Translate

Visualizzazione post con etichetta zona gialla Vesuvio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta zona gialla Vesuvio. Mostra tutti i post

lunedì 2 dicembre 2024

Rischio Vesuvio: la prevenzione al ribasso...di Malko

Le zone pericolose al Vesuvio

Per poter meglio rappresentare i concetti ad oggetto la prevenzione della catastrofe vulcanica legata a una possibile eruzione del Vesuvio, una premessa che spieghi in che modo  è stato suddiviso il territorio della plaga vesuviana è necessaria per la comprensione della diversificazione del pericolo. Lo spaccato proposto in basso ci sembra adatto allo scopo.



La zona rossa 1 (R1) circoscrive il territorio invadibile da qualsiasi fenomenologia vulcanica, ma soprattutto dalle micidiali colate piroclastiche che andrebbero a formarsi prevalentemente  in seno ad eruzioni esplosive di tipo sub pliniane (VEI 4) e pliniane (VEI 5). Tale dirompente fenomeno in genere si presenta susseguentemente al collasso della colonna eruttiva, che può raggiungere altezze stratosferiche, per poi collassare sui pendii del vulcano scivolando e avanzando con violenza distruttiva sul terreno, ma anche sul mare, a una temperatura di diverse centinaia di gradi Celsius, sufficiente e in pochi secondi, a vaporizzare i liquidi corporei di chiunque venisse raggiunto dai flussi ardenti.

Per poter stabilire a che distanza dal Vesuvio ci si possa ritenere sufficientemente al sicuro da siffatta micidiale fenomenologia, occorre adottare un’eruzione di riferimento indagandone il passato rappresentato dai limiti di deposito del materiale veicolato dai flussi nella loro avanzata.

Nel merito del problema, gli strateghi hanno ritenuto di non pianificare sull’eruzione massima conosciuta al Vesuvio, bensì su quella che loro considerano l’evento massimo probabile. Con siffatta premessa, l’autorità scientifica ha indicato come eruzione di riferimento una sub pliniana, evento medio con indice di esplosività VEI 4. Con questo incipit è stata individuata la zona rossa 1 ad alta pericolosità vulcanica.



La zona rossa 2 (R2) invece, individuata a est del vulcano, è quella dove il sistema di protezione civile ritiene pericolose non già le colate piroclastiche, bensì la notevole pioggia di cenere e lapilli che renderebbe nel giro di qualche ora, la vivibilità anche in zona rossa 2 pericolosa o quantomeno problematica. Gli accumuli poi dei prodotti piroclastici sui tetti piani, causerebbero il crollo delle coperture meno resistenti, e a seguire dei solai sottostanti. Le ceneri sottili asperse in aria comporterebbero con il loro contenuto di silicio seri problemi alla respirazione e agli occhi. Il contesto sarebbe di oscurità, con disturbi alle telecomunicazioni e il blocco dei motori. Le zone rossa 1 e 2 hanno caratteristiche diverse, anche se il colore identifica e accomuna la stessa necessità dell’evacuazione preventiva in caso di allarme eruttivo. Stranamente, in zona rossa 1 sussiste l’inedificabilità ad uso abitativo (legge regionale 21/2003), mentre non ci sono limiti residenziali in zona rossa 2. 

La zona gialla è quella dove la ricaduta di cenere e lapilli dovrebbe essere di minore intensità. In ogni caso il fenomeno potrebbe cagionare molti disagi agli abitati che si trovano allineati  col cratere e col vento che generalmente spira verso est. Il piano di emergenza nazionale prevede di evacuare in corso d’eruzione quei settori gialli maggiormente colpiti.

C’è poi una zona blu a nord del vulcano, poco pubblicizzata dai media, che interessa la superficie depressa del nolano. I problemi in questo settore sarebbero quelli propri della zona gialla, a cui si aggiungerebbero quelli alluvionali dettati dalla gran quantità d’acqua espulsa dall’eruzione, in un contesto di terreni impermeabilizzati dalle ceneri fini. In passato il livello delle acque che si accumularono nella conca nolana, superarono largamente i due metri di altezza.



 Gli eventi estremi.

Sembrerà strano, ma grazie a stazioni di osservazioni astronomiche anche amatoriali, in genere si riesce a cogliere in anticipo il rischio di un impatto con un meteorite, pure mesi prima, stabilendo l’entità del pericolo dalle dimensioni dell’oggetto, dalla composizione chimica del corpo astrale, dalla sua velocità e dalle coordinate stimate di contatto con una precisione a mano a mano crescente.

Purtroppo, essendo il sottosuolo terrestre precluso alle indagini dirette, se non in un modo puntiforme e con profondità massime fin qui raggiunte di circa 12 chilometri, l’analisi dei dinamismi che agitano la litosfera, sono  affidate alle prospezioni indirette, e quindi inevitabilmente nella loro complessità sono generiche, e almeno per il momento senza una particolare utilità deterministica necessaria per la previsione delle catastrofi naturali ascrivibili ai terremoti e alle eruzioni vulcaniche.

In altre parole, non è possibile prevedere quando si manifesterà la prossima eruzione del Vesuvio, anche se molti esperti sono sicuri che l’eventuale progredire dei prodromi pre-eruttivi, fornirebbero elementi utili per definire in tempi corti e con buona approssimazione il momento dell’eruzione.

I piani di emergenza e di evacuazione sono tarati su settantadue ore, quale tempo che gli strateghi ritengono necessario per il rapido allontanamento dei settecentomila abitanti dalla plaga vesuviana. Quindi, una previsione per essere utile deve comprendere un allarme rosso diramato con sufficiente anticipo sull'evento, calcolando pure il tempo necessario per lanciare e rilanciare il segnale di rapido allertamento (it-alert) alla popolazione. I tempi dell'azione si abbreviano se ogni cittadino conosce bene il da farsi all'occorrenza, muovendosi secondo i dettami del piano di emergenza, e senza alcun tentennamento nell'assunzione delle decisioni che comprendono l’impossibilità di salvare i beni materiali.

L’espediente evacuativo consentirebbe di interporre entro 72 ore una distanza (d) tra il pericolo eruttivo (P) e il Valore esposto (VE). 


 

Le modalità evacuative sono state diversificate e sono state formalizzate secondo logiche aritmetiche come da palline sul pallottoliere, e quindi l’efficacia delle procedure di allontanamento rapido non sono matematicamente assicurate, così come non c'è certezza del disciplinato comportamento della popolazione, che è strettamente commisurato alla percezione fisica del pericolo. A tal proposito le autorità sperano in un massiccio allontanamento della popolazione già nella fase di preallarme, per avere numeri ridotti da mobilitare se si arriva al livello successivo di allarme. Tecnicamente però, anche qui non c’è certezza che si riesca a cogliere la soglia del preallarme, così come non c’è certezza sui tempi di durata di questa condizione geologica, se la si coglie, e che può dilungarsi oltre misura, o al contrario essere immediatamente surclassata o addirittura saltata dall’allarme generale rosso.

