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domenica 5 gennaio 2020

Rischio Vesuvio: fino a prova contraria... di MalKo



Vesuvio

Occorre dire che per anni tutte le componenti che s’interessano di protezione civile, hanno ripetuto come mantra che i piani di emergenza erano una realtà operativa pronta a garantire la sicurezza dei vesuviani. C’è voluto molto tempo e impegno per spiegare dalle nostre pagine che il piano d’emergenza esistente è ancora orfano del piano di evacuazione. Trattandosi di un piano di emergenza che tratta un solo grande pericolo (l’eruzione), con una sola grande risposta operativa (l’evacuazione), in assenza di strumenti pianificatori atti a garantire un ordinato e rapido allontanamento dal vulcano, non possiamo definirci a tutt'oggi tutelati.

Il 2020 può darsi che sarà l’anno della svolta, anche se bisogna annotare che la prima bozza del piano di emergenza Vesuvio risale al 1995. Quest’anno ricorre quindi il venticinquennale del chiacchierato e monco documento…

Per rendere maggiormente intuitivo il discorso, si tenga conto che il comune di Boscoreale pur essendo una delle municipalità maggiormente esposte al pericolo vulcanico, solo qualche giorno fa, il 27 dicembre 2019, ha  definito e approvato l'individuazione delle aree di attesa, anche se manca il piano complessivo entro cui inserire questa informazione e che in ogni caso non è stato pubblicato…

Il Comune di Scafati invece, mentalmente si ritiene fuori dal problema e, nonostante un lungo periodo di transazione con i commissari prefettizi e un finanziamento mirato e approvato nel 2015, non ha ancora un piano di evacuazione quale parte integrante di un serio piano di emergenza che, alla stregua di Boscoreale, non sembra sia stato pubblicato.

Il limitrofo Comune di Pompei pur non avendo ancora realizzato e pubblicato il piano di emergenza corredato da quello di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, è stato scelto come capofila per le politiche internazionali di resilienza ai cambiamenti climatici avviato dalle Nazioni Unite. Nel merito il rappresentate della protezione civile pompeiana, ebbe a dichiarare proprio presso il Dipartimento della Protezione Civile e in seno ad un ampio consesso di esperti e amministratori, che la cittadina mariana aveva problemi per accedere ai finanziamenti regionali necessari per l’aggiornamento del piano di emergenza comunale. Il 25 maggio 2019 anche il Comune di Pompei ha finalmente ricevuto 74.225 euro per procedere con la pianificazione che probabilmente e nella migliore ipotesi oggi sarà in itinere.

Il Dipartimento è ben visto dalla stampa e dall’opinione pubblica in genere, grazie anche alla simpatia che inducono i volontari. In qualche occasione però, i vertici del dicastero si sono tolti la veste buonista e hanno minacciato denunce per procurato allarme indirizzate a chi manifestava opinioni diverse da quelle governative.  È stato questo il caso del Prof. Mastrolorenzo, che dalle pagine del prestigioso National Geographic, ebbe a pubblicare un articolo che segnalava dal suo punto di vista una sottostima dello scenario eruttivo adottato al Vesuvio. 

Anche gli allarmi al radon del tecnico Giuliani che preannunciò un forte sisma all'Aquila nel 2009, fu motivo di denuncia e successivamente di assoluzione soprattutto perché il terremoto si presentò ahimè e per davvero il 6 aprile del 2009, schernendo la commissione e salvando il tecnico da una condanna. 

Il Dipartimento difese a spada tratta le conclusioni della cosiddetta commissione grandi rischi, riunitasi nel capoluogo abruzzese una settimana prima del rovinoso terremoto; un conclave scientifico che profferì conclusioni o micidiali silenzi che non valsero a scongiurare al vice capo dipartimento una condanna penale a due anni per negligenza e imprudenza. 

In termini di previsione dell’evento vulcanico, l’Osservatorio Vesuviano continua a ripetere che nell’area vesuviana e flegrea ci sono imponenti sistemi di sorveglianza che sono una garanzia predittiva. Appare allora strano che con cotanta tecnica lo stesso Osservatorio non fu in grado di assegnare un epicentro al terremoto di Ischia del 21 agosto 2017. In quel caso non bisognava predire ma classificare geograficamente un evento già avvenuto. Occorsero circa quattro giorni per arrivare a una precisa collocazione del fuoco sismico.... Può succedere certo, ma i piani di evacuazione si basano su un preavviso eruttivo di appena tre giorni.

Anche nelle pagine web del Dipartimento alla voce dossier dettaglio ad oggetto il rischio Vesuvio, si registra un refuso di una certa importanza. Questo:

La nuova zona rossa, a differenza di quella individuata nel Piano del 2001, comprende oltre a un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2). La ridefinizione di quest’area ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare preventivamente. 


Senza entrare nei dettagli, in realtà la zona rossa 2 alla stregua della zona rossa 1 è totalmente da evacuare in caso di allarme vulcanico. In questo caso i cittadini di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, dovranno lasciare immediatamente i propri territori e recarsi rispettivamente nelle regioni Umbria, Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia secondo le modalità previste dai rispettivi piani di evacuazione. 



