Campi Flegrei - Bacoli |
Probabilmente
gli stranieri ma anche i connazionali di altre regioni che conoscono l’arcinoto
Vesuvio, si chiederanno spesso come si faccia a vivere nel raggio d’azione del vulcano
esplosivo più famoso della storia. D’altra parte nonostante si sappia che la
situazione intorno a questo apparato è alquanto caotica e antropizzata, si dà
per scontato che molto è stato fatto per la salvaguardia delle popolazioni,
perché la nostra civiltà occidentale garantisce salute e sicurezza, grazie
anche a regole che dovrebbero affondare nei principi della elementare prudenza.
Quindi, avere per il vesuviano un collaudato piano di emergenza è il minimo
auspicabile.
In
realtà il piano di evacuazione che è l’allegato più importante del piano di
emergenza, è un documento in itinere, mancando ancora di indicazioni operative
da parte di alcune ritardatarie municipalità della zona rossa. Quando sarà pronto
questo documento che in tutti i casi ha previsto misure di protezione solo per
eruzioni medie VEI 4, dovrà poi essere ben conosciuto e diffuso alle
popolazioni esposte, in modo che le azioni di salvaguardia consentiranno all’occorrenza
di porsi con la distanza guadagnata con l’evacuazione (d), fuori dalla portata
dell’eruzione.
L’ipotesi
che il Vesuvio possa produrre un’eruzione pliniana (VEI5), alla stregua di
quella che si materializzò nel 79 d. C. è stata letteralmente obliata dalla
scienza e dai media e dalla politica. I ricercatori hanno generalmente e sostanzialmente
annullato la precedente e annosa tesi, che quanto maggiore sarà il tempo di
quiescenza tanto maggiore sarà l’intensità eruttiva che verrà. Questa
affermazione se non poggia su consolidate basi scientifiche porterà con sé conseguenze
dannose per i posteri, che erediteranno da noi risorse e pericoli in un
territorio antropizzato oltre misura. Nell’odierno, tale concetto passato per deterministico,
intanto offre riparo alle omissive scelte politiche e amministrative che avrebbero dovuto contemplare la necessità
di estendere la zona rossa. L'iniziativa avrebbe consentito di dare maggiore spazio alla prevenzione
del rischio vulcanico, per evitare di farsi cogliere impreparati dalle
imprevedibili energie esplosive del sottosuolo chilometrico.
D’altra
parte l’attuale assenza di direttive che vadano nel senso della prevenzione
delle catastrofi, sono un elemento che dimostra con gli strumenti della logica che
questa teoria della: indifferenza temporale sulla intensità eruttiva al
Vesuvio, sia di fatto e nei fatti quella seguita dagli organi preposti. In
realtà è talmente formidabile questa notizia, che i giornalisti divulgatori della
scienza dovrebbero interessarsene, magari scrivendo sulle riviste specializzate
la novella. Una novità che offre una miracolosa e inaspettata liceità a quanti disattendendo a
tutti i livelli l’attuazione di misure di prevenzione del rischio vulcanico, perseverano nel ritenere l'edilizia residenziale il volano inalienabile per la rinascita dell'economia nel vesuviano, anche ai limiti della modesta zona rossa.
Il
Vesuvio è un vulcano che ha dato origine nel corso dei millenni ad eruzioni di
varia intensità e portata, come quelle minimamente stromboliane che potevano
semplicemente dare vita a un fenomeno turisticamente avvincente, ed altre altamente
pericolose come quelle pliniane, che pur nella loro rarità hanno letteralmente
sconquassato i territori ubicati intorno al vulcano per un raggio di decine di chilometri.
L’eruzione
esplosiva del Vesuvio del 79 d.C., un evento di taglia VEI5, fu narrato da un
giovane spettatore comasco, che ammirò lo spettacolo dell’eruzione da un’altra
area vulcanica non meno pericolosa della prima come quella dei Campi Flegrei. Plinio
il Giovane dimorava nella zona di Bacoli, essendo nipote di Plinio il Vecchio,
ammiraglio della flotta navale romana stanziata a Miseno. Il giovane scrittore
su richiesta dello storico Tacito, narrò dello zio e dell’eruzione, in due
epistole: lettera VI 16 - VI 20.
L’eruzione
in questione avvenne durante l’impero di Tito. Plinio il Vecchio,
ammiraglio della flotta romana a Miseno, stava rielaborando i suoi appunti dopo
essersi esposto al Sole e poi bagnato e ristorato. Nel mentre il nipote Plinio
il Giovane leggeva alcuni passi di Tito Livio, la madre di quest’ultimo ebbe a
segnalare ai due scrittori che una nube insolita scura gravava in direzione est.