Il vulnus non è solo nella previsione d'eruzione assolutamente incerta, ma è anche sulla incognita della tipologia eruttiva. Infatti, non è dato sapere in anticipo quando e con quali caratteristiche le energie irromperanno in superficie, perché eventuali prodromi possono forse annunciare in tempo utile il momento eruttivo, ma non la tipologia dell’eruzione che rimane un dato qualificabile solo dopo l’eruzione. 

Questi due elementi di incertezza sono la spina nel fianco delle pianificazioni di emergenza, tanto nel vesuviano quanto nel flegreo. Quindi, nella formula semplificata del Rischio (R) R= P x VE che prima abbiamo schematizzato graficamente, occorre evidenziare che il rischio aumenta se aumentano uno o entrambi i fattori in formula. Il Pericolo (P), cioè la pericolosità vulcanica, è destinata ad aumentare col passare dei decenni, dei lustri e dei secoli. Purtroppo anche il valore esposto (VE), in assenza di regole urbanistiche che vietino gli insediamenti residenziali leciti o illeciti, è un dato destinato a crescere. L’aumento dei due fattori provoca l'aumento del rischio vulcanico, che già oggi ha raggiunto livelli di inaccettabilità, perché il territorio non è strutturato e la popolazione non è preparata al meglio per una possibile evacuazione massiva.

Nella plaga vesuviana gli scienziati e i tecnici del dipartimento della protezione civile e della Regione Campania, hanno deciso, come detto, di pianificare tenendo conto di uno scenario eruttivo medio di tipo sub pliniano (VEI4), che accorperebbe anche le esigenze protettive legate a un evento VEI3 al Vesuvio, che gli esperti dell'osservatorio vesuviano tra l’altro reputano il più probabile. Rimane il fatto che assumendo un’eruzione media (VEI4) come scenario di riferimento per i piani di emergenza, si esclude di fatto l’eruzione pliniana dal novero delle possibilità  di accadimento, assegnando alle decisioni così assunte forzate caratteristiche  deterministiche che deterministiche non sono. Lo dimostra il fatto che non è stato elaborato alcun piano d’emergenza capace di fronteggiare eruzioni a maggiore energia. Questo modus operandi legato all’assunzione del pericolo medio e non quello massimo conosciuto negli scenari eruttivi di riferimento, certamente agevola la stesura dei piani di emergenza perché riduce il territorio d’intervento, ma con esso si riducono pure le superfici che dovrebbero essere inedificabili o regolamentate per assicurare politiche strutturali di prevenzione della catastrofe vulcanica, soprattutto a favore dei posteri...

Lo schema sottostante riporta le tre tipologie eruttive che possono interessare il Vesuvio, partendo dal principio che esiste un valore probabilistico che diminuisce marcatamente in rapporto all'aumento dell'indice di esplosività vulcanica. Nel merito della pericolosità, occorre ricordare che qualsiasi di queste tre tipologie eruttive produce la pioggia di cenere e lapilli. Le eruzioni sub pliniane e pliniane invece, si caratterizzano per la formazione anche di colate piroclastiche oltre a tutti gli altri fenomeni che caratterizzano un'eruzione esplosiva.



Gli eventi come un’eruzione pliniana sono quelli da cigno nero, cioè sono quelli estremi che sfuggono in linea preventiva ai modelli teorici di pericolo ancorché esclusi e marginalizzati dalla chiave probabilistica, tant’è che poco o per niente se ne parla in pubblico, perché subentra un certo imbarazzo a sostenere quello che quasi tutti giudicano una vera iattura da esorcizzare… D’altro canto è difficile mettere in guardia da un evento calamitoso di grandissima portata, quando non c’è esperienza diretta o ravvicinata di questi scenari peggiori, sia da parte degli scienziati che della popolazione.

Il pericolo vulcanico al Vesuvio contiene in sé tre possibilità  che possono caratterizzare operativamente lo sviluppo del fenomeno eruttivo con grandissime differenze per la salvaguardia della vita umana. Infatti, le condizioni  operative che possono segnare il momento preeruttivo, possono essere diverse:

-        mancato allarme;

-        falso allarme;

-        successo previsionale con relativa evacuazione.

Una quarta possibilità che non viene mai citata o presa in considerazione, il famoso vulnus di fondo, è insita proprio nella tipologia eruttiva, perché qualora l’eruzione dovesse assurgere a dimensioni da pliniana o simil pliniana, cosa che nessuno può escludere, si verificherebbe nella migliore delle ipotesi un successo previsionale accompagnato da catastrofe vulcanica. Per quanto rara questa possibilità, il surplus energetico fuori piano andrebbe a interessare e invadere con i flussi piroclastici anche la zona contigua alla rossa 1 e 2, che noi chiamiamo zona rossa VEI5. In questa corona circolare schematizzata nel grafico sottostante, non c’è alcuna prevenzione strutturale e sussiste l’impreparazione totale della popolazione che non è destinataria di procedure evacuative e né tantomeno pone attenzione al problema del rischio vulcanico. In altre parole, i residenti della zona rossa VEI5, in caso di eruzione rimarrebbero fermi o si muoverebbero tardi e caoticamente per sfuggire alle ostilità vulcaniche lì mai previste.  



Nel territorio della provincia di Napoli e a ridosso delle plaghe vulcaniche, l’urbanizzazione è partita da lontano ancorché favorita dai vantaggi offerti dal territorio fertile e dalla contiguità col mare che è una importantissima risorsa economica e commerciale. L’urbanizzazione non è stata evitata in passato perché le eruzioni, almeno nel nostro caso,  non sono eventi annuali come i monsoni, e poi perché nessuno voleva rinunciare alle sue proprietà terriere: la terra non è traslocabile... Più di recente perché nessun politico o amministratore o istituzione ha inteso ricordare al popolo amministrato e che di fatto non vuole politiche di ansia e di rinunce, che in questi territori ameni e ricchi di storia, la pericolosità eruttiva è immanente e senza possibilità di disinnesco. La notizia che alleggerisce l’ansia di vivere in un territorio a rischio, è stata offerta dalla scienza che palesa la possibilità di prevedere per tempo un’eruzione, così come riportato nelle FAQ dell’osservatorio vesuviano che recita: Non è possibile prevedere a lungo termine quando ci sarà la prossima eruzione. Tuttavia, grazie alla sorveglianza del vulcano è possibile rilevare con ampio anticipo l'insorgenza di fenomeni precursori, che generalmente precedono un'eruzione, e procedere all'evacuazione prima che avvenga l'eruzione.

Con questa ottimistica premessa, i problemi di tutela vitale automaticamente risultano tutti risolti, al punto da non doversi prevedere necessariamente sostanziali e drastiche politiche di prevenzione.