Nella zona gialla invece, le attuali indicazioni prevedono che nel corso dell’eruzione possa presentarsi la necessità che alcune porzione del territorio poste sottovento al vulcano e sottoposte alla pioggia di cenere e lapilli, precauzionalmente potrebbero essere  temporaneamente evacuate.Modalità per fronteggiare le problematiche della zona blu non sono ancora all'ordine del giorno regionale. 


Il dovere di produrre ogni utile azione capace di favorire il riordino dei territori e quindi di ridurre la vulnerabilità del tessuto abitativo e produttivo del vesuviano, doveva essere un atto di lungimiranza politica dovuta ai posteri. Il problema grosso però, è che i posteri non votano…

Le logiche di prevenzione, come abbiamo avuto più volte modo di scrivere, avrebbero voluto che i territori vulcanici fossero diversamente e urbanisticamente meglio organizzati e meno abitati, evitando così gli errori del passato, perché un’auspicata e lunga quiescenza potrebbe introdurre il pericolo pliniano (VEI5), e quindi una diversa e più estesa perimetrazione della zona rossa sarebbe risultata fondamentale per frenare la spinta antropica residenziale. 

Lo scenario di riferimento adottato per la determinazione della zona rossa invece è sub pliniano con un indice di esplosività vulcanica VEI4. Secondo le indicazioni riportate a supporto di questa tesi nella pagina web del Dipartimento si legge: 
  1. sulla base degli studi statistici, per il Vesuvio risulterebbe più probabile (di poco superiore al 70%) l’evento di minore energia (VEI=3), tuttavia gli esperti hanno ritenuto che lo scenario di riferimento da assumere dovesse essere un’eruzione esplosiva sub-Pliniana con VEI=4 per le seguenti motivazioni:
  2. ha una probabilità condizionata di accadimento piuttosto elevata (di poco inferiore al 30%);
  3. corrisponde ad una scelta ragionevole di “rischio accettabile” considerato che la probabilità che questo evento venga superato da un’eruzione Pliniana con VEI=5 è di solo l'1%;
  4. dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione di tipo Pliniano.
In realtà la commissione incaricata di produrre gli scenari eruttivi di riferimento, ha offerto due tabelle da cui evincere statisticamente la probabilità che possa manifestarsi un'eruzione di una certa intensità, in base a due archi di tempo così come riportato nella legenda sottostante che vi invitiamo a vagliare.


Gli esperti non hanno tirato delle conclusioni univoche per la definizione dello scenario eruttivo, altrimenti non avrebbero riportato due possibilità statistiche, ma hanno rimandato al Dipartimento della Protezione Civile la scelta maggiormente garantista per le popolazioni. Sono state indicati dicevamo, indici probabilistici lasciando all'organo dipartimentale la decisione di scegliere l'arco di tempo da adottare, e quindi gli stili eruttivi da fronteggiare: la tabella B è stata ritenuta più adatta con l'1% di possibilità pliniana a differenza della tabella A col suo ragguardevole 11%. 
Dobbiamo quindi concludere che l'incertezza scientifica si è avvalsa delle decisioni politiche, alla stregua del concetto di rischio accettabile che non può essere una valutazione scientifica ma anch'essa squisitamente politica.

Anche il concetto di camera magmatica superficiale con poco magma che è stato chiamato in causa dal gruppo di lavoro per sostenere la scelta dello scenario sub pliniano è fumoso, perché il magma dell’eruzione pliniana del 79 d.C., l’eruzione di Pompei per intenderci, è saltato fuori dalle profondità e non dalle superficialità del sottosuolo.  

Quando nei primi mesi del 2019 ci è stata offerta la possibilità di interloquire con i vertici della Protezione Civile nazionale e regionale ed ancora con la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, abbiamo rimarcato il concetto che forse circoscrivere anche un'area oltre la zona rossa dove applicare nel tempo le regole della prevenzione, sarebbe stata una iniziativa saggia. La letteratura scientifica infatti, afferma che quanto maggiore sarà la quiescenza del Vesuvio, tanto maggiore sarà l’energia dell’eruzione che verrà, e quindi pianificare azioni volte a mitigare la vulnerabilità dei territori, ci sembra e ci sembrava un atto dovuto a quelli che verranno dopo di noi.

La direttrice dell'Osservatorio in quella sede lasciò intendere che non c’era una correlazione tra i tempi di quiescenza e l'intensità eruttiva. In verità rimanemmo interdetti perché il rapporto tra tempo di quiescenza e potenza dell'eruzione ci sembrava addirittura un luogo comune particolarmente diffuso nella letteratura scientifica vulcanologica... Evidentemente non è così.