Plinio il Vecchio notò questa nuvola a forma di pino e decise, da buon
naturalista, che occorreva andare in quei luoghi per verificare il fenomeno da
vicino. Chiese che si preparasse una liburna, e nel mentre arrivò un biglietto
della nobildonna Rectina che implorava il suo aiuto per essere tirata fuori dal
lungomare vesuviano devastato dall’eruzione. L’ammiraglio allora, fece mettere
in armo alcune quadriremi per portare soccorso alle popolazioni.
Durante
la navigazione, più le navi si avvicinavano al traverso di Ercolano, più sulle
tolde cadevano i prodotti dell'eruzione. Alcuni bassofondi non consentirono
l’approdo nella cittadina votata ad Ercole: Plinio allora, spronando
l’equipaggio che non si sentiva al sicuro, ordinò di procedere senza indugi per
la villa di Pomponiano ubicata a Stabia. Su questa riva il naturalista sbarcò e
abbracciò il suo amico che attendeva venti favorevoli per prendere il largo con
la sua barca già carica. In attesa che le condizioni meteorologiche mutassero,
andarono nella villa del senatore dove cenarono e si riposarono in una
condizione di terremoti frequenti. La pausa non durò a lungo, perché la pioggia
di cenere e lapilli stava bloccando le porte col rischio di intrappolarli. Il
gruppetto riparatosi la testa con dei cuscini fissati al meglio con delle
fettucce, si allontanò in un contesto di buio vulcanico martellati dai
piroclastici di caduta. Aiutati da torce, giunsero in prossimità del mare: l’ammiraglio
si distese su un lenzuolo poggiato da un servo sulla coltre di cenere chiedendo
acqua. Il terzo giorno dall’approdò, lo rinvennero come dormiente tra i lapilli
vulcanici ma era morto. Probabilmente la causa del decesso doveva addebitarsi
alla cenere inalata che ricordiamo ha una componente vetrosa e acida molto
irritante, e alcuni gas vulcanici che in genere, come l’anidride carbonica e
l’anidride solforosa ristagnano al suolo.
Plinio il Vecchio sulla spiaggia di Stabia (dal sito Asciacatascia) |
Intanto
il giovane Plinio rimasto a Miseno con la madre, dormì poco a causa dei
terremoti che poi divennero particolarmente intensi. Madre e figlio titubavano
a prendere decisioni e s’interrogarono sul da farsi. Sopraggiunse intanto un
amico dello zio che li rimproverò perché tardavano a mettersi in salvo. Alle
prime ore del giorno, l’atmosfera opaca che gravava sulla casa tremolante, li
spinse ad allontanarsi dal caseggiato dove i carri pur fermi su terreno piano
venivano sballottati a destra e a sinistra dai terremoti, addirittura mettendosi
in moto. Il mare si ritrasse abbastanza da mettere al secco dei pesci sulla
spiaggia oramai più estesa. Dalla parte opposta invece, videro una grande nube
nera percorsa da saette che, dopo aver percorso la terra, si adagiò sul mare. Madre
e figlio furono invitati ancora una volta a correre per mettersi al sicuro. Usciti
dalla casa, lasciarono la strada principale per evitare schiacciamenti e resse.
Poco dopo si sedettero per riposare, e a quel punto la cenere li avvolse e con
essa la più nera delle notti. La gente che scappava si chiamava tra loro a gran
voce essendosi persa in quel buio vulcanico. Il fuoco sembrò correre da lontano
nella loro direzione ma poi si arrestò, in un turbinio di polveri cineree che
sopravanzarono imbrattandoli, e quindi cercarono di scuotersela di dosso: l’idea
che si faceva largo era che sarebbero presto periti. Ritornati nella casa di Miseno,
nonostante i sussulti decisero di restare in quel luogo familiare in attesa di
notizie dello zio che poi funeste arrivarono...
L’eruzione
pliniana del 79 d.C. che devastò il vesuviano, è stata valutata con un indice
di esplosività VEI 5. In quei frangenti drammatici, come si evince dagli
scritti di Plinio il Giovane, una nuvola di cenere raggiunse anche la zona di
Miseno portando una profonda oscurità che accrebbe la paura tra gli abitanti. Occorre
dire che tra il centro eruttivo del Vesuvio e Miseno corre una distanza di
circa 30 chilometri. I residenti dell’agglomerato urbano localizzato nei pressi
della flotta navale romana, fuggirono per sottrarsi all’avanzata di questa
nuvola scura che si avvicinava e che scatenò il panico anche per i sismi che
scuotevano la terra. I fuochi che sembravano avvicinarsi, ma che poi si
fermarono come narra Plinio, potrebbero essere stati degli incendi nelle case distanti
causati dai terremoti: le fiamme a seconda dell’intensità della cenere, diventavano
più o meno visibili dando l’idea del movimento che in realtà non c’era. Tra i
principali effetti del terremoto, quello degli incendi è un danno collaterale
abbastanza frequente.