Rimane il dato tutt’altro che incoraggiante però, che anche le moderne stazioni multi parametriche esibite dall'osservatorio vesuviano come la chiave di volta tecnologica della previsione d’eruzione e quindi della sicurezza areale, forniscono in realtà solo dati che dovranno essere analizzati “manualmente” dalla commissione grandi rischi,  perché la previsione è ancora oggi una procedura ricca di dati da interpretare, che dovranno scontrarsi inesorabilmente con  le incognite dettate da un sottosuolo inesplorato, le cui dinamiche sono parti di sistemi complessi che dovranno essere sottoposti nel nostro caso al vaglio di esperti e poi della commissione grandi rischi, ovvero tutti scienziati che non hanno mai vissuto l’esperienza eruttiva o pre eruttiva dei vulcani napoletani.

Bisognerebbe partire dal principio che la pianificazione urbanistica territoriale in area vulcanica vesuviana, dovrebbe includere anche la zona di massima estensione del pericolo (VEI5), magari attraverso regolamentazioni, secondo logiche preventive volte all'adeguamento strutturale del territorio alle necessità dei piani di emergenza… Allo stato dei fatti invece, si sta verificando esattamente  il contrario, cioè che i piani di emergenza e di evacuazione devono e dovranno correre dietro alle irrefrenabili modificazioni del territorio dettate dalla speculazione edilizia, dall'abusivismo, e prima ancora dalla miopia politica di cui abbiamo un fulgido esempio nel flegreo. Infatti, il recentissimo disposto regionale assevera rischio sismico e vulcanico nella zona d'intervento, lasciando il grosso della zona rossa senza regole di prevenzione della catastrofe vulcanica... 


Zona d'intervento (celeste e viola) dove vige
l'inedificabilità a uso residenziale

                                                                         di Vincenzo Savarese














venerdì 16 giugno 2023

Rischio Vesuvio: la zona gialla... di Malko


 

Per parlare della zona gialla Vesuvio, occorre premettere che l’eruzione massima adottata per la stesura dei piani di emergenza è di media intensità (sub pliniana), e che i venti in quota soffiano prevalentemente verso est. Con questi presupposti, è stato preventivato la possibilità che oltre alle municipalità della zona rossa 1 (R1), i comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, che insieme formano la zona rossa 2 (R2), possano essere investiti da una massiccia pioggia di cenere e lapilli con accumuli sui tetti piani anche di notevoli spessori. Con questa prospettiva di carichi accidentali tutt’altro che irrisori, non si può escludere, soprattutto se la pioggia imbibisce il materiale accumulatosi appesantendolo, che si verifichi lo sprofondamento dei solai di copertura, soprattutto in danno dei fabbricati più datati, che potrebbero cedere rovinosamente su quelli sottostanti che a loro volta e per somma dei carichi, sprofonderebbero ulteriormente e fino al piano terra.

La zona rossa 2 (R2), pur avendo come pericolo la pioggia di cenere e lapilli e presumibilmente non le micidiali colate piroclastiche associate invece alla R1, ha una colorazione rossa e non gialla, perché è soggetta alla stregua della zona rossa 1, all’evacuazione preventiva e totale degli abitanti, qualora dovesse palesarsi la minaccia eruttiva. 

Zona rossa 1, zona rossa 2, zona gialla



Il fall out di materiale piroclastico sciolto che andrebbe a ricadere come dicevamo, molto probabilmente e per ampio angolo a est del Vesuvio, avrebbe una intensità fenomenologica rapportata alla distanza dal centro eruttivo, alla velocità del vento che assottiglierebbe la scia dispersiva, oltre naturalmente alla quantità di materiale piroclastico eruttato. Quindi, oltre al pericolo di crollo dei tetti, nella rossa 2, occorre tener presente che potrebbe verificarsi oscurità, perdita di orientamento, probabile spegnimento dei motori, difficoltà di transito su gomme e a piedi, e il possibile blocco delle porte che aggettano sul piano stradale. Inoltre, la cenere aspersa in atmosfera, creerebbe fastidio alla respirazione con irritazione alla gola e agli occhi soprattutto in danno di vecchi e bambini, per la componente vetrosa e acida contenuta nelle polveri vulcaniche: Plinio il vecchio morì per questo motivo sulle spiagge di Stabia nel 79 d.C.  In siffatte condizioni sarebbe proibitivo qualsiasi intervento aereo di soccorso a mezzo elicotteri, perché in un ambiente pervaso dalla cenere, i motori (turbine) cesserebbero di funzionare, così come il forte potere abrasivo del prodotto siliceo strierebbe pure il plexiglas o anche altre trasparenze della cabina di pilotaggio dei velivoli, portando la visibilità a una condizione critica per la sicurezza del volo. Anche gli autoveicoli potrebbero subire il blocco dei motori per intasamento dei filtri, e in tutti i casi la circolazione su alcune diecine di centimetri di cenere e lapilli sarebbe ugualmente problematica soprattutto per i veicoli a dure ruote e per le auto e mezzi pesanti, ancor di  più in una condizione di traffico caotico e di insofferenza all'attesa.



Nella zona gialla, quella oltre zone rosse con estensione asimmetrica, così come si evidenzia facilmente dalla cartina, non è prevista all’occorrenza e in prima battuta una evacuazione preventiva, ma è una opzione quest'ultima che gli esperti intendono attuare dopo aver valutato con eruzione in corso i settori maggiormente vulnerabili su cui precipita la maggior parte dei lapilli e della cenere scagliati in aria dal vulcano e veicolata dal vento.  Le valutazioni che dovrebbero essere velocissime, perchè veloce è la velocità di deposito dei piroclasti,  verrebbero assicurate dal dipartimento della protezione civile, che si avvarrebbe della consulenza della commissione grandi rischi, e di una direzione di comando e controllo operativo (DiComac) per l'attuazione delle direttive. 

Tecnicamente parlando però, l’opzione di valutare con eruzione in corso i settori della zona gialla da evacuare, dovrebbe presupporre come condizione indispensabile che le popolazioni ubicate in zona rossa siano già state evacuate. Diversamente, l’organizzazione emergenziale potrebbe imballarsi immediatamente, per le diverse condizioni di urgenza e di strategia che caratterizzano i territori rossi e gialli della plaga vesuviana. Anche nel flegreo sussiste la stessa condizione strategica basata sulla certezza della previsione di eruzione, che scientificamente invece, rimane perlopiù incerta...

La zona gialla, composta da 63 comuni, è evincibile dalla mappa contenuta in questo articolo, che riporta i limiti territoriali delle varie comunità interessate. Nella stessa cartina è riportata pure la curva di isocarico, una curva chiusa che circoscrive l’area dove è possibile che sui tetti possa accumularsi un deposito di cenere e lapilli anche superiore ai 30 centimetri, e quindi prossimo o superiore al peso di 300 chilogrammi al metro quadrato. In caso di eruzione, il vulcano proietterebbe in alto i prodotti piroclastici per alcune decine di chilometri, con quelli meno pesanti che diverrebbero preda dei venti e trasportati per distanze anche di migliaia di chilometri. Le ceneri micrometriche infatti, permanendo in aria per lungo tempo, potrebbero provocare nei casi di massima diffusione del prodotto, transitorie variazioni climatiche.