Ebbene recentemente ci è capitato di leggere un’intervista al prof. Luongo che nel merito degli scenari eruttivi  ha detto ancora di più, cioè che questi non cambiano col passar del tempo, ma si modificano solo con l’avvento di nuove scoperte scientifiche. In altre parole le cose rimangono così come sono e fino a prova contraria. Del resto anche la commissione grandi rischi nel verbale del 27 giugno 2012 auspicava che lo scenario di riferimento venisse rimodellato con l'acquisizione di nuove scoperte scientifiche senza citare alcuna criticità dovuta al passare del tempo. Il problema di fondo però, rimane la coerenza tra interviste, relazioni scientifiche, video, eloqui pubblici e pubblicazioni di servizio e stampa, dove si dice tutto e il contrario di tutto. 

In tutti i casi occorre anche che si capisca che i territori vulcanici devono essere sede di pianificazione della prevenzione delle catastrofi. La scienza non può dopo un certo numero di anni continuare a ridisegnare i confini delle zone rosse perché non si è ritenuto opportuno adottare l'eruzione massima conosciuta come eruzione di riferimento. 
  
Se fosse vero che la protratta quiescenza ci porta verso un’eruzione sempre più energetica, avremmo forse il tempo necessario anche se secolare  per riqualificare i territori vulcanici. Se il tempo non ha nessuna incidenza sull'intensità eruttiva invece, allora bisogna resettare tutte le nostre considerazioni sul pericolo vulcanico, focalizzando gli interventi all’interno della linea nera Gurioli, (vedi figura sottostante), cioè quella linea che definisce i limiti di scorrimento delle colate piroclastiche in seno ad eruzioni non eccedenti l'indice di esplosività vulcanica prescelto che è VEI4.


In realtà ai comuni della vecchia zona rossa, soprattutto quelli costieri, interessa poco la scelta dello scenario eruttivo, perché i loro problemi non cambiano con la potenza eruttiva sub pliniana o pliniana: in entrambi i casi sarebbero coinvolti. Certamente ci sono altre municipalità che non possono ritenersi al sicuro da una pliniana, come ad esempio le tre municipalità di Napoli, oppure Volla o anche Poggiomarino e Scafati e Striano e Saviano. 
Tra l'altro si è anche in presenza di una situazione paradossale dove, in caso di un evento vulcanico VEI 3, cioè il più basso auspicabile, Poggiomarino e Scafati e Striano sarebbero statisticamente quelli più svantaggiati al di là della linea Gurioli.

Riteniamo che il motivo principale che ha caratterizzato la scelta dipartimentale e regionale, di una eruzione di riferimento medio bassa in luogo di quella massima conosciuta, ha avuto probabilmente come riferimento guida la mediazione tutta politica e non dichiarata basata sulla formula dei costi benefici. In linea di principio il concetto potrebbe avere una sua logica anche se poco condivisibile, ma bisogna dichiararlo e chiarirlo, perché è un atto dovuto ai cittadini soprattutto a quelli che vivono ai limiti della zona rossa e che si ritengono mentalmente al sicuro da un'eruzione a prescindere dalla potenza. 

In conclusione vorremmo chiarire che nel campo delle emergenze va da sé che non si può aprire un dibattito nazionale su cosa è meglio fare perché sarebbe dispersivo e inconcludente e non si riuscirebbe a mettere un punto fermo ai discorsi e alle congetture. Però, neanche si può ridurre la questione a un così è se vi pare...  

Il concetto che a fronte di un mastodontico piano di evacuazione tarato su alcuni milioni di abitanti per fronteggiare un evento pliniano che qualcuno si è assunto la responsabilità di minimizzarlo al punto da estinguerlo, potrebbe avere anche motivazioni di ordine territoriale e sociale. Occorre in ogni caso tenere aperti i canali dell'informazione corretta e puntuale, in modo da consentire l'autodeterminazione ai cittadini che in tutta autonomia potrebbero decidere di lasciare questi luoghi per sottrarsi ai rischi. Argomentare darebbe trasparenza a un pericolo naturale tra i più energetici e rischiosi al mondo. In tutti i casi la diatriba sullo scenario scientifico intanto non giustifica il lassismo e il pressapochismo delle amministrazioni coinvolte, che allo stato attuale non sono in grado neanche di fronteggiare un incendio della pineta sul Vesuvio... 

Il Dipartimento della Protezione Civile forse dovrebbe evitare di dare l'idea dei men in black, calando da Roma per raggiungere il vesuviano o il flegreo organizzando e dirigendo magari le esercitazioni per poi ritornare alla base senza neanche la necessità di far scattare la penna anti ricordo, perché il giorno dopo le amministrazioni hanno già dimenticato tutto…

L'Osservatorio Vesuviano destinatario della clausola di riservatezza che è visto con sfavore dall’opinione pubblica informata sull'argomento, è auspicabile che mantenga alto un profilo operativo senza sentire il dovere non contrattuale di puntellare altre strutture dello Stato. Alle Prefetture andrebbe completamente tolta ogni forma di competenza sull'organizzazione e sulla pianificazione dei soccorsi, perché questa struttura periferica dello Stato vive di affanni già sull'oggi con i problemi diuturnamente fuori dalla porta; quindi, è lontana mille miglia dalle tematiche preventive ancorché futuribili dell'eruzione che verrà. 

Ovviamente i Campi Flegrei rientrano interamente nelle logiche complessive che abbiamo appena esposto.
























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