Rimane
il dato che a 30 chilometri di distanza è arrivata cenere vulcanica nella
direzione opposta a quella che ha favorito l’introduzione
della zona rossa 2 (Est - Sud- Est): quale fenomeno l’ha portata lì? E i terremoti vulcanici al
Vesuvio potevano risultare copiosi e intensi anche a 30 chilometri di distanza
dal centro eruttivo? Per risolvere questi dubbi ricorriamo alle competenze del Prof.
Giuseppe Mastrolorenzo, noto vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano
(INGV) che qui chiarisce:
<< Nelle
due lettere di Plinio il Giovane a Tacito, è riportata senz’altro la prima
descrizione dettagliata di un’eruzione esplosiva di grande portata. Il termine
eruzione pliniana, è stato assunto nella letteratura vulcanologica per
descrivere gli eventi esplosivi analoghi a quello narrato da Plinio il Giovane,
ed è stato utilizzato per descrivere eventi come quello del Monte St. Helens, avvenuto
nel 1980 o del Pinatubo del 1991.
Le ricerche vulcanologiche hanno rivelato come la descrizione
dell’eruzione del 79 A.D. fosse adeguatamente dettagliata e priva di forzature
letterarie. Ciò nonostante resta impossibile verificare con grande attendibilità
scientifica alcuni elementi rilevanti dell’eruzione, quali ad esempio la durata
e la tipologia degli eventuali fenomeni precursori, nonché l’entità della
sismicità associata all’evento eruttivo. Resta inoltre non verificabile
l’orario di inizio e la durata dell’eruzione.
Circa la sismicità in fase sin-eruttiva non esistono evidenze oggettive, ma si può fare riferimento ad eruzioni pliniane analoghe, avvenute in tempi recenti a livello mondiale. In tali casi si è osservata un’attività sismica di magnitudo media, in genere non molto superiore al quinto grado Richter, e solo molto raramente associata a effetti al suolo di grande portata, se non nelle aree immediatamente prossime al centro eruttivo.
Circa la sismicità in fase sin-eruttiva non esistono evidenze oggettive, ma si può fare riferimento ad eruzioni pliniane analoghe, avvenute in tempi recenti a livello mondiale. In tali casi si è osservata un’attività sismica di magnitudo media, in genere non molto superiore al quinto grado Richter, e solo molto raramente associata a effetti al suolo di grande portata, se non nelle aree immediatamente prossime al centro eruttivo.
Quanto descritto da Plinio il Giovane relativamente al centro
abitato di Miseno che sarebbe stato interessato da scosse di notevole intensità
(come indicato dallo spostamento di carri), sembrano non compatibili con quelle
potenzialmente associate a una possibile crisi sismica con magnitudo non
elevate e ipocentri a distanze di circa trenta chilometri.
Per quanto riguarda il passaggio di una fitta nube alla fine
dell’evento eruttivo sull’abitato di Miseno, questa è compatibile con l’ultima
fase eruttiva del Vesuvio, caratterizzata dalla generazione di flussi
piroclastici a bassa concentrazione con fronti di grande spessore e con elevata
mobilità che ne consentiva l’espansione radiale fino a distanza dell’ordine di
alcune decine di chilometri dalla bocca eruttiva.
Per la bassa densità, la scarsa concentrazione di particelle, la
bassa temperatura e la bassa velocità di avanzamento, queste ultime nubi
piroclastiche, a parte lo spavento non erano in grado di causare danni o
mettere a rischio le comunità nell’abitato di Miseno. Cosa diversa invece,
hanno appurato le mie ricerche negli abitati di Ercolano, Oplonti e Pompei,
dove i residenti che si attardarono nella fuga morirono all’istante per effetto
di temperature comprese fra 300° e 500° Celsius. A fronte delle numerose ricerche pubblicate
sull’eruzione del 79 A.D., restano ancora molte incognite, in particolare
proprio sulla sua durata totale e sui precursori che hanno preceduto a medio e
a lungo termine l’evento>>.
Ringraziamo
il Professor Giuseppe Mastrolorenzo primo ricercatore dell’Osservatorio
Vesuviano (INGV) per i preziosi chiarimenti che ci ha fornito.
L'articolo rischio Vesuvio al tempo del coronavirus covid 19 lo trovate qui: https://miscellaneamalko.blogspot.com/2020/03/rischio-vesuvio-al-tempo-del.html
RispondiEliminaL'articolo rischio Vesuvio e rischio coronavirus lo trovate qui: https://miscellaneamalko.blogspot.com/2020/03/rischio-vesuvio-e-rischio-coronavirus.html
L'articolo Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: società a rischio Lo trovate qui: https://miscellaneamalko.blogspot.com/2020/04/rischio-vesuvio-e-campi-flegrei-societa.html