Nella zona rossa 1, quella che circonda e racchiude il cratere sommitale del Vesuvio, tutte le manifestazioni vulcaniche possono concentrarsi a iniziare dalle micidiali nubi ardenti; ma anche lahar, lave e poi le intense precipitazioni di cenere e lapilli e altri tipi di scorie più o meno pesanti, tra le quali pure le bombe vulcaniche. Nella zona rossa 1 non è possibile portare soccorso con eruzione in corso.

Vesuvio: bomba vulcanica ricoperta dal lichene Stereocaulon vesuvianum

                                                               di Vincenzo Savarese
                                                             





lunedì 8 maggio 2023

Rischio Vesuvio: le zone rosse 1 e 2 e gialla e blu... di Malko

Vesuvio da sud




Un giorno di un futuro lontano o lontanissimo, il Vesuvio darà origine a una eruzione presumibilmente dal taglio esplosivo. Quanto potrà essere problematica questa eruzione la cui intensità può essere nell’odierno solo stimata, lo si può dedurre dall’ampiezza che gli scienziati hanno assegnato alla zona rossa. La zona rossa infatti, è quella parte di territorio vulcanico che dovrà essere sgomberato all’occorrenza e necessariamente da tutti gli abitanti prima che si manifestino possibili dirompenze esplosive, con l’invasione delle micidiali colate piroclastiche e la massiccia ricaduta di cenere e lapilli.

La commissione grandi rischi, organo scientifico che assicura la consulenza al dipartimento della protezione civile, ha ritenuto congrua la zona rossa scientifica circoscritta dalla linea nera Gurioli. Trattasi di un segmento curvilineo ricavato da indagini campali e che, circoscrivendo il vulcano, formalizza di fatto i punti di massima propagazione dei flussi piroclastici in seno alle passate eruzioni sub pliniane. Questa zona è stata poi ampliata amministrativamente ma non con logiche omogenee di protezione e di prevenzione della catastrofe vulcanica.

Linea nera Gurioli

Partendo dal principio che ciò che è successo nel passato può succedere anche nel futuro con un’eruzione inferiore o di pari intensità a quella di riferimento, il cammino dei flussi piroclastici potrebbe avvenire entro la linea nera che in ogni caso non può ritenersi un limite di sicurezza. Partendo da questa premessa, illustriamo le caratteristiche delle 4 zone di pericolo che interessano il Vesuvio.

Zona rossa 1. Ebbene la zona rossa 1 definita ad alta pericolosità vulcanica, è quella invadibile dalle colate piroclastiche. Queste si concretizzano nel momento in cui la colonna eruttiva collassa per perdita di spinta e per effetto della gravità precipita sui fianchi del vulcano, per poi continuare la corsa per chilometri, travolgendo e distruggendo ogni cosa al suo passaggio. La micidialità di questo fenomeno è racchiusa non solo nel dinamismo dell'ammasso, ma anche dalla temperatura di circa 500° C. che caratterizza il miscuglio roccioso e gassoso in movimento. Un certo numero di vittime dell’eruzione del 79 d.C. persero la vita per gli effetti meccanici delle colate e quindi mai più ritrovati. I circa 300 ercolanesi che trovarono rifugio in un magazzeno sulla spiaggia, furono raggiunti all’interno del ricovero dalla parte più leggera della valanga piroclastica, quella gassosa e pregna di sottile cenere, che a causa delle elevate temperature cagionò l’evaporazione istantanea dei fluidi corporei, che in taluni casi comportò l’esplosione dei crani e la rottura delle ossa per shock termico. Ecco: la linea nera rappresenta le distanze percorse dai flussi piroclastici riconducibili alle eruzioni sub pliniane che si verificarono nel passato: l’ultima nel 1631. A fronte di questo pericolo, in caso di allarme nella zona rossa 1 si procederà necessariamente all’evacuazione di tutti gli abitanti.

Zona rossa 2. Questa zona intermedia ubicata tra la zona rossa 1 e la zona gialla, si caratterizza perché in caso di eruzione verrebbe letteralmente "bombardata" da una intensa pioggia di cenere e lapilli con una intensità tanto maggiore quanto minore è la distanza dal centro eruttivo. Questi prodotti piroclastici si andrebbero a depositare sui tetti piani dei fabbricati posti sottovento al Vesuvio, determinando in molti casi lo sprofondamento del solaio di copertura e, con effetto domino, pure di quelli sottostanti.

Nel caso del Vesuvio, gli esperti hanno individuato la zona rossa 2 nei territori ubicati da est nord est a est sud est, oltre la zona rossa 1, perché la statistica dei venti dominanti indica in quella direzione il prevalente fluire ventoso che interessa e passa sulla vetta del vulcano. La zona rossa 2 riguarda i territori dei comuni di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati. In caso di allarme eruttivo, alla stregua della zona rossa 1, tutti i cittadini devono evacuare. Questo perché la cenere porta oscurità, arresto dei motori, problemi nei trasporti, ma principalmente irritazione agli occhi e difficoltà di respirazione soprattutto per vecchi e bambini. Gli ammassi di cenere e lapilli potrebbero bloccare pure l’apertura delle porte che si aprono sul piano stradale. D’altro canto anche i soccorritori tecnici e sanitari coi loro mezzi, avrebbero serie difficoltà a muoversi in questo settore con eruzione in corso.

Zona Gialla. La zona gialla è quella che circonda il Vesuvio oltre le zone rosse, e presenta estensioni molto variabili e particolarmente incidenti nel primo e secondo quadrante col vulcano come centro mappale. Trattasi di territori dove la pioggia di cenere e lapilli ha una intensità decrescente con l’aumentare della distanza dal centro eruttivo. La necessità di evacuare alcuni settori della zona gialla, sarebbe oggetto di valutazione da fare con eruzione in corso.  L’evacuazione non avverrebbe fuori dalla regione Campania, perché si presume che i cittadini allontanati rientrerebbero al termine dell’eruzione col ripristino di un minimo di servizi essenziali. I comuni interessati e caratterizzati dal colore giallo sono 63 e sono quelli riportati nella cartina sottostante.

 

Plaga vesuviana: pericoli e zone

Zona blu. La zona blu è quella parte di territorio della plaga vesuviana ubicata a nord del Vesuvio. Detta anche conca di Nola, in caso di eruzione in questo comprensorio appena depresso e rappresentato in figura coi confini comunali colorati in celeste, possono presentarsi fenomeni di alluvionamento diffuso con altezza delle acque che potrebbero superare i due metri. Tra l’altro la zona blu è pure zona gialla, e quindi la caduta di cenere favorirebbe l’impermeabilizzazione dei suoli, accrescendo la persistenza delle acque.

