dell’emergenza, in modo da evitare che un
evento assolutamente naturale come quello eruttivo, qualora dovesse
presentarsi, possa trasformarsi in catastrofe.
Col
tempo abbiamo constatato, generalizzando, che in tutte le istituzioni il
settore protezione civile è affidato generalmente e con le dovute eccezioni, a miti
esecutori avvezzi al compromesso surrettizio e all’accodamento acritico con le
altre strutture preposte alla risoluzione delle emergenze. In ogni caso agli
uffici di protezione civile comunale non è consentito di mettere becco nelle
faccende di altri settori, e segnatamente nell’ufficio tecnico che rimane un
tabù.
La
protezione civile è un campo a volte mediatico dove spesso si pubblicizza
il prodotto sicurezza che non c’è, alla stregua di quello che facevano per la
redenzione delle anime gli eserciti della salvezza suonando la grancassa e il
trombone. Ecco allora il proliferare di iniziative basate soprattutto sul
pourparler e sullo spiegamento del variopinto quanto emerito volontariato… I
volontari non lo sanno, ma a volte sono la cortina fumogena di un sistema che
fa acqua da tutte le parti: un sistema che dovrebbe innanzitutto puntare sulla
prevenzione delle catastrofi, ma che in realtà mira solo all’interventistica
post evento dove le certezze sono assicurate dalle macerie.
Per
lavorare di prevenzione infatti, occorrerebbe una multidisciplinarietà di
conoscenze e d’intenti e d’interventi che molto spesso manca completamente al
panorama comunale, regionale e nazionale, con un gravame che apparentemente a
volte sembra cadere solo sulla parte scientifica del Paese. In realtà e per
contratto di tutoraggio da parte del Dipartimento, la scienza balbetta risposte
vaghe se si parla di previsione delle eruzioni… Sull’argomento l’onnipresente
Osservatorio Vesuviano ripete che il Vesuvio e i Campi Flegrei sono monitorati
dal più vecchio osservatorio vulcanologico del mondo, in una misura tale che appena
ci si muove in quelle zone s’inciampa in qualche strumento. Il che non aggiunge
un grammo alla previsione deterministica dell’evento eruttivo… La prevenzione invece,
è una disciplina che per sua natura è invisibile e per questo poco amata dai
politici, ma che diventa platealmente visibile quando fallisce.
Il
corriere del mezzogiorno qualche giorno fa ha rilanciato notizie ad oggetto una
relazione riservata sui Campi Flegrei, messa a punto da uno staff scientifico
nel 2012. In realtà tale lavoro lo si conosce da anni, e ha nelle conclusioni
aspetti che andavano sicuramente riportati in premessa, cioè che la materia
vulcanologica è talmente complessa, che qualsiasi analisi può risultare
fallace, e quindi i membri estensori del documento non si assumono
responsabilità sull’utilizzo delle notizie riportate. Quindi lo staff
scientifico offre solo pareri non vincolanti, rimandando all’autorità dipartimentale
(DPC) qualsiasi decisione nel merito delle tutele…
La
Protezione Civile allora, con queste premesse seguite dall’incapacità di
incidere sulle amministrazioni comunali e regionali, è costretta a suonare il
trombone delle esercitazioni per rassicurare. Queste manifestazioni, come exe
flegreo 2019, sono state giudicate dalla parte proponente ampiamente
riuscite perché si sono attivate sale operative nazionali, regionali, comunali
e prefettizie e di comando e controllo, con gazebo, punti attesa e d’incontro e
una moltitudine di volontari collocati su tutte le strade: è mancato solo il
pubblico, che pur invitato ha preferito disertare e attingere come sempre
qualche informazione rigorosamente dai social, postando like e preoccupazioni e
commenti di ogni specie e acutezza…
Comitato Operativo DPC . Exe Flegreo 2019 |
Il
Dipartimento della Protezione Civile dovrebbe veicolare direttive che abbiano
una grande capacità propositiva verso le amministrazioni comunali e regionali,
affinchè scelgano convintamente percorsi di prevenzione dei rischi per mitigare
le conseguenze di fenomeni naturali molto energetici come le eruzioni
vulcaniche. Un compito arduo che il Dipartimento in ogni caso dovrebbe provare
a svolgere senza mai perdere la strada della competenza, magari evitando pure di
mantenere sul sito web alla voce dossier Vesuvio informazioni inesatte.
Dalla
pagina web del Dipartimento infatti, si legge che la nuova zona rossa comprende
un’area esposta all’invasione di colate piroclastiche definita zona rossa 1.
Vero. E poi un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture per
accumulo di prodotti piroclastici (zona rossa 2). Vero. La ridefinizione di
quest’area, recita ancora il dossier dipartimentale, ha previsto anche il
coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione
Campania, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da
evacuare preventivamente. Inesatto. A titolo informativo questi comuni sono:
San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati.