In conclusione, i flussi piroclastici o anche colate o nubi ardenti, sono un fenomeno che al Vesuvio caratterizzano eruzioni sub pliniane e pliniane. Gli esperti della commissione grandi rischi hanno escluso statisticamente e per i tempi di quiescenza, che possa concretizzarsi un’eruzione pliniana, e quindi non ci sono direttive per fronteggiare una siffatta calamità vulcanica qualora si materializzasse. Diciamo pure che lo stile eruttivo è l’incognita più grande che grava sui piani di emergenza, così come la previsione corta del momento dirompente…

Per quanto riguarda il fenomeno della pioggia di cenere e lapilli, questo è un pericolo insito in eruzioni di tipo ultra stromboliano (VEI3), sub pliniano (VEI4) e pliniano (VEI5). Il VEI è l’indice di esplosività vulcanica.

Non è da escludere che non sono particolarmente garantite le tre municipalità di Napoli: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, perché su un totale di 112.765 residenti, è prevista l’evacuazione in fase di allarme di soli 38.401 abitanti. Di fatto sarebbero quelli posizionati oltre linea nera verso il vulcano.  Lo stesso dicasi per il Comune di Volla che confina in modo tangente con la linea nera che non è un limite di pericolo. Il comune di Sarno per posizione geografica doveva rientrare nella zona rossa 2. Il Comune di Portici, Ercolano e Torre del Greco, sono quelli leggermente più svantaggiati in caso di evacuazione, perché in auto o anche a piedi, dovrebbero in tutti i casi muoversi in modo secante rispetto al Vesuvio.  Il piano di emergenza Vesuvio, è bene ricordarlo, è pur sempre una mediazione, frutto di logiche le cui filosofie si basano sulla probabilità statistica e sui concetti costi - benefici.

                                                            di Vincenzo Savarese
                                                             


lunedì 18 ottobre 2021

Rischio Vesuvio: un pericolo dimenticato... di MalKo

 


Foto aerea dell'interno del cono del Vesuvio

Il pericolo eruttivo dettato dal Vesuvio fu “scoperto” sul finire degli anni ’80 con interlocuzioni sull’argomento intercorse tra le principali istituzioni competenti in auge in quel periodo: la presidenza del consiglio col ministro delegato, la prefettura di Napoli, l’osservatorio vesuviano, i vigili del fuoco e la provincia di Napoli.

La prefettura in quegli anni aveva competenze notevoli sulla gestione delle emergenze, innanzitutto perché il pericolo vulcanico rientrava territorialmente nel piano provinciale d’intervento. Il problema della prefettura ieri come oggi, è che non ha una grande memoria storica se non generalista sui rischi naturali che tratta, perché cambiano i componenti che ruotano tra uffici e sedi, e ogni volta con le nuove nomine bisogna ricominciare tutto daccapo, in un contesto in cui le tematiche vulcaniche vengono troppo spesso sopraffatte da molte e più cogenti necessità quotidiane. La prima regola delle prefetture intanto è quella di non allarmare…

In quegli anni e su input del compianto ispettore regionale dei vigili del fuoco, ing. Alberto d’Errico, cercammo di capire che cosa avremmo potuto trovarci di fronte in caso di eruzione. Intanto c’erano alcuni punti fermi da cui partire per procedere a una disanima della situazione qui riassumibile:

  • non è possibile prevedere deterministicamente il momento delle dirompenze vulcaniche;
  • non è possibile valutare in anticipo la tipologia eruttiva della prossima eruzione al Vesuvio        che può avere carattere ultra stromboliano (VEI3), sub pliniano (VEI4) o pliniano (VEI5);
  • non c’è ombrello o barriera capace di proteggere le popolazioni ubicate in zona rossa dagli   effetti deleteri di un’eruzione esplosiva;
  • non è possibile garantire interventi delle squadre di soccorso con eruzione in corso.

Le chance, oggi come allora, in assenza di pratiche di prevenzione strutturali, sono tutte racchiuse in procedure meramente emergenziali: cioè, in caso di allarme vulcanico, occorrerà spostare in tempo rapidi e a una distanza di sicurezza (d), tutti i cittadini della zona rossa, onde sottrarli dal possibile dilagare delle micidiali colate piroclastiche.


by Malko

Nell’odierno la situazione è quella suggerita dalla prima immagine a sinistra (Fig. A): si noti la totale promiscuità della vita umana col pericolo vulcanico. La figura B illustra invece la tattica di salvaguardia vigente, consistente nell’interporre una distanza di sicurezza (d) tra popolazione e fenomeni eruttivi, ma solo nel momento in cui dovesse palesarsi l’approssimarsi di un’eruzione.

La commissione grandi rischi (CGR), sentito l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e valutata la relazione redatta da un consesso di esperti nominati, è stata chiamata un po’ di anni fa a indicare da quale tipologia eruttiva occorrerà difendersi in futuro: notizia indispensabile per definire i limiti della zona rossa e quindi il numero di cittadini da evacuare che dovranno essere spostati dal centro eruttivo alla distanza (d).

Ebbene, la CGR accettò l’indicazione probabilistica sponsorizzato da alcuni ricercatori dell’INGV, tra cui il Dott. Marzocchi, adottando un’eruzione di taglia VEI 4 come evento massimo alla base dei piani di emergenza. Occorre anche dire che i previsori hanno indicato come eruzione probabile un evento VEI3 (ultra stromboliano) mentre una pliniana VEI5 è stata completamente esclusa dal ventaglio delle possibilità. La Commissione Grandi Rischi con motu proprio ebbe ad assumere la linea nera della ricercatrice Lucia Gurioli, come limite scientifico d’invasione dei flussi piroclastici con energie VEI4. Il segmento curvilineo in questione, fu ricavato da rilievi campali.

Rispetto alla vecchia zona rossa formata da 18 comuni, sono state inserite nel perimetro a rischio piccole porzioni di territorio non prima contemplate, come ad esempio quelle orientali delle municipalità napoletane di Ponticelli, San Giovanni a Teduccio e Barra. Di contro ci sono vaste aree comunali che debordano oltre la linea nera Gurioli (mappa in basso) e che andavano liberate da vincoli di alta pericolosità come suggerì lo stesso consesso di esperti a proposito di Torre Annunziata.

Linea nera Gurioli: limite scientifico di scorrimento dei flussi piroclastici al Vesuvio

L’ex assessore alla protezione civile della regione Campania, Ing. Cosenza, in tutti i casi decise di mantenere i confini amministrativi precedenti della vecchia zona rossa (18 comuni) integrati da tutti i territori ricadenti nel perimetro Gurioli con estensione per le new entry fissata dai consigli comunali. L’innovazione che fu introdotta, fu l’instaurazione della zona rossa 2 da evacuare all’occorrenza con la stessa urgenza prevista per la zona rossa 1. La pubblicità battente fu quella che la regione aveva ampliato di molto la zona rossa da evacuare per motivi precauzionali. Pubblicità progresso diremmo…Nella realtà l’ampliamento è stato solo di taglio operativo (evacuazione), ma non preventivo atteso che i comuni di Poggiomarino e Scafati pur aggettandosi verso l’apparato vulcanico ben oltre i limiti orientali della cittadina di Boscoreale, non hanno controindicazioni all’edilizia residenziale, perché sono classificati a pericolosità vulcanica e non ad alta pericolosità vulcanica (legge regionale 21 del 2003).

In termini operativi occorre tener presente che non sono possibili interventi di soccorso con eruzione in corso: ne consegue, che tutto ciò che è possibile fare per salvaguardare i vesuviani, occorre farlo col supporto delle istituzioni competenti ma ben prima dell’evento eruttivo. Con eruzione in corso, qualora non sia stata completata l'evacuazione, eventuali necessità di soccorso dovrebbero confidare soprattutto nell’organizzazione comunale, che non deve essere passiva in un contesto emergenziale di questa portata. Inoltre, non è possibile durante l’eruzione l’impiego di elicotteri per evitare il blocco delle turbine e la ridotta visibilità dovuta alle abrasioni sui plexiglass della cabina di pilotaggio, causate dal silicio (cenere) in sospensione.

Sulla previsione dell’evento vulcanico in tempi più che utili per l’evacuazione, la direttrice dell’osservatorio vesuviano ha espresso il suo totale ottimismo confidando sul fatto che le attrezzature di monitoraggio di cui dispone, sono in grado di cogliere l’eventuale ascesa del magma verso la camera magmatica superficiale con largo anticipo. Il riempimento di questo serbatoio ubicato ad alcuni chilometri di profondità, è ritenuto dalla dirigente il vero indicatore di pericolosità vulcanica. Alla domanda circa la tipologia eruttiva correlabile ai tempi di quiescenza, la Dott.ssa Bianco ha affermato che il perdurare della pace vulcanica, finanche secolare, non incide sulla futura intensità eruttiva. Solo nuovi studi e ricerche possono modificare l’eruzione di riferimento (VEI4), tant'è che se la ricerca non farà passi in avanti, il parametro VEI 4 quale intensità eruttiva massima attesa è immutabile nei secoli…

La mappa sottostante offre una chiara visione della situazione attuale. Come si vede la zona rossa 1 è quella dove è possibile il dilagare di flussi piroclastici. La zona rossa 2 invece è particolarmente soggetta alla pioggia di piroclastiti che potrebbe far crollare i solai piatti e meno resistenti e rendere impossibile la permanenza in zona a causa della sospensione in aria delle ceneri vulcaniche. La zona rossa 1 e rossa 2 sono un unicum da evacuare prima dell’eruzione. La zona a nord del Vesuvio (zona Blu) invece, è quella allagabile dalle acque meteoriche che accompagnano l’eruzione, con ristagni che possono superare anche i due metri di altezza soprattutto nella conca di Nola.


Mappa della pericolosità vulcanica al Vesuvio con le tre zone

In termini di prevenzione siamo lontani dalle esigenze che dovrebbero accompagnare il rischio vulcanico, perché nella zona rossa ma anche nei comuni di Volla e Striano viciniori alla perimetrazione di alta pericolosità, è ancora possibile l’incremento abitativo con normale licenza edilizia. Chi compra casa nelle zone ad est del Vesuvio, deve tener presente che qualsiasi tipologia eruttiva comporterebbe statisticamente la necessità di salvaguardarsi dalla pioggia di cenere e lapilli.  

La cartina sottostante mostra la linea nera Gurioli e in giallo il dilagare dei flussi piroclastici in seno alle eruzioni pliniane (VEI5) di circa 4000 anni fa (Pomici di Avellino) e di circa 2000 anni fa (Pompei). Dalle superfici coinvolti s’intuisce la necessità che non vengano sottovalutate le pratiche di prevenzione delle catastrofi in favore delle generazioni future che popoleranno la plaga vesuviana. Nelle zone VEI 5 non c’è alcuna regola edilizia (non diciamo vincoli ma almeno regole). Di fatto, escludendo una maggiore intensità eruttiva dettata dallo scorrere del tempo, si sta offrendo sponda alla conurbazione nella zona rossa pliniana.


Mappa tratta dalla pubblicazione: Pyroclastic flow hazard assessment at
Somma-Vesuvius based on the geological record di Lucia Gurioli

Nei Campi Flegrei la situazione non è migliore: anzi. Innanzitutto perché vige uno stato di attenzione; poi non c’è un vincolo vulcanico capace di tenere a freno l’edilizia residenziale, e quindi il tempo giuoca doppiamente a sfavore. Di contro non è possibile stabilire in anticipo il centro o i centri eruttivi della futura eruzione. Un’altra nota che crea apprensione, è che bisogna fare i conti con un indice di pericolosità vulcanica che al momento possiamo dire che varia in ragione dell’incremento bradisismico; dato altalenante e vivace, ma soprattutto potrebbe repentinamente cambiare. Anche in questa zona i soccorsi con eruzione in corso non sono possibili.

                                                                 


malkohydepark@gmail.com

domenica 5 gennaio 2020

Rischio Vesuvio: fino a prova contraria... di MalKo



Vesuvio

Occorre dire che per anni tutte le componenti che s’interessano di protezione civile, hanno ripetuto come mantra che i piani di emergenza erano una realtà operativa pronta a garantire la sicurezza dei vesuviani. C’è voluto molto tempo e impegno per spiegare dalle nostre pagine che il piano d’emergenza esistente è ancora orfano del piano di evacuazione. Trattandosi di un piano di emergenza che tratta un solo grande pericolo (l’eruzione), con una sola grande risposta operativa (l’evacuazione), in assenza di strumenti pianificatori atti a garantire un ordinato e rapido allontanamento dal vulcano, non possiamo definirci a tutt'oggi tutelati.

Il 2020 può darsi che sarà l’anno della svolta, anche se bisogna annotare che la prima bozza del piano di emergenza Vesuvio risale al 1995. Quest’anno ricorre quindi il venticinquennale del chiacchierato e monco documento…

Per rendere maggiormente intuitivo il discorso, si tenga conto che il comune di Boscoreale pur essendo una delle municipalità maggiormente esposte al pericolo vulcanico, solo qualche giorno fa, il 27 dicembre 2019, ha  definito e approvato l'individuazione delle aree di attesa, anche se manca il piano complessivo entro cui inserire questa informazione e che in ogni caso non è stato pubblicato…

Il Comune di Scafati invece, mentalmente si ritiene fuori dal problema e, nonostante un lungo periodo di transazione con i commissari prefettizi e un finanziamento mirato e approvato nel 2015, non ha ancora un piano di evacuazione quale parte integrante di un serio piano di emergenza che, alla stregua di Boscoreale, non sembra sia stato pubblicato.