Vesuvio eruzione 1944 - (Terzigno - Poggiomarino). Il campo d'aviazione americano bombardato da cenere e lapilli che resero in brevissimo tempo inutilizzabile pista e aerei. |
Ebbene la notizia è imprecisa, perché i comuni
appena indicati furono effettivamente chiamati in causa dall’ex assessore
regionale Ing. Edoardo Cosenza, ma solo per verificare se c’era la volontà
comunale di classificare parte dei loro territori come zona rossa 1, in modo
che venissero adottati limiti preventivi all’edilizia residenziale.
La
zona rossa 2 costituita dai Comuni citati in precedenza, in caso di allarme
vulcanico deve essere evacuata totalmente a prescindere dall’ubicazione
puntiforme nell’ambito comunale e dalle caratteristiche tipologiche dell’edificio
in cui si risiede. In realtà gli strateghi del piano Vesuvio volevano
inizialmente optare per una evacuazione della zona rossa 2 a settori da
definire con eruzione in corso, in ragione dell’intensità della pioggia di
cenere e lapilli da cui bisognava difendersi, e fortemente dipendente dalla
direzione dei venti dominanti non individuabile in anticipo. Ipotesi che non
ebbe un seguito pianificatorio.
Di
questo argomento avemmo a discutere anche dalle nostre pagine segnalando che
durante l’eruzione del 1944, obiettivamente modesta, dal campo d’aviazione
degli americani ubicato tra il territorio di Terzigno e Poggiomarino, i
bombardieri non ebbero il tempo di sollevarsi in volo, e furono letteralmente
bombardati da una pioggia di cenere e lapilli che in pochissimo tempo rese la pista e gli aerei inutilizzabili.
Vesuvio eruzione 1944 - (Terzigno - Poggiomarino). Il campo d'aviazione americano bombardato da cenere e lapilli che resero in brevissimo tempo inutilizzabile pista e aerei |
Quindi il nostro pensiero era quello di non
ritenere operativamente percorribile la strada del mantenere la popolazione della
zona 2 sul posto in attesa di disposizioni evacuative con la pioggia di
piroclastiti in atto, quale fenomeno subitaneo all’eruzione. Un’attesa che
poteva rendere la respirazione estremamente difficoltosa, soprattutto a vecchi
e bambini, con grosse problematiche agli occhi e alla gola le cui mucose sono
facilmente irritabili dai minuscoli prodotti acidi e vetrosi dispersi
nell’aria. Questo fenomeno della cenere poi, porta seco il possibile blocco dei
motori, e poi difficoltà d’orientamento dovuto alla omogenea coltre di cenere che
si deposita in ogni loco e alla
sopraggiunta oscurità vulcanica.
I motivi del perché il Dipartimento della
Protezione Civile, pur invitato a farlo, non abbia corretto questa nota sulla
zona rossa 2 Vesuvio non è dato saperlo. Presumiamo che comprendere le
politiche alla base delle classificazioni delle zone a rischio vulcanico con
tutte le possibilità e i limiti e le intenzioni palesi e nascoste che le
contraddistinguono, richiede un grosso sforzo documentale. Quindi, certi
argomenti non sono chiari neanche a coloro che lavorano alla pianificazione
delle emergenze, e che avrebbero fatto bene a mettere insieme una sorta di
testo coordinato sulle caratteristiche zonali vulcaniche, fatte da differenze
scientifiche e incongruenze amministrative che caratterizzano tanto il
vesuviano quanto il flegreo.
La
pioggia di cenere e lapilli in seno ad un’eruzione esplosiva soprattutto
d’intensità notevole non è uno scherzo; infatti, ancora non si sa quale debba
essere la cosiddetta zona rossa 2 flegrea che, alla stregua della 1, è
parimenti necessario evacuare preventivamente per garantire la sicurezza delle popolazioni. Il video che segue rappresenta la modestissima pioggia di cenere e lapilli manifestatasi a Stromboli susseguentemente all'eruzione parossistica del 3 luglio 2019.
Purtroppo
temiamo che il centro storico di Napoli contenente la macro cefalica direzione
metropolitana, dovrà rientrare nelle logiche evacuative preventive riservate
alle zone rosse 2, con tutto ciò che ne consegue in termini di emergenza ed
evacuazione. Tra l’altro un tale contesto ambientale non dovrebbe comprendere strategicamente
parlando, un trasferimento massivo di migliaia di puteolani da Pozzuoli a
Napoli Piazza Garibaldi, cioè da zona rossa a zona rossa, in quella che è una importante
stazione ferroviaria ubicata tra i quartieri Pendino, Mercato, San Lorenzo e
Vicaria, perchè zone probabilmente soccombenti in caso
di eruzione, al rischio ceneri e per questo zone rosse da evacuare.
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