Il limitrofo Comune di Pompei pur non avendo ancora realizzato e pubblicato il piano di emergenza corredato da quello di evacuazione a fronte del rischio Vesuvio, è stato scelto come capofila per le politiche internazionali di resilienza ai cambiamenti climatici avviato dalle Nazioni Unite. Nel merito il rappresentate della protezione civile pompeiana, ebbe a dichiarare proprio presso il Dipartimento della Protezione Civile e in seno ad un ampio consesso di esperti e amministratori, che la cittadina mariana aveva problemi per accedere ai finanziamenti regionali necessari per l’aggiornamento del piano di emergenza comunale. Il 25 maggio 2019 anche il Comune di Pompei ha finalmente ricevuto 74.225 euro per procedere con la pianificazione che probabilmente e nella migliore ipotesi oggi sarà in itinere.

Il Dipartimento è ben visto dalla stampa e dall’opinione pubblica in genere, grazie anche alla simpatia che inducono i volontari. In qualche occasione però, i vertici del dicastero si sono tolti la veste buonista e hanno minacciato denunce per procurato allarme indirizzate a chi manifestava opinioni diverse da quelle governative.  È stato questo il caso del Prof. Mastrolorenzo, che dalle pagine del prestigioso National Geographic, ebbe a pubblicare un articolo che segnalava dal suo punto di vista una sottostima dello scenario eruttivo adottato al Vesuvio. 

Anche gli allarmi al radon del tecnico Giuliani che preannunciò un forte sisma all'Aquila nel 2009, fu motivo di denuncia e successivamente di assoluzione soprattutto perché il terremoto si presentò ahimè e per davvero il 6 aprile del 2009, schernendo la commissione e salvando il tecnico da una condanna. 

Il Dipartimento difese a spada tratta le conclusioni della cosiddetta commissione grandi rischi, riunitasi nel capoluogo abruzzese una settimana prima del rovinoso terremoto; un conclave scientifico che profferì conclusioni o micidiali silenzi che non valsero a scongiurare al vice capo dipartimento una condanna penale a due anni per negligenza e imprudenza. 

In termini di previsione dell’evento vulcanico, l’Osservatorio Vesuviano continua a ripetere che nell’area vesuviana e flegrea ci sono imponenti sistemi di sorveglianza che sono una garanzia predittiva. Appare allora strano che con cotanta tecnica lo stesso Osservatorio non fu in grado di assegnare un epicentro al terremoto di Ischia del 21 agosto 2017. In quel caso non bisognava predire ma classificare geograficamente un evento già avvenuto. Occorsero circa quattro giorni per arrivare a una precisa collocazione del fuoco sismico.... Può succedere certo, ma i piani di evacuazione si basano su un preavviso eruttivo di appena tre giorni.

Anche nelle pagine web del Dipartimento alla voce dossier dettaglio ad oggetto il rischio Vesuvio, si registra un refuso di una certa importanza. Questo:

La nuova zona rossa, a differenza di quella individuata nel Piano del 2001, comprende oltre a un’area esposta all’invasione di flussi piroclastici (zona rossa 1) anche un’area soggetta ad elevato rischio di crollo delle coperture degli edifici per l’accumulo di depositi piroclastici (zona rossa 2). La ridefinizione di quest’area ha previsto anche il coinvolgimento di alcuni Comuni che hanno potuto indicare, d’intesa con la Regione, quale parte del proprio territorio far ricadere nella zona da evacuare preventivamente. 


Senza entrare nei dettagli, in realtà la zona rossa 2 alla stregua della zona rossa 1 è totalmente da evacuare in caso di allarme vulcanico. In questo caso i cittadini di San Gennaro Vesuviano, Palma Campania, Poggiomarino e Scafati, dovranno lasciare immediatamente i propri territori e recarsi rispettivamente nelle regioni Umbria, Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia secondo le modalità previste dai rispettivi piani di evacuazione. 



Nella zona gialla invece, le attuali indicazioni prevedono che nel corso dell’eruzione possa presentarsi la necessità che alcune porzione del territorio poste sottovento al vulcano e sottoposte alla pioggia di cenere e lapilli, precauzionalmente potrebbero essere  temporaneamente evacuate.Modalità per fronteggiare le problematiche della zona blu non sono ancora all'ordine del giorno regionale. 


Il dovere di produrre ogni utile azione capace di favorire il riordino dei territori e quindi di ridurre la vulnerabilità del tessuto abitativo e produttivo del vesuviano, doveva essere un atto di lungimiranza politica dovuta ai posteri. Il problema grosso però, è che i posteri non votano…

Le logiche di prevenzione, come abbiamo avuto più volte modo di scrivere, avrebbero voluto che i territori vulcanici fossero diversamente e urbanisticamente meglio organizzati e meno abitati, evitando così gli errori del passato, perché un’auspicata e lunga quiescenza potrebbe introdurre il pericolo pliniano (VEI5), e quindi una diversa e più estesa perimetrazione della zona rossa sarebbe risultata fondamentale per frenare la spinta antropica residenziale. 

Lo scenario di riferimento adottato per la determinazione della zona rossa invece è sub pliniano con un indice di esplosività vulcanica VEI4. Secondo le indicazioni riportate a supporto di questa tesi nella pagina web del Dipartimento si legge: 
  1. sulla base degli studi statistici, per il Vesuvio risulterebbe più probabile (di poco superiore al 70%) l’evento di minore energia (VEI=3), tuttavia gli esperti hanno ritenuto che lo scenario di riferimento da assumere dovesse essere un’eruzione esplosiva sub-Pliniana con VEI=4 per le seguenti motivazioni:
  2. ha una probabilità condizionata di accadimento piuttosto elevata (di poco inferiore al 30%);
  3. corrisponde ad una scelta ragionevole di “rischio accettabile” considerato che la probabilità che questo evento venga superato da un’eruzione Pliniana con VEI=5 è di solo l'1%;
  4. dati geofisici non rivelano la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione di tipo Pliniano.
In realtà la commissione incaricata di produrre gli scenari eruttivi di riferimento, ha offerto due tabelle da cui evincere statisticamente la probabilità che possa manifestarsi un'eruzione di una certa intensità, in base a due archi di tempo così come riportato nella legenda sottostante che vi invitiamo a vagliare.


Gli esperti non hanno tirato delle conclusioni univoche per la definizione dello scenario eruttivo, altrimenti non avrebbero riportato due possibilità statistiche, ma hanno rimandato al Dipartimento della Protezione Civile la scelta maggiormente garantista per le popolazioni. Sono state indicati dicevamo, indici probabilistici lasciando all'organo dipartimentale la decisione di scegliere l'arco di tempo da adottare, e quindi gli stili eruttivi da fronteggiare: la tabella B è stata ritenuta più adatta con l'1% di possibilità pliniana a differenza della tabella A col suo ragguardevole 11%. 
Dobbiamo quindi concludere che l'incertezza scientifica si è avvalsa delle decisioni politiche, alla stregua del concetto di rischio accettabile che non può essere una valutazione scientifica ma anch'essa squisitamente politica.

Anche il concetto di camera magmatica superficiale con poco magma che è stato chiamato in causa dal gruppo di lavoro per sostenere la scelta dello scenario sub pliniano è fumoso, perché il magma dell’eruzione pliniana del 79 d.C., l’eruzione di Pompei per intenderci, è saltato fuori dalle profondità e non dalle superficialità del sottosuolo.  

Quando nei primi mesi del 2019 ci è stata offerta la possibilità di interloquire con i vertici della Protezione Civile nazionale e regionale ed ancora con la direttrice dell’Osservatorio Vesuviano, abbiamo rimarcato il concetto che forse circoscrivere anche un'area oltre la zona rossa dove applicare nel tempo le regole della prevenzione, sarebbe stata una iniziativa saggia. La letteratura scientifica infatti, afferma che quanto maggiore sarà la quiescenza del Vesuvio, tanto maggiore sarà l’energia dell’eruzione che verrà, e quindi pianificare azioni volte a mitigare la vulnerabilità dei territori, ci sembra e ci sembrava un atto dovuto a quelli che verranno dopo di noi.

La direttrice dell'Osservatorio in quella sede lasciò intendere che non c’era una correlazione tra i tempi di quiescenza e l'intensità eruttiva. In verità rimanemmo interdetti perché il rapporto tra tempo di quiescenza e potenza dell'eruzione ci sembrava addirittura un luogo comune particolarmente diffuso nella letteratura scientifica vulcanologica... Evidentemente non è così.

Ebbene recentemente ci è capitato di leggere un’intervista al prof. Luongo che nel merito degli scenari eruttivi  ha detto ancora di più, cioè che questi non cambiano col passar del tempo, ma si modificano solo con l’avvento di nuove scoperte scientifiche. In altre parole le cose rimangono così come sono e fino a prova contraria. Del resto anche la commissione grandi rischi nel verbale del 27 giugno 2012 auspicava che lo scenario di riferimento venisse rimodellato con l'acquisizione di nuove scoperte scientifiche senza citare alcuna criticità dovuta al passare del tempo. Il problema di fondo però, rimane la coerenza tra interviste, relazioni scientifiche, video, eloqui pubblici e pubblicazioni di servizio e stampa, dove si dice tutto e il contrario di tutto. 

In tutti i casi occorre anche che si capisca che i territori vulcanici devono essere sede di pianificazione della prevenzione delle catastrofi. La scienza non può dopo un certo numero di anni continuare a ridisegnare i confini delle zone rosse perché non si è ritenuto opportuno adottare l'eruzione massima conosciuta come eruzione di riferimento. 
  
Se fosse vero che la protratta quiescenza ci porta verso un’eruzione sempre più energetica, avremmo forse il tempo necessario anche se secolare  per riqualificare i territori vulcanici. Se il tempo non ha nessuna incidenza sull'intensità eruttiva invece, allora bisogna resettare tutte le nostre considerazioni sul pericolo vulcanico, focalizzando gli interventi all’interno della linea nera Gurioli, (vedi figura sottostante), cioè quella linea che definisce i limiti di scorrimento delle colate piroclastiche in seno ad eruzioni non eccedenti l'indice di esplosività vulcanica prescelto che è VEI4.


In realtà ai comuni della vecchia zona rossa, soprattutto quelli costieri, interessa poco la scelta dello scenario eruttivo, perché i loro problemi non cambiano con la potenza eruttiva sub pliniana o pliniana: in entrambi i casi sarebbero coinvolti. Certamente ci sono altre municipalità che non possono ritenersi al sicuro da una pliniana, come ad esempio le tre municipalità di Napoli, oppure Volla o anche Poggiomarino e Scafati e Striano e Saviano. 
Tra l'altro si è anche in presenza di una situazione paradossale dove, in caso di un evento vulcanico VEI 3, cioè il più basso auspicabile, Poggiomarino e Scafati e Striano sarebbero statisticamente quelli più svantaggiati al di là della linea Gurioli.

Riteniamo che il motivo principale che ha caratterizzato la scelta dipartimentale e regionale, di una eruzione di riferimento medio bassa in luogo di quella massima conosciuta, ha avuto probabilmente come riferimento guida la mediazione tutta politica e non dichiarata basata sulla formula dei costi benefici. In linea di principio il concetto potrebbe avere una sua logica anche se poco condivisibile, ma bisogna dichiararlo e chiarirlo, perché è un atto dovuto ai cittadini soprattutto a quelli che vivono ai limiti della zona rossa e che si ritengono mentalmente al sicuro da un'eruzione a prescindere dalla potenza. 

In conclusione vorremmo chiarire che nel campo delle emergenze va da sé che non si può aprire un dibattito nazionale su cosa è meglio fare perché sarebbe dispersivo e inconcludente e non si riuscirebbe a mettere un punto fermo ai discorsi e alle congetture. Però, neanche si può ridurre la questione a un così è se vi pare...  

Il concetto che a fronte di un mastodontico piano di evacuazione tarato su alcuni milioni di abitanti per fronteggiare un evento pliniano che qualcuno si è assunto la responsabilità di minimizzarlo al punto da estinguerlo, potrebbe avere anche motivazioni di ordine territoriale e sociale. Occorre in ogni caso tenere aperti i canali dell'informazione corretta e puntuale, in modo da consentire l'autodeterminazione ai cittadini che in tutta autonomia potrebbero decidere di lasciare questi luoghi per sottrarsi ai rischi. Argomentare darebbe trasparenza a un pericolo naturale tra i più energetici e rischiosi al mondo. In tutti i casi la diatriba sullo scenario scientifico intanto non giustifica il lassismo e il pressapochismo delle amministrazioni coinvolte, che allo stato attuale non sono in grado neanche di fronteggiare un incendio della pineta sul Vesuvio... 

Il Dipartimento della Protezione Civile forse dovrebbe evitare di dare l'idea dei men in black, calando da Roma per raggiungere il vesuviano o il flegreo organizzando e dirigendo magari le esercitazioni per poi ritornare alla base senza neanche la necessità di far scattare la penna anti ricordo, perché il giorno dopo le amministrazioni hanno già dimenticato tutto…

L'Osservatorio Vesuviano destinatario della clausola di riservatezza che è visto con sfavore dall’opinione pubblica informata sull'argomento, è auspicabile che mantenga alto un profilo operativo senza sentire il dovere non contrattuale di puntellare altre strutture dello Stato. Alle Prefetture andrebbe completamente tolta ogni forma di competenza sull'organizzazione e sulla pianificazione dei soccorsi, perché questa struttura periferica dello Stato vive di affanni già sull'oggi con i problemi diuturnamente fuori dalla porta; quindi, è lontana mille miglia dalle tematiche preventive ancorché futuribili dell'eruzione che verrà. 

Ovviamente i Campi Flegrei rientrano interamente nelle logiche complessive che abbiamo appena esposto.